Marco_Bernasconi

ACCORDO USA/CINA...QUALCOSA NON QUADRA šŸ˜Ÿ

Long
SP:SPX   Indice S&P 500
Un trade deal ā€œsulla cartaā€. Ora servono i fatti.

Dopo tre anni di negoziati, tariffe applicate e misure di retaliation, nella giornata di ieri i leader Americani e Cinesi hanno firmato il c.d. trade deal segnando la fine della fase uno dei negoziati.
Tale fase prevede una serie di impegni reciproci. Lā€™America si impegna a ridurre del 50% le tariffe del 15% applicate su 120 miliardi di USD di beni importati. La Cina si impegna a non manipolare la propria currency, ad adottare misure piuā€™ restrittive per la salvaguardia della proprietaā€™ intellettuale americana in Cina e ad acquistare fino a 200 miliardi di USD di beni dallā€™America. Tra questi, circa 95 miliardi sono commodities, in particolare prodotti agricoli e prodotti energetici.
Gli acquisti di prodotti agricoli dovrebbero raggiungere quota 42 miliardi di USD. Essi comprendono semi di soia, carne, cereali, etanolo e cotone. Oltre a questo, la Cina si eā€™ impegnata anche ad acquistare Natural Gas, petrolio e carbone per un totale di 52.4 miliardi di USD nei prossimi due anni.


Trattasi di somme importanti che difficilmente potranno essere rispettate se le tariffe sulle importazioni rimarranno in piedi. Negli ultimi mesi la Cina aveva giaā€™ trovato una soluzione per aggirare i dazi: si era approvvigionata presso altri fornitori quali Russia, Qatar, Australia. Stesso approccio eā€™ stato seguito per i prodotti agricoli, acquistati principalmente dal Brasile.
La domanda che dobbiamo porci questa mattina eā€™ quale sia la convenienza economica per tali importatori di cambiare nuovamente fornitore e passare allā€™America sapendo che i costi delle consegne sono vistosamente maggiorati dal carico delle tariffe?

Verrebbe da rispondere: ā€œdevono farlo percheā€™ la Cina ha siglato lā€™accordoā€.
Non eā€™ proprio cosi. Lā€™accordo non prevede una scaletta degli acquisti, neā€™ la quantitaā€™ di ciascun prodotto che deve essere acquistata. Essa si limita ad indicare le somme ā€œda comprareā€ per ogni macro-categoria.
A poche ore di distanza dalla firma dellā€™accordo la Cina ha precisato che gli acquisti di prodotti americani ā€œdipenderanno dalla domandaā€.
Se eā€™ la domanda che guideraā€™ gli acquisti e non un vero e proprio commitment quantitativo con relative verifiche, diventa difficile poter confidare nel rispetto degli accordi.

Ed eā€™ proprio questa assenza di certezza che scontano i mercati delle commodities questa mattina. Il bloomberg commodity index eā€™ in flessione dello 0.4% con soia, cotone e granturco ancora in discesa. Qualcosa non quadra.

Non quadra nemmeno la reazione del Treasury. Il suo rendimento ha chiuso a 1.782 la giornata di ieri, in ribasso rispetto a 1.85 del giorno precedente. In un contesto di risk-on legato ad una lettura positiva della sigla dellā€™accordo, atto premonitore di un processo di recupero economico, la reazione del mercato eā€™ stata quella di comprare beni rifugio.

Si potrebbe obiettare che gli indici USA hanno raggiunto nuovi massimi nella seduta di ieri. Vero. Ma se osserviamo i dettagli dei settori che hanno trainato al rialzo lo S&P500, emerge chiaramente lā€™approccio particolarmente difensivo degli operatori.
I settori maggiormente acquistati sono quelli Un trade deal ā€œsulla cartaā€. Ora servono i fatti.

Dopo tre anni di negoziati, tariffe applicate e misure di retaliation, nella giornata di ieri i leader Americani e Cinesi hanno firmato il c.d. trade deal segnando la fine della fase uno dei negoziati.
Tale fase prevede una serie di impegni reciproci. Lā€™America si impegna a ridurre del 50% le tariffe del 15% applicate su 120 miliardi di USD di beni importati. La Cina si impegna a non manipolare la propria currency, ad adottare misure piuā€™ restrittive per la salvaguardia della proprietaā€™ intellettuale americana in Cina e ad acquistare fino a 200 miliardi di USD di beni dallā€™America. Tra questi, circa 95 miliardi sono commodities, in particolare prodotti agricoli e prodotti energetici.
Gli acquisti di prodotti agricoli dovrebbero raggiungere quota 42 miliardi di USD. Essi comprendono semi di soia, carne, cereali, etanolo e cotone. Oltre a questo, la Cina si eā€™ impegnata anche ad acquistare Natural Gas, petrolio e carbone per un totale di 52.4 miliardi di USD nei prossimi due anni.


Trattasi di somme importanti che difficilmente potranno essere rispettate se le tariffe sulle importazioni rimarranno in piedi. Negli ultimi mesi la Cina aveva giaā€™ trovato una soluzione per aggirare i dazi: si era approvvigionata presso altri fornitori quali Russia, Qatar, Australia. Stesso approccio eā€™ stato seguito per i prodotti agricoli, acquistati principalmente dal Brasile.
La domanda che dobbiamo porci questa mattina eā€™ quale sia la convenienza economica per tali importatori di cambiare nuovamente fornitore e passare allā€™America sapendo che i costi delle consegne sono vistosamente maggiorati dal carico delle tariffe?

Verrebbe da rispondere: ā€œdevono farlo percheā€™ la Cina ha siglato lā€™accordoā€.
Non eā€™ proprio cosi. Lā€™accordo non prevede una scaletta degli acquisti, neā€™ la quantitaā€™ di ciascun prodotto che deve essere acquistata. Essa si limita ad indicare le somme ā€œda comprareā€ per ogni macro-categoria.
A poche ore di distanza dalla firma dellā€™accordo la Cina ha precisato che gli acquisti di prodotti americani ā€œdipenderanno dalla domandaā€.
Se eā€™ la domanda che guideraā€™ gli acquisti e non un vero e proprio commitment quantitativo con relative verifiche, diventa difficile poter confidare nel rispetto degli accordi.

Ed eā€™ proprio questa assenza di certezza che scontano i mercati delle commodities questa mattina. Il bloomberg commodity index eā€™ in flessione dello 0.4% con soia, cotone e granturco ancora in discesa. Qualcosa non quadra.

Non quadra nemmeno la reazione del Treasury. Il suo rendimento ha chiuso a 1.782 la giornata di ieri, in ribasso rispetto a 1.85 del giorno precedente. In un contesto di risk-on legato ad una lettura positiva della sigla dellā€™accordo, atto premonitore di un processo di recupero economico, la reazione del mercato eā€™ stata quella di comprare beni rifugio.

Si potrebbe obiettare che gli indici USA hanno raggiunto nuovi massimi nella seduta di ieri. Vero. Ma se osserviamo i dettagli dei settori che hanno trainato al rialzo lo S&P500, emerge chiaramente lā€™approccio particolarmente difensivo degli operatori.
I settori maggiormente acquistati sono i settori meno ciclici del listino.
Al contrario, i settori ciclici sono stati oggetto di prese di profitto: energy, financials, consumer discretionary hanno chiuso in rosso. Il settore tech ha chiuso flat.

Eā€™ possibile affermare che la reazione del mercato alla sigla dellā€™accordo eā€™ stata piuttosto ā€œpacataā€ piuā€™ simile ad un sell on the news che ad un buy on the news.
Possibile che nei prossimi giorni il focus degli operatori si sposti progressivamente sui temi macro e micro. Lā€™andamento delle trimestrali e la revisione degli utili sul prossimo trimestre saranno dei temi molto caldi. Contemporaneamente i dati macro torneranno ad essere i driver dei mercati. Attese per questa settimana le trimestrali di Morgan Stanley e Bank of NewYork, il PIL Cinese e lā€™inflazione in Europa.

Wellcome back to the real world. sono i settori meno ciclici del listino.

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