Andamento curva dei rendimenti Titoli di Stato e comparativaAndamento della curva dei rendimenti dato dal differenziale tra i 10Y ed i 2Y, con comparativa tra Paesi UE e Stati Uniti.
Chiariamo che le spettative di un rialzo dei tassi sono associati ad un andamento crescente della curva.
Pertanto una curva ascendete, indica che i rendimenti sono più elevati per le obbligazioni con scadenza più lunga. Per cui i rendimenti più elevati sulle obbligazioni con scadenze più lunghe sono richiesti per compensare l'inflazione e i futuri aumenti dei tassi.
Rimando ad un'analisi fatta a Febbraio'21 per maggiori approfondimenti sulle dinamiche teoriche.
In questa fase possiamo vedere che l e curve dei rendimenti in Europa hanno iniziato ad invertirsi nel Estate'22. Può sembrare strano ma i mercati hanno iniziato a valutare con anticipo, una contrazione dell'inflazione, in un contesto in cui le Banche Centrali, in particolare la BCE stavano alzando i tassi di interesse.
Ad inizio di questo 2023, abbiamo avuto una leggera ripresa della curva, sia in UE che in USA, ma a Marzo ha ripreso a scendere.
Ciò vuol dire che i rendimenti delle scadenze dei Titoli di Stato a lunga scadenza hanno iniziato a scendere a fronte di una loro crescita nominale. Nel mentre le scadenze brevi hanno iniziato a rende maggiormente, per una loro minor crescita.
Nell'immagine allegata, vediamo come da inizio anno , i rendimenti dei 10Y ITA siano scesi, mentre quelli del 2Y siano saliti.
Curvadeirendimenti
LA MIA VISIONE RIBASSISTA DEI MERCATI AZIONARI AMERICANI Salve lettori.
Mirko, uno dei primi ad aver sostenuto il mio lavoro all’interno del blog, mi ha contattato qualche giorno fa ponendomi una domanda riguardante il mercato azionario americano, nutrendo alcuni dubbi riguardo i suoi ritracciamenti, ma soprattutto sulle possibili risalite.
Ho deciso dunque di scrivere due analisi in maniera tale da fornirgli spunti di riflessione, e come a lui spero anche a voi; in questa che leggerete oggi spiegherò la mia visione ribassista basandomi sullo studio della curva dei rendimenti e sull’analisi del ciclo economico in cui ci troviamo, mentre in quella che pubblicherò tra qualche giorno andrò ad utilizzare determinati indici di forza che vado a creare per capire quale sia il sentiment del mercato.
Buona lettura.
ANALISI DEL CICLO ECONOMICO
Il 9 dicembre, all’interno di tradingview, pubblicavo un’analisi dal titolo “L’inversione dei mercati azionari giungerà nel 2022”?
All’interno di essa avevo argomentato temi inerenti ai diversi cicli economici e il loro susseguirsi, sottolineando come nel biennio 2020-2021 avessimo assistito ad un susseguirsi molto rapido di tre diversi cicli: una fase di recessione, una di ripresa e la successiva espansione. Ipotizzavo infine che la probabilità che arrivassimo ad un rallentamento economico fosse alta, non basandomi soltanto sullo studio dei diversi scenari economico finanziari, bensì concentrandomi anche su un tema che io reputo abbastanza importante: lo studio della curva dei rendimenti dei titoli di Stato del tesoro americano.
LA CURVA DEI RENDIMENTI E LE SUE VARIE INCLINAZIONI
Riprendendo questo tema, essa può avere tre forme caratteristiche diverse:
• Inclinata positivamente o “steepening”, quando il rendimento di ciascuna obbligazione aumenta all’aumentare delle relative scadenze
• Piatta o “flattening”, quando i rendimenti tra le diverse obbligazioni a diversa scadenza sono tutti simili (o uguali) tra loro
• Invertita, quando le obbligazioni con scadenze più brevi presentano rendimenti più alti rispetto a quelle con scadenze più lunghe
Possiamo riassumere brevemente con la grafica:
CURVA DEI RENDIMENTI INCLINATA POSITIVAMENTE
Una curva dei rendimenti “inclinata positivamente” si forma quando il mercato ha aspettative di crescita economica; viene considerata la “curva normale” in quanto è quella in cui i rendimenti aumentano all’aumentare delle scadenze stesse (per il rapporto RISCHIO = RENDIMENTO di cui parlo sempre, acquistare obbligazioni a lunga scadenza espone un investitore ad un rischio più alto, che quindi vorrà essere più remunerato dal punto di vista economico).
Il fatto che la curva assuma questo tipo di inclinazione in periodo di crescita economica è dettata dal fatto che gli investitori tendano ad acquistare più titoli di stato a breve scadenza (in quanto sanno che appunto, nel breve, le prospettive economiche saranno positive) che a lunga scadenza (in quanto per loro è più difficile prevedere gli scenari economici futuri).
Arriva successivamente un punto in cui le aspettative di inflazione iniziano ad aumentare: durante una crescita economica aumentano i consumi e la domanda, che sono alcuni dei diversi fattori per i quali l’indice dei prezzi al consumo cresce; lo stesso dato macroeconomico erode il potere di acquisto e i guadagni futuri, motivo per il quale gli investitori tendono a scaricare più obbligazioni a lunga durata (facendo gonfiare i rendimenti) in quanto il rendimento percepito sarebbe poi eroso dal consumer price index stesso. Per dire: che senso avrebbe per loro acquistare un’obbligazione a 10 anni con rendimento al 3% se le prospettive di inflazione a 10 anni si attestassero al 4%? Non avrebbe senso. Per tutti questi motivi, preferiscono più le obbligazioni a breve termine che a lungo termine; è così che tale preferenza va a far “impennare” ancora di più la curva sulle lunghe scadenze.
Per cui, ricapitolando, possiamo avere due curve inclinate positivamente:
• Una in cui le aspettative di inflazione alte non si sono ancora palesate
• Una in cui le stesse aspettative iniziano a creare problemi tra gli operatori a mercato
Esse sono rappresentate nella grafica che segue:
Importante considerare anche il fatto che ad una crescita economica appartiene un risk on del mercato azionario, clima in cui l’obbligazionario non performa bene (per la loro correlazione inversa).
CURVA DEI RENDIMENTI PIATTA
Una curva dei rendimenti piatta si forma tipicamente in fasi economiche di rallentamento o di transizione; si palesa tipicamente in prossimità della fine di una crescita economia. Per quale motivo? Vi spiegherò il tutto con due grafiche:
Nell’appiattimento della fase 1, i rendimenti sulle brevi scadenze vanno a gonfiarsi per due motivi:
1. Deterioramento dei dati macroeconomici
2. Alta inflazione
Gli investitori vanno così a posizionarsi sulle scadenze più lunghe, scontando dati macroeconomici futuri migliori e un’inflazione più bassa (che non eroderebbe il valore delle cedole).
Nell’appiattimento della fase 2, l’intervento delle banche centrali va ad influenzare la parte breve della curva attraverso l’innalzamento dei tassi di interesse, gonfiando ancora di più i rendimenti; il verificarsi di ciò è anche causato da un pessimismo sulle prospettive economiche a breve termine: gli operatori preferiscono così posizionarsi sulle lunghe scadenze.
Per il rapporto RISCHIO = RENDIMENTO, possiamo affermare ciò: sia che ci si posizioni su obbligazioni a breve che a lunga durata, il rischio è lo stesso; ciò non è strano? Assolutamente si, e ciò rappresenta l’incertezza degli operatori.
La curva piatta si osserva tipicamente in periodi di transizione tra una curva normale, inclinata positivamente, ed una curva invertita.
CURVA DEI RENDIMENTI INVERTITA
Si viene a creare quando le scadenze brevi hanno un rendimento più alto rispetto alle scadenze lunghe. Si palesa tipicamente dai 10 a 17 mesi prima di una recessione.
Il rapporto RISCHIO = RENDIMENTO ci aiuta a capire il senso di questa curva e il motivo per il quale essa si forma prima di una recessione: notiamo come sia più rischioso investire sul breve termine (a 6 mesi o 1,2,3 anni) che sul lungo termine (10,20 o 30 anni). Perché?
Gli investitori vendono quantità massicce di titoli di stato sul breve in quanto si aspettano in un arco di tempo relativamente breve pessime condizioni economiche, riconducibili a una possibile/probabile recessione; proprio per questo si aspettano un interesse più alto qualora investissero nello stesso arco temporale.
Ricordate: maggiore è il rischio al quale ci si espone, maggiore sarà l’interesse richiesto.
Per quanto riguarda le scadenze lunghe, ritroviamo dei rendimenti inferiori in quanto il rischio a cui ci si espone viene considerato più basso; è chiaro quindi che questa curva non rappresenta buone prospettive economiche.
UNO SGUARDO AI GIORNI NOSTRI
Ho reperito sul sito di Investing.com la curva dei rendimenti appartenente ad oggi, ad un mese fa e ad un anno fa:
Ora le commenterò.
• In color celeste ritroviamo la curva di un anno fa. Essa possiamo definirla come inclinata positivamente. Come ho spiegato nel paragrafo precedente, essa si forma quando ci sono aspettative di crescita economica; non è un caso che in Q2 2021 gli Stati Uniti si trovassero in uno scenario economico di prosperità. Da notare anche il fatto che il rendimento del decennale non superasse i 2 punti percentuali. Ciò significa che le aspettative di inflazione di un anno fa non si dimostravano alte come ora. Questo può essere dimostrabile condividendo il grafico sui tassi di inflazione a breakeven a 10 e 5 anni, che danno una misura sulle aspettative di inflazione a 10 e, appunto, a 5 anni:
• Ritroviamo ancora la curva di color rosso (calcolata un mese fa) e blu (calcolata ad oggi). Le differenze tra quest’ultime due rispetto a quella calcolata un anno fa sono lampanti: l’intervento della Federal Reserve con il rialzo dei tassi di interesse ha innanzitutto influenzato le scadenze tra i 6 mesi e i 3 anni che, ad oggi e ad un mese fa, rendono quasi il triplo rispetto a maggio 2021; nelle due curve più recenti troviamo oltretutto un appiattimento tra le scadenze a 2 anni e quelle a 10; non è un caso dal momento che ora i dati macroeconomici sono in rallentamento, al contrario di un anno fa. Come ho già specificato, l’appiattimento della curva si verifica in periodi di rallentamenti economici!
Da non trascurare un’ulteriore considerazione: il titolo di stato a 20 anni ha un rendimento maggiore rispetto a quello a 30 anni; per il rapporto RISCHIO = RENDIMENTO significa che gli investitori reputano più “pericoloso” prestare dei soldi al governo americano per 20 anni che non per 30; ciò non vi appare piuttosto strano? Questo fatto non rappresenta una condizione economica stabile, dal momento che le scadenze lunghe della curva rispondono a dinamiche inflazionistiche e alle leggi di domanda e offerta!
• Da ricordare anche che la curva, il primo aprile, ha invertito: questo è dimostrato tra lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato americani a 10 e 2 anni:
Questo significa che per qualche giorno gli investitori hanno reputato più rischioso investire nel breve termine (a 2 anni) rispetto al lungo (a 10 anni); questo è il motivo per il quale l’inversione della curva ha sempre anticipato una recessione.
IL CICLO ECONOMICO E’ CAMBIATO
Il recente “crollo” dei mercati finanziari non è stato solo dettato dal mondo obbligazionario e dalle molteplici informazioni che esso fornisce, ma anche da un ulteriore aspetto: il ciclo economico è cambiato.
Esso può essere diviso in 6 fasi, e in ognuna di esse le diverse asset classes registrano performance diverse.
Per essere più chiaro fornirò una grafica reperita su Google Image:
Osservandola, posso affermare il fatto che, da marzo 2020, abbiamo vissuto le fasi 1,2,3,4 e 5.
• FASE 1
La Fase 1 è quel particolare ciclo economico nel quale un Paese entra in recessione; le performance delle maggiori asset classes sono:
1. Mercato azionario: ribassista
2. Materie prime: ribassiste
3. Obbligazioni: rialzista
I motivi di tali performance sono i seguenti:
1. I mercati entrano in clima di risk off: si registra una fuga di capitali dagli asset considerati rischiosi, come appunto le azioni, e vanno ad apprezzarsi i cosidetti “safe assets”, ossia i beni rifugio
2. La domanda dei consumatori e delle industrie verso le materie prime diminuisce. Esse quindi, essendo dipendenti dalle leggi di domanda e offerta, registrano delle performance negative
3. Le obbligazioni sono viste come un bene rifugio e vengono acquistate
Come potete osservare nella grafica, come “obbligazionario” ho utilizzato il titolo di stato a 10 anni, essendo esso anche un bene rifugio, come indice di materie prime il “bloomberg commodity index” e come indice azionario l’S&P500.
• FASE 2
La fase 2 è quel particolare ciclo economico in cui la recessione tocca il suo minimo; da questo punto in poi, come vedremo tra poco, si avrà la successiva ripresa.
Le performance delle asset classes sono:
1. Mercato obbligazionario: rialzista
2. Mercato azionario: rialzista
3. Mercato delle materie prime: ribassista
I motivi di tali performance sono i seguenti:
1. Il mercato obbligazionario continua il suo trend rialzista in quanto il clima di risk-off non è scomparso
2. Il mercato azionario inverte la sua tendenza in quanto gli investitori iniziano a scontare dati macroeconomici migliori (ricordate: il mercato anticipa sempre tutto)
3. Il mercato delle materie prime non cambia ancora il suo trend in quanto la domanda ed esse legata rimane ancora a livelli bassissimi, soprattutto da parte del settore industriale
• FASE 3
La fase 3 è quel particolare ciclo economico di ripresa; essa, dopo aver toccato il “bottom” della recessione, riparte.
Le performance delle asset classes sono:
1. Mercato obbligazionario: rialzista
2. Mercato azionario: rialzista
3. Mercato delle materie prime: rialzista
I motivi di tali performance sono i seguenti:
1. Il mercato obbligazionario continua il suo trend rialzista in quanto le prospettive di inflazione, che non si sono ancora palesate in maniera forte, non erodono le cedole; è quindi ancora conveniente detenerle (riferendomi, in particolare, sul decennale)
2. L’azionario sale, spinto dall’ottimismo degli investitori tipico del clima risk-on
3. In ripresa economica la domanda di materie prime riprende da parte di industrie, privati e individui: per la legge della domanda e dell’offerta, esse incrementano il loro valore
La Fase 3 è l’unica parte del ciclo economico in cui tutti e 3 le asset classes si trovano in trend rialzista.
• FASE 4
Arriviamo al ciclo di espansione economica.
Le performance delle asset classes sono:
1. Mercato obbligazionario: ribassista
2. Mercato azionario: rialzista
3. Mercato delle materie prime: rialzista
I motivi di tali performance sono:
1. Il mercato obbligazionario, in particolare il decennale americano, diventa poco attraente dal momento che l’inflazione inizia ad essere di ostacolo, in quanto eroderebbe le cedole. Come ho spiegato all’inizio dell’analisi, quando le aspettative di inflazione aumentano, la curva dei rendimenti registra un’ulteriore cambio di pendenza positivo, che, tradotto, significa maggior vendita di obbligazioni alla stessa scadenza
2. Il mercato azionario mantiene la rotta rialzista in quanto lo scenario risk on non è cambiato
3. Stesso discorso per le materie prime: la domanda continua ad essere robusta, motivo per il quale il trend rimane costantemente rialzista
• FASE 5
Il ciclo economico ha raggiunto la sua massima espansione ed ora inizia a rallentare.
Le performance che in questo ciclo economico caratterizzano le asset classes sono:
1. Mercato obbligazionario: ribassista
2. Mercato azionario: ribassista
3. Materie prime: rialzista
I motivi di tale performance sono:
1. Il decennale americano si mantiene ribassista in quanto l’inflazione è diventata tanto alta da essere poco attraente da tenere nei portafogli
2. Il mercato azionario inverte la tendenza in quanto si inizia a respirare un clima di risk off dovuto all’intervento della Federal Reserve che da “accomodante” diventa “aggressiva” con il rialzo dei tassi di interesse. Tutti i settori che avevano spinto al rialzo l’azionario nei cicli precedenti iniziano ad essere ribassisti, mentre vengono preferiti quelli definiti “difensivi”
3. La domanda al quale le materie prime sono correlate positivamente persiste; questo è il motivo per il quale esse mantengono la tendenza rialzista
CONCLUSIONI SU CURVA DEI RENDIMENTI E CICLI ECONOMICI E POSSIBILE IMPATTO DELL’AUMENTO DEI TASSI DI INTERESSE SULL’ECONOMIA AMERICANA
L’analisi che vi ho fornito mette alla luce un fatto ineccepibile: l’economia si trova in una fase di rallentamento. Il primo campanello d’allarme è giunto dapprima con l’appiattimento (Q4 2021) e successiva inversione (Q2 2022) della curva della curva dei rendimenti. E’ in quel momento che ho iniziato ad essere più cauto nel fare determinati investimenti, specie nel mercato azionario; il motivo è uno ed uno solo: in determinati scenari, esso non tende a performare bene.
La conferma schiacciante l’abbiamo avuta dal cambio di ciclo economico che vi ho mostrato. Ci troviamo ora nella fase 5 nella quale, come da manuale, il mercato azionario tende a performare male.
Questo è il motivo per il quale la mia visione è ribassista.
La possibilità che possa esserci una recessione è reale, per 5 motivi:
• L’appiattimento della curva dei rendimenti che stiamo osservando si forma tipicamente dopo una curva inclinata positivamente e prima di una invertita
• L’inversione della stessa l’abbiamo osservata ad aprile
• Siamo ora alla fase 5 del ciclo economico, avvicinandoci sempre più alla recessione
• I dati macroeconomici si stanno deteriorando
• Il rialzo dei tassi di interesse ha sempre portato l’economica in recessione
Riferendomi all’ultimo punto, vi rilascio una grafica:
Essa mostra il legame esistente tra ogni ciclo di rialzo dei tassi di interesse e la successiva recessione; osservate: ogni aumento di essi è sempre stato anticipatore.
Per il 2022 è previsto un aumento per così dire “aggressivo” di essi: anche stavolta il passato si ripeterà?
Spero l’analisi sia stata di vostro interesse, a breve pubblicherò la seconda parte.
Buona giornata, Matteo Farci
CORRELAZIONE TRA MERCATO AZIONARIO E MERCATO OBBLIGAZIONARIOBuongiorno ragazzi, questa è la quarta analisi del mio blog incentrata sul mondo obbligazionario. La prossima settimana, rispettando le linee guida di tradingview, vi fornirò il link per l'accesso.
Dopo aver ricercato le correlazioni che il mercato obbligazionario presenta nei confronti del dollaro americano, oggi tratterò un altro tipo di correlazione: quella con il mercato azionario.
Per chi non l’avesse fatto consiglio caldamente lo studio delle precedenti tre analisi in maniera tale da avere una visione chiara e coincisa dell’argomento perché da questa analisi in poi gli argomenti andranno via via ad intrecciarsi.
Correlerò i due asset a partire dal 2000, in maniera da studiare la correlazione avuta negli ultimi 20 anni.
Iniziamo!
INTRODUZIONE: CLIMA DI RISK-OFF E RISK-ON
Una situazione di “risk off” altro non è che quel particolare scenario caratterizzato dalla presenza di tensioni che possono avere diverso carattere, da quello geopolitico (come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina), politico (la scelta di un nuovo presidente degli Stati Uniti, ad esempio, può impattare sul sentiment degli investitori), economico o finanziario (come ad esempio le manovre di politica monetaria e la scelta dei tassi di interesse). In questa particolare condizione gli investitori spostano la loro liquidità in asset considerati a basso rischio, i cosiddetti “beni rifugio”, come oro, obbligazioni di paesi solidi economicamente e con un alto rating, dollaro USA, Franco Svizzero e Yen giapponese.
Una situazione di “risk on” è invece quella situazione in cui c’è appetito al rischio, dove gli investitori, spinti dall’ottimismo e dalla positività del momento, vanno alla ricerca di asset che offrano degli alti rendimenti. Uno di questo è il mercato azionario, il mondo delle materie prime e tutte quelle valute legate a quest’ultime (come, ad esempio, il dollaro canadese, legato in maniera forte al prezzo del petrolio).
LA CORRELAZIONE NEGLI ULTIMI 20 ANNI
Vediamo nella grafica come a marzo 2000 l’S&P500 raggiunga i massimi storici. Il top raggiunto dal mercato azionario coincide anche con dei top di periodo segnati dal rendimento del decennale americano e dal rendimento del 2 anni. Sembrerebbe quindi un tipico clima di risk-on: gli investitori, infatti, si posizionano sul mercato azionario (che, come dico sempre, è caratterizzato da alto rendimento associato però ad un altrettanto rischio alto) vendendo obbligazioni (e ciò è testimoniato dal rialzo del rendimento associato visto il rapporto inverso obbligazione/rendimento) in quanto considerate, per il clima di mercato, a rendimento troppo basso e quindi poco convenienti. Basta uno spread a capovolgere il tutto: quello tra i rendimenti a 10 anni e 2 anni: nello stesso periodo, esso scende al di sotto dello 0%, lanciando quindi il segnale di possibile recessione. Che accade quindi?
Accade che qualche tempo dopo, a circa 5 mesi di distanza, esplode la bolla di internet e l’S&P500 va a perdere oltre il 50% del suo valore. A quel punto gli investitori iniziano a comprare obbligazioni, considerandole quindi dei “beni rifugio” e la diretta conseguenza di ciò è il crollo dei rendimenti, che si correlano quindi positivamente all’azionario.
Come vediamo dalla grafica che segue, come interviene la Fed per andare a combattere la recessione? Abbassa il livello dei tassi di interesse, portandoli dal 6.5% all’1%:
Qual è lo scopo di un ribasso dei tassi di interesse? Permettere ai privati e alle aziende un più facile accesso al credito. Spiegato in termini ancora più semplici, vedetela così: una recessione colpisce qualsiasi settore all’interno di un’economia. Per permettere la ripartenza di ognuno di loro, si devono creare una serie di incentivi. Una banca centrale, così, attua le sue mosse di politica monetaria, andando in questo caso ad abbassare gli interessi sui prestiti. Le aziende e i privati, così, sono incentivati a richiederli dal momento che gli interessi poi riconosciuti alla banca saranno molto bassi (in questo caso, come ho detto, dell’1%). Questo causa una forte positività tra gli operatori, i commercianti, gli imprenditori e in generale nei cittadini, andando a riflettersi su dati macroeconomici di rilevante importanza: uno tra questi è sicuramente la fiducia dei consumatori:
Come potete osservare nella grafica soprastante in cui vi ho condiviso con la linea blu il sentiment dell’università del Michigan e in arancio i tassi di interesse sui prestiti, un aumento o un ribasso di questi ultimi ha poi sempre influito sul sentiment dei consumatori (anche se allo stesso dato impattano altri dati macroeconomici che riprenderò in un’altra analisi). In particolare, a un rialzo dei tassi segue un sentiment pessimista, mentre al ribasso uno ottimista.
Dopo questo breve sunto, torniamo a noi. Il ribasso dei tassi di interesse arrivati all’1% nel 2003 ha quindi ricostruito per i motivi spiegati un clima di risk-on, dove l’azionario tende chiaramente a performare bene. Qual è stata quindi la diretta conseguenza?
Che gli operatori hanno comprato azioni e venduto obbligazioni, spingendo al rialzo i relativi rendimenti.
Spostiamoci più avanti nel tempo:
Il clima di risk on continua e, dal 2003 al 2006, gli investitori continuano a concentrarsi sull’azionario lasciando da parte l’obbligazionario. A questo punto però cosa accade? Lo spread si muove nuovamente sotto lo 0%. Ciò è causato da un aumento dei tassi di interesse che passano dall’1% al 4.5%:
Dico questo perché le scelte di politica monetaria impattano più sui rendimenti a 2 anni che su quelli a 10 anni e quindi, dal momento in cui si parla di spread (differenza), crescendo più i 2 anni rispetto ai 10 anni, ed essendo il 2 anni il sottraendo mentre i 10 anni il minuendo della differenza, lo spread tende poi a muoversi in territorio negativo. Cosa prelude, come ho detto svariate volte, uno spread negativo? Una recessione. Ed è così che si arriva alla crisi immobiliare:
Da fine 2007 a metà 2009 gli investitori acquistano obbligazioni e vendono azioni, andando a disegnare così i trend che vedete nella grafica, tipici di periodi di risk-off.
Successivamente i tassi di interesse vengono abbassati allo 0.25% per favorire una ripresa economica. Questo cosa provoca?
Provoca nuovi massimi storici sull’azionario. Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, invece, si hanno dei segnali contrastanti. I titoli a 10 anni, dal 2009 al 2014, vengono comprati e venduti a diversi intervalli temporali (e questo è chiaro guardando i diversi trend disegnati nei diversi archi temporali), mentre i rendimenti a 2 anni non prendono nessun tipo di trend, andando a lateralizzare.
La musica inizia a cambiare nel 2017:
Dopo anni di massimi storici, i mercati subiscono una nuova ondata di aumenti del costo dei prestiti. Come hanno reagito a tal proposito gli investitori? Vediamolo:
I mercati azionari hanno continuato la loro corsa al rialzo, però notiamo l’inversione del trend dei rendimenti: le obbligazioni iniziano ad essere vendute e ciò si riflette nell’aumento dei rendimenti, specie in quelli a 2 anni, che crescono maggiormente in valor percentuale rispetto ai 10 anni. Questo causa un’inversione della curva dei rendimenti o, più in particolare, uno spread sotto lo zero, come vediamo nel grafico:
La domanda che sorge spontanea ora è: dopo quanto si ha la recessione dal momento che l’inversione della curva dei rendimenti è sempre il preludio di un crollo economico? Si ha con la pandemia di Covid 19:
A questo punto i capitali sono stati spostati sull’obbligazionario come “protezione”. Ritroviamo, dunque, la correlazione diretta tra i rendimenti dell’obbligazionario e azionario.
Come abbiamo già visto prima, è l’intervento della banca centrale a rimettere in piedi l’economia entrata in recessione:
I tassi vengono riabbassati allo 0.25% e, come effetto diretto, l’azionario torna sui massimi storici, correlandosi in maniera diretta con i rendimenti a 10 e 2 anni.
BREVE RIEPILOGO
Studiando la correlazione obbligazionaria-azionaria degli ultimi 20 anni, quali sono i punti salienti da tenere a mente?
• Le obbligazioni sono correlate inversamente al mercato azionario in quanto uno è considerato uno strumento a basso rischio (obbligazioni) mentre l’altro ad alto rischio (azionario).
• I rendimenti delle obbligazioni, dal momento in cui si muovono in maniera inversa alle relative obbligazioni ai quali sono associati, sono correlati direttamente all’azionario.
• Ogni qualvolta si ha un’inversione della curva dei rendimenti, gli investitori spostano subito il denaro sui titoli di stato in quanto essi costituiscono un “porto sicuro” qualora ci fosse l’effettiva recessione che un’inversione della curva ha sempre anticipato.
• I tassi di interesse influiscono sia sul mercato obbligazionario che su quello azionario, andando ad impattare sul sentiment degli operatori.
• Ogni aumento dei tassi di interesse, negli ultimi 20 anni, ha preannunciato un’inversione della curva dei rendimenti che poi si è materializzata in una recessione (come la bolla di internet, quella del mercato immobiliare e successivamente, seppur evento imprevisto, la pandemia di covid 19)
UNO SGUARDO AI GIORNI NOSTRI
Basandomi su ogni concetto espresso in questa analisi e nelle 3 precedenti, è chiaro che ormai i tassi di interesse verranno alzati a marzo:
Il mondo azionario e quello obbligazionario, nel nostro presente, si stanno muovendo esattamente nello stesso modo dei precedenti 20 anni. A marzo arriverà l’aumento dei tassi di interesse. Secondo voi questo porterà, come è già accaduto, ad un’inversione della curva dei rendimenti e ad una successiva recessione contemporaneamente al crollo dei mercati azionari?
Questo per me è probabile. Non so se succederà perché non sono nè mago , tanto meno un indovino; mi piace tuttavia analizzare e capire quelle che possono essere le possibilità in un futuro non troppo lontano. E’ questo il motivo per cui il 9 dicembre 2021, su tradingview, ho condiviso un’analisi dal titolo “l'inversione dei mercati azionari giungerà nel 2022”? La stessa analisi deriva da considerazioni di questo tipo, e questo tipo di analisi intermarket mi permettono di capire in anticipo tantissime situazioni che possono venire a crearsi. E questo, chiaramente, mi permette di essere preparato ad ogni eventualità.
E’ fondamentale studiare i vari asset che compongono il mondo finanziario e la loro correlazione. Riuscendo a capire le meccaniche e la psicologia ad essi associati si può avere un vantaggio enorme.
Grazie, Matteo Farci.
MOVE INDEX: L'INDICE CHE FORNISCE TANTI SEGNALI CONCRETIMOVE INDEX: L’INDICE DELLA PAURA DEL MERCATO OBBLIGAZIONARIO
Ciao lettori, questa analisi da me scritta è la seconda parte riguardante il mercato obbligazionario. All'inizio della prossima settimana, rispettando le linee guida imposte da tradingview, vi fornirò il link. Alcuni utenti di tradingview si sono già iscritti e per questo gli ringrazio.
Detto ciò, nella prima analisi sul mercato obbligazionario (che trovate solo nel mio blog) ho analizzato in linea generale cosa sono le obbligazioni, in particolare i titoli di stato americani. Ho collegato ciò alla curva dei rendimenti, facendo diversi esempi reali delle forme che essa può assumere, il tutto correlato con l’economia; successivamente ho trattato lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato a 10 e 2 anni, per poi concludere con i TIPS, ossia le obbligazioni indicizzate all’inflazione.
Oggi tratterò un indicatore molto particolare: il MOVE Index.
VOLATILITA’ STORICA E VOLATILITA’ IMPLICITA
Il MOVE index è l’indice di volatilità del mercato obbligazionario. Per chi ancora non lo sapesse, cos’è la volatilità? Non è altro che un indice che misura quanto i rendimenti di un certo asset (in questo caso quindi le obbligazioni) si discostano dal proprio valore medio in un determinato intervallo di tempo; facciamo un esempio: se un particolare asset ha registrato una volatilità del 2% in un dato periodo significa che, nello stesso periodo considerato, il valore dell’asset si è discostato in media del 2% dal suo prezzo medio.
E’ importante definire due tipi di volatilità ai fini di capire cos’è il MOVE:
• Volatilità storica: Essa ci dice quanto un asset, nel passato, si sia discostato dal proprio valore medio. E’ un dato che quindi ci fornisce informazioni di un periodo passato. Le bande di Bollinger o l’ATR sono ad esempio dei strumenti utilizzati da tanti analisti tecnici utili a calcolare la volatilità storica di un asset:
• Volatilità implicita: mentre la storica fornisce informazioni riguardanti il passato, l’implicita invece fornisce una stima della volatilità futura di un determinato sottostante; è quindi da considerare una misura delle aspettative degli operatori circa la variabilità futura dello strumento considerato.
Essa non può essere calcolata tramite strumenti quali ATR o Bande di BollInger, bensì attraverso il prezzo delle opzioni; non rappresenta l’ampiezza delle oscillazioni di prezzo di un dato asset in un determinato periodo, bensì una misura della certezza o dell’ incertezza sul comportamento futuro dello stesso asset.
IL MOVE INDEX
Tornando al MOVE, esso non è altro che un indice che misura la volatilità implicita del mondo obbligazionario.
E’ calcolato seguendo il movimento della volatilità implicita dei rendimenti dei titoli di stato statunitensi (quelli che ho analizzato nel primo articolo) a 2, 5, 10 e 30 anni, con riferimento ai prezzi delle opzioni a 1 mese.
L’indice ha questo aspetto:
Per ricercarlo su tradingview è necessario scrivere nella barra di ricerca la signa “MOVE”.
I valori considerati dagli esperti come valori limiti sono gli 80 e i 120 punti. Gli 80 rappresentano uno stato emotivo di estrema “tranquillità”, mentre il valore di 120 una di “estrema paura”. Al di sopra dei 120 o al di sotto degli 80 abbiamo delle fasi di mercato instabili. In particolare, è quando il MOVE scende al di sotto dei 55 punti che si iniziano a presagire delle fasi finanziarie anomale. Vediamo perché:
Come potete osservare, le svariate volte in cui l’indice è arrivato ai 55 punti o è sceso al di sotto di essi, è stato anticipatore di determinati crolli azionari, causati dai più svariati problemi: nel 2007 è stato anticipatore della crisi immobiliare e nel 2020 della pandemia Covid-19; nel 2015 ha anticipato il crollo del mercato dovuto a un rialzo dei tassi di interesse seguenti ad anni di politica monetaria ultra accomodante; nel 2018, invece, è stato il preludio del crollo causato dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e da una politica monetaria restrittiva. Ma non solo: ha anticipato anche la bolla di internet del 2000 (purtroppo non posso farvi notare ciò a livello grafico in quanto tradingview non ha abbastanza dati storici).
Quindi, il più delle volte che il MOVE ha raggiunto valori appena mostrati, i mercati azionari ne hanno risentito, perdendo poi tanto in valore percentuale (sempre oltre i 15 punti percentuali). Questo cosa ha causato a livello emotivo ai mercati finanziari? Chiaramente tanta paura e incertezza. Dove possiamo riscontrare a livello grafico ciò che ho appena affermato? Sul VIX chiaramente, ossia l’indice di paura dell’S&P500 (il VIX mostra l'aspettativa di volatilità del mercato a 30 giorni ed è costruito utilizzando le volatilità implicite di un'ampia gamma di opzioni su indici S&P 500). Osservate:
Ho evidenziato nel MOVE, con dei quadratini neri, gli stessi valori negli stessi archi temporali considerati precedentemente. Ogni qualvolta esso abbia raggiunto valori di 55 punti (o inferiori), il VIX si è conseguentemente rialzato come naturale conseguenza di paura e incertezza degli investitori, fino ad arrivare successivamente a “sgonfiarsi” non appena il mercato trovava pace e certezze.
L’introduzione del VIX in questo particolare paragrafo mi è utile per spiegarvi essenzialmente due cose fondamentali:
• Il ruolo delle obbligazioni come bene rifugio
• I picchi del MOVE a 120 punti, oltre di essi o in loro prossimità (ossia in territorio di estrema paura)
Ora sarò più chiaro. Come abbiamo appena visto, la volatilità dell’S&P500 andava subito a salire oltre i 20 punti ogni qualvolta il bechmark stesso andava a crollare. Ciò in termini pratici cosa significa? Che gli investitori toglievano il denaro dal mercato azionario in quanto esso, essendo rischioso, non poteva costituire in determinati periodi un “porto sicuro”; il discorso è che gli investitori non lasciano mai il denaro “fermo”, bensì vanno a riposizionarli in porti considerati in quei particolari momenti più sicuri. Quali sono questi? Uno di è il mercato obbligazionario! Ogni qualvolta l’S&P500 ha avuto i cali conseguenti a livelli di 55 punti del MOVE, gli investitori sono sempre andati a riposizionarsi sulle obbligazioni, andando a comprarle, con il conseguente deprezzamento del rendimento dell’obbligazione associata. Quindi tutti quei picchi del MOVE che osservate a 120 punti, al di sopra di essi o in loro prossimità sono la rappresentazione grafica di uno spostamento di capitali da un mercato ad un altro, ossia da quello azionario a quello obbligazionario (quindi da uno più rischioso ad uno più sicuro).
Osservate questa grafica:
Come obbligazioni ho scelto il decennale americano, in particolare il suo rendimento. Ora focalizzate l’attenzione sugli andamenti dei vari asset all’interno dei diversi rettangoli gialli; vedete come ogni qualvolta il MOVE e il VIX siano sparati al rialzo il rendimento del decennale sia invece sceso? Ciò significa appunto che, per la relazione inversa tra obbligazione e rendimento (che ho spiegato nel precedente articolo), si compravano obbligazioni.
Lo stesso discorso può essere applicato anche utilizzando obbligazioni ad altra scadenza, in particolare quelle a scadenze di 2, 5 e 30 anni.
Spero di essere stato abbastanza chiaro.
Con questo ho terminato la parte teorica riguardando questo particolare indicatore di volatilità. Nel prossimo paragrafo vi svelerò invece alcune particolari correlazioni.
LA CORRELAZIONE TRA MOVE INDEX E LO SPREAD DEI RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO USA A 10 E 2 ANNI
Con il grafico soprastante voglio presentarvi un indicatore che probabilmente molti di voi non conosceranno: l’indice di correlazione. E’ facile da trovare: digitate nella barra di ricerca degli indicatori di tradingview la sigla “CC”, selezionate l’indicatore e successivamente scegliete l’asset che volete correlare con il sottostante preso in considerazione. Come potete constatare voi stessi, questo indicatore oscilla tra 1 e -1: con il numero 1 si fa riferimento ad una correlazione diretta al 100% (ossia entrambi gli asset seguono alla perfezione lo stesso andamento) mentre con -1 si fa riferimento alla situazione opposta, ossia ad una correlazione indiretta al 100% (se un asset sale, l’altro scende con un ugual intensità). Tutti i numeri compresi tra 1 e -1 sono riferiti a correlazioni non perfette.
Osserviamo il grafico: notate come, per la maggior parte del tempo, il MOVE e lo spread si muovano assieme segnando una correlazione diretta. Accade invece poche volte il contrario. Ma quando si verifica quest’ultima condizione, cosa succede all’S&P500? Vediamolo insieme:
Ogni qualvolta l’indice di correlazione entra in territorio negativo, il bechmark S&P ritraccia o crolla. Il fatto più interessante è che questo indice è un ottimo strumento per prevedere possibili ritracciamenti o crolli: se notate, tutte le volte che l’indicatore è entrato in negativo ha sempre anticipato il mercato, ad eccezione degli inizi del 2019.
RAPPORTO DI FORZA RELATIVA TRA VIX E MOVE
La linea di prezzo blu che vedete nella grafica di sopra altro non è che il rapporto di forza relativa tra il VIX e il MOVE. Per ricercare questo tipo di correlazione selezionate nella barra di ricerca di tradingview “VIX/MOVE” e otterrete lo stesso grafico.
I livelli da considerare, a parer mio, sono i 0.29 punti e i 0.13. Ora vi svelerò perché, correlando lo stesso indice con il rendimento del decennale americano e successivamente con l’S&P 500:
Prestate molta attenzione: ogni qualvolta l’indice ha stagnato intorno a valori di 0.15 punti o al di sotto, il decennale ha aumentato il suo rendimento. Questo, per il rapporto inverso tra obbligazione e rendimento, significa che, in quei stessi archi temporali, gli investitori vendevano obbligazioni. Caso contrario invece quando l’indice raggiungeva i 0.29 punti: rendimento del decennale in trend ribassista, dato dal fatto che gli investitori stessero comprando obbligazioni.
Ora correliamo il tutto al mercato azionario, in particolare all’S&P500:
Ogni qualvolta il VIX si dimostrava più forte del MOVE e si raggiungono valori di 0.29 punti e oltre, il bechmark tendeva a ritracciare (o crollare) ; in caso contrario, a valori bassi da 0.15 punti, tende invece a salire.
Ora riepiloghiamo:
• Valori di 0.29: azioni vendute e obbligazioni comprate
• Valori di 0.15: azioni comprate e obbligazioni vendute
Cosa ci dice tutto ciò? Ci da informazioni riguardo il sentiment degli operatori, in altre parole ci riferisce la rotazione dei capitali che avviene dal mondo azionario al mondo obbligazionario e viceversa! Dal lato teorico è facile spiegare il motivo per cui essa avviene: quando il VIX si dimostra più forte del MOVE significa che la paura nel mercato azionario è maggiore rispetto a quella nel mondo obbligazionario (visto che stiamo parlando di indici di paura): è per questo che gli investitori posizionano i loro capitali dove sanno di avere “meno rischio”. In caso contrario, se fosse il MOVE a dimostrarsi più forte del VIX, accadrebbe il contrario, con un azionario più forte dell’obbligazionario.
Possiamo quindi definire questo indice di forza relativa come un indicatore di sentiment di mercato.
Esso è inoltre utile per evidenziare bottom di mercato. Il segnale ci viene dato quando raggiunge i 0.37 punti.
Questo segnale tuttavia non è affidabile tanto quanto quello considerato dalla correlazione tra lo spread e il MOVE, tuttavia ci suggerisce che un mercato potrebbe aver arrestato la sua caduta.
La seconda analisi incentrata sul mercato obbligazionario termina qua. Nel blog, all'inizio della prossima settimana, pubblicherò un'analisi in cui utilizzerò gli stessi indicatori appena descritti per avere una visione più chiara di quello che oggi sta accadendo ai mercati finanziari.
MATTEO FARCI
LA FED SCUOTE TUTTI I MERCATI? NO! ANALIS MACRO ULTIMA SETTIMANABuongiorno ragazzi, oggi volevo analizzare quello che è successo la scorsa settimana sui mercati finanziari statunitensi, in quanto è stata abbastanza particolare. Ci sono stati diversi dati macroeconomici e dichiarazioni che hanno fatto da padroni indiscussi. Tra questi elenco il vertice OPEC tenuto il 4 gennaio, i verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio ed infine i dati sulla disoccupazione e i non farm payrolls di venerdì 7 gennaio.
DECISIONI DELLA OPEC SULLA PRODUZIONE DI PETROLIO
La OPEC ha confermato che procederà con il previsto aumento della produzione di petrolio per il mese di febbraio 2022. L’aumento sarà di 400000 barili al giorno: quest’ultimo è stato approvato dopo che i membri OPEC hanno stimato un eccesso di offerta nell’anno 2022 inferiore a quello previsto in precedenza.
Nonostante la OPEC si attenda un nuovo surplus le stime indicano che sarà nettamente più contenuto di quanto ci si attendesse in precedenza con la produzione di petrolio che supererà la domanda mondiale di 1,4 milioni di barili al giorno nei primi tre mesi dell’anno rispetto agli 1,9 milioni della valutazione precedente.
Come ha preso la notizia il future sul Petrolio? Vediamo:
Dai minimi a 62$ circa del 2 dicembre, sembra che il Petrolio abbia recuperato piuttosto bene. A fine anno è stata rivisitata la resistenza a 76$ circa, quasi in corrispondenza della media a 50 periodi: il prezzo ha dapprima rintracciato brevemente, per poi andare (il 4 gennaio, giorno del meeting OPEC) a rompere al rialzo la media a 50 periodi, segnando infine una performance settimanale del +4,91%. Direi quindi che il mercato ha reagito piuttosto bene al meeting OPEC, non tanto perché la produzione è stata confermata anche per febbraio in aumento (ciò entrerebbe in contrasto per la legge della domanda dell’offerta, che dice che l’aumento dell’offerta di una materia prima è difficilmente accompagnata da un rialzo del prezzo della materia prima stessa), ma quanto perché gli aspetti della variante omicron, a conti fatti, non rallenteranno quanto ci si aspettava il consumo di petrolio.
Nonostante sembri che la positività in questa commodity sia tornata, vi voglio mostrare un piccolo campanello d’allarme, derivante dal cot report:
Vedete come il ribasso di tutto novembre (mese della scoperta della variante omicron) sia stata accompagnata da un trend ribassista da parte dei contratti dei large-speculators: probabilmente, in quello stesso periodo, tante operazioni erano state chiuse per 2 motivi:
1. Paura e incertezza nei riguardi della nuova variante che avrebbe potuto bloccare nuovamente l’economia mondiale
2. Prese di profitto a seguito del grande impulso rialzista di settembre-ottobre
Nell’ultimo mese (nonostante il prezzo si sia ripreso e sia passato nuovamente sopra la media a 50 periodi) si è creata una divergenza: lo spread tra contratti long e short si accorcia nonostante il prezzo continui a salire; come mai? Questo non posso saperlo, ma comunque lo considero un campanello di allarme, simbolo del fatto che il prezzo forse non è forte come sembra.
Per quanto riguarda invece la volatilità sull’asset, direi che si è tornati in condizioni di “tranquillità”, dal momento che l’indicatore è sceso sotto i 45 punti:
Quale sarà quindi il futuro destino del petrolio? Lo vedremo prossimamente, io vi ho riportato alcuni indicatori, ai quali vorrei aggiungervene un altro: tipicamente, in periodi di inflazione, le materie prime tendono a performare bene e tra queste non può certo mancare il crude oil.
IL FOMC, CIO’ CHE HA SCOSSO I MERCATI. MA PROPRIO TUTTI?
E qui veniamo ai verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio. In quell'occasione, i banchieri hanno annunciato l'accelerazione del processo che metterà fine agli stimoli monetari, con un tapering di 30 miliardi di dollari al mese (e non più 15 miliardi) per mettere fine al programma di aiuti da 120 miliardi al mese entro marzo. Il programma prevedeva 80 miliardi in titoli di Stato e 40 miliardi in titoli garantiti da mutui ipotecari. Inoltre, dopo il primo aumento dei tassi, si prevede anche una riduzione del bilancio.
Vi rilascio alcuni punti salienti dell’incontro:
“L'inflazione si sta dimostrando più alta e duratura del previsto e, per questo, potrebbe essere necessario alzare i tassi d'interesse prima del previsto; inoltre, è necessario ridurre il passo degli aiuti monetari, non più così necessari. Se il mercato del lavoro continuerà a migliorare con questo passo, i prerequisiti per un aumento dei tassi d'interesse potrebbero essere raggiunti relativamente presto”
Inoltre, dal dot plot (che è un grafico che registra ogni 3 mesi le previsioni della Fed) è emerso che la maggioranza dei banchieri prevede ora almeno tre rialzi dei tassi d'interesse nel 2022. Dopo la precedente riunione, a settembre, nove componenti su 18 del FOMC avevano invece ipotizzato almeno un rialzo dei tassi nel 2022.
Questa notizia è stata una sorpresa per i mercati che, come spesso vi dico, non hanno reagito affatto bene. Usando dei grafici a 30 minuti, vediamo quale è stata la loro reazione:
Vediamo come i due benchmark principali abbiano performato piuttosto male all’uscita del comunicato: l’S&P ha perso il -1,6%, mentre il Nasdaq il -1,92%. Sapete perché quest’ultimo è andato peggio? Ne parlo spesso, ma ora lo mostrerò:
A sinistra del grafico vi ho riportato la reazione del rendimento del decennale americano; vediamo come esso sia salito del +1,22%. Era normale che tale notizia scuotesse anche il mercato obbligazionario! Ma tornando a noi: come mai il Nasdaq ha perso di più? Per la correlazione che esiste tra inflazione e titoli growth! Ricordo che la parte lunga della curva dei rendimenti (costituita dalle scadenze a 10, 20 e 30 anni) si innalza tipicamente per due motivi: o per una previsione di crescita economica o per un’inflazione persistente (ed è ciò che è successo); direi che in questo momento siamo in una fase di espansione economica che non troppo tardi volgerà al termine, per cui la risalita dei rendimenti dei titoli a scadenza lunga è data dalla paura degli investitori di un’inflazione più persistente e duratura di quanto ci si aspettasse. Quali sono i titoli che più vengono danneggiati da un’inflazione alta e persistente? I titoli growth, che basano i loro guadagni sul futuro e non nel presente, e sappiamo quanto l’inflazione, appunto, eroda i guadagni futuri!
Guardate la correlazione inversa che esiste tra i rendimenti del decennale americano, il Nasdaq e l’etf XLK che rappresenta un paniere di aziende tecnologiche. Vedete che si muovono con buona approssimazione in maniera quasi opposta? Assistiamo a una correlazione molto inversa soprattutto quando il rendimento del decennale tende ad accelerare in maniera abbastanza aggressiva, come mostra appunto l’immagine:
Detto ciò, abbiamo capito come le tech, questa settimana, abbiano performato piuttosto male a causa del rialzo dei rendimenti obbligazionari. Al contrario di queste ultime, le value hanno invece performato bene, andando a segnare addiritura un +1,14%.
Vorrei inoltre farvi notare un qualcosa di importante:
Negli stessi momenti in cui il rendimento del decennale americano aumenta rapidamente, il settore Value tende a segnare buone performance, al contrario, come abbiamo visto prima, del tech. Sembra quasi che, in certi momenti, i due asset siano correlati positivamente. Sapete qual è la spiegazione?
Per farvelo capire, andrò a spacchettare l’etf del settore value dell’S&P500 per settori:
SETTORE FINANZIARIO 15,87%
SETTORE SANITARIO 15,56%
SETTORE INDUSTRIALE 12,89%
SETTORE TECNOLOGIE INFORMATIVE 12,40%
SETTORE CONSUMER STAPLES 10,72%
SETTORE CONSUMER DISCRETIONARY 7,72%
SETTORE SERVIZI DI COMUNICAZIONE 6,92%
SETTORE ENERGETICO 5,31%
SETTORE UTILITIES 5,04%
SETTORE MATERIALI 3,96%
SETTORE IMMOBILIARE 3,33%
Come possiamo notare, il peso maggiore è dato dal settore finanziario. Chiediamoci una cosa: come reagisce il settore finanziario all’aumento dei tassi di interesse e di conseguenza all’aumento dei rendimenti del decennale americano? Reagisce alla grande, tant’è che esiste una correlazione piuttosto positiva; vediamola:
Come mai c’è una correlazione diretta tra questi due asset? Le banche ricevono finanziamenti e creano successivamente guadagni in questo modo: ricevono innanzitutto fondi tramite i depositi dei clienti, a cui pagano tassi d’interesse a breve termine. Quindi, la parte corta della curva del rendimento rappresenta i costi di prestito della banca. Successivamente, guadagnano prestando denaro a tassi a lungo termine più alti. La differenza tra i due tassi (quello a lungo termine meno quello a breve termine) è nota come spread del tasso d’interesse e rappresenta il guadagno potenziale della banca. Quindi, più alto è un rendimento a scadenza lunga, più una banca ci guadagna, ecco spiegato il motivo! Il +5,43% dell’ultima settimana del settore finanziario non è stato un caso:
L’altro best performer della settimana è stato il settore energetico, rinforzato chiaramente dalla bella performance settimanale del petrolio, che segna un oltre +10%!
Vediamo le performance degli altri settori, per poi analizzare i titoli di stato a diversa scadenza, le materie prime e il dollaro.
SETTORE INDUSTRIALE E MATERIALI
Vediamo come il settore industriale abbia performato molto meglio rispetto a quello dei materiali. Non è un caso dal momento che, nel settore “value”, l’industriale occupa un peso del 12,89%.
SETTORE SANITARIO E DELLE COMUNICAZIONI
Il settore sanitario, nonostante rappresenti il secondo settore per peso all’interno dell’etf del settore value, ha subito tante vendite, chiudendo con una performance del -4,64%. Quello delle comunicazioni, invece, è ormai da diverso tempo in difficoltà, in particolare da inizi settembre 2021.
SETTORI BENI DI PRIMA NECESSITA’ E BENI DISCREZIONALI
I due settori hanno performato piuttosto diversamente: quello dei beni discrezionali male, -2,43%, mentre quello dei beni di prima necessità appena appena bene, segnando un +0,40%: questo è probabilmente dovuto al fatto che XLP è un settore difensivo, per cui probabilmente alcuni investitori hanno scaricato posizioni su settori più rischiosi a beneficio di alcuni meno rischiosi e quindi più difensivi. Ciò però è accaduto solo in XLP e non nel settore utilities, nonché difensivo, che perde oltre il punto percentuale:
Molto male il Real Estate, che segna una performance negativa del -4,9% dopo una cavalcata durata qualche settimana.
INDICE DELLE PAURE SUI MERCATI: VIX E VXN
Vediamo come i due indici, VIX (volatilità S&P500) e VXN (volatilità Nasdaq) si siano mossi in modo diverso: il VIX è rimasto all’interno dell’area di relativa tranquillità (sotto i 20 punti) mentre il VXN, al contrario, è salito oltre i 25 punti, a volatilità quindi preoccupanti. Come mai questa divergenza tra i due indici? Perché si ha avuto maggior paura per i titoli tech (e quindi del Nasdaq) a causa del rialzo dei rendimenti del decennale e per tutti i motivi che ho spiegato precedentemente!
MONDO OBBLIGAZIONARIO
Vi ho condiviso due curve dei rendimenti ben distinte, una di Q3 2021 (con i rendimenti del 2 agosto 2021) e una di Q1 2022 (quella odierna). Le due curve appartengono a due momenti ben distinti: in quella di Q3 2021 la banca centrale era abbastanza “rilassata” in quanto riferiva nelle sue riunioni il fatto che i tassi non sarebbero stati aumentati a breve, che l’inflazione era transitoria e la crescita economica robusta, con dati sul lavoro e disoccupazione via via migliorativi; alla curva odierna invece appartiene una Fed ben più aggressiva per i motivi di cui vi ho parlato all’inizio di questa idea.
Vi ho condiviso queste due curve per un particolare motivo: avete mai sentito da qualche professionista dire “la banca centrale può controllare solo la parte breve della curva”? Questo è il tipico esempio.
Guardiamo come i rendimenti alle brevi scadenze siano più ripidi oggi di quanto non lo fossero in Q3 2021; la parte a scadenze brevi della curva dei rendimenti (da scadenze di qualche mese fino ai 7 anni) è determinata dalle aspettative per la politica della Federal Reserve; il rendimento di quella parte aumenta quando ci si aspetta che la Fed aumenti i tassi e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti. L’estremità lunga della curva dei rendimenti, invece, è influenzata da fattori quali le prospettive sull’inflazione, la domanda e l’offerta degli investitori, la crescita economica.
Come ho spiegato diverse volte, se la crescita è robusta e l’inflazione in aumento, il prezzo delle obbligazioni a lunga scadenza dovrebbe scendere. Questo fa salire i rendimenti a 10,20 e30 anni e, di conseguenza, la curva diventa più ripida. Se una banca centrale risponde alle pressioni inflazionistiche alzando i tassi di interesse a breve termine, la curva si appiattisce, è questo è infatti quello che stiamo vedendo negli ultimi tempi; vediamo infatti che nella parte lunga troviamo una “gobbetta”; questo è sinonimo del fatto che si sta scommettendo in un futuro rallentamento economico (in quanto il rialzo dei tassi di interesse, tipicamente, avviene alla fine o comunque in prossimità della fine di un’espansione economica, per il fatto che una ripresa e successivamente un’espansione si portano dietro anche un’alta inflazione).
Tuttavia, i rendimenti hanno fatto i protagonisti la scorsa settimana, andando ad incrementare in maniera abbastanza notevole:
Vediamo infatti come le due scadenze lunghe siano salite in maniera vertiginosa: ciò è probabilmente dovuto all’incertezza degli operatori riguardo un’inflazione che si potrà dimostrare più dura e persistente di qualche tempo fa; questo è stato dichiarato anche dalle FED che appunto, per combatterla, prevede 3 aumenti dei tassi.
Avete quindi capito il motivo della forma della curva dei rendimenti odierna rispetto a quella di qualche mese fa? Se no, commentate e sarò più chiaro.
IL DOLLARO AVEVA PROBABILMENTE GIA’ SCONTATO TUTTO E CIO’ HA AIUTATO LE COMMODITIES
Spesso ho detto che probabilmente il dollaro aveva già scontato il tapering e probabilmente qualche aumento dei tassi di interesse; credo che questa ipotesi possa essere ora considerata vera in quanto il dollaro stesso, all’annuncio aggressivo della FED, si è mosso poco. Anzi, si trova in un canale di lateralizzazione da ormai 2 mesi, dal 17 novembre:
Da questa lateralizzazione ne hanno beneficiato le materie prime (guardate il grafico a destra, il bloomberg commodity index) che, dopo aver disegnato un doppio minimo sulla struttura a 27 dollari, sono ripartite al rialzo, segnando una performance settimanale del +2,41%!
NON FARM PAYROLLS E DISOCCUPAZIONE
Infine, vi riporto altri due catalizzatori della scorsa settimana: le buste paga del settore non agricolo, che hanno registrato un aumento di 199mila nuovi posti di lavoro a dispetto delle stime di investing.com di 400mila, e i dati sulla disoccupazione molto positivi, scesi al 3,9% dai 4,1% del mese precedente.
Questi ultimi sono due dati molto importanti, per 2 motivi: i mandati della FED sono il controllo dell’occupazione e il monitoraggio dei livelli d’inflazione: a seconda dei prossimi dati sui posti di lavoro, la FED potrebbe decidere se anticipare o posticipare l’aumento dei tassi, e quindi se essere più aggressiva o meno, e questo potrebbe scuotere ancora i mercati; i livelli di disoccupazione via via decrescenti danno invece sostegno all’inflazione, in quanto più persone possono spendere, la domanda dei beni si alza e di seguito l’inflazione stessa; interessante sarà vedere i prossimi dati sulle vendite al dettaglio in quest’ottica.
Spero quest’idea sia uno spunto riflessivo per tutti.
MATTEO FARCI
IPOTESI 2022. COS'HA SCONTATO IL MERCATO NELL'ULTIMO MESE?Buongiorno a tutti, siamo finalmente entrati in Q1 2022. Questa idea ha l’obiettivo di analizzare determinati “indicatori” e settori e i loro comportamenti in maniera tale da capire quello che potrà accadere in Q1 2022. La domanda importante da porsi è: dove i grandi investitori stanno posizionando i loro capitali?
RAPPORTO TRA AZIENDE VALUE, AZIENDE GROWTH ED S&P500
Il primo grafico che vi porto è il rapporto esistente tra aziende value e growth. Per chi ancora non lo sapesse, le aziende value sono quelle con un business molto forte che basano i loro guadagni nel presente; non hanno grandi prospettive di crescita futura e una parte dei loro guadagni sono ridistribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi; quelle growth, come dice la parola stessa, sono aziende di “crescita”, ossia basano i loro guadagni in un tempo futuro, talvolta accontentandosi di avere bassi guadagni in tempi presenti; parte dei loro guadagni sono poi rienvestiti nell’azienda in maniera tale da espanderla e di conseguenza, spesso, i dividendi forniti agli azionisti sono bassi oppure totalmente assenti.
Dal grafico possiamo notare come, da metà novembre circa, le aziende value hanno sovraperformato le aziende growth. Nella parte bassa del grafico vi ho riportato l’andamento dell’S&P500. Vediamo come la sovraperformance delle value ha conciso con un momento di perlopiù lateralizzazione da parte dell’indice di riferimento; sono così andato ad evidenziare tutti quei momenti nell’ultimo anno in cui abbiamo avuto le value più forti rispetto alle growth (momenti evidenziati da canali paralleli ascendenti) e osservato il comportamento dell’ S&P negli stessi periodi: notiamo come ad un rafforzamento delle value rispetto alle growth è coinciso un momento di lateralità o momenti di bassissimi guadagni da parte dello Standard and Poor.
Al contrario, invece, possiamo osservare come ad un rafforzamento delle growth rispetto alle value (in tutte quelle parti non evidenziate) l’S&P500 ha realizzato performance più cospicue. Come mai accade ciò?
Per provare a far luce a tutto ciò ci viene in aiuto il vix:
come potete notare, il vix si trova nella parte bassa del grafico, con la linea rappresentativa di color azzurro.
Ho tracciato una retta di color rosso nel livello 20, considerato lo spartiacque tra “paura” e “relativa tranquillità” dei mercati, ed inoltre ho utilizzato dei rettangolini azzurri per indicare tutti i picchi di volatilità avuti nel 2021:
E’ facile notare come gli investitori, in periodi prossimi o corrispondenti a picchi di volatilità, abbiano preferito comprare azioni di aziende value rispetto a quelle growth.
Notiamo infatti come il primo picco di volatilità (a febbraio circa) è stato seguito da una grande forza relativa delle value, che è continuata anche nel picco relativo a marzo. Ciò è accaduto anche a maggio e a metà luglio per arrivare a dicembre quando, a causa della scoperta di omicron, la volatilità era salita di tanto spaventando i mercati.
Abbiamo quindi spiegato il motivo per cui, ad una forza relativa maggiore delle value rispetto alle growth, l’S&P 500 talvolta ha stornato, lateralizzato o segnato bassi guadagni? Perché a questi momenti è sempre corrisposta una volatilità “preoccupante”, tale da indurre gli investitori a chiudere posizioni long sulle aziende growth e ad aprirne su azioni value, considerate quindi più “difensive”.
Quando poi invece la volatilità si riabbassava, le growth diventavano più forti delle value, segno del fatto che la stessa non spaventava più. In base a quest’ultima frase da me scritta, che insegnamento possiamo trarne per tutto il 2022? Che quando le growth vanno a sovraperformare le value, ci troviamo in un clima di risk-on dei mercati, e questo è appunto dimostrato dal fatto che le growth performano bene in periodi di bassa volatilità e perché lo Standard and Poor, negli stessi periodi, guadagna in maniera cospicua.
Questo grafico da me costruito sarà un’indicatore che guarderò molto da vicino per capire il clima di rischio sui mercati per valutare il rischio stesso di ogni investimento.
AZIONI HIGH BETA, LOW BETA ED SP500
Lo stesso discorso fatto per le aziende value e growth può essere fatto con aziende a basso beta e ad alto beta. Sapete di cosa parlo?
ll Beta è un coefficiente che misura la variazione attesa del rendimento di un certo titolo per ogni variazione di un singolo punto percentuale del mercato di riferimento.
Il valore di questo coefficiente tende a muoversi intorno a 1: nello specifico, se il Beta di un’azione è pari a 1, questa tenderà a muoversi in linea con il mercato di riferimento, senza amplificare o ridurre i movimenti dello stesso. Quando il Beta di un’azione è maggiore di 1 invece, si è davanti a un titolo “aggressivo”, che amplifica i movimenti del mercato, l’attività è considerata quindi più rischiosa. Se il Beta è compreso tra 0 e 1, si ha di fronte un’azione “difensiva”, la quale tende a muoversi in modo meno che proporzionale all’indice di riferimento. Infine, un titolo con Beta negativo tenderà a muoversi in maniera opposta al mercato.
Spiegato cos’è il coefficiente Beta, vediamo il grafico di sotto:
La linea superiore in azzurro è il rapporto tra aziende a basso beta e aziende ad alto beta, mentre in basso, identificato con una linea color arancio, abbiamo l’andamento dell’S&P500.
Ho messo i due asset a confronto, e osserviamo come l’S&P tenda a crescere quando le aziende ad alto beta sovraperformano quelle a basso beta mentre, in caso contrario, l’S&P500 tende a lateralizzare.
In quest’ultimo periodo siamo in un momento in cui quelle a basso beta rendono meglio rispetto a quelle a beta più alto.
Vi siete chiesti quali sono i settori “low beta” tra quelli che nomino sempre? Sono il settore delle utilities, dei beni di prima necessità e il settore sanitario; vi riporto ora la correlazione esistente tra le aziende a basso beta e i 3 settori nominati per farvi osservare graficamente la grande correlazione positiva:
• SETTORE UTILITIES
Nei vari rettangoli vi ho evidenziato la grande correlazione positiva.
• SETTORE BENI DI PRIMA NECESSITA’
• SETTORE SANITARIO
Riassumendo quello che vi ho detto fin’ora, abbiamo quindi capito come le aziende più “difensive” come il settore delle utilities, sanitario e dei beni di prima necessità stiano performando bene:
Ricordo a chi non lo sapesse che tipicamente i settori difensivi vanno a performare bene in tempi di incertezze o rallentamenti economici o comunque, più in generale, in periodi di risk off dei mercati: questo accade perché gli stessi settori riescono comunque a generare guadagni nonostante il particolare periodo economico.
Dico sempre che la finanza tende sempre a scontare prima quello che poi in realtà succede, e vi ho dimostrato più di una volta che questa ipotesi è vera (vi consiglio di leggere le mie ultime idee, troverete tanti spunti sotto questo punto di vista). La domanda da farsi quindi è: come mai nell’ultimo mese sono stati i settori difensivi i veri protagonisti? Il mercato si aspetta un periodo di incertezza economica o un rallentamento?
Per spiegare questo, utilizzo un indice, il Russell 2000; quest’ultimo racchiude nel suo paniere le più importanti 2000 aziende statunitensi a piccola e media capitalizzazione. Utilizzo quest’ultimo come indicatore perché le aziende più piccole tendono ad avere la loro attività negli Stati Uniti, al contrario delle mega-cap che hanno affari in tutto il mondo; aziende come Microsoft, Amazon oppure Apple, essendo delle multinazionali, nonostante siano statunitensi, vendono i loro prodotti in tutto il mondo. Capendo quindi che le small e mid-cap hanno affari soltanto a livello nazionale, possiamo affermare che vanno a riflettere meglio lo sviluppo dell'economia statunitense. Di conseguenza, cosa possiamo aspettarci a livello grafico? Che se gli investitori vedono nel futuro un’economia forte, anche il Russell 2000 dovrebbe presentarsi forte e in trend lateral-rialzista; viceversa, ad un’aspettativa di rallentamento economico, dovremmo aspettarci un Russell debole e in trend lateral-ribassista. Vediamo come si sta comportando nella grafica:
Vediamo come, dagli inizi di novembre, l’indice abbia iniziato a disegnare una parabola discendente. Vediamo invece come da ottobre 2020 a inizi 2021,quando eravamo in ripresa economica, il Russell fosse invece salito in maniera abbastanza forte, rispettando quindi la sua funzione di “termometro dell’economia statunitense”. Questo ci deve far capire un qualcosa di importante: se gli investitori avessero avuto una visione positiva dell’economia, perché negli ultimi 2 mesi avrebbe venduto il Russell? Semplice: ciò significa che la loro visione economica non è positiva.
A tale scopo vi ho poi condiviso nella parte bassa del grafico gli stessi settori difensivi che vi ho citato prima: vedete come sono saliti a dispetto del Russell?
RUSSELL 2000 E APPIATTIMENTO DELLA CURVA DEI RENDIMENTI COME SEGNALI ANTICIPATORI
Come vi ho spiegato diverse volte, un altro termometro economico importante è il mondo obbligazionario, in particolare i titoli di stato USA a diversa scadenza e i loro rendimenti. Avevo scritto un’idea riguardo al loro comportamento, in particolare come essi variavano nelle diverse condizioni economiche; per maggiori dettagli, vi linko l’idea qua sotto:
Nel grafico sottostante abbiamo con la linea arancio il Russell 2000 mentre con la linea azzurra lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato USA a 10 anni e 2 anni. Per chi non sapesse a cosa si riferisce questo spread, è molto semplice: i 10 anni vengono considerati una scadenza lunga, mentre i 2 anni una scadenza corta; ciò significa che più lo spread tra i due titoli si restringe, più si ha l’appiattimento della curva dei rendimenti. Infatti, vedete come da aprile 2021 lo spread ha disegnato un trend ribassista? Significa semplicemente che, pian piano, la curva sta andando ad appiattirsi, segno del fatto che gli investitori si aspettano un rallentamento economico.
E’ curiosa la correlazione tra il Russell e lo spread: in ripresa ed espansione economica (ossia la parte racchiusa entro il rettangolo arancio) entrambi gli asset erano saliti (ricordo che se lo spread tra i due titoli è più pronunciato positivamente, ossia a percentuali positive, la curva è da considerarsi più “steep”).
Successivamente, da aprile 2021 ad oggi, il Russel ha iniziato una fase di lateralità mentre lo spread è andato a contrarsi; questa correlazione mi fa capire quanto entrambi gli asset siano correlati all’economia statunitense e come, in particolare, ci diano le stesse informazioni dal punto di vista del sentiment del mercato.
IL SETTORE PER ECCELLENZA IN TEMPI DI INFLAZIONE: REAL ESTATE
Un altro grande settore dalle grandi performance è sicuramente quello del Real Estate:
Come possiamo vedere dalla grafica, il settore è stato sicuramente tra i migliori, con una performance di oltre il 40%. Sapete come mai il settore immobiliare performa bene in questo periodo? Grazie all’inflazione!
Questo perché le aziende immobiliari riescono a trasferire al consumatore l’aumento percentuale dei prezzi in quanto gli immobili, in tempi inflattivi appunto, tendono a conservare il loro valore, al contrario di altri beni. Infatti, come saprete, con un inflazione che aumenta, aumentano anche i prezzi degli affitti, delle case e degli stabilimenti, e questo significa che i guadagni delle aziende immobiliari, in particolare i REITS, non vengono erosi (proprio per la capacità degli immobili di conservare quindi il loro valore).
L’inflazione in USA è al 6,8%; si prevede che nel 2022 si abbasserà di qualche punto percentuale. Quando succederà? Questo non si sa, ma credo che guardando il prezzo degli energetici e i valori dei PMI potremmo avere in futuro qualche certezza in più.
Spero questa analisi vi possa servire. Vi auguro un felice anno nuovo! MATTEO FARCI
IPOTESI DEL PREZZO FUTURO DELL'ORO CON L'ANALISI INTERMARKETBuongiorno a tutti, ieri parlavo dell’importanza di intrecciare nelle analisi diversi strumenti per avere una visione sempre più chiara e più ampia dei mercati finanziari.
In particolare, vi ho parlato dell’importanza di saper leggere i segnali dati dal mondo obbligazionario. Continuando a collegarmi ad esso, oggi voglio correlare lo stesso strumento con il prezzo del petrolio e i valori dell’inflazione per poter fare un’ipotesi sul prezzo che potrà avere l’oro nel prossimo anno.
LA DIFFERENZA TRA I RENDIMENTI NOMINALI E I RENDIMENTI REALI
Si parla spesso delle tante correlazioni che esistono per l’oro: la correlazione inversa con il dollaro statunitense, quella con l’inflazione e quella con il bitcoin sono forse le più chiacchierate.
La correlazione di cui voglio parlare oggi è quella esistente con i tassi di interesse reali, che non sono altro che il rendimento, nel mio esempio, dei titoli di stato a 10 anni americani, aggiustati all’inflazione. Il famoso “US10Y”, ossia il rendimento del titolo di stato a 10 anni, è nominale, non reale; diventa reale dal momento che esso si indicizza all’inflazione; esso è determinato semplicemente calcolando lo spread tra il rendimento di un dato titolo di stato e l’inflazione (ricordo a voi che uno spread non è altro che una sottrazione).
Mi piace ragionare sempre per via grafica. Purtroppo non sono riuscito a costruire la correlazione qui su tradingview, ma posso comunque condividervi un link in cui la correlazione di cui parlo è ben determinata (la correlazione è tra i rendimenti dei titoli di stato reali a 10 anni con, appunto, l’oro):
www.filepicker.io
Come possiamo vedere nell’immagine, quando i tassi di interesse reali tendono a scendere, l’oro si comporta in maniera inversa, andando ad apprezzarsi.
Ora ragioniamo insieme per capire al meglio come i dati siano indicizzati:
Vi riporto i dati anno su anno dell’inflazione USA (dati reperiti su investing.com):
10.11.2021 (Ott) 6,2%
13.10.2021 (Set) 5,4%
14.09.2021 (Ago) 5,3%
11.08.2021 (Lug) 5,4%
13.07.2021 (Giu) 5,4%
10.06.2021 (Mag) 5,0%
12.05.2021 (Apr) 4,2%
13.04.2021 (Mar) 2,6%
Vediamo che dai dati di marzo agli ultimi di ottobre si ha avuto un costante incremento.
Ora guardiamo il grafico relativo ai rendimenti USA a 10 anni:
I rendimenti si sono mossi al rialzo in maniera aggressiva da agosto 2020 a marzo 2021. Questo, come ho spiegato nella mia precedente idea, è dovuto al fatto che per gli operatori, con un inflazione così alta e un clima di risk on nei mercati, non aveva senso tenere obbligazioni con un rendimento intorno al 1,5%/1,6%/1,7% dal momento che l’inflazione avrebbe poi eroso i guadagni. Ricordo che i rendimenti salgono essenzialmente per due motivi: aspettative di crescita economica e paura per inflazione alta. Continuando ad osservare, vediamo come i rendimenti abbiano poi cessato la loro forza rialzista andando a formare un canale parallelo con due top (evidenziati con dei rettangolini gialli, a 1,7% circa) e due bottom (evidenziati con il rettangolino azzurro, a 1,15%).
Basandoci sui dati riguardanti l’inflazione che vi ho condiviso prima, vi ricordo che uno degli obiettivi della FED è quello di tenere a bada l’inflazione intorno al valore del 2%; effettivamente, vediamo come l’inflazione di marzo fosse del 2,6%, quindi non troppo preoccupante, fino ad arrivare i mesi successivi a valori ben più preoccupanti del 4%,5%,6% ed oltre. In quello stesso periodo, vediamo appunto come i rendimenti a 10 anni nominali abbiano lateralizzato, mentre gli stessi indicizzati all’inflazione abbiano invece iniziato un trend discendente, con massimi sempre decrescenti.
Questo potete osservarlo nel link di Fred Economics che ora vi condivido:
fred.stlouisfed.org
Perché i nominali hanno lateralizzato mentre quelli reali hanno iniziato un trend ribassista? Questo è proprio dovuto alla sottrazione tra il valore dei nominali meno l’inflazione, e questo è l’effetto.
Mi sono voluto dilungare per rendervi ben chiara la situazione.
LA CORRELAZIONE TRA ORO E RENDIMENTI REALI
Vi condivido il grafico dell’oro in cui vi segno delle aeree molto importanti:
L’oro, dagli inizi di marzo 2021 quando, nello stesso periodo, gli us real interest rates hanno iniziato il loro trend ribassista, ha guadagnato il 6,20% circa. Nei rettangoli azzurri vi ho segnato i periodi in cui la correlazione tra i due asset è più evidente; vi consiglio di paragonare i rialzi dell’oro di metà marzo/metà maggio e di metà settembre/metà novembre con gli stessi interessi reali: la correlazione sarà molto attendibile. Se vi chiedete come mai la correlazione non è perfetta ogni giorno della settimana (nel senso, se l’oro fa un candela rossa, gli us real interest rates fanno una candela verde) vi rispondo che tale correlazione è molto più apprezzabile nel medio/lungo periodo, ma non nel breve (e questo potete chiaramente vederlo nel link dell’immagine che precedentemente vi ho condiviso):
www.filepicker.io
IL PESO CHE HA IL PETROLIO E I SUOI RAFFINATI NEL PANIERE DEL CONSUMER PRICE INDEX
L’ente statunitense che rilascia i dati sull’inflazione è il US BUREAU OF LABOUR STATISTICS. Entrando nel sito ufficiale, in particolare nella pagina che ora vi linkerò, vediamo come un grafico ad istogrammi ci raffiguri il fatto che si, l’inflazione è molto alta, indicando il fatto che la causa maggiore di tale incremento è il prezzo dell’energia:
www.bls.gov
Nell’ultima pubblicazione si può notare come i prezzi dell’energia, anno su anno, siano aumentati di ben il 30%, mentre si hanno avuti incrementi più modesti per tutte le altre categorie, compresi il cibo, i servizi e quant’altro (non esaminerò tutto il paniere del cpi in questa idea, vi consiglio di cliccare sul link e vedere voi stessi).
Ora utilizziamo una grafica per comparare i dati sull’inflazione con i prezzi del petrolio:
Come potete vedere, ho paragonato gli aumenti del petrolio con i dati sull’inflazione, e ho trovato riscontro positivo, nel senso che a un aumento del petrolio è corrisposto un aumento del cpi. In particolare, come specifico nella grafica, da fine marzo a inizi luglio il petrolio è aumentato del 33,6%, mentre il cpi è passato dal 2,6% al 5,4%; dagli inizi di luglio alla fine di agosto il crude oil ha rintracciato del 20% circa, mentre il cpi e' rimasto stabile intorno a valori del 5,3%/5,4%. Infine, da fine agosto a fine ottobre, a un incremento del crude oil del 40% è corrisposto un aumento del cpi, che è passato dal 5,4% al 6,2%. Se vi chiedete perché i valori di inflazione non siano diminuiti in corrispondenza di luglio e agosto, visto il rintracciamento del 20%, credo possa essere imputabile al fatto che in quello stesso periodo, nel paniere dell’inflazione, registrasse numeri molto alti la vendita di auto usate, i cui prezzi erano aumentati tantissimo anno su anno.
COME PUO’ INFLUENZARE L’INFLAZIONE IL RECENTE CROLLO DEL PETROLIO?
Sappiamo come il petrolio abbia rintracciato pesantemente nelle ultime settimane. Ciò è dovuto a diversi fattori, come la paura per la nuova variante omicron di covid. Il dato che uscirà oggi sul cpi come potrà essere dal momento che il petrolio ha rintracciato di circa il -27%? Secondo le ultime stime, le agenzie prevedono un incremento (si pensa oltre il 6,7%) fatto sta che aspetteremo il dato ufficiale per esaminare al meglio la situazione, infatti molto spesso le previsioni vengono smentite da altri numeri (come è accaduto, ad esempio, per l’ultimo dato sui non farm payrolls).
CORRELAZIONE TRA INFLAZIONE, PETROLIO E CURVA DEI RENDIMENTI PER FARE UN’IPOTESI SUL PREZZO FUTURO DEL GOLD
Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, la curva dei rendimenti si sta appiattendo (ho trattato bene questo argomento nell’ultima idea, pubblicata ieri. Il link lo condivido in basso):
I rendimenti a 10 anni dei titoli di stato sembrano non vogliano più salire oltre il l’1,7%, probabilmente perché stanno (o hanno) già scontato il futuro aumento dei tassi di interesse.
Per quanto riguarda l’inflazione, abbiamo visto come nell’ultimo dato del 6,2% abbia influito pesantemente il prezzo dell’energia, che però ora sta scendendo (per i prezzi dell’energia, si fa riferimento anche ai prezzi del natural gas chiaramente) ; il petrolio in questi ultimi giorni ha tentato un rimbalzo, tuttavia si trova ancora lontano dagli 85$ di qualche settimana fa; provando ad ipotizzare il prezzo del petrolio nel prossimo trimestre, vi aspettate che risalga attorno a quei valori? Tutto dipenderà dall’OPEC, dai casi covid e dalla domanda mondiale (mi aspettavo che nell’ultima riunione di inizi dicembre l’organizzazione tagliasse l’aumento mensile di 400k barili, ma ciò non è successo, forse perché l’OPEC stessa si aspetta nei primi mesi dell’anno una contrazione della domanda). Quello che penso è che il petrolio farà fatica, almeno nel breve periodo, a ritornare a quei valori, in quanto non ha ricevuto la forza necessaria dall’OPEC, che dapprima ha comunicato il fatto di prevedere una contrazione di domanda, e in secondo luogo non ha tagliato la produzione. Inoltre, in tante nazioni del mondo, ci sono nuove restrizioni per i viaggi, e questo significa minor consumo di carburante da parte del settore aereo.
Sarà importante seguire da vicino i report dell’OPEC (il prossimo il 13 dicembre) , dell’EIA e della IEA, molto utili per capire le dinamiche di domanda e offerta. Se si rivelerà vera la contrazione della domanda, è chiaro che il petrolio farà molta fatica a risalire agli 85$.
Questa situazione cosa potrà significare per l’inflazione? Che forse i dati di ottobre (o novembre) hanno visto il loro picco. E quindi, se i rendimenti a 10 anni nominali rimanessero effettivamente a quei valori visto il contesto economico americano e l’inflazione iniziasse un trend neutrale/debolmente ribassista (dico debolmente ribassista perché oggi, 9 dicembre, non c’è nulla che mi faccia pensare a un crollo del petrolio), che aspetto potrebbe avere la curva dei rendimenti a 10 anni reali nel prossimo trimestre? Probabilmente, visto lo spread che vi ho descritto prima, neutrale/debolmente rialzista (in quanto, se l’inflazione dimuisce ma il rendimento nominale oscilla a valori di 1,3%/1,4%, rimanendo quindi stabile, l’interesse reale tende di nuovo a crescere).
Se quindi i rendimenti reali hanno toccato il loro bottom per iniziare un trend neutral/debolmente rialzista e vista la correlazione inversa nel medio periodo con il gold, cosa possiamo aspettarci dal metallo prezioso? Che il suo prossimo trend sarà neutral/debolmente ribassista?
Inoltre ricordo che il futuro aumento dei tassi di interesse (in Q1 o Q2 2022) andranno sicuramente ad abbassare il cpi stesso.
Mi rendo conto che l’analisi è molto lunga ma ci ho lavorato diverse ore. Mi rendo anche conto che è un’ipotesi ottenuta analizzando diversi strumenti, dal momento che ho creato un “minestrone” di inflazione, curva dei rendimenti, interessi nominali, reali e prezzo del petrolio. Ma è un’ipotesi, non un consiglio finanziario. Questa è comunque la mia idea, vedrò nei prossimi mesi cosa succederà, nel frattempo spero che tutti questi ragionamenti vi possano essere utili, grazie mille per l’attenzione.
BREVE ANALISI TECNICA SUL GOLD
Vi ho condiviso un grafico settimanale in cui vediamo la formazione di un bellissimo triangolo discendente, che è una figura di analisi tecnica ribassista. Dopo aver toccato i massimi storici ad agosto 2020, il prezzo ha rintracciato, andando a testare il supporto a 1676$ numerose volte (vi ho evidenziato tali situazioni con dei rettangolini gialli) e andando a formare sempre dei massimi decrescenti con la conseguente formazione del triangolo discendente. Nella settimana dell’8 novembre abbiamo assistito anche ad un falso breakout, evidenziato con una freccia rossa.
Le due cose da tener d’occhio in questa “mini” analisi tecnica sono due:
- Il triangolo discendente
- I volumi: notiamo come l’impulso rialzista partito da maggio 2019 fino al massimo storico di agosto 2020 sia stato accompagnato da volumi alti (evidenziati nel
rettangolo azzurro) . A partire invece dallo stesso agosto fino ad oggi, i volumi si sono notevolmente abbassati, e questo è ben visibile nel rettangolo giallo.
Quindi, che c’è da dire? Che la visione intermarket potrebbe essere lateral-ribassista, e la price action sembra voglia confermare questa tendenza, in quanto una figura di analisi tecnica ribassista e volumi in diminuzione rispetto alla media non precludono solitamente un rialzo del prezzo.
MATTEO FARCI
L'INVERSIONE DEI MERCATI AZIONARI GIUNGERA' NEL 2022?Buongiorno ragazzi, oggi vi voglio parlare di ciò che potrebbe accadere prossimamente sui mercati finanziari, analizzando i vari cicli economici e il loro susseguirsi e, successivamente, la curva dei rendimenti dei titoli di stato USA e di come quest’ultima stia ultimamente cambiando la sua pendenza.
Il mondo obbligazionario è sempre stato considerando un mercato “anticipatore”, in quanto esso è sempre il primo asset tra i più conosciuti (obbligazioni, materie prime e azioni) ad anticipare i cambiamenti nei cicli economici.
I CICLI ECONOMICI
Come molti di voi sapranno, i cicli economici sono 4, e si susseguono uno dopo l’altro. Ogni ciclo può durare anche diversi anni e ciò che li caratterizza sono la crescita (o la decrescita) economica, i livelli di inflazione, di disoccupazione e le scelte di politica monetaria delle banche centrali.
Partiamo con l’esaminare il primo ciclo, ossia quello di ripresa economica (che rappresenterebbe il periodo metà 2020- metà 2021 circa) che nasce dopo un periodo di recessione economica (indotta, nel nostro caso, dalla pandemia). In un periodo del genere i livelli di inflazione sono bassi, le scelte di politica monetaria sono accomodanti: si fa spesso uso dei quantitative easing, così come è accaduto nel 2020, e il livello dei tassi di interesse sta quasi allo zero, il tutto per favorire una richiesta al credito (e ai prestiti) con lo scopo di far “girare moneta”, il tutto per favorire la crescita economica. I livelli di disoccupazione pian piano si abbassano. Per quanto riguarda i dati macroeconomici, dovremo aspettarci quindi dati sul PIL in crescita mese su mese, accompagnati dalla crescita delle vendite al dettaglio, del PMI, del PPI, dell’inflazione e delle buste paga, mentre i livelli di disoccupazione dovrebbero man mano diminuire. I dati sulla fiducia dei consumatori inizia ad alzarsi.
In questo contesto economico, le materie prime incrementano il loro valore (aumentando la domanda dei consumatori verso beni e prodotti, le industrie andranno a produrre di più e, dal momento che il prezzo delle materie prime si basa sulla legge della domanda e dell’offerta, più aumenta la domanda, più il loro prezzo salirà) così come il mercato azionario. Il mondo obbligazionario, invece, inizia a muoversi in territorio negativo in quanto gli investitori, in un clima di risk on, preferiscono comprare azioni che obbligazioni visti i ritorni all’investimento più alti.
Arriviamo quindi al secondo ciclo, ossia al ciclo della massima espansione, in cui l’economia si è ormai ripresa, la disoccupazione si è riassorbita ma i livelli di inflazione sono molto alti, a causa dei prezzi del petrolio e, in generale, delle materie prime e di tanti altri fattori che ora non discuterò per non uscire troppo fuori tema.
In questo particolare ciclo le banche centrali non sono più accomodanti, dichiarando di togliere all’economia i sostegni precedentemente dati (procedendo cin i famosi tapering) e di alzare successivamente i tassi di interesse, per cercare di far abbassare l’inflazione arrivata ormai oltre il target del +2%. I livelli del PIL sono alti, così come i livelli del producer price index, delle buste paga, delle vendite al dettaglio, dei PMI e della fiducia dei consumatori. Per quanto riguarda le performance delle varie asset classes, le obbligazioni rimangono in territorio negativo, mentre girano in negativo anche le azioni (perché, come dico sempre, la finanza anticipa sempre e gli investitori, spaventati dalla banca centrale e dal relativo aumento dei tassi di interesse prossimi, liquidano le proprie posizioni long). Le materie prime continuano tuttavia a performare bene perché di per sé sono asset che performano alla grande in periodi di moderata/alta inflazione.
Il terzo ciclo (quello del rallentamento economico) ha inizio a parer mio con la scelta delle banche centrali di alzare i tassi di interesse. Con questi oltre lo 0%-0,25%, le imprese non saranno tanto più spinte (come lo erano nel ciclo 1 e 2) a richiedere prestiti per espandersi e così come per le imprese, vale per i privati (in generale, ci sarà una stretta sul credito). Ciò significa che, vista l’inferiore quantità di moneta circolante, l’inflazione tende ad abbassarsi e con lei anche il valore in borsa delle materie prime (le commodities tendono inoltre a perdere il loro valore in quanto le industire iniziano a produrre di meno in quanto la domanda dei consumatori inizia ad essere più debole e quindi minor domanda, prezzo delle materie prime giù). Con le materie prime in trend negativo, andremo a trovare valori del PPI via via decrescenti, assieme alla fiducia dei consumatori e alle relative vendite al dettaglio. Il livello di disoccupazione giunge ad un bottom e inizia a muoversi in un trend lateral-rialzista. Il PIL inizia a registrare mese su mese valori via via decrescenti. Questo è l’unico ciclo economico in cui troviamo tutti e tre le asset classes che ho nominato in trend ribassista.
Arriviamo infine al ciclo 4, ossia alla contrazione economica (che talvolta può sfoggiare anche in una recessione) in cui il PIL non cresce più bensì inizia a diminuire mese su mese, e lo stesso vale per l’inflazione e il PPI. La fiducia dei consumatori e le vendite al dettaglio iniziano a registrare dei numeri ben più negativi dei cicli 1 e 2, e lo stesso vale per i PMI. I livelli di disoccupazione si alzano in quanto le aziende iniziano a registrare utili notevolmente inferiori rispetto al ciclo 2 e 3 e di conseguenza iniziano a tagliare anche i posti di lavoro (le buste paga aumentano tendenzialmente nei cicli 1 e 2 in quanto, ad una ripresa ed un’espansione economica massima le aziende tandono ad espandersi, e ciò accade di pari passo con nuove assunzioni). I tassi di interesse sono relativamente medio/alti.
Quando si tocca il punto più basso della contrazione o della recessione economica, si ha l’intervento delle banche centrali che applicano nuovamente politiche monetarie: dapprima gli abbassano di nuovo intorno allo 0% e successivamente agiscono immettendo denaro sotto diverse forme nel sistema economico, così che si possa tornare alla fase economica 1, ossia quella della ripresa. I segnali che anticipano una nuova ripresa economica sono dapprima le obbligazioni, che girano in territorio positivo, seguite successivamente da azioni ed infine dalle materie prime, non dimenticando tutti i dati macroeconomici già menzionati, che iniziano tutti a registrare dei valori via via sempre migliori.
LA SITUAZIONE AI NOSTRI GIORNI
Nel biennio 2020-2021 abbiamo a parer mio assistito al susseguirsi di 3 cicli economici in maniera molto rapida: fase di recessione, di ripresa e di espansione economica. Tutti gridano al crash dei mercati azionari: a parer mio, forse, ci arriveremo nel prossimo anno. La teoria secondo il quale affermo che con buone probabilità arriveremo ad una fase di rallentamento economico non giunge solo studiando i vari cicli economici e il loro susseguirsi, ma analizzando anche la curva dei rendimenti dei titoli di stato americani.
COS’E’ LA CURVA DEI RENDIMENTI?
La curva dei rendimenti è la rappresentazione grafica della relazione fra le varie scadenze dei titoli di Stato americani e il relativo rendimento. Nei grafici che tra poco condividerò con voi avremo sull’asse delle ordinate i rendimenti che il titolo assume in corrispondenza di ciascuna scadenza, e sull’asse delle ascisse le relative scadenze.
La curva dei rendimenti può essere essenzialmente di 3 tipi:
- Crescente (o “steepening”)
- Piatta (o “flattening”)
- Invertita
Abbiamo una curva dei rendimenti “normale” o “crescente” quando ci sono aspettative di crescita economica. Esiste un rapporto inverso tra le obbligazioni e i relativi rendimenti: se gli investitori vendono obbligazioni (in questo caso titoli di stato) , il rendimento delle stesse obbligazioni va a crescere; quindi, se la curva dei rendimenti “normale” è crescente, significa che gli investitori vendono obbligazioni di tutte le scadenze per andare a spostare i loro capitali in strumenti a più alto rischio, ossia le azioni (facendo quindi alzare i rendimenti, in maniera appunto crescente), considerando anche il tipico clima di risk on dei mercati tipici di quella fase economica; questa è la curva dei rendimenti che abbiamo avuto nel 2020-2021, tipica appunto di una ripresa/espansione economica che noi stessi stiamo vivendo (che dopo vi mostrerò). Inoltre voglio ricordare che in periodi di ripresa/espansione economica, l’inflazione si fa sempre via via più alta fino a raggiungere un punto in cui agisce la banca centrale che, alzando i tassi di interesse, cerca di calmierarla. Proprio per questo motivo la curva è crescente: che senso ha tenere un’obbligazione che ha, ad esempio, un rendimento dell’1,7% se poi ci ritroviamo con un inflazione del 2%/3%? Avrebbe poco senso, in quanto l’inflazione andrebbe ad erodere i futuri rendimenti agli stacchi delle cedole e, quindi, cosa fanno gli investitori? Vendono le obbligazioni, facendo aumentare i rendimenti e dando alla curva la tipica forma “steepening”.
Per quanto riguarda una curva piatta, essa si va a formare in periodi economici di transizione: gli investitori iniziano a comprare titoli di stato a lunga scadenza (10,20 e 30 anni) facendo abbassare i relativi rendimenti (e infatti nell’immagine vediamo come, nelle lunghe scadenze, la curva si appiattisce). Questo succede poiché i tassi di interesse, per combattere l’inflazione, sono stati aumentati e di conseguenza gli investitori iniziano a scontare ciò, andando a comprare obbligazioni a lunga scadenza, facendo così appiattire la parte finale della curva stessa (a questo punto gli investitori iniziano ad avere meno “paura” dell’erosione del loro denaro futuro a causa dell’inflazione).
Una curva invertita è tipica di una recessione. Vi chiedete il perché? Ragioniamo assieme: se i rendimenti delle scadenze brevi (a 1,2,3,5 e 7 anni) sono più alti delle scadenze lunghe, significa sostanzialmente che gli investitori stanno vendendo obbligazioni a bassa scadenza (facendo quindi aumentare i relativi rendimenti) e comprando la stesse a lunga scadenza (facendo quindi abbasare i relativi rendimenti). Che senso avrebbe ciò? Si vendono obbligazioni a breve termine quando, nel breve termine stesso, non si ha una buona visione dell’economia (chi è che compra i titoli di stato di un Paese che potrebbe nei prossimi tempi trovarsi in recessione economica?) mentre si vanno a comprare le obbligazioni a lunga scadenza in quanto si va scontare il fatto che poi in futuro (in un futuro a 10,20 e 30 anni), dopo l’intervento delle banche centrali, l’economia sarà migliorata.
Ho studiato i vari cicli economici e il mondo obbligazionario e, per pura curiosità, sono andato a costruire la curva dei rendimenti USA relativa al periodo di Q1,Q2,Q3 E Q4 utilizzando i rendimenti a 1,2,3,5,7,10,20 e 30 anni relativi a quei trimestri:
PRIMO TRIMESTRE 2021 (Q1)
Possiamo notare come la curva sia crescente. Più ci si avvicina alle scadenze più lunghe, maggiore è la pendenza della curva
SECONDO TRIMESTRE 2021 (Q2)
Anche nel secondo trimestre del 2021 la curva si presentava “steepening”, molto simile a quella di Q1.
TERZO TRIMESTRE 2021 (Q3)
Nessun particolare considerazione diversa per la curva di Q3
QUARTO TRIMESTRE 2021 (Q4)
Vediamo come, in Q4, la curva si sia appiattita. In particolare, il rendimento del titolo di stato a 20 anni presenta un rendimento addirittura maggiore rispetto a quello a 30 anni. Questa curva è stata da me creata il 3 dicembre, quindi pochi giorni fa. E’ un caso che la curva abbia iniziato ad appiattirsi alla fine del terzo trimestre / inizio quarto trimestre, quando si iniziava a vociferare l’aumento dei tassi di interesse (e, ultimamente, un accelerazione del tapering che andrebbe a significare un aumento dei tassi non più in Q2 2022 ma probabilmente in Q1 2022)?
Vi riporto la grafica della curva dei rendimenti il 20 ottobre (quindi inizio Q4):
Come vediamo, è intorno a quel periodo che la curva ha iniziato ad appiattirsi. Questo è stato causato a parer mio dal fatto che gli investitori hanno iniziato a scontare il rialzo dei tassi di interesse.
E’ POSSIBILE CHE STIA ARRIVANDO IL “CROLLO DEI MERCATI?”
La riflessione che faccio tra me e voi è questa: abbiamo detto che l’appiattimento della curva dei rendimenti anticipa una transizione di cicli economici; abbiamo detto anche che il rialzo dei tassi di interesse di una nazione va ad abbassare l’inflazione scoraggiando però le imprese e le industrie che andranno quindi a richiedere meno prestiti e finanziamenti: come ho detto prima, si tende ad assumere manodopera in maniera più consistente durante le riprese e le espansioni economiche (in quanto la richiesta per i beni, e di conseguenza la loro produzione, aumenta), ma, raggiunto un picco dell’espansione, come avevo detto in precedenza, i livelli di disoccupazione si iniziano a muoversi in un trend lateral-rialzista. Con una disoccupazione in leggero aumento, il dato sulla fiducia dei consumatori verso l’economia inizierebbe a registrare dei decrementi (è normale che un consumatore inizi ad avere meno fiducia sul sistema economico dal momento che la disoccupazione, a piccoli passi, inizia a salire), e di conseguenza è probabile che i risparmi delle famiglie inizierebbero ad aumentare. La conseguenza diretta è sulle vendite al dettaglio, che inizierebbero a diminuire e di conseguenza, con loro, le revenue delle aziende che non andrebbero più a fatturare come nella fase di ripresa/espansione economica, in cui i consumatori erano più propensi a spendere vista la grande fiducia sull’economia. A revenue inferiori delle aziende potrebbe essere legata la poi futura vendita delle azioni stesse da parte degli investitori, con i prezzi delle azioni che potrebbero vedere l’inizio di un trend lateral-ribassista. Dopotutto quando parlavo di cicli economici ho detto che la fase di rallentamento economica era anticipata dapprima dalle obbligazioni, seguite poi dalle azioni. Le obbligazioni effettivamente non si trovano in un trend rialzista: se infatti vi condivido il grafico dei titoli di stato a 10 anni, vediamo che essi sono in un trend discendente:
Lo stesso non si può dire per le azioni, in quanto se condividessi il grafico dell’S&P500 vedremo l’indice stesso praticamente ai massimi storici. Ciò può significare il fatto che, per gridare “i mercati crolleranno” (anche se io preferisco più un “i mercati scenderanno”), bisognerà aspettare che anche le azioni effettivamente inizino a stornare, confermando quindi il nuovo ciclo economico di rallentamento. Però attenzione. Vi condivido un grafico interessante:
Questo è il grafico dell’S&P500. Nell’area in giallo vi ho segnato il range di prezzo, notando che esso, in Q2 2020, è incrementato del 20,6%. I dati sul PIL USA relativi a Q2 2020 (dati reperiti su investing.com) erano:
30.09.2020 (2° trim.) -31,4%
27.08.2020 (2° trim.) -31,7%
30.07.2020 (2° trim.) -32,9%
Nonostante la ripresa economica non fosse ancora partita (visto che era appena scoppiata la pandemia) il mercato aveva già iniziato a scontare tutto. La domanda è: anche stavolta il mercato sconterà prima un nuovo possibile ciclo economico?
Vi voglio riportare un ultimo dato interessante, relativo alla FED: in una riunione di fine settembre, quando aveva quasi annunciato il “tapering”, la stessa prevedeva che l'economia americana sarebbe cresciuta del 5,9% quest'anno, per poi rallentare al 3,8% nel 2022 e al 2,5% nel 2023. Leggendo i dati della FED, balza subito all’occhio il fatto che potrebbe effettivamente esserci un rallentamento, no?
Quindi, ritornando alla domanda iniziale, il crollo dei mercati è vicino? Nessuno può saperlo, vi ho però portato alcuni dati interessanti, intrecciando cicli economici, obbligazioni e azioni. Per quanto riguarda il mio processo, continuerò giorno dopo giorno a leggere i dati macroeconomici e osserverò la curva dei rendimenti e tutti gli etf settoriali di cui parlo sempre…perché? Perché il mercato sconta quasi sempre tutto in precedenza.
MATTEO FARCI
La curva dei rendimenti ritorna a salireVenerdì scorso pubblicato questa riflessione su "Curva dei rendimenti dei titoli di stato UE, USA ed inflazione" dove alla fine del ragionamento ponevo questo quesito.
[ ... adesso le curve dei vari Stati stanno scendendo ed in un contesto mondiale in cui si parla di crescita dell'inflazione, questo stona ed è una contraddizione.
Qualcuno mente sulla reale crescita dell'inflazione? ]
Nel grafico in oggetto, rispetto al precedente che allego di seguito, mi focalizzo sulla situazione solo dei rendimenti italiani e dopo una settimana posso dire che si sta formando la risposta.
Mentiva la discesa della curva dei rendimenti che ha prontamente ripreso a salire il giorno successivo, ed oggi ha dato un chiaro segnale con un Future Btp che mentre scrivo perde lo 0,5% e con il rendimento del decennale che guadagna il 7% (quest'ultimo dato non lo potete vedere dal grafico ma velo riporto).
Per cui lo scenario inflazionistico non è stato spedito ancora in soffitta, ma non è detto che ciò non accadrà nelle prossime settimane, paio di mesi.
Di seguito vi allego il grafico dell'analisi di venerdì 11 Giugno che comparava anche USA, Germania e Francia.
Curva dei rendimenti americana in risalita, target 1.82%La curva dei rendimenti americana ha iniziato il suo percorso di risalita dopo marzo 2020 segnalando una economia forte negli Stati Uniti e una ripresa globale. Al momento la curva ha raggiunto il primo target su grafico settimanale guardando al 2017, a mio avviso la curva arrivera' almeno fino a 1.82% (come nel 2015) per una serie di motivi:
1) riapertura dell'economia US con molti stati che stanno togliendo anche obbligo di mascherine e restrizioni. Questo porta ad un incremento dell'attivita' economica, si agisce sulla componenti consumi (C) del PIL che spinge la curva a una risalita. Questo avra' anche un effetto su mercati che non andranno piu' alla ricerca di asset sicuri, come i titoli di stato americani, ma verso assets piu' rischiosi.
2) la liquidita' aggiunta dalla Fed dopo il crollo di Marzo 2020 e' finita inizialmente nei mercati finanziari ma ora verra' assorbita dall'economia reale, la quale reagisce sempre con un lag in queste situazioni.
Ci sono una serie di conclusioni da trarre. La prima e' che tutti quegli asset sensibili ad un aumento dei tassi di interesse andranno a soffrire, particolarmente quelle azioni che hanno aspettative future, le quali vengono scontate con un tasso di interesse piu' alto. Secondo elemento, e' in corso una rotazione verso business piu' reali come l'industria.
Per avere piu' dettagli: pulsar.substack.com
Andrea
Cicli Economici = Studio e Passione NikTopScalper !Ecco quello che è successo Graficamente ai Mercati Finanziari Rapportandolo con i movimenti della Yeld Curve (detta anche Curva dei Rendimenti) dei Treasury Americani a 30 ANNI !!!
Ricordo ai meno "esperti" che la Banca Centrale americana, alzando o abbassando i Tassi, può inficiare solamente ...la parte Bassa della Curva dei Rendimenti (1-5 anni) !
Buon Trading e Buona Riflessione ...