Cina, quando tutti la bastonano è tempo di comprarlaNella nostra vita quotidiana in occasione di una scelta di acquisto siamo portati a individuare il prodotto cui siamo abituati, che conosciamo e che sappiamo già ci garantirà la migliore esperienza possibile. Soprattutto ci rassicurerà perché sappiamo in anticipo, se fosse un prodotto alimentare ad esempio, quello che ci regalerà mettendolo a tavola.
Magari il prodotto in questione non sarà il migliore in assoluto ma certamente quello che ci garantirà il rapporto fatica/soddisfazione da noi atteso. Ma se qualcuno vi chiedesse chi produce materialmente il bene (non la grande marca distributrice), dove viene prodotto, quali sono gli ingredienti, quale sia l’origine della materia prima e quale la data di scadenza c’è un’alta probabilità che di sbagliare molte risposte.
Negli investimenti facciamo, mediamente per carità, la stessa cosa: tendiamo a rivolgerci a quei mercati che ci garantiscono il rapporto fatica/soddisfazione che ci attendiamo. In finanza comportamentale è un fenomeno ben noto. Si va dall’ancoraggio che ci induce a fare il minimo/nessuno sforzo per prendere una decisione in condizioni di incertezza partendo semplicemente da una convinzione che sta dentro di noi ma che non è detto che sia corretta, all’home bias che, sempre per esigenze di sopravvivenza all’immane sforzo di informarsi, ci suggerisce di operare la dove conosciamo il contesto (comfort zone finanziaria) anche se questo fosse pessimo.
Nelle scelte di investimento, sempre mediamente per carità, si finisce per operare mixando al meglio gli ingredienti che si hanno a disposizione, nelle modalità che ci detta il nostro buon senso e con le aspettative che ci fanno stare bene nutrendoci di speranza piuttosto che di analisi. Ma tutto ciò succede sempre mediamente per fortuna e non sempre.
Tornando alle scelte di acquisto, se invece si fosse più esigenti si cercherebbe di selezionare quei prodotti che ci garantiscono la migliore esperienza complessiva possibile quando sarà a tavola. Per fare ciò non ci si deve far condizionare dalla marca, si dovrebbe vedere dove viene realizzato e l’origine della materia prima, cercando di scegliere quello con la data di scadenza più lontana che lascia intendere sia stata prodotta più di recente.
Tutto ciò ad un certo punto non basta più per cui, si potrebbe essere indotti dal desiderio di migliorare ancora di più l’esperienza gustativa spingendoci a individuare le più vocate zone di produzione visitando una serie di aziende e magicamente si potrebbe scoprire che esistono prodotti di una bontà assoluta che fanno cadere nel dimenticatoio quelli che fino al giorno prima pensavo fossero ottimi. Spesso ad un prezzo nettamente più basso.
Portando a termine la metafora, se chiedessi quale sia l’indice azionario che avreste voluto comprare 15 anni fa probabilmente la risposta più gettonata sarebbe gli USA. La scelta non sarebbe sbagliata e limitando l’analisi alle aree economiche più importanti si scopre che il migliore in assoluto in effetti è stato il Nasdaq composite.
Tuttavia a ben vedere il Nasdaq si è imposto solo all’ultima curva allorché, causa pandemia, la FED ha portato velocemente i tassi di interesse a breve praticamente a zero vanificando la performance della Cina che, con il segmento on-shore, fino a quel momento era il mercato più profittevole. Infatti poiché il valore attuale di un titolo growth è stimato come l’attualizzazione finanziaria dei futuri flussi di cassa e profitti, quanto più è basso il livello dei tassi di interesse tanto più alto è il risultato dell’operazione di attualizzazione. E vice versa. Essendo la capitalizzazione del Nasdaq a prevalenza di titoli growth è stato possibile assistere alla rapida crescita dell’indice proprio in pandemia grazie al taglio dei tassi operato dalla FED.
Per accorgersi delle performance dei mercati cinesi bisognava necessariamente non essere tra quei consumatori che sbrigativamente afferrano dallo scaffale il prodotto “noto” ma essere, … sempre mediamente, tra quelli che assorti leggono attentamente le etichette o pagano una parcella di consulenza per garantirsi anche l’uso appropriato in termini di quantità e modalità di consumo. Infatti parliamo pur sempre di un mercato emergente, volatile, capace di far provare l’ebbrezza di un -75% in occasione della crisi del 2008. Insomma da approcciarsi preferibilmente in ottica di lungo termine lasciando ai professionisti la frequentazione sul piano del trading.
Parlare della Cina come nazione sul piano politico, come società su quello sociologico sarebbe molto interessante e soprattutto utile per meglio comprenderne i mercati finanziari ma è un esercizio che non possiamo permetterci in questa sede. Io immagino la Cina come una valanga o una eruzione vulcanica avverso la quale poco o nulla si può opporre.
Parliamo di un paese enorme, con una piramide demografica vantaggiosa ed una politica che progressivamente è passata dall’unico figlio agli attuali tre ammessi per famiglia allorquando ha intuito che l’evoluzione demografica del paese nel lungo periodo avrebbe portato il paese ad accumulare un gap importante con altri paesi concorrenti. Un paese con una sterminata platea di 400 milioni di millennial pronti a far sentire gli effetti delle loro scelte di consumo su e-commerce (dove l’obiettivo è quello di superare l’attuale 50% di quota di mercato globale divenendo leader indiscusso) e tecnologia.
Una classe dirigente che non ha bisogno del consenso del dei cittadini per fare ciò che ritiene utile. Questo rende possibile i famosi piani di programmazione quinquennali con obiettivi che si spingono fino al 2060 (orizzonte temporale che si sognano i governanti occidentali). Parliamo di obiettivi veri di chi sa che al prossimo piano quinquennale sarà ancora seduto li al potere e non come avviene nei governi dei paesi sviluppati dove, “vittime” della democrazia che li costringe ad essere giudicati ed eventualmente rieletti dai cittadini, presentano progetti la cui affidabilità è inversamente proporzionale all’orizzonte temporale richiesto.
Una quantità sterminata di popolazione che, contrariamente alle immagini patinate e scintillanti che ci giungono dalla parte più moderna del paese, affolla le campagne in condizioni di arretratezza assoluta. Gente che come in una catena di montaggio viene continuamente “strappata” alle campagne per essere opportunamente trapiantata nelle aree urbane con il compito di essere carburante per la realizzazione dei programmi del governo. Gente che verrà trasformata in classe media, la vera spina dorsale della nuova visione del partito comunista che prevede una nuova composizione della formula della domanda aggregata (più o meno la grandezza della ricchezza prodotta) che vede sempre più importante la C di consumi a scapito del contributo della bilancia commerciale.
Un paese che ora è lontano parente di quello che fino a qualche lustro fa eccelleva nella manifattura a basso costo e che oggi è attore protagonista nella innovazione tecnologica, che mira a riportare a casa quanta più parte possibile delle catene di produzione sparsa per il mondo e che incentiva con opportune riforme fiscali il rientro dei capitali rendendo meno conveniente ad esempio la quotazione nei mercati stranieri, americani soprattutto.
La stessa stretta sui settori immobiliare e tecnologico hanno un denominatore comune nella tutela sia della classe media attraverso la difesa del reddito disponibile che della imprenditorialità più spiccia attraverso lo sgretolamento delle posizioni dominanti nei settori più importanti per la crescita del paese. La convinzione è che un paese senza monopoli/oligopoli sia più adatto a fare germogliare quelli che J.M. Keynes chiama spiriti animali, cioè la voglia i intraprendere.
La stessa vicenda Evergrande a detta del governo cinese e di molte e qualificate fonti internazionali non dovrebbe avere effetti sistemici. Le attività immobiliari in Cina sono molto frastagliate ed accanto a grandi gruppi di “sviluppatori” come vengono chiamati persistono una miriade di aziende più piccole con la conseguenza che i 305 mld di dollari di debito di Evergrande rappresentano appena il 3% del complessivo debito immobiliare cinese. Inoltre il settore pesa per circa il 15% sul PIL del paese e se dovesse implodere Pimco stima che produrrebbe una contrazione del 1% del PIL. Anche il settore bancario sembra non essere particolarmente esposto tanto che se anche l’intero debito diventasse non più esigibile tutto insieme le banche continuerebbero a mantenere salvi i requisiti patrimoniali di sicurezza richiesti dalla vigilanza.
Allora Riguardando il grafico degli indici capiamo che mentre gli altri paesi, al netto degli sconvolgimenti tecnologici che rappresentano un fenomeno assolutamente trasversale a tutti i concorrenti, in questi quindici anni hanno fatto fine tuning (aggiustamenti) la Cina era impegnata in grandi manovre su tutti i piani che ne hanno determinato una crescita a dir poco tumultuosa.
La Cina in questo momento è padrona del proprio futuro e questo fa si che, a mio giudizio, si rifletta direttamente sulle performances dei propri mercati finanziari, sempre più aperti agli stranieri tra l’altro e interconnessi tra loro tramite il progetto Stock Connect che rende possibile agli stranieri tramite la piazza di off-shore di Hong Kong operare anche sul mercato delle A share sulla piazza on-shore di Shenzhen e Shanghai. Il tutto nella cornice di una maggiore attenzione ai cambi con il governo ora molto attento alla stabilità del Renmimbi, valuta in cui sono denominati gran parte delle A share.
Il mercato delle A share presenta delle peculiarità che lo rendono molto interessante, come su accennato, per un approccio di trading. Intanto con questo mercato è possibile prendere esposizione su tutto quel mondo fatto da aziende soprattutto di medie dimensioni e con business tipicamente domestico. Inoltre oltre il 30% dei 3.500 titoli che lo compongono non è coperto da analisi di società di gestione restando sconosciuti al grande pubblico. Tutto ciò rende il mercato il luogo ideale per i gestori attivi che non hanno interesse a coprire l’indice ma a generare soprattutto alfa attraverso attività di opportuno stock picking.
Ora a differenza dei mercati off-shore di Hong Kong in cui oltre il 75% delle transazioni sono appannaggio di operatori istituzionali, tipicamente investitori non umorali e soprattutto di lungo termine, le A share sono riservate direttamente solo ai residenti ed indirettamente agli stranieri tramite il citato Stock Connect. Il risultato è che circa l’83% delle transazioni sono fatte dai retails che come noto soffrono di due patologie: la visione di breve termine e la umoralità che guida le operazioni. Il risultato è una volatilità media nettamente maggiore rispetto agli altri indici di casa.
Osservando l’indice China A50 che raccoglie le prime 50 aziende per capitalizzazione, sul time frame mensile adatto ad una panoramica pluriennale coerente con l’analisi che si va facendo, si può notare la fase rialzista che dura dal 2014 dopo che la FED aveva creato il panico sui mercati mondiali attraverso la sua intempestiva riduzione degli acquisti di titoli sul mercato (Taper tantrum).
Si nota la formazione di un triangolo ascendente con protagonista l’area dei 15.000 punti che ha frenato per tre volte i tentativi di allungo dell’indice e trasformandosi in ostica resistenza, violata con decisione in occasione della ripartenza del paese dalla fase più dura della pandemia. Successivamente, nei mesi più recenti, il nuovo atteggiamento del paese meno tollerante come detto verso la eccessiva concentrazione di potere di mercato in settori strategici come quello tecnologico e il giro di vite nel settore dell’educazione e del gaming nel tentativo di difendere il potere di sviluppo e di spesa soprattutto della nuova classe media, hanno reso possibile un ritracciamento delle quotazioni confezionando un movimento di pull back su quella importante area dei 15.000 punti.
Solitamente la violazione di un importante livello come quello illustrato acquista ancora più solidità se il movimento viene suggellato con un pull back il quale ribadisce la volontà degli operatori di non volere tornare nuovamente sotto il supporto. Questo si desume da una accelerazione dei volumi in occasione del rimbalzo sul supporto. Ovviamente questo movimento rafforza il quadro rialzista ma non ci mette al riparo da eventuale rottura del livello di supporto, come si sa nel trading è tutta una questione di probabilità desunte dalla osservazione di dati oggettivi (volumi, open interest, …) e psicologia che rendono uno scenario più probabile rispetto ad altri.
Anche sul time frame settimanale il quadro è coerente con una ripresa delle quotazioni, infatti si osserva la violazione della trendline discendente disegnata dai massimi di febbraio con quello che sembra essere un movimento ancora di pull back sulla stessa resistenza dinamica e statica di area 15.600.
Sul grafico giornaliero il quadro si conferma ancora rialzista con una sequenza di massimi e minimi crescenti.
In conclusione, non bisogna sottovalutare la nuova capacità di autodeterminazione del governo cinese che come un treno in corsa è lanciato nel sorpasso ormai agli USA sul piano del PIL prodotto e della leadership in campo tecnologico. Il percorso non sarà lineare ma costellato da fasi di debolezza che quando si presentano vanno lucidamente interpretate nel contesto in cui si verificano decidendo se classificarle come sconto sul valore del paese ed in quel caso accumulare nuove posizioni.
Non è oggi pensabile non avere la Cina nei portafogli di investimento tenendo conto che la stessa classificazione come paese emergente col passare del tempo le andrà sempre più stretta. Già oggi il peso nell’indice MSCI emerging markets non rispecchia in pieno il ruolo che il paese ha nell’economia globale e questo è un altro punto a favore immaginando che il gap sia destinato a contrarsi nel prossimo futuro.
La Cina rimane in definitiva un tema divisivo sul piano dell’opinione pubblica. E’ facile che polarizzi i giudizi sui lati estremi della scala piuttosto che spalmarsi omogeneamente finendo per creare due roccaforti dove da una parte troviamo coloro che rimproverano al paese la condotta non sempre lineare ed accettabile in base al metro di giudizio dei paesi più maturi e democratici e che potrebbe essere sintetizzato con un’espressione di mia figlia la quale afferma che se i cinesi si fossero dati una calmata smettendo di mangiare pipistrelli vivi il mondo sarebbe un posto migliore per tutti (pandemia), cui si contrappongono coloro che vedono nel modello cinese un esempio di capacità, tenacia, lungimiranza e determinazione nel pensare, programmare e perseguire un futuro migliore e da protagonisti per se stessi