I principali indici americaniNel ventesimo secolo gli Stati Uniti hanno subito due guerre mondiali ed altri conflitti militari traumatici e costosi, la depressione, una dozzina di recessioni e periodi di panico finanziario, shock petroliferi, una epidemia di influenza e le dimissioni di un presidente caduto in disgrazia. Eppure il Dow Jones è salito da 66 a 11.497...
Warren Buffett.
In questo articolo, voglio condividere con voi alcune delle informazioni che ho appreso nel tempo molto utili se si vuole operare su alcuni indici americani come il Dow Jones, il Nasdaq e lo S&P 500. Trovo interessante relazionare quali sono le caratteristiche, le somiglianze e le differenze di questi indici, che rappresentano la salute dell'economia e del mercato statunitense. Penso che sia importante avere una visione d'insieme di ciò che succede sui mercati finanziari, perché influisce anche sul comportamento del nostro strumento di trading preferito. Non possiamo ignorare le dinamiche globali che muovono i prezzi.
L'S&P 500 è l'indice che contiene le maggiori 500 aziende per capitalizzazione statunitensi, se invece parliamo del Nasdaq (100) intendiamo l'indice con le 100 maggiori imprese quotate non finanziarie, infine il Dow Jones è l'indice che rappresenta il valore medio di 30 blue chip americane. Questi indici riflettono le performance di diversi settori e tipologie di aziende quotate in borsa negli Stati Uniti, vediamo quindi cosa significano e come si calcolano questi indici, e quali sono i vantaggi e gli svantaggi di investire su di essi. Per molti lettori scriverò cose banali, per altri concetti assolutamente nuovi da apprendere, ma ricordo sempre che il mio obbiettivo mira ad educare finanziariamente e formare chiunque approccia il trading.
Gli indici azionari sono dei prodotti finanziari che rappresentano il valore di un gruppo di azioni scelte in base a determinati criteri. Essi ci consentono di investire in un settore o in una categoria di aziende senza dover comprare ogni singola azione. Gli indici azionari sono composti da azioni che possono appartenere a più indici contemporaneamente e che possono cambiare nel tempo in base alle loro performance e alla loro capitalizzazione di mercato. Gli indici azionari sono utili per valutare la tendenza generale del mercato e per confrontare il rendimento di una singola azione con quello del suo settore di riferimento. Ad esempio, possiamo dire che un'azione ha una performance superiore o inferiore al suo indice se il suo prezzo sale o scende più di quello dell'indice.
Gli indici azionari sono uno strumento fondamentale per valutare le performance dei mercati finanziari. Ma esistono due tipi di indici, a seconda di come trattano i dividendi. Si tratta dei Total Return Index e dei Price Index, che hanno caratteristiche e vantaggi diversi.
I Total Return Index sono indici che non subiscono variazioni quando le società che li compongono distribuiscono i dividendi ai loro azionisti. In altre parole, i Total Return Index reinvestono i dividendi nel calcolo del valore dell'indice, come se fossero parte integrante del rendimento del capitale.
I Price Index, invece, sono indici che si riducono proporzionalmente al valore dei dividendi distribuiti dalle società che li compongono. Questo significa che i Price Index riflettono la perdita di valore delle azioni dovuta al pagamento dei dividendi, come se fossero una spesa per gli investitori.
Quindi è molto importante sapere su quale indice andiamo ad operare dovendo tener conto di questo particolare rilevante. Se vuoi avere un'idea precisa del valore effettivo delle azioni, puoi scegliere un Price Index, che ti mostra l'impatto dei dividendi sul prezzo delle azioni. Se invece vuoi confrontare il rendimento complessivo, che include sia i guadagni di capitale che i pagamenti in contanti, puoi scegliere un Total Return Index, che ti mostra il rendimento totale delle azioni.
In ogni caso, è importante sapere che esistono questi due tipi di indici e che hanno effetti diversi sulle performance dei mercati finanziari.
A loro volta, gli indici, hanno diversi metodi di calcolo per valutare l'importanza di un titolo all'interno del paniere. Alcuni indici sono ponderati per capitalizzazione, cioè assegnano un peso maggiore alle azioni con una maggiore capitalizzazione di mercato. Altri indici sono ponderati per prezzo, cioè assegnano un peso maggiore alle azioni con un prezzo più elevato. Esistono anche indici che utilizzano altri criteri, come il volume degli scambi, la liquidità o la qualità delle aziende. Gli indici azionari sono strumenti utili per gli investitori, in quanto consentono di avere una visione sintetica e comparativa delle performance dei mercati e dei settori.
- Indici ponderati per il prezzo di mercato: cosa sono e come funzionano: un classico esempio possiamo trovarlo nel Dow Jones o il Nikkei 225. Ma cosa sono esattamente e come si calcolano? Cercherò di spiegarlo in modo semplice e chiaro. Un indice ponderato per il prezzo di mercato è un tipo di indice azionario che assegna un peso maggiore alle azioni con un prezzo più alto, indipendentemente dalla loro capitalizzazione di mercato. In altre parole, le azioni più costose hanno un impatto maggiore sull'andamento dell'indice rispetto a quelle più economiche. Per capire meglio, facciamo un esempio. Supponiamo di avere un paniere di tre azioni: X, Y e Z. Se noi ipotizziamo un'azione X a 50$, una Y a 30$ ed una Z a 20$, il titolo X in quel paniere varrebbe il 50% dell'indice, indifferentemente dalla dimensione relativa (capitalizzazione) della società quotata. Questi indici vengono a volte criticati perché una semplice oscillazione di prezzo può influenzare in modo significativo l'indice, essendo il solo prezzo la forza trainante dell'indice stesso. Ad esempio, se l'azione X sale a 60$, l'indice aumenterà del 10%, anche se le altre due azioni rimangono invariate. Al contrario, se l'azione Z scende a 10$, l'indice diminuirà del 5%, anche se le altre due azioni rimangono invariate. Tuttavia, questi indici hanno anche dei vantaggi. Innanzitutto, sono facili da calcolare e da comprendere, poiché basta sommare i prezzi delle azioni e dividerli per il numero delle azioni. Inoltre, riflettono la percezione del mercato sulle aziende più importanti e prestigiose, che tendono ad avere prezzi più elevati.
- Cosa sono gli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato e perché sono importanti? Quali sono i più noti? Quali svantaggi e quali vantaggi presentano? Gli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato sono degli indici che misurano la performance di un gruppo di azioni in base al loro valore di mercato, ovvero alla capitalizzazione. La capitalizzazione si ottiene moltiplicando il prezzo di una singola azione per il numero totale di azioni in circolazione. Più alta è la capitalizzazione, più peso ha l'azione nell'indice. Questo significa che le azioni più grandi e più quotate hanno un'influenza maggiore sull'andamento dell'indice rispetto alle azioni più piccole e meno quotate. In altre parole, se le azioni più grandi salgono o scendono, l'indice segue la stessa direzione, mentre se le azioni più piccole salgono o scendono, l'indice ne risente poco o niente. Gli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato sono i più diffusi e i più seguiti nel mondo. Alcuni esempi sono lo S&P 500 e il Nasdaq negli Stati Uniti, il FTSE 100 nel Regno Unito, il CAC 40 in Francia, il DAX in Germania e il MIB in Italia. Questi indici sono considerati dei buoni indicatori della salute economica e finanziaria di un paese o di un settore. Tuttavia, gli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato hanno anche dei limiti e dei rischi. Il principale è che tendono a essere dominati da poche aziende molto grandi, che possono rendere l'indice poco rappresentativo della realtà e vulnerabile a shock o crisi che colpiscono quelle aziende.
Voglio condividere con voi alcune riflessioni. Nel corso della mia esperienza di trading, ho assistito a molti traders che si lamentavano della sfortuna, della truffa del broker di turno, o del fatto che i mercati fossero ostili e ingannatori nei confronti del trader principiante che aspirava a guadagnare con questa professione. Ma analizzando meglio la situazione, mi sono reso conto che, spesso, questi traders non avevano una conoscenza approfondita del sottostante che stavano tradando, come nel caso di un indice azionario. Per fare un esempio pratico: "risultati trimestrali negativi per il titolo X, l'indice precipita, secondo la logica degli indici ponderati per prezzo di mercato, e il trader impreparato non capisce il motivo..." Ora, io sono il primo sostenitore dell'analisi tecnica a scapito della fondamentale, ma la conoscenza è superiore a entrambe le forme di analisi, ed è per questo che mi spendo da tempo per educare e nella speranza che prima di buttare i vostri soldini acquisite la conoscenza e le competenze per operare sui mercati.
Nel mondo dei mercati finanziari, tutto è interconnesso. Questo significa che ogni argomento che affronto nei miei articoli ha delle implicazioni sugli altri. Un tema centrale è la politica monetaria delle banche centrali e il suo effetto sui tassi d'interesse. Come sapete, il rialzo dei tassi penalizza le aziende, perché aumenta il costo del debito e riduce i profitti e il valore delle azioni. Questo fenomeno è stato ampiamente discusso dai media, sia specializzati che generalisti in questo ultimo anno. Per questo motivo, ho voluto dedicare una breve sezione a questa dinamica, che influisce direttamente sui prezzi dei tre indici che sto relazionando e non solo.
Analizziamo le differenze tra i principali indici azionari americani: il Nasdaq, lo S&P 500 e il Dow Jones. Questi indici riflettono le performance di diversi tipi di aziende: quelle growth, che puntano su una forte crescita futura, ma che sono più rischiose e volatili, e quelle value, che offrono una maggiore stabilità e sicurezza agli investitori. Le aziende growth sono più presenti nel Nasdaq e nello S&P 500, mentre le aziende value sono più rappresentate nel Dow Jones. Per esempio, nel Nasdaq troviamo molte aziende tecnologiche innovative, mentre nel Dow Jones troviamo banche e società industriali consolidate.
La rotazione settoriale è il fenomeno per cui gli investitori spostano il loro capitale da un settore all'altro in base alle condizioni di mercato e alle aspettative economiche. Un fattore chiave che influisce sulla rotazione settoriale è il livello dei tassi d'interesse, che sono determinati dalle politiche monetarie delle banche centrali. In generale, quando i tassi d'interesse sono bassi, gli investitori preferiscono le aziende growth, che possono beneficiare di un accesso al credito più facile e di una maggiore domanda dei consumatori. Quando i tassi d'interesse sono alti, invece, gli investitori si orientano verso le aziende value, che offrono rendimenti più elevati e costanti e che sono meno sensibili alle fluttuazioni del mercato.
Quindi, possiamo osservare che il Nasdaq e lo S&P 500 tendono a salire quando i tassi d'interesse sono bassi, mentre il Dow Jones tende a faticare e viceversa. Questo spiega perché a volte vediamo divergenze tra questi indici, (basti osservare i grafici esposti in presentazione dell'articolo), che riflettono le diverse strategie degli investitori. Tuttavia, è importante ricordare che la rotazione settoriale non è un fenomeno lineare o prevedibile, ma dipende da molti altri fattori, come le aspettative sulle prospettive di crescita delle singole aziende, le valutazioni di mercato, gli eventi geopolitici e le preferenze dei consumatori.
Le azioni growth sono quelle di società che crescono più velocemente del mercato e che offrono la possibilità di guadagnare di più. Tra queste, le azioni tech sono molto popolari, ma anche molto sensibili ai cambiamenti dei tassi d'interesse. Infatti, le società growth si finanziano spesso con i prestiti, contando di poterli ripagare grazie ai loro elevati profitti futuri. Ma se i tassi d'interesse salgono, i prestiti diventano più costosi e meno convenienti. Questo fa calare la domanda di azioni growth e favorisce le azioni value, che sono quelle di società più stabili e meno rischiose, come le blue chip. Queste ultime sono meno soggette alle fluttuazioni dei tassi e offrono una maggiore sicurezza agli investitori.
Le azioni value sono un'opzione interessante per gli investitori che cercano una fonte di reddito costante e una maggiore stabilità nel mercato azionario. Queste azioni appartengono a società mature e consolidate, che operano in settori tradizionali come il finanziario, l'assicurativo e l'immobiliare. Queste società hanno una solida posizione competitiva e una generazione di flussi di cassa prevedibile, che permette loro di distribuire dividendi regolari e consistenti ai loro azionisti. Inoltre, le azioni value tendono a beneficiare di un aumento dei tassi di interesse, che migliora i margini e la redditività delle attività finanziarie. Pertanto, le azioni value offrono un profilo di rischio-ritorno più favorevole rispetto alle azioni growth, che sono più esposte alle fluttuazioni del mercato e alla volatilità dei prezzi.
Con questo articolo, ho voluto offrire un aiuto a chi si avvicina al nostro settore per approfondire le varie opportunità di trading, ma anche una buona occasione di ripasso per chi, invece, ha già esperienza e conosce bene questi principi fondamentali e semplici. Vi auguro buon tutto e vi aspetto al prossimo articolo che pubblicherò.
Mercatiazionari
CORRELAZIONE TRA MERCATO AZIONARIO E MERCATO OBBLIGAZIONARIOBuongiorno ragazzi, questa è la quarta analisi del mio blog incentrata sul mondo obbligazionario. La prossima settimana, rispettando le linee guida di tradingview, vi fornirò il link per l'accesso.
Dopo aver ricercato le correlazioni che il mercato obbligazionario presenta nei confronti del dollaro americano, oggi tratterò un altro tipo di correlazione: quella con il mercato azionario.
Per chi non l’avesse fatto consiglio caldamente lo studio delle precedenti tre analisi in maniera tale da avere una visione chiara e coincisa dell’argomento perché da questa analisi in poi gli argomenti andranno via via ad intrecciarsi.
Correlerò i due asset a partire dal 2000, in maniera da studiare la correlazione avuta negli ultimi 20 anni.
Iniziamo!
INTRODUZIONE: CLIMA DI RISK-OFF E RISK-ON
Una situazione di “risk off” altro non è che quel particolare scenario caratterizzato dalla presenza di tensioni che possono avere diverso carattere, da quello geopolitico (come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina), politico (la scelta di un nuovo presidente degli Stati Uniti, ad esempio, può impattare sul sentiment degli investitori), economico o finanziario (come ad esempio le manovre di politica monetaria e la scelta dei tassi di interesse). In questa particolare condizione gli investitori spostano la loro liquidità in asset considerati a basso rischio, i cosiddetti “beni rifugio”, come oro, obbligazioni di paesi solidi economicamente e con un alto rating, dollaro USA, Franco Svizzero e Yen giapponese.
Una situazione di “risk on” è invece quella situazione in cui c’è appetito al rischio, dove gli investitori, spinti dall’ottimismo e dalla positività del momento, vanno alla ricerca di asset che offrano degli alti rendimenti. Uno di questo è il mercato azionario, il mondo delle materie prime e tutte quelle valute legate a quest’ultime (come, ad esempio, il dollaro canadese, legato in maniera forte al prezzo del petrolio).
LA CORRELAZIONE NEGLI ULTIMI 20 ANNI
Vediamo nella grafica come a marzo 2000 l’S&P500 raggiunga i massimi storici. Il top raggiunto dal mercato azionario coincide anche con dei top di periodo segnati dal rendimento del decennale americano e dal rendimento del 2 anni. Sembrerebbe quindi un tipico clima di risk-on: gli investitori, infatti, si posizionano sul mercato azionario (che, come dico sempre, è caratterizzato da alto rendimento associato però ad un altrettanto rischio alto) vendendo obbligazioni (e ciò è testimoniato dal rialzo del rendimento associato visto il rapporto inverso obbligazione/rendimento) in quanto considerate, per il clima di mercato, a rendimento troppo basso e quindi poco convenienti. Basta uno spread a capovolgere il tutto: quello tra i rendimenti a 10 anni e 2 anni: nello stesso periodo, esso scende al di sotto dello 0%, lanciando quindi il segnale di possibile recessione. Che accade quindi?
Accade che qualche tempo dopo, a circa 5 mesi di distanza, esplode la bolla di internet e l’S&P500 va a perdere oltre il 50% del suo valore. A quel punto gli investitori iniziano a comprare obbligazioni, considerandole quindi dei “beni rifugio” e la diretta conseguenza di ciò è il crollo dei rendimenti, che si correlano quindi positivamente all’azionario.
Come vediamo dalla grafica che segue, come interviene la Fed per andare a combattere la recessione? Abbassa il livello dei tassi di interesse, portandoli dal 6.5% all’1%:
Qual è lo scopo di un ribasso dei tassi di interesse? Permettere ai privati e alle aziende un più facile accesso al credito. Spiegato in termini ancora più semplici, vedetela così: una recessione colpisce qualsiasi settore all’interno di un’economia. Per permettere la ripartenza di ognuno di loro, si devono creare una serie di incentivi. Una banca centrale, così, attua le sue mosse di politica monetaria, andando in questo caso ad abbassare gli interessi sui prestiti. Le aziende e i privati, così, sono incentivati a richiederli dal momento che gli interessi poi riconosciuti alla banca saranno molto bassi (in questo caso, come ho detto, dell’1%). Questo causa una forte positività tra gli operatori, i commercianti, gli imprenditori e in generale nei cittadini, andando a riflettersi su dati macroeconomici di rilevante importanza: uno tra questi è sicuramente la fiducia dei consumatori:
Come potete osservare nella grafica soprastante in cui vi ho condiviso con la linea blu il sentiment dell’università del Michigan e in arancio i tassi di interesse sui prestiti, un aumento o un ribasso di questi ultimi ha poi sempre influito sul sentiment dei consumatori (anche se allo stesso dato impattano altri dati macroeconomici che riprenderò in un’altra analisi). In particolare, a un rialzo dei tassi segue un sentiment pessimista, mentre al ribasso uno ottimista.
Dopo questo breve sunto, torniamo a noi. Il ribasso dei tassi di interesse arrivati all’1% nel 2003 ha quindi ricostruito per i motivi spiegati un clima di risk-on, dove l’azionario tende chiaramente a performare bene. Qual è stata quindi la diretta conseguenza?
Che gli operatori hanno comprato azioni e venduto obbligazioni, spingendo al rialzo i relativi rendimenti.
Spostiamoci più avanti nel tempo:
Il clima di risk on continua e, dal 2003 al 2006, gli investitori continuano a concentrarsi sull’azionario lasciando da parte l’obbligazionario. A questo punto però cosa accade? Lo spread si muove nuovamente sotto lo 0%. Ciò è causato da un aumento dei tassi di interesse che passano dall’1% al 4.5%:
Dico questo perché le scelte di politica monetaria impattano più sui rendimenti a 2 anni che su quelli a 10 anni e quindi, dal momento in cui si parla di spread (differenza), crescendo più i 2 anni rispetto ai 10 anni, ed essendo il 2 anni il sottraendo mentre i 10 anni il minuendo della differenza, lo spread tende poi a muoversi in territorio negativo. Cosa prelude, come ho detto svariate volte, uno spread negativo? Una recessione. Ed è così che si arriva alla crisi immobiliare:
Da fine 2007 a metà 2009 gli investitori acquistano obbligazioni e vendono azioni, andando a disegnare così i trend che vedete nella grafica, tipici di periodi di risk-off.
Successivamente i tassi di interesse vengono abbassati allo 0.25% per favorire una ripresa economica. Questo cosa provoca?
Provoca nuovi massimi storici sull’azionario. Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, invece, si hanno dei segnali contrastanti. I titoli a 10 anni, dal 2009 al 2014, vengono comprati e venduti a diversi intervalli temporali (e questo è chiaro guardando i diversi trend disegnati nei diversi archi temporali), mentre i rendimenti a 2 anni non prendono nessun tipo di trend, andando a lateralizzare.
La musica inizia a cambiare nel 2017:
Dopo anni di massimi storici, i mercati subiscono una nuova ondata di aumenti del costo dei prestiti. Come hanno reagito a tal proposito gli investitori? Vediamolo:
I mercati azionari hanno continuato la loro corsa al rialzo, però notiamo l’inversione del trend dei rendimenti: le obbligazioni iniziano ad essere vendute e ciò si riflette nell’aumento dei rendimenti, specie in quelli a 2 anni, che crescono maggiormente in valor percentuale rispetto ai 10 anni. Questo causa un’inversione della curva dei rendimenti o, più in particolare, uno spread sotto lo zero, come vediamo nel grafico:
La domanda che sorge spontanea ora è: dopo quanto si ha la recessione dal momento che l’inversione della curva dei rendimenti è sempre il preludio di un crollo economico? Si ha con la pandemia di Covid 19:
A questo punto i capitali sono stati spostati sull’obbligazionario come “protezione”. Ritroviamo, dunque, la correlazione diretta tra i rendimenti dell’obbligazionario e azionario.
Come abbiamo già visto prima, è l’intervento della banca centrale a rimettere in piedi l’economia entrata in recessione:
I tassi vengono riabbassati allo 0.25% e, come effetto diretto, l’azionario torna sui massimi storici, correlandosi in maniera diretta con i rendimenti a 10 e 2 anni.
BREVE RIEPILOGO
Studiando la correlazione obbligazionaria-azionaria degli ultimi 20 anni, quali sono i punti salienti da tenere a mente?
• Le obbligazioni sono correlate inversamente al mercato azionario in quanto uno è considerato uno strumento a basso rischio (obbligazioni) mentre l’altro ad alto rischio (azionario).
• I rendimenti delle obbligazioni, dal momento in cui si muovono in maniera inversa alle relative obbligazioni ai quali sono associati, sono correlati direttamente all’azionario.
• Ogni qualvolta si ha un’inversione della curva dei rendimenti, gli investitori spostano subito il denaro sui titoli di stato in quanto essi costituiscono un “porto sicuro” qualora ci fosse l’effettiva recessione che un’inversione della curva ha sempre anticipato.
• I tassi di interesse influiscono sia sul mercato obbligazionario che su quello azionario, andando ad impattare sul sentiment degli operatori.
• Ogni aumento dei tassi di interesse, negli ultimi 20 anni, ha preannunciato un’inversione della curva dei rendimenti che poi si è materializzata in una recessione (come la bolla di internet, quella del mercato immobiliare e successivamente, seppur evento imprevisto, la pandemia di covid 19)
UNO SGUARDO AI GIORNI NOSTRI
Basandomi su ogni concetto espresso in questa analisi e nelle 3 precedenti, è chiaro che ormai i tassi di interesse verranno alzati a marzo:
Il mondo azionario e quello obbligazionario, nel nostro presente, si stanno muovendo esattamente nello stesso modo dei precedenti 20 anni. A marzo arriverà l’aumento dei tassi di interesse. Secondo voi questo porterà, come è già accaduto, ad un’inversione della curva dei rendimenti e ad una successiva recessione contemporaneamente al crollo dei mercati azionari?
Questo per me è probabile. Non so se succederà perché non sono nè mago , tanto meno un indovino; mi piace tuttavia analizzare e capire quelle che possono essere le possibilità in un futuro non troppo lontano. E’ questo il motivo per cui il 9 dicembre 2021, su tradingview, ho condiviso un’analisi dal titolo “l'inversione dei mercati azionari giungerà nel 2022”? La stessa analisi deriva da considerazioni di questo tipo, e questo tipo di analisi intermarket mi permettono di capire in anticipo tantissime situazioni che possono venire a crearsi. E questo, chiaramente, mi permette di essere preparato ad ogni eventualità.
E’ fondamentale studiare i vari asset che compongono il mondo finanziario e la loro correlazione. Riuscendo a capire le meccaniche e la psicologia ad essi associati si può avere un vantaggio enorme.
Grazie, Matteo Farci.
TRADING E ANALISI: LE COPPIE CON L'EURO!!La BCE, con le sue prospettive restrittive, ha dato particolare linfa all'Euro a partire da giovedì scorso. Andiamo a vedere in questo video la situazione delle principali coppie con l'euro e quelli che possono essere i migliori spunti operativi in base ai movimenti che vedremo tra domani e dopodomani, sempre in un'ottica di Price Action e grafici giornalieri, in modo da favorire un' operatività molto più tranquilla ma non meno profittevole!
Buona settimana di trading.
Maurizio