MERCATI FINANZIARI: I SUOI CATALIZZATORI E ALCUNI GRAFICI UTILI • Dal 3 gennaio 2022 al 16 giugno 2022 al ribasso a causa di un’aspettativa e successivo inasprimento della politica monetaria
• Dal 16 giugno 2022 al 16 agosto 2022 al rialzo a causa di un’aspettativa di una politica monetaria meno aggressiva del previsto
• Dal 16 agosto 2022 al 16 ottobre 2022 al ribasso a causa dei toni aggressivi utilizzati da Powell al simposio del Jackson Hole
• Dal 16 ottobre al 2 dicembre al rialzo a causa di un’aspettativa di una Federal Reserve più “dovish”
• Dal 2 dicembre a fine 2022 al ribasso a causa di un’aspettativa di “recessione”
• Per tutto gennaio 2023 al rialzo a causa di aspettative di un “soft landing” e taglio dei tassi di interesse
Ma, cosa ancora più importante:
• In trend ribassista dall’inizio del 2022 a causa di un rallentamento economico
Di chi stiamo parlando? Ovviamente dell’altalena “mercato azionario americano”: quello che un mese sale per un motivo e quello successivo scende per un altro ma che, se osservato in un timeframe più ampio, si comporta come da letteratura; dopotutto, nella fase 6 del ciclo economico esso dovrebbe mantenersi in trend ribassista, no?
Dal massimo relativo del 2 febbraio all’ultima chiusura di contrattazioni di venerdì abbiamo assistito nuovamente a un “mini bear market”; quali saranno stati stavolta i catalizzatori? I dati sul mercato del lavoro di venerdì 3 febbraio, che vedevano:
• Buste paga del settore non agricolo: 517K unità contro le aspettative di 185K
• Tasso di disoccupazione: 3.4% contro le previsioni di 3.6%
Perché essi hanno impattato in maniera negativa sui mercati? Ad una maggior forza dei due dati macroeconomici, la Federal Reserve avrà maggiori incentivi ad inasprire la sua politica di rialzo dei tassi. Infatti:
L’obiettivo numero uno della FED è quello di combattere l’alto tasso di inflazione. Nonostante il processo di disinflazione sia iniziato ad agosto 2022 (dove per “disinflazione” si intende quel processo di “rallentamento” dell’inflazione), il dato si attesta tuttora a valori del +6.4% a/a (ultima lettura superiore alle aspettative del +6.2%).
L’inflazione è legata, tra le altre cose, alla domanda di beni e servizi: ad un aumentare di essa, dovrebbe verificarsi un aumento del CPI stesso.
Se i dati sul mercato del lavoro dovessero continuare a mantenersi forti, sarebbe lecito aspettarsi che la domanda di beni e servizi continuerà a mantenersi robusta; perché? La risposta è intuitiva:
• Al rafforzarsi del mercato del lavoro corrisponderà un sentiment positivo da parte dei consumatori
Se i consumatori si presenteranno “sereni”, continueranno a spendere, incentivati oltretutto dal fatto che il loro potere di acquisto, visto il processo di disinflazione, non sarà tanto colpito in negativo quanto lo era stato l’anno precedente.
Ecco, dunque, qual è il problema “mercato del lavoro” per i mercati finanziari:
• Un suo rafforzamento accompagnato da un tasso di inflazione ad alti livelli
LA REAZIONE DEI MERCATI FINANZIARI
La prima immagine mostra l’S&P500 e il future Federal Fund scadenza luglio 2023:
Il benchmark ha tracciato una traiettoria rialzista dal minimo del 12 ottobre 2022 in concomitanza di un’aspettativa di politica monetaria via via meno aggressiva. All’uscita dei dati sul mercato del lavoro del 3 febbraio, le aspettative degli investitori si sono capovolte:
• Al rialzo delle aspettative del tasso di tasso di interesse, l’S&P500 ha invertito la rotta
Da notare come ora il tasso di interesse scontato per il primo mese di Q3 ‘23 sia del 5.3%.
Questa rinnovata prospettiva ha rafforzato il dollaro, strettamente correlato a quest’ultima:
Continuando a basarsi sull’analisi intermarket, la prospettiva di un inasprimento monetario ha contribuito al rialzo dei rendimenti obbligazionari dei titoli di stato a 10 e 2 anni (questi ultimi maggiormente rialzisti dei primi in quanto maggiormente impattati dalla FED):
Le conseguenze di un rafforzamento del dollaro sono state:
• Oro al ribasso
• Azionario e obbligazionario dei mercati emergenti al ribasso
Le correlazioni intermarket da tenere bene a mente:
• Ad un’aspettativa di politica monetaria aggressiva, aumenta il rendimento dei titoli di stato, in particolare di quelli a breve scadenza, maggiormente impattati. Aumenterà dunque la loro domanda da parte degli investitori a caccia di un maggior rendimento che, per acquistarli, venderanno la loro valuta per acquistare dollari americani (da qui, il rafforzamento del dollaro per la dinamica della domanda). Un dollaro rialzista rende più onerosi i debiti dei mercati emergenti che, per questo motivo, inizieranno a soffrire, traducendo il tutto con un ribasso. E l’oro? Esso è correlato inversamente ai tassi reali: all’aumentare dei rendimenti, gli investitori saranno più incentivati ad acquistare bond (dal momento in cui il metallo prezioso, dallo stesso punto di vista, non paga); inoltre, da non dimenticare la correlazione inversa oro-dollaro
Lo scenario appena descritto è ovviamente di risk off, all’interno del quale il mercato azionario registra dei ribassi.
Vi fornisco un indice di forza importante da osservare per capire il clima di mercato: quello tra obbligazioni governative (ETF “IEI”) e obbligazioni spazzatura high yield (ETF “HYG”); essi sono due ETF replicanti il movimento di obbligazioni a basso rischio (IEI, con duration pari a 4.38 anni) e ad alto rischio (HYG, 3.87 anni).
• Se l’indice di forza si trova in territorio rialzista, con IEI a sovraperformare HYG, gli investitori saranno più avversi al rischio
• Al contrario, con l’indice di forza in territorio ribassista, con HYG a sovraperformare IEI, gli stessi saranno più propensi al rischio
L’indice di forza conferma la sua natura di indice di sentiment vista e considerata la correlazione positiva con il VIX, l’indice di paura dell’S&P500:
• Al salire della paura, salirà il VIX (con l’S&P500 al ribasso) e, in contemporanea, le obbligazioni governative sovraperformeranno le high yield
• Al contrario, al salire dell’euforia, il VIX registrerà dei ribassi (con l’S&P500 al rialzo) e, conseguentemente, le obbligazioni ad alto rischio sovraperformeranno quelle a basso rischio
Tutto ciò è osservabile nell’immagine seguente.
Qualora qualche concetto vi fosse sconosciuto o incomprensibile commentate pure, sono disponibile ad eventuali chiarimenti.
Buona giornata.
Politicamonetaria
Velocità della moneta ed effetti sull’economia reale. Sentiamo spesso parlare di politica monetaria delle banche centrali, aspettative sui tassi e disoccupazione, ma è possibile andare a visualizzare “graficamente” questi valori, verificarne le correlazioni, scoprirne l’effetto sulla base monetaria ed aiutarci nelle decisioni di investimento?
Ragionando sui dati statunitensi e partendo dal 2001, ho plottato su uno stesso grafico diversi valori tratti da banca dati Fred (Federal Reserve Economic Data) ed in particolare:
• Linea Verde: Corporate profit after Tax – ovvero dato aggregato sui profitti delle aziende statunitensi;
• Linea Blu: Andamento dell’S&P 500
• Linea Rossa: Andamento del tasso di disoccupazione
Esprimendo un confronto tra tre diversi dati, non ne interessa il “valore assoluto”, bensì la tendenza grafica e gli effetti scaturenti in termini di politica monetaria.
Il 2001 è stato ovviamente un anno orribile per le borse mondiali, con gli effetti degli eventi dell’11 settembre e la scia della bolla “dot com”. Possiamo notare per almeno due anni, un tasso di disoccupazione crescente e la fissazione del tasso di interesse all’1% (il tasso di provenienza era del ben 6%).
Il seguito di questa politica è stata una crescita dei profitti delle aziende, una sostanziale riduzione del tasso di disoccupazione per i quattro anni seguenti, ritrovato entusiasmo nel mercato azionario. Tutto ciò ha portato la Fed a rivedere al rialzo il tasso d’interesse, portandolo progressivamente al 5,25% nel giugno del 2006.
L’aumento dei tassi unito alla sprovveduta ed eccessiva concessione di credito a condizioni variabili e lo scoppio della bolla dei mutui sub-prime, ha portato alla crisi finanziaria del 2008, nella quale assistiamo a: impennata del tasso di disoccupazione, riduzione degli utili per le aziende, caduta del mercato azionario.
L’economia americana e la ricchezza della popolazione (l’americano medio ha un’elevata attitudine all’investimento dei risparmi in strumenti passivi) sono in ginocchio. Viene inaugurato dalla Fed un periodo a tasso 0,25% , con annesso ingente piano di aiuti varato dall’amministrazione Obama. I livelli occupazionali, come possiamo notare dal grafico, torneranno ai livelli pre-crisi nel 2017. Nel frattempo il mercato azionario cresce in maniera importante andando a triplicare il proprio valore tra il 2008 ed il 2018.
La disoccupazione raggiunge nuovi livelli di minimo, il tasso di riferimento gradualmente incrementato fino a raggiungere il livello del 2,5% a gennaio 2019. Il resto è storia recente che tutti conosciamo.
Oggi notiamo un livello di disoccupazione in forte diminuzione, profitti delle aziende e mercati azionari sui massimi storici. Ma questa politica monetaria, che effetto ha avuto sulla quantità di moneta in circolazione?
Analizzando nel grafico di seguito l’aggregato M2 (composto da banconote, conti correnti e depositi e attività facilmente liquidabili) possiamo notare quanto lo stock di moneta in circolazione sia aumentato, determinando una riduzione della sua velocità di circolazione.
Secondo Fisher, in una situazione del genere due alternative sono possibili: incremento del prodotto interno lordo o incremento del livello dei prezzi.
Quali conclusioni ne traggo?
Utilizzo questi dati, non tanto per l’attività di trading, quanto per la definizione di una cornice entro la quale direzionare le scelte orientate all’investimento e l’eventuale convenienza nel muovermi verso l’una o l’altra asset class. Nessuno strumento ci renderà infallibili, tuttavia possiamo provare ad incrementare le probabilità in nostro favore.
LA FINE DEL SUPERCICLO DELLE MATERIE PRIME. E' POSSIBILE?Buongiorno ragazzi, stamani voglio condividervi un'idea riguardante il destino che potrebbero avere le materie prime nel medio periodo, prestando particolare attenzione all'inflazione, tassi di interesse e forza/debolezza del dollaro USA.
IL BOOM DELLE COMMODITIES
Siamo da aprile del 2020 godendoci il boom delle commodities. Per riassumervi questo loro comportamento, vi ho condiviso come asset l'Invesco DB Commodity Index, che non è altro che un indice che racchiude in sè, in percentuali diverse, le materie prime più conosciute. Vediamo come il prezzo è salito in maniera parabolica, segnando un rialzo dall'inizio del suo impulso ad oggi di quasi l'80%. Il rialzo di tutte le materie prime è scaturito da diversi fattori che, uno ad uno, ho sempre descritto in tutte le mie idee (per maggior chiarezza, vi consiglio di leggerle) :
1) Per il rapporto domanda/offerta, in quanto la ripresa economica è stata accompagnata da un boom di richieste da parte di tutti i Paesi mondiali: pensiamo alla Cina e a tutte le sue importazioni di materie agricole come, prime fra tutte, il mais; pensiamo alla transizione energetica che ha portato ad un'eccessiva domanda di materiali come rame e argento; pensiamo ai progetti infrastrutturali e alla conseguente richiesta di legname, alluminio e lo stesso rame; da non dimenticare l'industria automobilistica e ai connessi palladio e platino e, ancora una volta, rame. Insomma, vi ho citato solo alcuni esempi, in cui avrete sicuramente notato quanto di spicco sia stato il rame, la cui natura gli permette di essere utilizzato nei più svariati settori: non è un caso infatti che esso sia stato una delle migliori materie prime dalla metà del 2020. Non dimentichiamoci del (non meno importante) petrolio e delle scelte che l'Opec, strategicamente, ha attuato, in modo che il sottostante aumentasse il suo valore dopo i numerosi tagli all'offerta che ci ha accompagnato fino a poco tempo fa.
2) La debolezza del dollaro statunitense: dal momento che la stra gran maggioranza di materie prime sono scambiate in dollari, un dollaro più debole attira investimenti da parte di detentori di altre valute
3) Speculazione, che nel mercato c'è sempre stata, c'è e ci sarà.
LA CORRELAZIONE TRA INFLAZIONE E TASSI DI INTERESSE
E' da diverso tempo che ormai si parla continuamente di inflazione e di tassi di interesse. Ci troviamo in un periodo in cui la FED mantiene essi prossimi allo zero; l'obiettivo di questa azione è quello di favorire la crescita economica, perchè quando i tassi di interesse sono prossimi allo zero (o comunque bassi) le aziende sono più motivate a richiedere dei prestiti per i più svariati motivi; questo significa "più moneta circolante" e si sa che, più circola una moneta, più l'economica ha la possibilità di riprendersi. I tassi di interesse non sono utilizzati dalle banche centrali mondiali solo per favorire l'economica, ma anche per controllare l'inflazione: riagganciandoci al concetto precedente di "moneta circolante", più essa circola nei mercati e nell'economica di un Paese, più essa genera inflazione (ossia l'aumento dei costi dei beni); e qual'è il modo per combattere l'inflazione? I tassi di interesse! Alzando i tassi di interesse, le aziende non saranno più "incentivate" a richiedere prestiti e come conseguenza la moneta che era circolante inizia a ritirarsi.
L'INFLAZIONE INDOTTA DALLE MATERIE PRIME
Voglio precisare che l'inflazione non è soltanto indotta dai bassi tassi di interesse, ma anche da un'altra serie di fattori tra i quali rientrano anche i prezzi delle materie prime. Il motivo? Se ad esempio il prezzo del petrolio aumenta, è chiaro che i trasporti costeranno di più e, di conseguenza, anche ciò che i rifornitori trasportano aumenterà di prezzo, in maniera tale che il rifornitore stesso (anche di materie prime, per dire) possa guadagnare comunque nonostante il carburante per i trasporti sia aumentato di prezzo; pensiamo al rame o all'alluminio: se il loro prezzo è molto alto e se le infrastrutture costruite richiedono grandi quantità di queste ultime due, allora è chiaro che il prezzo delle infrastrutture stesse aumenterà, in maniera tale che l'ipotetica impresa costruttrice vada comunque a guadagnare lo stesso tanto, facendo quindi in modo che il rialzo dei prezzi di rame e alluminio non sortiscano effetto nei guadagni. Se il mais aumenta, è chiaro che anche il pane sarà poi venduto ad un prezzo più alto; ci sono tantissimi esempi, ve ne ho riportato solo alcuni di facile comprensione.
IL PROBLEMA DELL'INFLAZIONE
Nei mercati finanziari sta prendendo sempre più piede la parola "inflazione", che spaventa a tanti. Dopo la crisi dovuta al coronavirus, tutte le banche centrali hanno attuato le famose "politiche monetarie" volte a stimolare l'economica. La grande dose di denaro immessa nei mercati (non solo dalle banche centrali, ma anche dai governi) ha sostenuto il rialzo, facendo segnare ai più conosciuti S&P 500 e Nasdaq massimi storici su massimi storici. L'obiettivo della Federal Reserve (banca centrale USA) era quello di stimolare l'occupazione, cercando di eliminare il più possibile la disoccupazione. Fin'ora gli obiettivi sono stati rispettati, tant'è che questi due dati macroeconomici incrementano di mese in mese. Ritornando al paragrafo precedente, era abbastanza scontato che la gran mole di denaro in circolo presente generasse inflazione, e ciò è proprio il problema; come ho già detto, uno degli obiettivi di una banca centrale è quello di controllare l'inflazione, facendo in modo che essa oscilli in un range del 2%. L'ultimo dato ha invece mostrato che essa si attesta al 4.2% annuo rispetto allo scorso anno, valore più alto dal 2008. Questo ha allarmato tutti, ma non la FED, che sostiene che questa sia soltanto transitoria. A Powell, presidente della FED, sembra si siano quasi opposti altri colleghi quali il presidente della Fed di Dallas Robert Kaplan e Patrick Harker, capo della Fed di Philadelphia; essi richiedono al FED di considerare un tapering, ossia una diminuzione di quantità di denaro immessa dai mercati, in maniera tale da evitare che l'inflazione possa diventare incontrollabile. Questo potrebbe essere un primo passo verso l'aumento dei tassi di interesse (essi verranno aumentati solo quando l'economica si sarà ripresa in maniera stabile e i livelli di occupazione saranno soddisfacenti);
RAPPORTO TRA TASSI DI INTERESSE, DOLLARO E MATERIE PRIME
Se la Fed aumentasse i tassi di interesse, ciò andrebbe a rinforzare il dollaro, e questo accadrebbe perchè il dollaro, con un tasso di interesse più alto, avrebbe anche un rendimento più alto. Nei 3 punti toccati riguardo al boom delle materie prime, ho considerato il fatto che esse fossero salite anche grazie, chiaramente, ad un dollaro molto debole. La domanda ora è: se i tassi effettivamente aumentassero, potremmo comunque assistere ad un superciclo delle materie prime? Basteranno soltanto la speculazione e la dinamica di domanda/offerta per continuare a goderci questo splendido momento? Per il momento stiamo tranquilli perchè la FED dovrebbe modificarli tra la fine del 2023 e il 2024. Tuttavia, vi consiglio di studiarvi la storia delle banche centrali: potrebbe non essere la prima volta che una banca centrale non riesca più a controllare l'inflazione e, di conseguenza, si rimangi la parola e agisca prima del voluto. Vi invito (qualora foste interessati all'argomento) a leggere settimana dopo settimana i dati sull'inflazione e sull'occupazione (e disoccupazione): saranno molto utili per aver chiaro quello che la banca centrale farà.
Spero la mia idea vi possa dare uno spunto, per qualsiasi cosa o per interesse che io condivida qualche altra idea riguardante qualche altro asset contattatemi pure, faccio ciò per passione.
Buon trading!
DISASTRO AUSTRALIANO ?Probabile ricca opportunità su AUDJPY , il dollaro australiano nei confronti di uno dei suoi principali patners commerciali, il Giappone. Come ben sappiamo l' economia australiana nell' ultimo periodo è un vero e proprio disastro con il prezzo delle case che sta crollando velocemente ( confermato questa notte con i dati in uscita del settore edilizio prepotentemente sotto le aspettative ), i salari non crescono, la disoccupazione aumenta e l' inflazione si attesta sotto i livelli di range ottimale inferiori al 2% ( più precisamente a 1.80%). La banca centrale australiana, RBA, deciderà domani notte ( ore 4.30 italiana ) se diminuire il tasso di interesse per riportare l' inflazione a livelli standard e permettere all' economia australiana di tornare a respirare. L' ultima diminuzione del tasso di interesse risale al 2016, in quest' ottica dato che alla RBA mancano solo 6 ribassi prima di portare il tasso di interesse a 0 e visti gli interventi contati penso si comporterà proprio come nel 2016, temporeggiando ora e diminuendo i tassi a Maggio subito dopo le elezioni federali. Mi aspetto quindi che la RBA lasci immutati i tassi di interesse come sta facendo dalla fine dello scorso anno a questa parte, ciò sicuramente non farà altro che aumentare le forze di vendita nel mercato. Graficamente in dayli siamo a ridosso di una struttura molto importante su cui è avvenuto un breakout al ribasso,a quota 80.00, in caso i fondamentali confermino le mie previsioni ( tassi di interesse immutati ) mi aspetto un trend bearish confermato da una divergenza bearish sul Relative Strenght Index a 4H con entrata a mercato alla rottura del wedge ribassista , SHORT @79.325, livello suggerito anche dalla choku di ichimoku, con STOPLOSS @79.430 e due differenti TAKE PROFIT: TP1 @78.810 TP2 @77.645 e un RISKREWARD > 1:5.
In caso invece la RBA decidesse di diminuire domani i tassi di interesse, ciò sarebbe una notizia estremamente positiva per il mercato ma mi posizionerei LONG solo al breakout rialzista dell' importante struttura 0.80.