Mercato Bond - Quali strade intraprendere? Un buon portafoglio d’investimento, non può prescindere dall’inserimento di una componente obbligazionaria, al fine di stabilizzare la volatilità, ridurre il rischio ed aggiungere asset class che vengono in dottrina denominate come “Risk Free”.
Il comparto obbligazionario, nella maggior parte dei casi, grazie ad una correlazione con l’azionario inferiore ad 1, riesce ad attutire, ed in alcuni casi a sostenere (si veda l’ETF “TLT” nell’arco temporale 2008 – 2009) il valore del portafoglio.
Questa relazione è tanto più vera, quanto maggiore è il margine di manovra delle banche centrali sui tassi d’interesse.
Nelle ultime settimane, lo storno dei mercati non ha risparmiato neppure gli investitori più avversi al rischio, con una prevalente componente obbligazionaria. La motivazione, è da ricercarsi ovviamente negli incrementi dei tassi d’interesse e nel timore di manovre più dure del previsto -considerato l’andamentale inflattivo - che hanno ovviamente determinato perdite in conto capitale sulla quotazione dei bond.
I gestori più attenti, tuttavia, hanno spostato l’attenzione sul mercato dei bond Cinesi. La Banca Popolare Cinese, diversamente da FED e BCE, ha sostenuto l’economia con una sensibile riduzione dei tassi. Gli effetti sono tutti verificabili sul grafico sopra.
Nel grafico a sinistra abbiamo rispettivamente l’andamento di:
- Linea Rossa: mercato governativi cinesi;
- Linea Verde: mercato governativi americani;
- Linea Blu: mercato governativi eurozona
Notiamo come da novembre i bond cinesi abbiano per distacco superato le performances dei rispettivi americani ed europei.
Il grafico a destra riporta la forza relativa tra obbligazioni cinesi ed americane. L’inclinazione della curva non lascia spazio ad interpretazioni.
Premesso che non è facile individuare ex-ante queste relazioni, il metodo per non perdere opportunità è avere un portafoglio costruito in maniera sapiente, con opportuna diversificazione sia tra asset class che geografica (oltre che valutaria).
Obbligazioni
CREARE UN INDICE DI FORZA PER PREVEDERE UN SEGNALE DI RECESSIONEBuongiorno ragazzi.
L’obiettivo di questa analisi è quello di costruire un indice di forza relativa capace di anticipare un segnale di recessione, ottenuto combinando tra loro mercato azionario e obbligazionario. Spiegherò passo passo i ragionamenti compiuti sperando di essere il più chiaro possibile.
Sul mio canale youtube ho condiviso un video-guida che tratta lo stesso argomento, al link:
www.youtube.com
Buona lettura!
RISCHIO=RENDIMENTO
Come ho spiegato nella mia analisi riguardante i ratings assegnati ai vari Stati Europei che trovate al link:
spiegavo come uno Stato si finanzi attraverso l’emissione dei titoli di stato. Ricordate come sono definiti?
Un titolo di Stato è un’obbligazione, ossia un titolo di credito che conferisce ad un investitore che lo acquista il diritto a ricevere, alla scadenza del titolo stesso, il rimborso della somma versata più una remunerazione, ossia un interesse.
In base alla capacità di uno Stato di onorare le obbligazioni assunte, esso riceve un determinato rating.
Più il rating assegnato è basso, maggiore sarà l’interesse riconosciuto. Questo perché? La risposta è semplice; immaginiamo che un investitore decida di finanziare uno Stato in rischio default (con un rating C), esponendosi così ad un rischio molto alto; il problema nasce dal momento che lo stesso potrebbe non riuscire a restituire la somma ad esso “prestata” più l’onere. Secondo voi, in una condizione del genere, un investitore si accontenterebbe di un interesse basso? Assolutamente no. Che senso avrebbe per lui rischiare una simile esposizione senza avere un grande incentivo? Assolutamente nessuno.
Questo è il motivo per cui il decennale russo, ad ora, rende il 13% circa (rating C).
Cosa ne conviene da tutto ciò che ho scritto finora? Che in campo obbligazionario un interesse (o rendimento) indica il grado di rischio a cui un investitore si espone, per cui:
RISCHIO =RENDIMENTO
LA CURVA DEI RENDIMENTI
Un paese emette diversi titoli di stato a diversa scadenza. Grazie ad essi è possibile costruire la famosa “curva dei rendimenti”, che non è altro che la rappresentazione grafica della relazione fra le varie scadenze dei diversi titoli di Stato e i relativi rendimenti.
Pensandoci bene, credo che questa curva, che fra poco vi mostrerò, sia uno degli indicatori più importanti nel mondo della finanza (e del trading). Perché? Perché saperla leggere aiuta noi traders a capire quali sono le aspettative degli investitori verso l’economia di un determinato Paese. Questo perché? Perché essa assume delle particolari forme in base al periodo economico (ripresa ed espansione economica, rallentamento economico e recessione) in cui viene calcolata.
RIPRESA/ESPANSIONE ECONOMICA
Questo particolare scenario economico segue un periodo di recessione; l’ultimo esempio l’abbiamo avuto da marzo 2020 a maggio/giugno 2021 circa.
Osservando la curva dei rendimenti costruita in quel periodo e immaginando di non conoscere per quale Paese essa sia stata costruita, possiamo essere in grado di capire lo stato di salute di quell’economia? Si. Ora vi mostrerò come:
Ogni qualvolta un paese si trova in ripresa/espansione economica, la curva dei rendimenti è inclinata positivamente, situazione definita dagli americani “steepening”; i rendimenti dei titoli di stato sono via via crescenti man mano che ci si avvicina a scadenze sempre più spostate nel tempo. Vi mostro ora due curve dei rendimenti inclinate positivamente, costruite dopo le recessioni del 2008 e del 2020:
Perché in questo particolare scenario economico la curva assume questa forma?
Lo scenario economico di ripresa ed espansione è caratterizzato da un clima di risk-on dei mercati. Cosa significa questo? Che gli investitori vanno a posizionarsi su asset finanziari ad alto rischio (come azioni, crypto e materie prime) poiché il rendimento che potrebbero ricevere da tali investimenti sarebbe più alto rispetto a quello che avrebbero ricevuto qualora avessero deciso di investire in titoli di stato, sicuramente con dei rischi più bassi, ma appunto meno convenienti. Il comportamento degli investitori si riflette così nella forma della curva: essi scaricano obbligazioni a tutte le scadenze (da pochi mesi a 30 anni) e, per il rapporto inverso che esiste tra obbligazioni e relativi rendimenti, vanno a imprimere la tipica pendenza positiva alla curva (vendono tutte le scadenze, fanno rialzare tutti i rendimenti).
• Un modo alternativo per capire che tale forma definisce un periodo di ripresa/espansione economica è controllare le scadenze brevi, soprattutto la scadenza a 2 anni. Tale scadenza è influenzata dalle scelte di politica monetaria della banca centrale: se le aspettative di un rialzo dei tassi di interesse sale, tipicamente il rendimento del titolo a 2 anni sale. Possiamo affermare con certezza ciò vista la grande correlazione che lega questi ultimi due elementi:
In questi particolari scenari economici, una banca centrale va’ ad abbassare i tassi a zero per favorire la ripresa e la crescita e, per il rapporto diretto appena osservato per via grafica, a bassi tassi di interesse appartengono bassi rendimenti, e da qui si può spiegare quindi il fatto che i rendimenti della parte a scadenze brevi della curva rendono molto meno rispetto alle altre scadenze.
Per l’equazione RENDIMENTO=RISCHIO, possiamo affermare che quindi è più rischioso detenere titoli di Stato a lunga scadenza che non a breve scadenza. Perché? Perché è sicuramente più facile prevedere lo stato di salute dell’economia di un Paese per il breve periodo che non per il lungo.
RALLENTAMENTO ECONOMICO
Un’economia si riprende, si espande e successivamente raggiunge un picco, da cui successivamente inizia a rallentare: a questo scenario economico appartiene una curva dei rendimenti piatta (quando i rendimenti dei vari titoli di stato iniziano ad avvicinarsi tra loro in valore percentuale). L’esempio che vi riporterò è quella costruita venerdì 18 marzo 2022:
Ora vi confronterò la curva appena costruita con la curva di maggio 2021, che coincideva con lo scenario di ripresa/espansione economica. Vedete le grandi differenze?
L’appiattimento della curva dei rendimenti avviene fondamentalmente a causa di due motivi: scelte di politica monetaria e alta inflazione. Ora mi spiegherò meglio.
Uno scenario economico di ripresa ed espansione trascina con sé l’inflazione. Perché questo accade?
Perché nello stesso scenario la domanda di beni, da parte di industrie, privati e cittadini aumenta. Per la legge della domanda e dell’offerta, più un bene è richiesto e più tipicamente il suo prezzo aumenta. Da questo scaturisce il fatto che quando un’economia si è ripresa in maniera stabile, i valori di inflazione sono al di sopra dell’obiettivo della banca centrale, ossia al di sopra del 2%. Cosa accade quindi? Che per andare a calmierare l’inflazione per evitare un surriscaldamento eccessivo, la banca centrale alza i tassi di interesse.
Osserviamo ora la grafica di sopra:
• Una politica monetaria più aggressiva o “hawkish” va a riflettersi nella parte a scadenze brevi della curva, in particolare nel titolo a 2 anni. Questo perché? Riflettiamo assieme.
Immaginiamo di acquistare un titolo di stato a 2 anni, con un rendimento all’ 1.7% circa (a titolo di esempio chiaramente). Ammettendo che l’inflazione superi il 2%, che senso ha per un investitore acquistare obbligazioni a quella scadenza se l’interesse attraverso il quale andrebbero a guadagnare verrebbe completamente eroso dall’inflazione? Non avrebbe alcun senso, tant’è che si assiste ad uno scenario di sell-off e, per il rapporto inverso tra obbligazioni e rendimenti, più esse vengono vendute, più il rendimento sale, dando la forma rialzata alla parte breve.
Perché invece la parte a scadenze più spostate nel futuro (dai 10 a 30 anni) va ad appiattirsi?
• Un rialzo dei tassi di interesse, idealmente parlando, andrebbe a calmierare l’inflazione nel lungo periodo. Gli investitori, scontando questo, vanno quindi a riposizionarsi su titoli di stato a più lunga scadenza e, per il rapporto inverso tra obbligazioni e rendimenti, più titoli di stato vengono comprati, più il loro rendimento andrebbe a calare, dando la tipica forma piatta. Con un’inflazione regolata, infatti, la loro cedola non verrebbe erosa dall’inflazione, cosa che invece succederebbe per i titoli a 2 anni.
Quindi, per il rapporto RENDIMENTO=RISCHIO, possiamo affermare che il rischio al quale si espone un investitore è uguale sia che si esponga su titoli a breve scadenza che su quelli a lunga scadenza; questo particolare scenario non rappresenta chiaramente la normalità in quanto, come abbiamo visto prima, è più rischioso prestare dei soldi sotto forma di acquisto in obbligazioni per 10,20 o 30 anni (in quanto è difficile prevedere lo stato di salute economico dopo 10,20 o 30 anni) che per 1 o 2 anni.
Vi rilascio una grafica in cui vado a visualizzarvi il rapporto esistente tra ripresa/espansione economica, surriscaldamento inflazionistico e successivo rialzo dei tassi di interesse:
RECESSIONE
Arriviamo dunque alla recessione. Questo particolare scenario è sempre anticipato da un’inversione della curva dei rendimenti; si ha questa particolare forma quando gli stessi sulle brevi scadenze hanno un rendimento più alto rispetto a quelli sulle lunghe scadenze. Perché?
Riflettiamo assieme:
Se i rendimenti delle scadenze brevi (a 1,2,3 e 5 anni) sono più alti rispetto alle scadenze lunghe, significa sostanzialmente che gli investitori vendono obbligazioni a bassa scadenza (facendo quindi aumentare i relativi rendimenti) e comprano le stesse a lunga scadenza (facendo quindi abbassare i relativi rendimenti). Che senso avrebbe ciò? Vendono obbligazioni a breve termine quando, nello stesso arco temporale, non hanno una buona visione dell’economia (chi è che compra i titoli di stato di un Paese che potrebbe nei prossimi tempi trovarsi in recessione economica?) mentre vanno a comprare le obbligazioni a lunga scadenza in quanto scontano il fatto che poi in futuro (in un futuro a 10,20 e 30 anni), dopo l’intervento delle banche centrali (con interventi di politica monetaria come il quantitative easing) l’economia sarà migliorata.
Il rapporto RENDIMENTO=RISCHIO dà quindi l’immediata informazione che un’economia è sull’orlo di una recessione; ricordate: in condizioni normali, un rendimento è tanto più alto quanto maggiore è il tempo in cui si prestano dei soldi sotto forma di acquisto in obbligazioni.
SPREAD TRA I RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO A 10 ANNI E A 2 ANNI
Calcolare lo spread tra i rendimenti sopraccitati è un modo più veloce di visualizzare l’inclinazione della curva, infatti:
Più esso si contrae (ossia inizia a creare un trend ribassista), più i rendimenti dei titoli a 10 anni e 2 anni si avvicinano tra loro in valor percentuale e più la curva si appiattisce. Più lo spread si dilata, più i rendimenti a 10 anni e 2 anni si allontanano in valore percentuale e più la curva si innalza.
Quando si è prossimi a una recessione, invece, lo spread scende al di sotto dello 0% (ciò matematicamente significa che i rendimenti a 2 anni hanno valori percentuali più alti rispetto a quelli a 10 anni e quindi, essendo i rendimenti a due anni il sottraendo mentre quelli a 10 anni il minuendo, si ottiene come differenza un numero percentuale negativo).
Vediamo una grafica in cui cerco di spiegare il tutto:
COME I TASSI DI INTERESSE INFLUENZANO LO SPREAD
Il 16 marzo, dopo diversi anni di tassi di interessi fermi allo 0.25%, la Federal Reserve ha deciso che era giunto il momento di agire andando a rialzarli, per andare a calmierare un’inflazione spintasi oltre i 7 punti percentuali. Se andassimo a correlare l’aumento dei tassi con lo spread, ci accorgeremo di un fatto peculiare: ogni qualvolta essi hanno subito un ciclo di rialzi, la curva ha successivamente invertito e in media, dopo 10/17 mesi, si è scatenata una recessione. Vi condividerò ora una grafica per farvi visualizzare il tutto:
COME “RIASSESTARE” LO SPREAD IN MODO DA OTTENERE ULTERIORI INFORMAZIONI
Come abbiamo visto pocanzi, lo spread non è ancora sceso al di sotto dello 0%, ragion per cui non possiamo affermare di essere di fronte alla possibilità di una recessione. Tuttavia, mi chiedevo come potessi “riassestare” lo spread in maniera tale da renderlo ancora più “reattivo” e “completo”, ed è così che sono giunto a questo ragionamento: nell’espressione US10Y-US02Y, posso introdurre una componente azionaria?
E’ vero che il mondo obbligazionario è l’asset class che meglio risponde alle dinamiche di cambio di cicli economici, ma è anche vero che gli stessi settori azionari hanno determinate performance a seconda del ciclo economico in cui si trovano; da qui l’idea:” qual è il settore dell’S&P500 più vicino all’economia? Chiaramente il settore ciclico. Per chi non lo sapesse, un settore è definito ciclico quando esso è dipendente dalle condizioni economiche. Qual è il settore ciclico dell’S&P500? Quello dei beni discrezionali (ticker XLY), al cui etf appartengono aziende che tendono a performare bene in periodi di ripresa ed espansione economica e a performare male in condizioni meno favorevoli (rallentamento economico, recessioni e, volendoci spingere oltre, depressioni).
A questo settore appartengono aziende quali:
Amazon (internet al dettaglio)
Tesla (automobili)
Ford (automobili)
Home Depot (vendita al dettaglio, catena di prodotti domestici)
Etsy (internet al dettaglio)
Sono tutte quelle aziende che tipicamente segnano delle trimestrali positive quando noi cittadini siamo più propensi a spendere, ossia in uno scenario di ripresa ed espansione economica.
Perché ho voluto introdurre nell’espressione questo settore azionario? Perché esso, come il mondo obbligazionario, è il settore che più risponde ai cambi di cicli economici.
Ho quindi impostato l’espressione:
((US10Y-US02Y))/XLY = SPREAD RIASSESTATO
Lo spread ha questo tipo di andamento:
Per poter capire le differenze rispetto allo spread precedente, cercherò di sovrapporlo allo stesso:
Possiamo notare come dal 1999 al 2009 gli stessi abbiano avuto pressoché le stesse fluttuazioni. La musica cambia dal 2009 ad oggi: lo spread con la componente azionaria si dimostra più dinamico, andando a staccarsi in maniera sensibile da quello con la componente unicamente obbligazionaria, anticipando dei segnali di recessione. E’ accaduto nel 2019 e, come potete osservare, anche qualche giorno fa. Ogni qualvolta lo spread riassestato ha infranto al ribasso la barriera dello 0%, è stata recessione. Ora siamo al valore di 0.001%. Sarà recessione?
QUALI SONO I MIGLIORI ASSET QUANDO LO SPREAD SCENDE AL DI SOTTO DELLO 0%?
Come conclusione vorrei condividervi alcuni asset che tendono ad avere delle performance positive ogni qualvolta lo spread scende al sotto dello 0%.
Vi ho condiviso 3 asset:
• Una materia prima, l’oro
• Un’azienda, Barrick Gold
• Un etf di buoni del tesoro degli Stati Uniti protetti dall’inflazione
Vi vorrei far osservare delle particolarità: ogni qualvolta lo spread è sceso al di sotto dello 0%, l’Oro ha creato degli impulsi rialzisti durati anni. Perché? Perché lo stesso, essendo il bene rifugio per eccellenza, va ad apprezzarsi in periodi di risk-off, tipici di una recessione; la scelta di Barrick Gold deriva dalla correlazione positiva con lo stesso metallo prezioso, essendo essa la società più grande del mondo di estrazione della stessa materia prima. Stessa cosa per quanto riguarda i TIPS, ossia i buoni del tesoro degli Stati Uniti. Vi rilascio in basso le varie correlazioni tra i tre asset:
Spero questa analisi vi sia utile.
Grazie per l’attenzione, Matteo Farci
Obbligazionario ed Azionario in scollamentoLa Teoria ci insegna che durante la fase di picco di un Ciclo Economico, a causa della forte liquidità sul mercato, si assiste ad un progressivo aumento delle pressioni inflazionistiche ed all'avvio di misure restrittive da parte delle Banche Centrali con l'obiettivo di alzare i tassi di interesse per poter controllare, o quantomeno correggere, il fenomeno inflativo.
In questo contesto, si assiste ad un mercato delle materie prime rialzista e ad un mercato obbligazionario ed azionario neutrale/ ribassista.
Osservando il grafico si può notare come i primi due asset stiano seguendo la teoria, al netto del mercato Azionario (attualmente in divergenza).
A tal proposito, bisognerebbe farsi delle domande ed investire nell'azionario con cautela.
Saluti
CORRELAZIONE TRA RATINGS E RENDIMENTI DEI DECENNALI EUROPEIBuongiorno a tutti.
Questa è un'analisi condivisa qualche giorno fa all'interno del mio blog. Ho tenuto una live qui su tradingview in cui tratto lo stesso argomento, tuttavia la registrazione è andata a rovinarsi a causa di rumori di fondo insopportabili. Martedi dovrebbe arrivarmi un nuovo microfono, ragion per cui registrerò un nuovo video e lo caricherò sul mio canale youtube.
L’obiettivo di questa analisi è quello di costruire un modello grafico che esprima la forza e la debolezza di uno Stato attraverso i ratings, i rendimenti dei titoli di stato e i diversi spread, ricercando infine una correlazione con gli indici azionari. Per la prima volta aggiungerò una parte emotiva al suo interno, in maniera da farvi percorrere passo passo il sentiero che porta alla creazione di una mia analisi: come e dove nasce l’idea? Come ragiono per poterla metterla in pratica? Ma soprattutto: qual è il vero significato della frase “circondarsi di persone positive fa bene a te e alla tua creatività”?
IL PENSIERO DI UN TRADER
In una delle sue più celebri citazioni, Einstein diceva che “la creatività è contagiosa: trasmettila”. Non è tuttavia facile trovare quel tipo di persona tale da esaltare le tue qualità.
Mi ritengo fortunato ad aver conosciuto un’amica che ama definirsi “poliedrica” culturalmente parlando.
A me piace definirla proficua e propositiva, non solo per se stessa ma anche per me.
Qualche giorno fa discutevamo riguardo una nuova proposta presentata dalla Commissione Europea per scrivere norme comuni che puniscano allo stesso modo la violenza di genere e domestica in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea. Dopo esserci dilungati per qualche minuto sull’argomento, il discorso è caduto sull’Italia, in particolare su come essa stia particolarmente risentendo del conflitto tra Russia e Ucraina. A questo punto le ho chiesto se conoscesse “Fitch”, ossia l’agenzia di ratings che assegna un giudizio ad uno stato basandosi sulla sua solidità. L’obiettivo della domanda era quello di spiegarle che il rating “BBB” etichettato alla nostra nazione significasse il fatto che la stessa avesse adeguate capacità di rispettare gli obblighi finanziari. Non conoscendo lei l’agenzia e i vari ratings, ho allora pensato :
”posso trovare un modo grafico per spiegarle cosa sono i famosi ratings di Fitch?”
Questi modi grafici saranno gli stessi che affronterò in questa analisi con voi.
Qual è l’aspetto psicologico che voglio trasmettervi? Da un lato la capacità di “pensare fuori dagli schemi” per trovare una soluzione grafica ad un problema (che potrebbe far di me forse una persona creativa, sarete voi a giudicare i miei lavori) dall’altro lato una persona proficua e propositiva tale da stimolare questa mia caratteristica.
Avete capito ora l’importanza della frase “circondarsi di persone positive fa bene a te e alla tua creatività”? Spero di essere stato chiaro. Detto questo, dal momento che l’obiettivo dell’analisi non è quello scrivere il componimento poetico “A Silvia” (visto che è quello il nome dell’amica in questione), concentriamoci sulla parte dell’analisi tecnica e fondamentale:
• Che tipo di agenzia è Fitch?
• Che tipo di informazioni possiamo ricavare dai suoi ratings?
• Esiste un modo grafico per poter capire la stabilità di uno stato?
• Come possiamo correlare le informazioni ricavate con gli indici azionari relativi ai diversi Paesi?
FITCH RATINGS INC.
E’ un’agenzia internazionale di rating fondata nel 1913 da John Knowles.
Un rating non è altro che un “giudizio” o una “valutazione” espresso/a in base alla capacità di uno Stato di pagare o meno i proprio debiti. Entrando nel particolare, un rating dà quindi la misura di quanto uno Stato è capace di adempiere al proprio compito di debitore, eseguendo la prestazione legata ad una particolare obbligazione, estinguendo così il rapporto obbligatorio.
Detto in maniera più semplice, vedetela così: se prestassimo dei soldi ad uno Stato (come può essere l’Italia), quanto quello stesso Stato sarebbe capace di restituirci lo stesso capitale con un interesse riconosciuto?
Sono stato chiaro?
Se ci pensate bene, esso ci da anche la misura di quanto uno Stato rischi il default, ossia quella particolare situazione in cui lo stesso non è più capace di onorare le obbligazioni assunte non riuscendo a pagare i debiti al creditore (questa è quella particolare situazione finanziaria definita “insolvenza sovrana”).
Ricordate:
• Il debitore è quel soggetto (una particolare azienda o uno Stato) che riceve del denaro (o un particolare servizio) in prestito che si impegna poi a restituirlo in una data futura con un particolare interesse
• Il creditore è quel soggetto (una persona fisica o un ente) che presta del denaro in cambio di una sua restituzione futura con un interesse riconosciuto
I diversi ratings assegnati sono espressi in termini di lettere e in segni + o – che vengono aggiunti alla fine delle stesse per affinare le valutazioni:
• AAA: è la valutazione migliore che si possa avere ed indica uno stato con eccellenti capacità di onorare le obbligazioni assunte
• AA+: è una valutazione riferita ad un rischio di default estremamente basso. Indica una capacità molto elevata da parte di uno stato di adempiere al proprio compito di debitore. Il ripagamento di un debito è poco influenzato da avvenimenti e condizioni esterne
• AA E AA- : ratings riservato a Stati che presentano ottime capacità di onorare le obbligazioni assunte. Sono minime le differenze con il rating AA+
• A+, A E A- : ratings riservati a Stati che presentano buone capacità di ripagamento del debito. Gli impegni di pagamento sono però più vulnerabili ad avvenimenti/condizione esterne avverse
• BBB+, BBB E BBB- : Aspettative di default basse; rating associato ad uno Stato con una capacità adeguata di far fronte agli impegni di pagamento. Tuttavia, avvenimenti e condizioni esterne avversi hanno maggiore probabilità di compromettere questa capacità.
• BB+, BB E BB- : Valutazione che denota un'elevata vulnerabilità di default, particolarmente in caso di condizioni economiche e fattori esterni avversi.
• B+, B E BB- : Ratings assegnati a Stati con un’elevata vulnerabilità di default, tuttavia gli impegni di rispettare gli obblighi finanziari sono ancora presenti. La capacità futura di far fronte a questi impegni, invece, è vulnerabile al peggiorare delle condizioni economiche e dei fattori esterni.
• CCC+, CCC E CCC- : Questi ratings denotano possibilità di rischio di default. La solvibilità delle obbligazioni assunte dipende prevalentemente da condizioni economiche e finanziarie favorevoli.
• CC: Rating utilizzato per indicare un rischio di default probabile. La solvibilità delle obbligazioni dipende prevalentemente da condizioni economiche e finanziarie favorevoli
• C: Rating utilizzato per indicare un rischio di default imminente. Associato a Stati in probabile bancarotta o in ritardo nei pagamenti
• D: indica lo stato di default
Tutti gli Stati con valutazioni comprese tra AAA e BBB- sono considerati a “buona affidabilità”, mentre gli altri compresi tra BB+ e C sono definiti “Junk Bonds”, tradotto in italiano “obbligazioni spazzatura”
Quelli considerati finora sono delle valutazioni a lungo termine. Esistono però anche quelle a breve termine:
• F1+ : Valutazione che indica la più elevata capacità di rispettare le scadenze di pagamento del debito; il segno "+" denota una capacità eccezionale di far fronte agli impegni finanziari
• F1: Valutazione che indica la più elevata capacità di rispettare le scadenze di pagamento del debito
• F2: Valutazione che indica una buona capacità di rispettare le scadenze di pagamento del debito
• F3: Valutazione che indica un’adeguata capacità di rispettare le scadenze di pagamento del debito
• B: Valutazione che indica minime capacità di rispettare le scadenze di pagamento del debito. Si ha una vulnerabilità nel breve periodo a situazioni di instabilità economica e finanziaria.
• C: Valutazione che indica elevate possibilità di default. Il rimborso delle obbligazioni è strettamente dipendente da situazioni economiche e finanziarie favorevoli
• D: indica lo stato di default
Oltre a Fitch, sono altresì conosciute Standard & Poor’s e Moody’s Investor Service.
Torniamo a noi; dopo aver analizzato i vari ratings, la domanda sorge spontanea: quali sono gli stessi assegnati agli Stati Europei?
• GERMANIA: AAA
• SVIZZERA: AAA
• FRANCIA: AA-
• BELGIO: AA-
• SPAGNA: A-
• ITALIA: BBB
• GRECIA: BB+
• RUSSIA: C
*ho voluto considerare anche la Russia visto il suo declassamento a C qualche settimana fa in maniera tale da mostrarvi la grande differenza con gli altri Stati Europei
E’ POSSIBILE COSTRUIRE UN MODELLO GRAFICO TALE DA CAPIRE LA STABILITA’ DI UNO STATO? IL MIO RAGIONAMENTO
Per capire come poter costruire il modello grafico, bisogna ragionare sul rendimento associato ad un obbligazione, in particolare alla frase: “se prestassimo dei soldi ad uno Stato, quanto quello stesso Stato sarebbe capace di restituirci lo stesso capitale con un interesse riconosciuto?”; capito questo e avendo analizzato i vari ratings di Fitch, cosa possiamo aspettarci? Che gli investitori andrebbero chiaramente a richiedere un rendimento alto per quelle obbligazioni (o titoli di stato) di Paesi con ratings medio/bassi (da BB+ a C) e un rendimento relativamente basso per tutti quelli con ratings alti (al di sopra di BB+ fino ad arrivare ad AAA). Questo perché accade? Per un semplice motivo: se un investitore decide di finanziare uno Stato con la possibilità concreta che esso entri in default, è normale che richieda un rendimento maggiore per il suo investimento visto il rischio a cui si espone; chi, a parer vostro, scommetterebbe su un paese economicamente parlando “instabile” senza aspettarsi un grosso ritorno economico? Ragionamento opposto qualora lo stesso decidesse di investire su uno stato stabile con un alto rating: il rendimento atteso sarebbe basso dal momento che il rischio associato sarebbe praticamente inesistente.
Come obbligazioni consideriamo i titoli di stato a 10 anni di tutti i Paesi Europei:
In base al ragionamento appena fatto, che tipo di rendimenti sui decennali dei vari Stati Europei dovremmo aspettarci? Rendimenti bassi per quei paesi con un rating alto e rendimenti più alti per quelli con rating più basso. Vediamo se questo è dimostrato a livello grafico:
Come potete osservare dalla grafica, l’ipotesi è confermata; i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni sono via via decrescenti man mano che ci si avvicina a rating sempre più alti: se acquistassimo un titolo di Stato Tedesco non potremmo aspettarci un grande rendimento visto il bassissimo rischio di default; ciò non è vero per la Russia: poco tempo fa la Nazione è stata declassata a C(rischio di default imminente): qual è l’interesse riconosciuto qualora si decidesse di acquistare un titolo esponendosi ad un rischio così elevato? Il 19%.
Spero di essere stato abbastanza chiaro.
IL MOTIVO PER IL QUALE IL BUND TEDESCO E’ CONSIDERATO UN BENE RIFUGIO
Avete ora capito il motivo per il quale il decennale tedesco viene acquistato in momenti di incertezza economica, finanziaria e/o geopolitica? Perché in momenti di risk off si ricerca il rendimento “sicuro” e lo Stato Germania va a rappresentarlo in maniera perfetta visto il suo rating AAA. Questo perché? Perché è possibile che un’azienda possa fallire negli stessi momenti di incertezza, ma non uno Stato tanto forte e solido! Quindi, per non rischiare di perdere soldi, gli investitori preferiscono investire in uno Stato stabile che, ad esempio, nel suo indice azionario (ad alto rischio), e questo è ben rappresentato in questa grafica:
SFRUTTARE IL PRINCIPIO DEGLI SPREAD PER CAPIRE LA STABILITA’ DI UNO STATO
L’idea è ora quella di costruire dei grafici che ci possano indicare la stabilità di uno Stato, che non è altro che l’obiettivo di questa analisi.
Come possiamo operare? Utilizzando il concetto di spread.
Consideriamo innanzitutto il titolo di stato tedesco a 10 anni (dal momento che la Germania è considerata il paese europeo più solido) e, successivamente, utilizziamo esso come sottraendo dello spread e come minuendo i rendimenti dei diversi paesi europei, inserendo nella barra di ricerca di tradingview i seguenti codici:
• FR10Y-DE10Y -> SPREAD FRANCIA-GERMANIA
• BE10Y-DE10Y -> SPREAD BELGIO-GERMANIA
• ES10Y-DE10Y -> SPREAD SPAGNA-GERMANIA
• IT10Y-DE10Y -> SPREAD ITALIA-GERMANIA
• GR10Y-DE10Y -> SPREAD GRECIA-GERMANIA
• RU10Y-DE10Y -> SPREAD RUSSIA-GERMANIA
La differenza ottenuta dai diversi spread ci indicherà la forza e la credibilità dei singoli Stati.
Quello che otteniamo è questo:
Com’è da leggere questo grafico?
Più uno spread sale verso l’alto, più il rendimento del decennale di uno Stato Europeo cresce rispetto a quello tedesco; dal momento che il rendimento è associato al rischio e più alto esso è più uno Stato è considerato poco affidabile, ne conviene che più uno spread sale verso l’alto, più uno Stato è da considerarsi rischioso qualora ci si volesse investire. Questo è possibile dimostrarlo in maniera grafica? Assolutamente si.
CORRELAZIONE TRA INDICI AZIONARI E SPREAD TRA PAESI EUROPEI E BUND TEDESCO
• FRANCIA:
Per ricercare questa correlazione utilizzerò il coefficiente di correlazione impostato a 20 periodi. Nella grafica potete osservare in nero lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato francesi a 10 anni e il riferimento Bund tedesco: da fine anni 80’ al 2007 circa non è visibile una vera e propria correlazione: ciò è dimostrato dal coefficiente che non assume una vera e propria posizione, né in territorio positivo che in quello negativo (infatti va ad oscillare tra i due estremi). La musica cambia dal 2007 ad oggi: la correlazione si mantiene prevalentemente negativa: più lo spread sale, più un paese è considerato meno affidabile, più gli investitori tolgono capitali dall’indice azionario per poterli ridistribuire in paesi più appetibili.
• BELGIO
Situazione belga pressoché identica a quella francese vista precedentemente. La correlazione inversa tra i due asset ha inizio dal 2007.
• SPAGNA
Trattandosi di Spagna, troviamo delle piccole differenze: la correlazione si mantiene negativa tra il 1994 e il 2000 e tra inizi 2008-giorni nostri, mentre la zona di correlazione non determinabile è quella compresa tra gli anni 2000-inizi 2008.
• ITALIA
Dispiace non avere abbastanza dati storici per il FTSE MIB. Basandoci su quello che offre tradingview, possiamo comunque notare similitudini rispetto agli esempi precedenti: forte correlazione negativa dal 2007 in poi, non determinabile negli anni prima.
• GRECIA
Ho trovato ancora meno dati per quanto riguarda l’indice azionario greco. Ho provato a raggirare il problema utilizzando l’etf “GREK” che riprende le performance di prezzo dell’indice MSCI All Greece Select 25/50. Osserviamo una pesante correlazione negativa dal 2013 ad oggi. E’ evidente il fatto che lo spread sia osservato attentamente da parte degli investitori.
• RUSSIA
Giungiamo infine alla Russia, declassata poco tempo fa al rating C.
Non c’è nulla da aggiungere rispetto a quello detto fin’ora: correlazione negativa tra indice azionario e spread!
CONCLUSIONI
Spero di essere stato chiaro esponendo questo argomento. E’ importante capire lo stato di salute di un particolare Paese qualora lo scegliessimo come destinazione dei nostri investimenti. Come avrete ben notato dalle ultime grafiche, gli indici azionari sono strettamente collegati allo spread dei Paesi considerati con il Bund tedesco. Se uno Stato si dimostra debole, è difficile che esso possa registrare delle performance azionarie positive. Dal 2007 ad oggi è stato così; che sorprese ci riserverà il futuro?
MATTEO FARCI
CORRELAZIONE TRA MERCATO AZIONARIO E MERCATO OBBLIGAZIONARIOBuongiorno ragazzi, questa è la quarta analisi del mio blog incentrata sul mondo obbligazionario. La prossima settimana, rispettando le linee guida di tradingview, vi fornirò il link per l'accesso.
Dopo aver ricercato le correlazioni che il mercato obbligazionario presenta nei confronti del dollaro americano, oggi tratterò un altro tipo di correlazione: quella con il mercato azionario.
Per chi non l’avesse fatto consiglio caldamente lo studio delle precedenti tre analisi in maniera tale da avere una visione chiara e coincisa dell’argomento perché da questa analisi in poi gli argomenti andranno via via ad intrecciarsi.
Correlerò i due asset a partire dal 2000, in maniera da studiare la correlazione avuta negli ultimi 20 anni.
Iniziamo!
INTRODUZIONE: CLIMA DI RISK-OFF E RISK-ON
Una situazione di “risk off” altro non è che quel particolare scenario caratterizzato dalla presenza di tensioni che possono avere diverso carattere, da quello geopolitico (come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina), politico (la scelta di un nuovo presidente degli Stati Uniti, ad esempio, può impattare sul sentiment degli investitori), economico o finanziario (come ad esempio le manovre di politica monetaria e la scelta dei tassi di interesse). In questa particolare condizione gli investitori spostano la loro liquidità in asset considerati a basso rischio, i cosiddetti “beni rifugio”, come oro, obbligazioni di paesi solidi economicamente e con un alto rating, dollaro USA, Franco Svizzero e Yen giapponese.
Una situazione di “risk on” è invece quella situazione in cui c’è appetito al rischio, dove gli investitori, spinti dall’ottimismo e dalla positività del momento, vanno alla ricerca di asset che offrano degli alti rendimenti. Uno di questo è il mercato azionario, il mondo delle materie prime e tutte quelle valute legate a quest’ultime (come, ad esempio, il dollaro canadese, legato in maniera forte al prezzo del petrolio).
LA CORRELAZIONE NEGLI ULTIMI 20 ANNI
Vediamo nella grafica come a marzo 2000 l’S&P500 raggiunga i massimi storici. Il top raggiunto dal mercato azionario coincide anche con dei top di periodo segnati dal rendimento del decennale americano e dal rendimento del 2 anni. Sembrerebbe quindi un tipico clima di risk-on: gli investitori, infatti, si posizionano sul mercato azionario (che, come dico sempre, è caratterizzato da alto rendimento associato però ad un altrettanto rischio alto) vendendo obbligazioni (e ciò è testimoniato dal rialzo del rendimento associato visto il rapporto inverso obbligazione/rendimento) in quanto considerate, per il clima di mercato, a rendimento troppo basso e quindi poco convenienti. Basta uno spread a capovolgere il tutto: quello tra i rendimenti a 10 anni e 2 anni: nello stesso periodo, esso scende al di sotto dello 0%, lanciando quindi il segnale di possibile recessione. Che accade quindi?
Accade che qualche tempo dopo, a circa 5 mesi di distanza, esplode la bolla di internet e l’S&P500 va a perdere oltre il 50% del suo valore. A quel punto gli investitori iniziano a comprare obbligazioni, considerandole quindi dei “beni rifugio” e la diretta conseguenza di ciò è il crollo dei rendimenti, che si correlano quindi positivamente all’azionario.
Come vediamo dalla grafica che segue, come interviene la Fed per andare a combattere la recessione? Abbassa il livello dei tassi di interesse, portandoli dal 6.5% all’1%:
Qual è lo scopo di un ribasso dei tassi di interesse? Permettere ai privati e alle aziende un più facile accesso al credito. Spiegato in termini ancora più semplici, vedetela così: una recessione colpisce qualsiasi settore all’interno di un’economia. Per permettere la ripartenza di ognuno di loro, si devono creare una serie di incentivi. Una banca centrale, così, attua le sue mosse di politica monetaria, andando in questo caso ad abbassare gli interessi sui prestiti. Le aziende e i privati, così, sono incentivati a richiederli dal momento che gli interessi poi riconosciuti alla banca saranno molto bassi (in questo caso, come ho detto, dell’1%). Questo causa una forte positività tra gli operatori, i commercianti, gli imprenditori e in generale nei cittadini, andando a riflettersi su dati macroeconomici di rilevante importanza: uno tra questi è sicuramente la fiducia dei consumatori:
Come potete osservare nella grafica soprastante in cui vi ho condiviso con la linea blu il sentiment dell’università del Michigan e in arancio i tassi di interesse sui prestiti, un aumento o un ribasso di questi ultimi ha poi sempre influito sul sentiment dei consumatori (anche se allo stesso dato impattano altri dati macroeconomici che riprenderò in un’altra analisi). In particolare, a un rialzo dei tassi segue un sentiment pessimista, mentre al ribasso uno ottimista.
Dopo questo breve sunto, torniamo a noi. Il ribasso dei tassi di interesse arrivati all’1% nel 2003 ha quindi ricostruito per i motivi spiegati un clima di risk-on, dove l’azionario tende chiaramente a performare bene. Qual è stata quindi la diretta conseguenza?
Che gli operatori hanno comprato azioni e venduto obbligazioni, spingendo al rialzo i relativi rendimenti.
Spostiamoci più avanti nel tempo:
Il clima di risk on continua e, dal 2003 al 2006, gli investitori continuano a concentrarsi sull’azionario lasciando da parte l’obbligazionario. A questo punto però cosa accade? Lo spread si muove nuovamente sotto lo 0%. Ciò è causato da un aumento dei tassi di interesse che passano dall’1% al 4.5%:
Dico questo perché le scelte di politica monetaria impattano più sui rendimenti a 2 anni che su quelli a 10 anni e quindi, dal momento in cui si parla di spread (differenza), crescendo più i 2 anni rispetto ai 10 anni, ed essendo il 2 anni il sottraendo mentre i 10 anni il minuendo della differenza, lo spread tende poi a muoversi in territorio negativo. Cosa prelude, come ho detto svariate volte, uno spread negativo? Una recessione. Ed è così che si arriva alla crisi immobiliare:
Da fine 2007 a metà 2009 gli investitori acquistano obbligazioni e vendono azioni, andando a disegnare così i trend che vedete nella grafica, tipici di periodi di risk-off.
Successivamente i tassi di interesse vengono abbassati allo 0.25% per favorire una ripresa economica. Questo cosa provoca?
Provoca nuovi massimi storici sull’azionario. Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, invece, si hanno dei segnali contrastanti. I titoli a 10 anni, dal 2009 al 2014, vengono comprati e venduti a diversi intervalli temporali (e questo è chiaro guardando i diversi trend disegnati nei diversi archi temporali), mentre i rendimenti a 2 anni non prendono nessun tipo di trend, andando a lateralizzare.
La musica inizia a cambiare nel 2017:
Dopo anni di massimi storici, i mercati subiscono una nuova ondata di aumenti del costo dei prestiti. Come hanno reagito a tal proposito gli investitori? Vediamolo:
I mercati azionari hanno continuato la loro corsa al rialzo, però notiamo l’inversione del trend dei rendimenti: le obbligazioni iniziano ad essere vendute e ciò si riflette nell’aumento dei rendimenti, specie in quelli a 2 anni, che crescono maggiormente in valor percentuale rispetto ai 10 anni. Questo causa un’inversione della curva dei rendimenti o, più in particolare, uno spread sotto lo zero, come vediamo nel grafico:
La domanda che sorge spontanea ora è: dopo quanto si ha la recessione dal momento che l’inversione della curva dei rendimenti è sempre il preludio di un crollo economico? Si ha con la pandemia di Covid 19:
A questo punto i capitali sono stati spostati sull’obbligazionario come “protezione”. Ritroviamo, dunque, la correlazione diretta tra i rendimenti dell’obbligazionario e azionario.
Come abbiamo già visto prima, è l’intervento della banca centrale a rimettere in piedi l’economia entrata in recessione:
I tassi vengono riabbassati allo 0.25% e, come effetto diretto, l’azionario torna sui massimi storici, correlandosi in maniera diretta con i rendimenti a 10 e 2 anni.
BREVE RIEPILOGO
Studiando la correlazione obbligazionaria-azionaria degli ultimi 20 anni, quali sono i punti salienti da tenere a mente?
• Le obbligazioni sono correlate inversamente al mercato azionario in quanto uno è considerato uno strumento a basso rischio (obbligazioni) mentre l’altro ad alto rischio (azionario).
• I rendimenti delle obbligazioni, dal momento in cui si muovono in maniera inversa alle relative obbligazioni ai quali sono associati, sono correlati direttamente all’azionario.
• Ogni qualvolta si ha un’inversione della curva dei rendimenti, gli investitori spostano subito il denaro sui titoli di stato in quanto essi costituiscono un “porto sicuro” qualora ci fosse l’effettiva recessione che un’inversione della curva ha sempre anticipato.
• I tassi di interesse influiscono sia sul mercato obbligazionario che su quello azionario, andando ad impattare sul sentiment degli operatori.
• Ogni aumento dei tassi di interesse, negli ultimi 20 anni, ha preannunciato un’inversione della curva dei rendimenti che poi si è materializzata in una recessione (come la bolla di internet, quella del mercato immobiliare e successivamente, seppur evento imprevisto, la pandemia di covid 19)
UNO SGUARDO AI GIORNI NOSTRI
Basandomi su ogni concetto espresso in questa analisi e nelle 3 precedenti, è chiaro che ormai i tassi di interesse verranno alzati a marzo:
Il mondo azionario e quello obbligazionario, nel nostro presente, si stanno muovendo esattamente nello stesso modo dei precedenti 20 anni. A marzo arriverà l’aumento dei tassi di interesse. Secondo voi questo porterà, come è già accaduto, ad un’inversione della curva dei rendimenti e ad una successiva recessione contemporaneamente al crollo dei mercati azionari?
Questo per me è probabile. Non so se succederà perché non sono nè mago , tanto meno un indovino; mi piace tuttavia analizzare e capire quelle che possono essere le possibilità in un futuro non troppo lontano. E’ questo il motivo per cui il 9 dicembre 2021, su tradingview, ho condiviso un’analisi dal titolo “l'inversione dei mercati azionari giungerà nel 2022”? La stessa analisi deriva da considerazioni di questo tipo, e questo tipo di analisi intermarket mi permettono di capire in anticipo tantissime situazioni che possono venire a crearsi. E questo, chiaramente, mi permette di essere preparato ad ogni eventualità.
E’ fondamentale studiare i vari asset che compongono il mondo finanziario e la loro correlazione. Riuscendo a capire le meccaniche e la psicologia ad essi associati si può avere un vantaggio enorme.
Grazie, Matteo Farci.
CORRELAZIONE TRA OBBLIGAZIONI E DOLLARO AMERICANOSalve ragazzi, vi condivido alcune grafiche di un'analisi che domani andrò a condividere sul mio blog, in cui tratterò come argomento le varie correlazioni esistenti tra il dollaro americano e il mercato obbligazionario in diverse condizioni di mercato, tra condizioni di risk off come questa:
a condizioni di rialzi e ribassi dei tassi di interesse come quest'altra:
analizzando bene tutte le varie tematiche.
E' importante conoscere queste varie tematiche visto il grande nervosismo sui mercati finanziari.
Buon weekend, Matteo Farci
Accelerazione al ribasso per il differenziale US10Y - US02YIl grafico in figura mostra la differenza tra i rendimenti dei titoli di stato Americani a 10 anni e quelli a 2. Quando il valore di questa differenza si riduce, i rendimenti dei titoli di stato Americani a 2 anni, performano meglio di quelli a 10, poiché gli investitori vedendo incertezza nel breve termine, tendono a vendere obbligazioni a brevi scadenze, alimentandone l'aumento del tasso di interesse.
Quando preoccuparsene?
Nel caso in cui il differenziale risulti negativo, il sentiment di mercato del mondo obbligazionario potrebbe anticipare uno storno di mercato.
Da una analisi di Backtesting, valori negativi di questo indice hanno rispettivamente anticipato: Bolla Dot-com, Crisi Subprime, Crollo causato da pandemia.
Riaccadrà? Non è detto, ma è bene osservare di tanto in tanto questo grafico per monitorare le possibili correlazioni tra mondo obbligazionario e mondo azionario.
Buon Trading a tutti!
INFLAZIONE: LA REAZIONE DEI MERCATI AL DATO PIU' CALDO DAL 1982Buongiorno ragazzi. L’obiettivo di questa idea è analizzare la reazione avuta dai mercati prima, durante e dopo la lettura del dato inflazionistico più alto dal 1982: +7,5% anno/anno.
L’analisi è lunga e molto ricca di contenuti e opinioni per cui vi dividerò la stessa in 3 parti in maniera tale da permettervi di leggere quella che più vi interessa:
1. La reazione dei mercati prima della lettura del dato
2. La reazione dei mercati durante la lettura del dato
3. La reazione dei mercati il giorno dopo la lettura del dato
Vi suggerisco di leggere tutto perché è fondamentale capire in giornate simili quali siano i posizionamenti degli investitori. Capirlo aiuta a prendere decisioni sulla nostra operatività per massimizzare i profitti.
Prima di iniziare l’analisi vi comunico il fatto che sto ultimando un blog dal titolo “macrofinance” in cui condividerò tante altre idee. Pochi giorni e quando sarà ultimato, vi avviserò rispettando le linee guida imposte da tradingview.
IL DATO SULL’INFLAZIONE
Gli analisti si attendevano un dato dal +7,3% (in accelerazione rispetto al precedente) ma, come spesso è accaduto negli ultimi due anni, sono stati smentiti: +7,5% anno su anno, +0,6% mese/mese.
Entriamo nel sito ufficiale del US Bureau Labor of Statistic (ente che rilascia il dato) ed esaminiamo l’aumento dei prezzi categoria per categoria:
www.bls.gov
Vi riporto i punti salienti:
• I prezzi dell'energia sono aumentati del 29,3%; i prezzi della benzina sono aumentati del 49,6% dopo essere scesi del 15,2% nel 2020; quelli del gas naturale sono aumentati del 24,1% nel 2021, molto più dell'aumento del 4,1% nel 2020. Il prezzo dell’elettricità è aumentata del 6,3% nel 2021.
• I prezzi dei veicoli nuovi sono aumentati dell'11,8% dopo un aumento del 2,0% nel 2020. I prezzi delle auto e degli autocarri usati sono aumentati del 37,3% dopo essere aumentati del 10,0% nel 2020. Il recente aumento di 12 mesi è stato il più grande cambiamento da dicembre a dicembre nella storia di questo indice.
• I prezzi di carne, pollame, pesce e uova sono aumentati del 12,5% dal 2020 al 2021, quasi il triplo dell'aumento del 4,6% nel 2020. I prezzi delle bevande analcoliche sono aumentati del 5,2%.
• Aumentano i prezzi dell’abbigliamento con un +5,8%.
A tal proposito vi invito a leggere l’idea pubblicata da me il 27 ottobre 2021 riguardo questo argomento, in cui analizzavo l’azienda “Ralph Lauren” descrivendo come i prezzi di cotone, petrolio e fibre sintetiche avrebbero successivamente impattato sull’inflazione e sulle revenue dell’azienda:
• Non si riscontrano aumenti nei farmaci da prescrizione
PARTE 1: LA REAZIONE DEI MERCATI PRIMA DELLA LETTURA DEL DATO
Riscontrato tutto ciò, possiamo quindi capire come il picco inflazionistico non sia ancora arrivato.
Detto ciò, cosa si aspettava il mercato qualche giorno prima? Una lettura del dato superiore o inferiore alle stime? Cerchiamo di capirlo attraverso l’analisi degli asset che più rispondono a questa tematica: mondo obbligazionario, Fed Funds, Dollaro Americano e Oro.
MONDO OBBLIGAZIONARIO
RENDIMENTO DEI TITOLI DI STATO A 10 ANNI
Vi condivido un grafico orario per maggior concretezza. Prendiamo in analisi tutta la settimana iniziata il 7 febbraio fino ad arrivare alla candela antecedente la pubblicazione del dato:
Come potete osservare, i rendimenti sul decennale si sono mossi poco e niente. Questo a parer mio significa che gli investitori stavano aspettando la lettura del dato, incerti su quale potesse essere.
Perché vi ho condiviso i rendimenti sul decennale? Perché, come dico sempre, un rialzo di esso è legato a prospettive di crescita economica e prospettive inflazionistiche alte. Dal momento che l’economia è in fase di rallentamento, il rialzo è unicamente causato dalla spirale inflazionistica. Come possiamo però osservare, il decennale non ha anticipato nulla, né un dato superiore alle attese tantomeno il contrario; ipotizzando che il mercato si aspettasse un dato superiore alle attese, probabilmente avremmo visto un decennale aumentare il rendimento i giorni prima, viceversa decrementare. Invece non si è mosso. Questo è chiaramente solo uno dei diversi indicatori da considerare quando si esaminano questo tipo di dinamiche. Vediamo gli altri.
RENDIMENTO DEI TITOLI DI STATO A 2 ANNI
Anche in questo caso condivido un grafico orario.
La stessa analisi compiuta per il decennale può essere applicata anche al due anni in quanto i grafici sono tra loro molto simili: candele molto ristrette e volatilità tanto bassa. Ricordiamo che il rendimento del titolo di stato a 2 anni risponde però a diverse dinamiche: esso è fortemente dipendente dalle mosse di politica monetaria. La logica quindi dice che se gli investitori stessero scontando i giorni prima un dato al di sopra o al di sotto delle aspettative, il rendimento sarebbe aumentato o diminuito gli stessi giorni (questo perché un dato superiore alle aspettative avrebbe probabilmente reso la FED ancora più aggressiva visto anche il dato sul mercato del lavoro molto positivo; lo stesso vale per l’esatto contrario). Questo non è accaduto, segno del fatto che gli operatori fossero incerti.
Concludendo, posso affermare che il mercato obbligazionario ci ha trasmesso un messaggio di “incertezza” nei riguardi del possibile valore del dato.
I FED FUNDS
Ricordo che i Fed Funds sono dei future scambiabili sul CME che rappresentano l’opinione che gli investitori hanno riguardo il valore che i tassi di interesse potrebbero avere ad una determinata data. E’ un future molto utile per diversi motivi:
• Dà una visione riguardante il sentiment che gli operatori di mercato hanno riguardo le scelte di politica monetaria futura e ciò assume particolare rilevanza dal momento che i mercati finanziari sono influenzati direttamente e indirettamente da essa .
• Permette la possibilità a noi traders di assumere posizioni speculative sulle future mosse da parte della Federal Reserve.
Ho parlato di questo argomento in maniera più approfondita in una precedente idea, vi consiglio di leggerla per capirne di più:
Tornando a noi, condividiamo il grafico (ancora orario) e studiamo i posizionamenti degli investitori:
Come nei precedenti casi, anche qui gli investitori ci hanno fatto capire come fossero incerti: il grafico ha lateralizzato per tutta la settimana, indicazione del fatto che essi, appunto, fossero abbastanza incerti. Perché dico ciò?
Considerate il fatto che se si fossero aspettati una lettura più alta delle stime probabilmente avremmo visto i giorni prima un grafico scendere verso il basso (perché un’inflazione più alta delle attese avrebbe sicuramente rinforzato l’idea di un aumento più massiccio dei tassi a marzo, probabilmente di oltre 25 punti base) in caso contrario salire verso l’alto se il CPI fosse stato più basso delle aspettative. Abbiamo invece visto una lateralizzazione. Ricordate sempre che una lateralizzazione, in analisi tecnica, non è altro che un momento incerto in cui gli investitori attendono prima di prendere una posizione, al rialzo o al ribasso che sia; viceversa, può anche essere considerato come quel momento temporale in cui gli investitori caricano il prezzo aggiungendo delle posizioni, prima di farlo esplodere o verso l’alto o verso il basso; per chi non lo sapesse, il “caricare” le posizioni è una strategia atta a massimizzare un profitto.
DOLLARO AMERICANO
Vediamo se il dollaro statunitense poteva fornirci un’indicazione diversa rispetto agli altri asset. Utilizziamo gli stessi parametri temporali:
Stessa identica situazione: lateralizzazione. Quali potevano essere gli scenari? Se gli operatori si aspettavano in anticipo un dato eccessivamente caldo il valore del dollaro sarebbe salito (in quanto, come ho descritto in precedenza, un dato superiore alle attese avrebbe probabilmente reso la Fed più aggressiva con una diretta conseguenza sul rialzo dei tassi che sarebbe andato a rafforzare il rendimento del dollaro), viceversa sarebbe sceso. Invece il grafico non ha preso una vera e propria direzionalità.
ORO
Nel grafico orario del future sull’oro possiamo notare una direzionalità, in particolare verso l’alto:
A parer mio ciò non è dovuto al fatto che gli investitori stessero scontando un dato positivo o negativo.
Contestualizzo questo rialzo facendo riferimento alla crisi geopolitica creatasi da ormai qualche tempo tra Stati Uniti e Russia. L’oro, essendo bene rifugio, è lecito che si apprezzi in situazioni come quella appena descritta. Proprio a causa di questo “rumore di fondo”, non reputo quindi questo rialzo attendibile ai fini dell’anticipazione del CPI.
S&P500 E NASDAQ
Gli indici più importanti come hanno reagito nella settimana presa in esame fin’ora? Dalle analisi credo che gli investitori avessero già scontato un aumento dei tassi a marzo e una lettura dell’inflazione non più alta delle stime. Vediamo perché:
I grafici sono molto simili tra loro: i primi giorni della settimana continuavano a scrollarsi di dosso il rapporto sul non farm-payrolls che è stato importante ai fini della future scelte di politica monetaria, come spiego nell’idea pubblicata qualche giorno fa:
in contemporanea, i livelli del VIX per l’S&P e del VXN per il Nasdaq continuavano a salire, sintomo del fatto che gli investitori fossero “impauriti” (ricordate che gli indici di volatilità sono conosciuti come gli “indici di paura”). Dopo tutto è cambiato: dal 9 febbraio (giorno prima dell’uscita del CPI), entrambi i bechmark sono saliti e, in contemporanea, entrambi gli indici di paura sono scesi, arrivando a toccare valori di relativa tranquillità (20 punti per il VIX e 25 per il VXN). La domanda è: se gli investitori si aspettavano un dato che superava le aspettative, avremmo visto questo comportamento da parte degli indici? Assolutamente no, specie per il Nasdaq, essendo fortemente growth (e quindi molto più penalizzato in quanto le aziende growth facenti parte dell’indice avrebbero avuto le loro revenue future erose dall’inflazione). Avremmo visto probabilmente gli indici della paura salire e contemporaneamente i benchmark scendere. La loro tranquillità è dimostrata dalla volatilità in contrazione.
Riassumendo il tutto, abbiamo quindi avuto dei segnali contrastanti:
• Gli investitori obbligazionari erano incerti
• Gli investitori sul dollaro erano incerti
• Quelli sull’oro avevano la loro attenzione non solo sull’uscita del dato, bensì più sul fronte geopolitico
• Quelli sugli indici scontavano un dato relativamente “tranquillo” (dico relativamente perché un’inflazione intorno al 7% è eccessivamente dannoso per un sistema economico).
Posso concludere questa prima parte dicendo che il mercato, in generale, era abbastanza incerto. Affermo ciò in quanto le mie analisi sono state contrastanti tra loro.
PARTE 2: LA REAZIONE DEI MERCATI DURANTE LA LETTURA DEL DATO
Vediamo ora la reazione alla lettura del dato: condividerò per ognuno degli asset un grafico orario, cercando di commentare i perché e i per come delle reazioni:
S&P500 E NASDAQ
Come era prevedibile, il +7,5% anno/anno ha scosso i due bechmark, che hanno tuttavia riportato perdite diverse:
• All’uscita del dato e per la mezz’ora successiva (ossia il momento della giornata con più volatilità) l’S&P ha perso il -0,9% mentre il Nasdaq il -1,47%. Questa differenza è da ricercare nella diversa asset class degli indici: il Nasdaq essendo pesantemente tecnologico ne ha logicamente risentito di più dal momento che le revenue delle sue aziende, essendo orientate nel futuro, sono minacciate dalla stessa inflazione; l’S&P invece, avendo maggiormente aziende value, ne ha risentito di meno.
• Alle 22, alla fine delle contrattazioni, quello a perdere di più (per gli stessi motivi sopracitati) e il Nasdaq, che segna un -2,16% (l’S&P chiude con un -1,78%)
• Notate i volumi: come è normale che sia, all’uscita di un dato del genere si crea il caos in cui alcuni investitori (o retail) aprono e chiudono posizioni (per speculazione o per copertura), e ciò si riflette poi nella quantità di volumi scambiati
• Il dato ha creato paura ed emotività: questo è dimostrato dagli indici di volatilità. Il VIX segna un +19% mentre il VXN un +9%
In conclusione, come possiamo riassumere il tutto? La notizia non è stata presa affatto bene.
MONDO OBBLIGAZIONARIO
Sul mondo obbligazionario c’è ben poco da dire; esso si è comportato da manuale:
• Il rendimento sul decennale è esploso al rialzo, spinto da paure inflazionistiche persistenti (e infatti, come dico ormai a sfinimento, tale rendimento risponde proprio a quel tipo di dinamica): +3,42% all’uscita della notizia e un +6,5% dall’uscita del dato alla chiusura delle contrattazioni. Superato il 2% di rendimento.
• Stesso discorso per il 2 anni. Un aumento sopra le attese avrebbe significato una Fed più aggressiva (con tassi di interesse applicati più alti). Gli investitori hanno rispettato le attese? Direi di si: +7,33% all’uscita del dato e un +21,5% dall’uscita del dato alla chiusura delle contrattazioni.
DOLLARO AMERICANO
Nel dollaro possiamo notare tanto nervosismo. Come era normale che fosse, la lettura del dato ha portato tanta volatilità, permettendo al prezzo dapprima di aumentare del +0,47%, per poi rimangiarsi tutto con le candele delle 16:00 e delle 17:00. Verso fine sessione abbiamo poi riassistito a un nuovo impulso rialzista.
Da notare anche i volumi: sono aumentati vertiginosamente alle 14:30, per poi diminuire via via che ci si avvicinava alla fine della sessione di contrattazioni.
Per quanto riguarda la mia opinione, esso non si è proprio comportato da manuale. Come ho spiegato nella parte 1, una lettura del dato sopra le stime avrebbe significato sicuramente una FED ancora più aggressiva nella quantità e nell’entità dei rialzi dei tassi di interesse (visto anche l’ottimo rapporto sul mercato del lavoro) che avrebbe dovuto quindi rinforzare la valuta (una valuta con tassi di interesse più alti è più attraente per gli investitori esteri). Questo però non è accaduto; la valuta ha sicuramente chiuso la giornata in positivo, ma non come mi aspettavo. E’ forse cresciuta di valore il giorno dopo? Se volete saperlo, leggete anche la parte 3!
ORO
Stessa sorte è toccata all’oro. Eccessivo nervosismo dalle 14:30 alle 15:00, e ciò è dimostrabile dalle grandi upper e lower shadows della candela oraria delle 14:00. Nelle ore dopo il metallo prezioso ha provato ad apprezzarsi riuscendoci, per poi tuttavia chiudere la giornata in negativo. Da notare i volumi superiori alla media: più si avvicinava la fine della seduta delle contrattazioni, più diminuivano.
I volumi si sono comportati in maniera quasi speculare a quelli visti sul dollaro americano. Sapete cosa significa questo loro decremento graduale? Che gli operatori su questi due asset avevano assorbito la notizia e si stavano semplicemente “calmando”; come ho spiegato prima, la lettura di questi dati macroeconomici porta a mercato tanto nervosismo ed emotività: un modo efficace per capire se queste sono in fase di diminuzione è studiare i volumi: essi, in questo senso, non mentono mai!
FED FUNDS
Comportamento da manuale dei Fed Funds. Come vi ho illustrato nella grafica, alla lettura del dato il future ha perso il -0,15%. Ciò in termini più pratici cosa significa?
Come ho scritto in un’idea pubblicata qualche settimana fa, per capire l’entità dei tassi di interesse scontati dagli operatori, bisogna applicare la semplice differenza:
100 (TASSI DI INTERESSE ALLO 0%) – VALORE DEL FUTURE
Sottraiamo ora alla quantità 100 la differenza tra 100 e il -0,15% (cioè quello scontato dal mercato alla lettura del dato):
100 – (100 -0,15%) = 0,15 PUNTI BASE
Quindi, in conclusione, cosa ci ha riferito il grafico sui Fed Funds? Che, dopo la lettura del dato sull’inflazione più alta dal 1982, il mercato si aspetta un ulteriore rincaro dei tassi di interesse di 15 punti base. Tutto chiaro?
Se non lo fosse, vi invito a leggere l’idea riguardante i Fed Funds:
oppure cercarmi in privato!
BITCOIN
Essendo la crypto uno degli asset più volatiliti del mercato, non deve stupire la sua escursione di 3 punti percentuali, al rialzo e al ribasso. L’asset si è comportato in maniera simile all’oro, andando a perdere alla lettura del dato un -2.7%, recuperando dopo con tre candele rialziste dal +4,1% per poi rimangiarsi tutto a fine seduta. Grande aumento dei volumi, seguentemente diminuiti all’avvicinarsi della chiusura delle contrattazioni.
PARTE 3: LA REAZIONE DEI MERCATI IL GIORNO DOPO LA LETTURA DEL DATO
In quest’ultima parte andrò ad esaminare essenzialmente la chiusura di tutti i principali mercati, per capire quale sia stata la reazione finale al dato sul CPI. Partiamo dai due benchmark di riferimento.
S&P500 E NASDAQ
Direi che dalla lettura del dato alla chiusura della settimana entrambi abbiano performato molto male, soprattutto il Nasdaq con un -5,06% (S&P500 un -3,5% circa). Interessanti gli indici di paura, incrementati in maniera preoccupante: +44,3% per il VIX e un +27% per il VXN. Questi valori potrebbero significare alta volatilità e paura anche la prossima settimana e questa mia ipotesi è rafforzata da un fatto particolare: focalizzate la vostra attenzione sui volumi. Notate come essi siano andati in crescendo verso la fine della sessione di venerdì? Ecco, questo significa grande volontà da parte degli investitori di portare il prezzo a valori ancora più bassi. Vedremo la prossima settimana in cosa si tradurrà questa loro azione.
ANALISI SETTORIALE: QUALI SONO STATI I MIGLIORI SETTORI DOPO LA LETTURA DEL CPI?
In basso vi riporto le performance settore per settore dopo il comunicato del US Bureau of Labor Statistics.
Mi vorrei soffermare in particolare su 3 settori:
1. Settore dei beni discrezionali
2. Settore dei beni di prima necessità
3. Settore tecnologico
• Riferendomi a chi utilizza l’analisi intermarket come me, vi siete chiesti il motivo per il quale il settore dei beni discrezionali abbia registrato delle performance inferiori al 4%? Perché è il settore più vicino all’economia essendo esso fortemente ciclico. Come spiegavo in una mia precedente idea, le aziende facenti parte dell’etf di questo settore operano nel campo della vendita al dettaglio (specialità, multilinea, Internet e marketing diretto); alberghi, ristoranti e tempo libero; tessili, abbigliamento e beni di lusso; beni durevoli per la casa; automobili; componenti per auto; distributori e prodotti per il tempo libero (ossia dei beni discrezionali, non essenziali); tutti questi settori vanno a performare bene in periodi economici stabili e forti, mentre vanno a soffrire quando un’economia inizia a vacillare. Come vi ho detto precedentemente, un’alta inflazione va a danneggiare un sistema economico e quindi appare piuttosto normale ai miei occhi vedere il settore XLY performare peggio di altri. Tutto chiaro?
• Continuando il senso del discorso, appare quindi piuttosto scontato il fatto che il settore dei beni di prima necessità sia stato quello a soffrire di meno. Esso è il settore difensivo per eccellenza: le aziende all’interno dell’etf operano nei settori della vendita al dettaglio di prodotti alimentari e di base, bevande, tabacco, prodotti per la casa e prodotti personali (quindi beni di prima necessità); le performance di questo settore vanno a “difendersi” piuttosto bene in periodi economici di rallentamento o comunque incerti in quanto le loro revenue rimangono piuttosto “stabili” dal momento che il loro modello di business si basa sulla vendita di prodotti di cui la popolazione non può farne a meno; ed ecco quindi che la lettura caldissima del CPI non è andato troppo ad intaccare le sue performance, in quanto se esso in un futuro andrà a far vacillare l’economia statunitense (come sta tutt’oggi facendo), queste aziende non soffriranno troppo (o per lo meno, soffriranno meno di altre).
• Per quanto riguarda il settore tecnologico, applichiamo lo stesso ragionamento fatto fin’ora riferendoci al Nasdaq: tutte le aziende facenti parte del settore tech sono per lo più growth, ossia non basano i loro guadagni nel presente ma, avendo una visione di crescita nel lungo periodo, basano i loro fatturati in periodi spostati nel tempo. Un’alta inflazione, per definizione, và ad erodere i guadagni. Per cui: se le prospettive di inflazione (anche per il futuro) rimangono alte, è abbastanza normale che gli investitori non acquistino azioni (o comunque derivati di azioni) per speculare sulla loro crescita futura, in quanto l’inflazione limiterebbe fortemente la loro crescita. Ecco quindi che il settore tecnologico perde più rispetto agli altri settori. Attenzione però: con questo non voglio dire che il settore tecnologico non crescerà più fin tanto che i dati sul CPI rimarranno alti, dico solo che sarà più penalizzato se confrontato ad altri settori (come, ad esempio, il settore dei beni di prima necessità).
Come ultimo settore da analizzare ritroviamo quello energetico, l’unico in territorio positivo. Che dire? La fortissima correlazione con il petrolio sta permettendo performance che ad ora, per altri settori, sono proibitive.
Sarà di estrema importanza studiare le prossime mosse della OPEC (organizzazione mondiale dei paesi produttori di petrolio) per poter avere una visione più chiara delle performance che l’energy sector potrà offrirci nelle prossime settimane. Come opinione personale posso affermare che in tempi di alta inflazione il settore energy performa piuttosto bene grazie al fatto che il petrolio, in cicli economici di questo tipo, tende a sovraperformare. Da non dimenticare il fatto che esso è value, caratteristica settoriale che sta tendendo a sovraperformare da dicembre 2021 il suo “rivale” growth, come è possibile osservare nella grafica che segue:
MONDO OBBLIGAZIONARIO
Vi condivido come ho fatto fin’ora i due rendimenti dei titoli di stato USA più conosciuti: il 2 anni e il 10 anni. Successivamente analizzo il loro spread:
Dopo il grande impulso rialzista segnato alla lettura dell’inflazione (se lo aveste fatto vi consiglio di leggere anche la parte 1 e 2 in cui spiego tutto), entrambi i rendimenti l’ultimo giorno di contrattazioni della settimana hanno rintracciato brevemente. Mi aspetto un ulteriore incremento da parte dei due in quanto le tensioni inflazionistiche continuano a permanere (il picco inflazionistico non è stato ancora raggiunto) e perché confido in una FED ancora più aggressiva che in un modo o nell’altro, attraverso la politica monetaria, cercherà di calmierare una situazione macroeconomica oramai sfuggita di mano.
Ricordate ancora una volta:
1. Le decisioni di politica monetaria vanno ad impattare sui rendimenti dei titoli a 2 anni
2. Le tensioni inflazionistiche sui rendimenti del decennale
Per quanto riguarda lo spread, esso continua a contrarsi.
Per chi non conoscesse questo spread e volesse capirne di più, consiglio la lettura di questa idea da me pubblicata in cui parlo dell’argomento:
Tornando a noi, esso ora si attesta al 0.41%. Ricordo che lo 0% sarebbe il segnale di una possibile recessione.
Ragionando in maniera logica, cosa dovrebbe succedere affinchè lo spread arrivi a livelli dello zero? Essendo una sottrazione, i rendimenti del 2 anni dovrebbero crescere maggiormente rispetto a quelli a 10 anni. Perché accada ciò, dovremmo vedere quindi una FED più aggressiva, tanto da far esplodere i rendimenti a 2 anni ,appunto. Questo potrebbe accadere nel caso in cui la banca centrale sorprendesse gli investitori con una politica monetaria ancora più aggressiva (ciò con rialzi di tassi di interesse più aggressivi sia in quantità che in intensità). Allora, a quel punto, potremmo vedere uno spread contrarsi ancora di più. E se fosse, spiegato in termini più pratici, cosa potrebbe accadere all’economia? Un rialzo molto aggressivo dei tassi di interesse potrebbe bloccare pesantemente essa in quanto i privati e le imprese non avrebbero più facilità di accesso al credito, e questo si rifletterebbe in maniera diretta sulla fiducia dei consumatori, che andrebbe a calare ulteriormente. A cosa si andrebbe incontro se le condizioni diventassero tali? Un rallentamento delle vendite al dettaglio che, successivamente, porterebbero chiaramente ad un ulteriore rallentamento economico che sfocerebbe poi in una recessione. Avete capito ora il motivo per cui è importante dare sempre un’occhiata a questo spread? Le dinamiche che ci stanno dietro sono simili a quelle da me descritte.
MATERIE PRIME
Cercate il miglior asset in assoluto di questi ultimi mesi? Guardate l’ETN di Bloomberg sulle materie prime, che racchiude un paniere di tutte le commodities (in cui una parte rilevante è riservata alle energetiche):
L’ultimo impulso rialzista, ancora non terminato, è nato agli inizi di dicembre 2021 circa. Nella grafica spiego come sia ancora conveniente, a parer mio, investire in materie prime; il motivo è da ricercare nel rapporto tra le performance delle varie asset class e i cicli economici. Mi spiego meglio.
Un cambio di ciclo economico non è anticipato unicamente dai dati macroeconomici e dal mercato obbligazionario, bensì anche dal trend delle principali asset classes, ossia azioni, obbligazioni e materie prime. Quando ci avviciniamo a un cambio di ciclo economico (come sta accadendo ora, da espansione economica a rallentamento economico) i primi asset ad invertire la loro tendenza sono le obbligazioni, che passano da essere rialziste ad essere ribassiste (e infatti, se andate a vedere i grafici dei titoli di stato, essi sono tutti ribassisti):
Successivamente è il mercato azionario ad invertire il suo trend; è quello che sta succedendo dal momento che i mercati americani (e non solo) stanno soffrendo pesantemente? E’ probabile.
Dopo l’inversione del mercato azionario, arriva quello delle materie prime. Credo che esse abbiano ancora spazio per correre al rialzo dal momento che non si ha ancora la certezza schiacciante che il ribasso dei mercati azionari degli ultimi tempi siano imputabili proprio al cambio di ciclo economico. Staremo a vedere.
Continuando il nostro discorso sulle materie prime, come ha chiuso infine la settimana il Gold? Direi piuttosto bene:
Riesce a raggiungere i 1860$, impresa da non poco vista l’eccessiva difficoltà riscontrata in tutto il 2021 (considerate che il metallo prezioso è riuscito a raggiungere tale prezzo soltanto 4 volte dagli inizi del 2021). C’è da contestualizzare il tutto. La candela dal +1,77% di venerdì trova origini probabilmente dalle parole di Powell di venerdì, parlando di una possibile guerra mondiale se la Russia fosse arrivata alle armi. E l’oro che fa? Si comporta da manuale. Essendo bene rifugio anche per quanto riguarda le crisi geopolitiche, mette a segno una performance giornaliera strabiliante. Sarà necessario monitorare da vicino il susseguirsi della vicenda USA-Russia-Ucraina, perché l’oro sta rispondendo alla crisi in maniera abbastanza diretta.
DOLLARO AMERICANO
Dopo il nervosismo di giovedì 10, gli investitori hanno ripreso coscienza e, da manuale, hanno fatto apprezzare il biglietto verde. Come altre tante situazioni che vi ho già mostrato nell’idea, anche questa è degna di un manuale di analisi fondamentale: abbiamo già detto che un’alta inflazione probabilmente rafforza l’idea della FED di una politica ancora più aggressiva, con tassi di interesse più aggressivi sia in quantità che in entità: a ciò corrisponde il rafforzamento del dollaro, che aumenterebbe di conseguenza il suo tasso di rendimento e quindi il suo appeal nei riguardi degli investitori esteri. La domanda che tutti si pongono è: il trend rialzista riprenderà con forza? Questo lo vedremo, ma la mia visione è long.
FED FUNDS
Nella parte 2 avevamo visto come l’emotività degli operatori avesse scontato all’uscita del dato sull’inflazione un ulteriore aumento dei tassi di interesse di 15 punti base per la riunione di marzo. Ebbene, il giorno dopo parte dell’emotività è stata rimangiata dal momento che i Fed Funds hanno segnato un rialzo dello 0,11%. In termini prettamente pratici ciò significa che se il prezzo del future scadenza marzo 2022 si attesta a 99.71, possiamo utilizzare la differenza di cui ho parlato precedentemente per verificare, ad oggi, quale sia il tasso di interesse che il mercato si aspetta:
100 (tasso di interesse allo 0%) – 99.70 (prezzo del future scadenza marzo 2022) = 0.30 punti base
Ad oggi, quindi, il mercato si aspetta (a marzo 2022) un tasso di interesse allo 0.30%
BITCOIN
Come ultimo asset analizzo il Bitcoin. Anche esso sembra aver risentito del dato sull’inflazione vista la candela rossa dal -4,05% di venerdì alla chiusura della settimana. Ad ora siamo in un trend ribassista dal momento che lo stesso prezzo si ritrova sotto entrambe le medie mobili da me utilizzate (quella veloce, a 50 periodi, e quella lenta, a 200 periodi). Ci sono alcuni aspetti tecnici che voglio mostrarvi:
1. Il prezzo potrebbe continuare la sua salita fino ad arrivare a livelli di prezzo coincidenti con i rintracciamenti di Fibonacci di 0.38%, 0.5% e 61.8% per poi riprendere la sua discesa. Tuttavia troverebbe diversi ostacoli: entrambe le medie mobili ma soprattutto il point of control volumetrico, coincidente proprio con gli stessi rintracciamenti.
2. Abbiamo avuto un segnale rialzista dato dal golden cross, ossia lo scavallamento della media mobile a 50 periodi a danni di quella a 200 periodi
3. Si è parlato tanto della correlazione tra la crypto e il Nasdaq: in basso, utilizzando il coefficiente di correlazione, vi mostro come essa stia svanendo. Basterà questo per far risalire la crypto?
Insomma, gli ostacoli che Bitcoin incontrerà qualora volesse rivisitare valori di 50K dollari o 60K dollari sono tanti. Vi ho mostrato alcuni accorgimenti a cui prestare attenzione.
LE PAROLE DI BIDEN SU UNA POSSIBILE GUERRA MONDIALE HANNO SCOSSO I MERCATI?
Il venerdì pomeriggio è giunta a noi attraverso i media una notizia alquanto raccapricciante: Biden ipotizza una clamorosa guerra mondiale nel caso la Russia puntasse le armi. C’è effettivamente stata una reazione dei mercati a questa notizia? Proviamo a capirlo studiando i prezzi dei beni rifugio Oro, Yen giapponese, Franco Svizzero e Dollaro Usa (bene rifugio di breve termine) confrontandoli con l’S&P500 in un timeframe a 30 minuti.
L’idea termina qua. E’ lunghissima (24 pagine) ma credo che sia fondamentale capire l’impatto che un dato macroeconomico come quello dell’inflazione può avere prima, durante e dopo la sua uscita. Ho fatto uno sforzo non indifferente per poter contribuire in questa community con un’analisi del genere, quindi spero possiate apprezzare.
MATTEO FARCI
MERCATO DEL LAVORO, FED FUNDS E RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATOBuongiorno ragazzi, l’idea di questo lunedì non si baserà sulla tipica analisi intermarket della settimana precedente, bensì sull’impatto che i dati sul non farm payrolls, disoccupazione e retribuzione oraria media hanno avuto sui Fed Funds. Spiegherò il motivo del rialzo dei rendimenti a 2 e 10 anni dei titoli di stato statunitensi, il tutto correlato alle prossime decisioni della FED americana. Volevo proporre qualcosa di diverso dal solito, se apprezzate l’idea lasciate un like in maniera tale da farmi capire se questi contenuti sono apprezzati in maniera tale da riproporveli in futuro.
I DATI SUL MERCATO DEL LAVORO: NON FARM PAYROLLS E LIVELLO DI DISOCCUPAZIONE
Come di consuetudine il primo venerdì di ogni mese il Bureau of Labor Statistics rilascia due dati fondamentali riguardanti il mercato del lavoro negli Stati Uniti: le buste paga del settore non agricolo e il livello di disoccupazione.
Gli analisti, considerando l’impennata dei casi omicron in gennaio (il picco era stato raggiunto a metà gennaio, appunto), si aspettavano dei dati deboli, rispettivamente:
• Buste paga del settore non agricolo: 150K
• Livello di disoccupazione: 3,9%
Entrambi i dati hanno sorpreso le attese:
• Buste paga del settore non agricolo: 467K
• Livello di disoccupazione: 4%
Nonostante i livelli di disoccupazione siano saliti dello 0,1% rispetto al mese precedente, i nuovi posti di lavoro creati hanno registrato un aumento percentuale sopra le attese del 211%, segnando un +467K.
COSA SONO I FED FUNDS
I Fed Funds sono dei future scambiabili sul CME che rappresentano l’opinione che gli investitori hanno riguardo il valore che i tassi di interesse potrebbero avere ad una determinata data. E’ un future molto utile per diversi motivi:
• Dà una visione riguardante il sentiment che gli operatori di mercato hanno riguardo le scelte di politica monetaria futura e ciò assume particolare rilevanza dal momento che i mercati finanziari sono influenzati direttamente e indirettamente da essa.
• Permette la possibilità a noi traders di assumere posizioni speculative sulle future mosse da parte della Federal Reserve.
Il grafico continuos del future ha questo aspetto:
COME SI LEGGE IL FUTURE E PERCHE’ E’ INFLUENZATO DAL MERCATO DEL LAVORO STATUNITENSE
Come ho spiegato poco fa, l’andamento di questo future è influenzato dalle decisioni di politica monetaria della Fed. Vi starete chiedendo che rapporto possa esistere tra la federal reserve e il mercato del lavoro: ciò è da ricercare negli obiettivi perseguiti dalla stessa: essi sono la stabilità dei prezzi (e quindi la regolazione dell’inflazione) e l’occupazione.
Nell’analisi da me pubblicata il 31 gennaio in cui analizzavo l’impatto che avesse avuto la banca centrale sui mercati dopo il meeting, che trovate al link:
analizzavo le parole di Powell durante conferenza, che vi riporto:
“Si è assistito ad un aumento dei posti di lavoro solido tanto che il tasso di disoccupazione è diminuito sostanzialmente. Con un'inflazione ben al di sopra del 2% e un mercato del lavoro forte, il Comitato prevede che presto sarà opportuno aumentare i tassi”.
Avete capito ora il motivo? In base a questi parametri la banca centrale pianifica la sua politica: questo è il motivo per il quale il future segue questa dinamica.
Detto questo, il contratto continuos sui fed funds, a parer mio, dice poco e niente. E’ invece interessante studiare i contratti ad una determinata scadenza, come tra poco vi illustrerò.
Facciamo riferimento ora ad una delle affermazioni più accreditate dell’ultimo mese:
“GLI OPERATORI SI ASPETTANO CHE I TASSI DI INTERESSE SARANNO AUMENTATI A MARZO”
Per capire se è effettivamente così, andiamo ad osservare il contratto future sui Fed Funds con scadenza marzo 2022:
Vediamo come il prezzo del future abbia lateralizzato per circa un anno, non prendendo mai una vera e propria direzionalità. Questo perché? Perché il mercato non stava ancora scontando l’aumento dei tassi di interesse! Ha iniziato a scontarli dal momento che il rettangolo di distribuzione è stato bucato al ribasso, agli inizi di dicembre 2021! Affermo con certezza questa mia ultima affermazione dimostrandovelo grazie al Nasdaq:
Al primo falso breakout del rettangolo di distribuzione, il Nasdaq segnava l’ultimo massimo storico. Successivamente, quando il breakout è stato validato, l’indice tech ha provato a rivisitare i massimi senza riuscirci e, successivamente, ha subito delle ingenti perdite.
Questo poteva essere solo un modo per constatare se, effettivamente, gli investitori avessero iniziato a scontare i tassi di interesse in quel periodo indicato nel grafico (tra novembre e dicembre 2021). Un altro modo possibile è l’analisi dei volumi:
Come potete constatare, quando il mercato non scontava aumenti dei tassi i volumi erano relativamente bassi: i contratti su questo future era poco scambiati. Quando il mercato ha invece iniziato a credere fortemente al loro aumento, i volumi sono aumentati in maniera forte, segno del fatto che molti operatori, probabilmente per hedging (per protezione), hanno iniziato a specularci. Quando i volumi sono bassi, c’è poco appetito da parte del mercato verso il contratto in questione e, in questo caso, ciò si traduce in “poco interesse”. Quando i volumi e di conseguenza l’interesse nei confronti del tema “aumento tassi” ha iniziato a prendere piede, i volumi sono aumentati. Sono stato chiaro?
I volumi non sono solo importanti per capire l’entità di un breakout o per costruirci una strategia di trading, bensì anche in situazione come queste. Un grafico lascia tantissime informazioni e noi dobbiamo essere attenti, scaltri e conoscere la materia per saper cogliere la palla al balzo!
Tornando al nocciolo della questione, come capiamo l’aspettativa sul tasso di interesse futuro? Con una semplice differenza:
Applichiamo la differenza tra 100 (che rappresenta in forma numerica il tasso di interesse allo 0%) e il prezzo del future corrente, in questo caso 99.745:
100 - 99.745 = 0,265
Questo significa che oggi il mercato si aspetta che i tassi di interesse, nella riunione del FOMC di marzo, verranno alzati del 0,25%.
Questa differenza può essere applicata anche a contratti a scadenza più lontana. Facciamo una prova: le successive due riunioni del FOMC dopo marzo sono previste il 3-4 maggio 2022 e il 14-15 giugno. Andiamo ora a selezionare i due future sui fed funds con scadenza maggio 2022 e giugno 2022:
Come potete notare dalla grafica, in questo periodo gli investitori si aspettano che i tassi saranno tra al 0.5%/0.75% a maggio e al 0.75%/1% a giugno.
CORRELAZIONE DIRETTA TRA RENDIMENTI SUI TITOLI DI STATO A 2 ANNI E FED FUNDS
Nelle mie idee passate avrete letto tantissime volte la frase “la parte a scadenze brevi della curva dei rendimenti è sensibile alle scelte di politica monetaria”. Il titolo di stato di riferimento per le scadenze brevi è quello a 2 anni. Vediamo se ha effettivamente un rapporto con i fed funds:
Come potete osservare, entrambi, per mesi, hanno avuto un andamento non strutturato. Poi qualcosa è cambiata:
1. Ad inizio ottobre 2021 i volumi sono iniziati ad aumentare in maniera importante sul future, segno che la tematica sui tassi di interesse stava iniziando a prendere piede.
2. Nello stesso momento, i rendimenti dei titoli a due anni hanno rotto al rialzo il rettangolo di accumulo e successivamente hanno creato un piccolo triangolo ascendente
3. Dopo un mese è avvenuto anche il breakout del triangolo di distribuzione sul future e, contemporaneamente, la rottura del triangolo ascendente al rialzo
4. Entrambi gli asset hanno iniziato a muoversi a braccetto.
Mi son state fatte tante domande riguardanti l’argomento sui rendimenti a 2 anni nelle ultime settimane, spero di essere stato chiaro. Credo non ci sia maniera migliore di questa per spiegare il motivo della breve frase “la parte corta della curva è influenzata dalle decisioni di politica monetaria”.
Tornando a noi, anche in questo caso l’analisi tecnica ci è stata molto utile per poter individuare dei segnali molto concreti che il sentiment del mercato sui tassi di interesse stesse cambiando (analisi dei volumi, i breakout sui rettangoli e il breakout sul triangolo ascendente).
RETRIBUZIONE ORARIA MEDIA, INFLAZIONE E RENDIMENTI SUI TITOLI DI STATO A 10 ANNI
Le buste paga del settore non agricolo e il livello di disoccupazione non sono stati gli unici dati importanti della scorsa settimana. Un altro a cui presto sempre attenzione è la retribuzione oraria media, che misura il cambiamento della retribuzione oraria media nelle principali aziende. Ora vi mostrerò la crescita anno/anno che questo ha presentato:
04.02.2022 (Gen) 5,7%
07.01.2022 (Dic) 5%
03.12.2021 (Nov) 5,1%
05.11.2021 (Ott) 4,8%
08.10.2021 (Set) 4,6%
03.09.2021 (Ago) 4%
06.08.2021 (Lug) 4,1%
02.07.2021 (Giu) 3,7%
04.06.2021 (Mag) 1,9%
07.05.2021 (Apr) 0,4%
Come potete constatare, si è passati dallo 0,4% di aprile 2021 al 5,7% di gennaio 2022. Questo dato va ad aumentare tendenzialmente in periodi di ripresa economica, quando tutte le aziende di un Paese riprendono ad assumere manodopera.
Quest’aumento tendenziale dei salari non è altro che quel fenomeno definito come “inflazione salariale”; in linea logica, più i salari aumentano, più i salariati saranno disposti a spendere: questo andrebbe poi a generare una spirale inflazionistica generale.
Tornando a noi, venerdì 4 è uscito il dato per gennaio 2022 che, come ho detto precedentemente, si è attestato al 5.7%. Dal momento che i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni crescono o decrescono rispondendo a dinamiche di crescita/decrescita economica o inflazione, come possiamo aspettarci che essi si siano comportati? Osserviamolo in un grafico a 15 minuti:
Alle 14:30, ora italiana dell’uscita del dato, il rendimento sul decennale americano è esploso segnando un +4,51%.
Ora capite quando provo a spiegarvi che i rendimenti delle scadenze più lunghe dei titoli di stato (in particolare il decennale, che è il riferimento) rispondono a questi tipi di dinamiche? Spero di avervelo dimostrato ancora una volta.
L’analisi di questo lunedì termina qua, spero i contenuti siano apprezzati. Sarà molto importante seguire da vicino i dati macroeconomici che ho analizzato in questa idea, in quanto le prossime scelte di politica monetaria saranno dettate dallo svilupparsi di essi. Probabilmente, a dati sul lavoro più forti e inflazione galoppante, dovremmo aspettarci una Fed più aggressiva. E questa aggressività dove si ripercuoterebbe? Sui Fed Funds. E questi chi influenzano in maniera diretta? I mercati finanziari!
Volevo aggiungere che ho intenzione di creare un canale personale in cui condividerò tante altre idee riguardanti i mercati finanziari, materie prime e forex, analisi di mercato e correlazioni tra asset e dati macroeconomici. Vi comunicherò quando il progetto sarà ultimato, rispettando chiaramente le linee guida imposte da tradingview.
Grazie, Matteo Farci
ANALISI MACRO DELL'ULTIMA SETTIMANA: COME HA IMPATTO LA FED?Buongiorno ragazzi! La passata è stata una settimana molto turbolenta essendo stata influenzata negativamente dalla Federal Reserve e dal suo presidente Jerome Powell. L’obiettivo di questa analisi è analizzare il comportamento che gli investitori hanno avuto durante e l’ora successiva la conferenza della Fed. Vi riporterò in breve i punti salienti e poi passeremo subito ad analizzare i grafici.
LE PAROLE DI POWELL
Per quanto riguarda il tema riguardante l’economia e la sua ripresa, Powell dichiara che “gli indicatori dell’attività economica e dell’occupazione hanno continuato a rafforzarsi. I settori più colpiti dalla pandemia sono migliorati negli ultimi mesi, ma sono stati colpiti dal recente forte aumento dei casi di Covid-19”. Per quanto riguarda il tema sul mercato del lavoro e tasso di disoccupazione, ha dichiarato che “si è assistito ad un aumento di posti di lavoro solido tanto che il tasso di disoccupazione è “diminuito sostanzialmente”.
Per quanto riguarda invece uno dei temi più sensibili dell’ultimo anno, ossia l’indice dei prezzi al consumo, il presidente ha affermato che “con un'inflazione ben al di sopra del 2% e un mercato del lavoro forte, il Comitato prevede che presto sarà opportuno aumentare i tassi”.
Dobbiamo prestare maggior attenzione all’affermazione del presidente riguardante la possibilità che i prezzi (e quindi l’inflazione) potrebbero continuare a salire. Quest’ultimo dato, che tanto era stato considerato transitorio, sta iniziando a diventare preoccupante?
La riduzione dei bilanci, inoltre, avverrà presto (non si è specificata una data certa).
Quindi, riassumendo in breve, l’outlook nei confronti dell’economia statunitense è positiva visti i continui miglioramenti nel mercato del lavoro che, sulla stessa linea d’onda, hanno fatto abbassare il tasso di disoccupazione. Per questo motivo e per il fatto che l’inflazione inizi a diventare un problema (“inizia a diventare” per la Fed, credo che per i cittadini questo problema persista invece ormai da più di un anno) si prevede un aumento dei tassi di interesse (altro tema caldissimo degli ultimi mesi) in cui non si è precisato quando avverrà (verosimilmente a marzo).
La conferenza stampa di Powell è datata al 26 gennaio. Vediamo ora le reazioni degli operatori sui due bechmark di riferimento (S&P500 e NASDAQ).
S&P500 E VIX, NASDAQ E VXN E DIVERSI SETTORI
Come potete ben osservare, entrambi gli indici, dall’inizio della conferenza stampa e per l’ora e mezza successiva (dalle 20 alle 21.30) hanno perso abbastanza terreno. In particolare, l’S&P ha perso un -2,9% circa mentre il Nasdaq un -3,6% circa; come mai il Nasdaq ha perso di più? A parer mio il motivo è da ricercare nelle parole di Powell relative alle preoccupazioni inflazionistiche: un’inflazione più persistente del previsto va a danneggiare maggiormente gli indici pesantemente growth, com’è appunto il Nasdaq, in quanto erode i guadagni futuri delle aziende.
Guardando queste performance, appare chiaro che gli investitori abbiano mal digerito le dichiarazioni della Fed. Voglio fare un’analisi riguardante i volumi, in particolare quelli scambiati prima della conferenza stampa e quelli scambiati in contemporanea: notate nei rettangolini rossi (in basso) di entrambi i benchmark come, prima dell’evento, essi fossero abbastanza bassi. Sapete il motivo? Gli investitori stavano aspettando per poter prendere una posizione decisa, scommettendo, per dire, a conti fatti, e non ipotizzando le parole qualche ora prima. Per essere più chiaro, sappiamo quanto questi eventi siano in grado di destabilizzare un mercato, per cui che senso aveva per gli operatori scommettere ore prima sulle parole che avrebbe potuto dire Powell? Hanno aspettato e non hanno scommesso, e ciò è dimostrato dai bassissimi volumi di scambio. Alle 20 hanno iniziato a digerire le parole di Powell e allora sì che hanno aperto (o comunque chiuso) delle posizioni, e ciò è facilmente riscontrabile nell’aumento repentino degli stessi volumi evidenziati nei rettangolini di color azzurro. Questa quantità di contratti aperti in long o in short rappresenta l’emotività momentanea degli operatori, che poi si è andata a calmierare le ore successive, quando i prezzi di entrambi gli indici hanno continuato a perdere terreno. Con quest’ultimo appunto riguardo i volumi voglio trasmettere delle cose per me importanti: l’importanza di capire l’emotività e di quanto questa possa far schizzare il prezzo e come agiscono in generale gli operatori in questi particolari eventi: se non avete le idee chiare, state attenti a prendere delle posizioni, perché qualsiasi dato macro o qualsiasi intervento della Fed possono essere imprevedibili; e collegandoci all’emotività, era abbbastanza scontato che anche i due indici rappresentativi della stessa schizzassero per aria: VIX +18%, e VXN +10%.
ANALISI SETTORIALE
Adesso andiamo invece a considerare le performance dei singoli settori:
Vi ho condiviso dei grafici orari, evidenziando con il rettangolino rosa le candele immediatamente successive alle dichiarazioni di Powell: molto male il settore tecnologico con un -2.34%, settore immobiliare (-2.33%), settore delle comunicazioni (-2.04%) e settore dei beni discrezionali con un -2.24%; si difendono meglio degli altri il settore delle utilities con un -0.74%, il settore dei beni di prima necessità con un -0.69% e il settore finanziario con un -0.9%. I restanti settori perdono tra il punto e il punto e mezzo percentuale.
Ora focalizziamo l’attenzione sul motivo per il quale alcuni settori abbiano fatto peggio di altri: è un caso che il settore tecnologico e quello delle comunicazioni abbiano perso oltre 2 punti percentuali? No! Il motivo è da ricercare nelle componenti degli etf stessi: il settore tecnologico, nemmeno a dirlo, è pesantemente growth, e come spiegavo nel paragrafo precedente, è normale che gli investitori abbiano svenduto più contratti (o azioni, o abbiano chiuso operazioni long) di un settore che potrebbe essere più penalizzato di altri (viste le prospettive di inflazione persistente e aumento dei tassi di interesse); stessa cosa vale per l’etf XLC del settore delle comunicazioni: le prime tre partecipazioni dello stesso etf sono Meta, che occupa un peso del 22.36%, Alphabet inc classe A con un peso dell’11.28% e Alphabet inc classe C con un 10.5%. Queste tre partecipazioni, compattate con loro, costituiscono il 44.14%, quasi la metà dell’intero paniere; vediamo le performance orarie di queste 3 aziende:
Sono abbastanza negative, Meta arriva a perdere oltre 2 punti e mezzo percentuali. Ora capite perché XLC non è stato risparmiato dalle vendite?
Comportamento anomalo da parte del settore Real Estate, che tipicamente va a performare bene in periodi di moderata/alta inflazione dal momento che gli immobili costituiscono di per sé una protezione contro la stessa vista la possibilità da parte dei possessori di immobili o edifici residenziali di distribuire l’aumento dei prezzi dei beni appena menzionati ai consumatori (per fare qualche esempio, un aumento dell’inflazione è accompagnata da un aumento dei prezzi delle case e degli affitti e grazie a questo i possessori riescono a distribuire tale aumento ai compratori).
Ritornando a considerare le performance settoriali orarie post-FED , vi siete chiesti come mai il settore delle utilities, dei beni di prima necessità e finanziari sono quelli che hanno sofferto di meno? I primi due settori menzionati sono difensivi e value! Il fatto di essere difensivi conferisce loro una determinata protezione in giornate come quelle del 26 gennaio (ad alta volatilità); il fatto di essere value ha permesso agli stessi di essere meno soggetti alle parole di Powell riguardo i tassi di interesse e soprattutto nei riguardi dell’inflazione (perché questi due parametri vanno pesantemente ad influenzare le aziende ad alta crescita ma non quelle con un business forte e focalizzato sul presente come, appunto, le aziende e settori value). Lo stesso discorso vale per il settore finanziario, che è value ma non difensivo. Per dimostrarvi ciò che ho appena considerato, guardiamo le performance orarie del settore value e growth:
Come potete osservare, il value ha perso molto meno (-1.29% contro un -2.03%).
ANALISI DEL MERCATO OBBLIGAZIONARIO
Adesso analizziamo il mondo obbligazionario prima e dopo la conferenza della FED. Vi condividerò due grafici: nel primo saranno visualizzati i rendimenti delle scadenze brevi della curva dei rendimenti (rendimenti dei titoli a uno, due, tre, cinque e sette anni), mentre nel secondo i rendimenti delle scadenze più lunghe; nel rettangolo di color rosa andrò ad evidenziarvi le candele formate dai titoli immediatamente e durante la conferenza:
Riagganciandomi alle diverse performance dei diversi titoli, vi voglio far notare diverse situazioni che chiarirebbero concetti che ho già ripetuto nelle mie idee precedenti:
1. Le scelte di politica monetaria vanno sempre ad influenzare maggiormente la parte breve della curva. Questo perché la parte breve è influenzata dalle aspettative per la politica monetaria della Federal Reserve: aumenta quando ci si aspetta che la FED aumenti i tassi e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti; questo è riscontrabile a livello grafico? Direi proprio di si! E’ dimostrato dal fatto che le scadenze brevi abbiano registrato incrementi tra il 4.5% e il 10%, mentre le scadenze lunghe tra il 2.3% e il 4.2%!
In particolare, sono proprio i rendimenti a 2 anni ad essere più influenzati dalla politica monetaria, tant’è che risultano quelli con la performance maggiore (un massiccio +10%). Per logica, quindi, potevamo aspettarci che i rendimenti a più lunga durata registrassero performance meno importanti, e così è stato. Questi sono i migliori momenti per poter visualizzare se determinate informazioni da noi studiate nei libri siano effettivamente vere e riscontrabili, e io opero sempre in questo modo, andando a ricercare le “verità”.
2. I rendimenti a più lunga scadenza, soprattutto quelli di riferimento a 10 anni (considerati il bechmark) non rispondono direttamente alle decisioni della Fed, ma più ad aspettative sull’inflazione e alle leggi di domanda e offerta; ed è proprio per le aspettative sui prezzi al consumo che a parer mio hanno fatto quel movimento; dopotutto Powell si è dimostrato “più spaventato del solito” nei riguardi di questa tematica; è possibile che abbia spaventato gli investitori che, come lui, credevano nella transitorietà del fenomeno? E’ plausibile.
3. Lo stesso discorso che ho fatto per l’S&P500 e per il NASDAQ lo ripropongo anche per gli asset obbligazionari: vedete come le candele che hanno preceduto le 20:00 del 26 gennaio (le candele precedenti alla riunione della Fed) abbiano il corpo molto piccolo? Ciò significa “calma piatta”, riferita al fatto che gli operatori non avevano ancora preso delle decisioni o delle posizioni prima delle dichiarazioni di Powell. Anche il mondo obbligazionario, quindi, si è comportato come quello azionario; prestate molta attenzione a queste situazioni!
BITCOIN
Per quanto riguarda le performance della crypto, cosa possiamo dire?
Avevamo affrontato una discussione secondo la quale BTC si stesse correlando positivamente ai mercati azionari, in maniera particolare al settore tech:
Conoscendo questo tipo di correlazione, come vi immaginate che BTC si sia comportato? Quasi in maniera speculare allo stesso settore tech!
Focalizzate l’attenzione sul rettangolino azzurro (che evidenzia come negli altri grafici visti in precedenza l’arco temporale in cui è andata in onda la conferenza di Powell): vedete la grande correlazione positiva? Vedete come le performance siano state molto simili tra loro?
Questa è l’importanza delle correlazioni: capirle è fondamentale in giornate di questo tipo.
La domanda da farsi ora è questa: in quali mercati gli investitori hanno immesso la loro liquidità?
VALUTE RIFUGIO: YEN E FRANCO SVIZZERO
Le valute rifugio per eccellenza sono state anche stavolta (come avevamo constatato nelle idee precedenti) un rifugio sicuro? Vediamolo in due grafici a timeframe 15 minuti:
La risposta è no! Stavolta anche esse, indistintamente, sono scese. Lo yen, tra le 20:00 e le 22:00 cade del -0.27% mentre il Franco, nello stesso arco temporale, del -0.36%. Anche in questo caso vi ho evidenziato i volumi prima e durante la conferenza: vale lo stesso discorso fatto per il mercato azionario e obbligazionario.
DOLLARO AMERICANO
Il protagonista, stavolta, è stato il dollaro americano. Vediamolo in un grafico a 15 minuti e spieghiamo il motivo:
All’inizio della conferenza di Powell e per le due ore successive la valuta ha registrato un +0,37%, molto meglio rispetto a tutti gli altri asset visti fin’ora. Il motivo è da ricercare nell’effetto che gli aumenti dei tassi di interesse hanno nei confronti di una valuta: sapete che correlazione c’è? Non ne esiste soltanto una, ma diverse:
1. Tipicamente una banca centrale aumenta i tassi di interesse per andare a calmierare un’inflazione causata da una ripresa e successiva espansione economica. Gli investitori di tutto il mondo, chiaramente, preferiscono andare ad investire in un paese con un’economia in ascesa, sana e forte: questo significa che lo stesso paese andrebbe a subire un grande afflusso di capitali esteri. Acquistare un asset straniero significa chiaramente acquistarlo nella valuta locale: ciò si correla alla legge della domanda e dell’offerta: più moneta richiedo, più quella moneta andrà a rafforzarsi.
2. Ricollegandoci al fatto che i tassi di interesse vengono tipicamente alzati per calmierare un’economia in surriscaldamento, possiamo fare il discorso opposto per i tassi che vengono abbassati per andare a cercare di rafforzare un’economia in recessione; in questo caso come si comportano gli investitori?
Tenderanno ad acquistare valute dei paesi con economie in espansione e a vendere valute dei paesi in recessione: è così quindi che si va ad operare su cambi valutari in cui una delle valute è considerata forte (con dei tassi di interesse positivi) e una debole (con dei tassi di interesse negativi).
3. I tassi di interesse vanno ad influenzare anche i forex-trader: diversi broker, alla chiusura delle contrattazioni, effettuano le cosiddette operazioni di swap: queste consistono in un versamento da parte a parte (da broker a trader) del tasso di interesse delle monete del cambio in cui si è aperto un trade. Facendo un esempio molto pratico: immaginiamo che io, Matteo Farci, abbia aperto una posizione long sul cambio Euro/Dollaro Usa. Assumiamo l’Euro con un tasso di interesse del 5% e il Dollaro con un 1%: io andrò a versare il tasso di interesse sulla moneta che ho venduto (ossia l’1%) e mi verrà versato il tasso sulla moneta che ho acquistato (il 5%): capite il vantaggio?
Mi rendo conto che non è un argomento semplicissimo da capire, penso dedicherò un’analisi che focalizzerà l’attenzione nei riguardi questi concetti, in quanto è fondamentale capirli visto il fatto che tutte le banche centrali mondiali si stanno muovendo con le loro politiche monetarie.
LA REAZIONE DEI METALLI PREZIOSI
Molto spesso sento dire che l’oro è una protezione contro l’inflazione e ciò potrebbe essere vero, nel lungo periodo. Il discorso è che se lo fosse stato anche nel breve, probabilmente alle dichiarazioni di Powell riguardanti la non transitorietà dello stesso fenomeno inflattivo il metallo prezioso si sarebbe dovuto apprezzare. Questo è successo?
Direi di no. Entrambi gli asset (l’altro è l’argento) hanno perso oltre il mezzo punto percentuale. La mia opinione riguardo a ciò trova diverse logiche:
L’oro, nel breve periodo, non ti protegge dall’inflazione.
La discesa è dovuta all’apprezzamento del dollaro USA che abbiamo analizzato nel paragrafo precedente (l’oro è scambiato in dollari, per cui se il dollaro aumenta il suo valore va a sfavorire gli investimenti sul gold da parte di investitori detentori di altre valute, perché andrebbero a pagare di più per acquistare la stessa quantità di contratti).
Prestate attenzione alla correlazione inversa tra i rendimenti dei titoli di stato reali (rendimenti nominali aggiustati all’inflazione) e l’oro stesso, che trovate in questa grafica:
fred.stlouisfed.org
E’ chiaro che se il valore sul dato dell’inflazione rimane costante e invariato mentre il rendimento a 10 anni, come abbiamo visto prima, schizza per aria l’oro per, appunto, la correlazione inversa, sarebbe sceso in quasi ugual proporzione, e ciò è riscontrabile nel grafico FRED che vi ho condiviso!
Aprite in particolare questo link e andate a selezionare il 26 gennaio:
fred.stlouisfed.org
Vedete quanto la correlazione sia inversa?
Per quanto riguarda invece l’argento, esso ha seguito sostanzialmente il movimento dall’oro, da cui è da sempre influenzato.
I MERCATI HANNO RAGGIUNTO IL BOTTOM?
La preoccupazione di diversi operatori in questo momento è: il mercato ha raggiunto il suo minimo? Adesso risalirà? Rivedremo i massimi storici? A parer mio è difficile da dire e da prevedere. Quello che posso dire è che, a causa dell’alta volatilità, né l’S&P500 tantomeno il NASDAQ hanno avuto una settimana con una vera e propria direzionalità infatti, come vedrete nei due grafici giornalieri in basso, il prezzo si è mosso all’interno dei rettangolini da me colorati di color rosa:
Quello che ho appena evidenziato è più chiaro in dei grafici a timeframe più bassi, come quelli orari, in cui possiamo notare altre cose interessanti:
Innanzitutto entrambi i grafici sono molto simili tra loro; i due prezzi hanno formato nell’ultima settimana una lateralizzazione; c’è da chiedersi se esso sarà un consolidamento (se il prezzo romperà il rettangolo di congestione verso l’alto) o una distribuzione (se esso lo romperà verso il basso). Come potete osservare, ho tracciato in entrambe le lateralizzazioni l’intervallo fisso volumetrico, il cui point of control mi visualizza l’area di prezzo in cui sono stati scambiati più volumi; è evidente che il prezzo si stia pian piano gonfiando, e quella indicata con il point of control e l’area in cui si sta combattendo la guerra tra compratori e venditori. Inoltre vi ho visualizzato i volumi: vedete come essi siano molto più accentuati quando il prezzo arriva in corrispondenza delle strutture di supporto e resistenza della lateralizzazione? Ciò sta ad indicare che sono delle aree di prezzo in cui tanti attori del mercato reagiscono, e ciò si riflette appunto sui volumi stessi. Unica eccezione la zona volumetrica indicata in entrambi i grafici con il rettangolino verde, in quanto è l’unica area in cui i volumi sono rimasti molto bassi nonostante in prezzo fosse sulla resistenza: questo è dovuto al fatto che in quelle ore di contrattazioni i mercati statunitensi fossero chiusi e di conseguenza gli operatori a mercato risultassero molti meno. Da questa analisi oraria abbiamo quindi capito come i minimi toccati dai due bechmark siano molto importanti. Vi voglio però riportare gli stessi grafici a livello settimanale per farvi notare un qualcosa di molto importante:
Ho condiviso prima il settimanale dell’S&P e successivamente quello del Nasdaq; è interessante notare che tracciando il visible range in entrambi i benchmark dalla candela settimanale del rimbalzo di marzo 2020 dopo il crollo dei mercati causati dalla pandemia e l’ultima settimana terminata il 28 gennaio 2022, ci rendiamo conto che il point of control (come vi ho spiegato prima, l’area di prezzo in cui sono scambiati più volumi) si trova al di sopra di entrambi i prezzi. Per la mia visione dei mercati, potrei quindi affermare che vedrei il prezzo più in alto le prossime settimane soltanto se entrambi gli indici riuscissero a chiudere con una candela settimanale al di sopra dello stesso point of control.
E come ultima cosa, non dimentichiamoci la volatilità. Statisticamente, a volatilità considerevoli, un mercato tende a scendere e non a salire, e queste grafiche ne sono la prova:
Vedremo quindi se questi “indici di paura” vedranno una discesa.
L’analisi termina qua. So che probabilmente è stata lunga, ma determinati concetti, a parer mio, non possono essere spiegati in due righe e anzi, se proprio devo essere sincero, avrei potuto continuare a scrivere altre 50 pagine. Volevo comunque trasmettervi le mie conoscenze che, in giorni come questi, possono aiutarvi a leggere meglio i mercati; è importante capire cosa succede ma soprattutto perché succede, e io cerco sempre di spiegare grazie a studi e logica la psicologia che sta dietro i mercati. Inoltre ci aspettano dei periodi in cui le banche centrali del mondo non interverranno con le loro politiche monetarie una volta, bensì diverse! Ed è proprio per questo che è fondamentale sapere come muoverci e, determinate volte, capire quali potrebbero essere le mosse dei mercati, attraverso analisi macro, correlazioni, volumi e volatilità potrebbero permetterci di guadagnare di più e/o limitare le perdite. Spero di essere stato chiaro, qualora non lo fossi stato cercatemi in privato su Instagram o tradingview, o commentate l’idea.
Volevo aggiungere inoltre che ho intenzione di creare un canale personale in cui condividerò tante altre idee riguardanti i mercati finanziari. Vi comunicherò quando il progetto sarà ultimato, rispettando chiaramente le linee guida imposte da tradingview.
Grazie, Matteo Farci
CORRELAZIONE TRA ARGENTO E LO SPREAD DEI TITOLI DI STATO USABuongiorno a tutti. Sapete quanto mi piaccia correlare i diversi asset finanziari tra loro, includendo anche l’economia; per questo, oggi vi propongo una correlazione particolare tra il mondo delle commodities e quello delle obbligazioni: la correlazione tra l’argento e lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni e 2 anni.
Adesso proverò a far luce sul motivo di tale rapporto e perché è importante guardarlo.
L’ARGENTO COME METALLO INDUSTRIALE
Avrete di certo sentito definire l’argento come “metallo industriale”. Vi siete mai chiesti il motivo? Ciò dev’essere ricercato nell’utilizzo del metallo stesso: non solo è tra i protagonisti nel campo della gioielleria, ma anche in svariati campi industriali, tutti diversi tra loro. Il motivo è da ricercare nelle sue caratteristiche fisiche: esso è il miglior conduttore di elettricità, con una conducibilità maggiore del 4%/8% rispetto a quella del rame.
Altre caratteristiche fisiche che contraddistinguono questo metallo sono la brillantezza, la malleabilità e la duttilità. I diversi utilizzi in campo industriale spaziano dalla saldatura delle leghe alle batterie, dall'odontoiatria al rivestimento di bicchieri; viene utilizzato per la produzione di chip led, nella medicina, per la fabbricazione di reattori nucleari, nel campo della fotografia, dell'energia solare o fotovoltaica, per la predisposizione dei chip RFID, per la produzione di semiconduttori, touch screen, nella purificazione delle acque, per la produzione di conservanti per il legno e per numerosissimi altri usi industriali. Insomma, come potete ben notare non è solo un metallo “prezioso”
IL MOVIMENTO DELL’ARGENTO NEI CICLI ECONOMICI
La domanda da porsi, a parer mio, è questa: quando c’è maggior possibilità che il metallo si apprezzi o si deprezzi? Per provare a dare una risposta logica e facendo riferimento ai diversi cicli economici a cui si può andare incontro e alla legge della domanda e dell’offerta che governa il prezzo delle materie prime, la risposta è immediata: tenderà ad apprezzarsi in cicli economici favorevoli alla crescita e all’espansione, mentre andrà a deprezzarsi in cicli economici di rallentamento, contrazione o, se volessimo continuare, recessione o depressione.
In un’idea datata di qualche mese avevo trattato argomenti riguardanti i cicli economici, vi allego il link qua sotto:
Per chiarire il concetto, in una ripresa e successiva espansione economica (dall’estate 2020 alla fine del 2021 circa) la domanda e la fiducia dei consumatori è forte, e questo potete ben notarlo dai dati che potete reperire su internet; tipicamente abbiamo alti valori per quanto riguarda le vendite al dettaglio, la produzione industriale, i valori dei PMI e la fiducia dei consumatori stessa. L’aumento della domanda di beni (e servizi) da parte dei consumatori va poi a riflettersi sui produttori degli stessi beni, che andranno ad ordinare maggiori quantità di materie prime (importante guardare in questo caso gli indici dei direttori agli acquisti nel settore manifatturiero, PMI) facendo aumentare, per la legge della domanda e dell’offerta, il prezzo del sottostante richiesto. Questa è in genere la dinamica di prezzo che seguono le materie prime. Vi mostro una grafica in cui correlo i valori del PIL USA anno/anno e il prezzo dell’argento per chiarire meglio il concetto:
Ho considerato come riferimento due periodi storici particolari: la crisi del 2008 e quella del 2020.
E’ importante notare come il dato macroeconomico e il metallo industriale siano particolarmente correlati durante la recessione e successiva ripresa economica.
E’ molto importante considerare un qualcosa di fondamentale: la correlazione tra crescita e decrescita economica e argento è a parer mio da considerare solo in un arco temporale relativamente ristretto (dagli anni 2008/2010 ad oggi) in quanto l’argento stesso non è stato sempre stato un materiale così tanto industrializzato come lo è in questi ultimi anni, appunto. Considerate il fatto che negli ultimi anni le tecnologie si sono evolute in maniera molto repentina , così come la green economy e così, chiaramente, la domanda delle industrie nei riguardi del metallo. Quindi, concludendo, una correlazione tra una crescita/ espansione o rallentamento/recessione è valida soltanto quando il materiale preso in considerazione ha effettivamente un ruolo industriale di primaria importanza.
Ora, per completezza, includo nello stesso grafico gli altri parametri macroeconomici considerati precedentemente (vendite al dettaglio, consumer confidence e PMI).
Come potete osservare, la correlazione è particolarmente rivelante in momenti di recessione o ripresa. Vi voglio far osservare un’ultima cosa, poi passerò alla correlazione con lo spread tra rendimenti dei titoli di stato a 10 e 2 anni:
Focalizzate l’attenzione verso l’ultimo rettangolino di color verdino sulla destra e notate come in quell’area (da giugno a settembre 2021) i dati macroeconomici abbiano subito una decelerazione. Prestate ora attenzione all’argento: vedete come esso è stato reattivo nel rispondere al rallentamento degli altri?
LO SPREAD TRA I RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO A 10 E 2 ANNI
Dopo aver trattato argomenti riguardanti l’uso e la domanda relativa all’argento e i periodi in cui esso è più o meno richiesto, possiamo ricercare la stessa correlazione con uno dei barometri economici da me più utilizzati e probabilmente tra i più utili: lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato a 10 e a 2 anni. Parlo spesso di questo spread, che non è altro che la differenza tra il rendimento del un titolo di stato USA a 10 anni (a scadenza lunga) e quello a 2 anni (scadenza corta).
Lo spread si ottiene facilmente: è necessario selezionare nella barra di ricerca la dicitura “US10Y-US02Y”:
Come spiego nel riquadro azzurro, uno spread rialzista appartiene tipicamente a una ripresa ed espansione economica mentre uno ribassista ad un rallentamento economico; questo perché? Il motivo è da ricercare nella curva dei rendimenti. Ora costruirò due curve dei rendimenti: quella datata al 1 gennaio 2021 e quella datata un anno dopo, al 26 gennaio 2022, e poi spiegherò:
Notiamo innanzitutto come le due curve dei rendimenti siano piuttosto diverse tra loro. Ci sono sostanzialmente due grandi differenze: una nella parte a scadenze brevi e una in quella a scadenze lunghe; la differenza è da ricercare nei diversi cicli economici in cui la stessa curva è stata costruita: notiamo come la parte della curva a scadenze brevi del 1 gennaio 2021 non è tanto ripida quanto lo è stata invece fino al 26 gennaio 2022: questo perché la parte breve è influenzata dalle aspettative per la politica monetaria della Federal Reserve: aumenta quando ci si aspetta che la FED aumenti i tassi (come succederà a marzo verosimilmente) e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti (come è successo, appunto, durante lo scoppio della pandemia).
La seconda grande differenza è riscontrabile nella parte a scadenze più lunghe: notate come le scadenze lunghe della curva del 1 gennaio 2021 siano più “ripide” di quelle della curva del 26 gennaio 2022, in cui addirittura i rendimenti a 20 anni hanno superato in valore % quelli a 30 anni? Questa differenza, come nel caso delle scadenze corte, è da ricercare nei diversi cicli economici a cui appartengono le due diverse estremità. Esse, infatti, sono influenzate da diversi fattori, tra i quali le prospettive sull’inflazione: la porzione lunga del 1 gennaio 2021 era più ripida poiché la paura degli investitori nei riguardi del consumer price index era di rilevante importanza: questo perché? Perché l’inflazione è capace di erodere guadagni futuri. Considerando la questione in maniera molto pratica, che senso ha per un investitore acquistare un’obbligazione a 10 anni se poi, dopo 10 anni, il premio (o il rendimento) garantito dalla stessa obbligazione ha perso quasi tutto il suo valore a causa di un’alta inflazione? Ha ben poco senso. Per questo motivo, in quel periodo gli operatori vendevano obbligazioni a lunga scadenza, facendo aumentare i relativi rendimenti (per il rapporto inverso che esiste tra un’obbligazione e il suo rendimento, se si vendono obbligazioni a 10 anni, gli stessi rendimenti riferiti alla stessa obbligazione salgono). Riagganciandoci allo stesso discorso, ha però senso comprare un’obbligazione a lunga scadenza quando l’inflazione inizia a non costituire più un ostacolo, e questo accade quando le banche centrali applicano politiche monetarie restrittive (come l’aumento dei tassi di interesse): allora, in questo caso, gli operatori iniziano a ricomprare obbligazioni a più lunga durata, facendo abbassare il rendimento: quello appena descritto è il motivo dell’appiattimento dell’estremità lunga del 26 gennaio.
*mi sono abbastanza dilungato in questo aspetto perché spesso ricevo molte domande riguardanti questo particolare argomento
LA CORRELAZIONE TRA ARGENTO E LO SPREAD TRA I RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO A 10 E 2 ANNI
Per concludere, abbiamo quindi capito che a uno spread rialzista appartiene un periodo economico favorevole per le aziende (facile accesso al credito grazie ai tassi di interesse bassi o prossimi allo zero), per i consumatori e per la loro domanda. Viceversa, a uno spread ribassista corrisponde un rallentamento per le aziende (accesso al credito non più tanto favorito a causa delle strette monetarie della banca centrale di riferimento) e un rallentamento anche da parte dei consumatori; quindi, che correlazione possiamo aspettarci tra lo spread e il silver? Una correlazione positiva. Dimostriamolo graficamente:
Come potete notare, la correlazione c’è. Non possiamo parlare di una correlazione diretta perfetta (ossia uguale a 1), però possiamo affermare con certezza che, nel lungo periodo, c’è eccome.
Questa correlazione è più apprezzabile in un grafico settimanale e non giornaliero:
Come dicevo precedentemente, è importante considerare che la correlazione tra crescita e decrescita economica e argento è a da considerare solo in un arco temporale relativamente ristretto (dagli anni 2008/2010 ad oggi) in quanto l’argento stesso non è stato sempre stato un materiale così tanto industrializzato come lo è in questi ultimi anni. Questo possiamo osservarlo graficamente grazie a questo grafico mensile:
L’idea termina qua, spero vi sia piaciuta ma soprattutto che sia stata utile. Analisi e ricerche di questo tipo nascono dalla mia curiosità e passione nei confronti di questa materia; esse mi sono utili per avere una visione sempre chiara dei mercati, delle varie correlazioni e anche per massimizzare i profitti. L’obiettivo di questa analisi focalizza l’attenzione verso l’estrema importanza che riveste un determinato ciclo economico e poi come questo si ripercuote nei prezzi dell’argento. Ritengo quindi che questa sia una correlazione da osservare a cadenza mensile. Non meno importanti sono i vari report rilasciati da diverse agenzie, tra le quali il Silver Institute di cui parlo spesso, che possono far muovere il prezzo del sottostante al rialzo o al ribasso nel breve periodo.
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Matteo Farci
LA FED SCUOTE TUTTI I MERCATI? NO! ANALIS MACRO ULTIMA SETTIMANABuongiorno ragazzi, oggi volevo analizzare quello che è successo la scorsa settimana sui mercati finanziari statunitensi, in quanto è stata abbastanza particolare. Ci sono stati diversi dati macroeconomici e dichiarazioni che hanno fatto da padroni indiscussi. Tra questi elenco il vertice OPEC tenuto il 4 gennaio, i verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio ed infine i dati sulla disoccupazione e i non farm payrolls di venerdì 7 gennaio.
DECISIONI DELLA OPEC SULLA PRODUZIONE DI PETROLIO
La OPEC ha confermato che procederà con il previsto aumento della produzione di petrolio per il mese di febbraio 2022. L’aumento sarà di 400000 barili al giorno: quest’ultimo è stato approvato dopo che i membri OPEC hanno stimato un eccesso di offerta nell’anno 2022 inferiore a quello previsto in precedenza.
Nonostante la OPEC si attenda un nuovo surplus le stime indicano che sarà nettamente più contenuto di quanto ci si attendesse in precedenza con la produzione di petrolio che supererà la domanda mondiale di 1,4 milioni di barili al giorno nei primi tre mesi dell’anno rispetto agli 1,9 milioni della valutazione precedente.
Come ha preso la notizia il future sul Petrolio? Vediamo:
Dai minimi a 62$ circa del 2 dicembre, sembra che il Petrolio abbia recuperato piuttosto bene. A fine anno è stata rivisitata la resistenza a 76$ circa, quasi in corrispondenza della media a 50 periodi: il prezzo ha dapprima rintracciato brevemente, per poi andare (il 4 gennaio, giorno del meeting OPEC) a rompere al rialzo la media a 50 periodi, segnando infine una performance settimanale del +4,91%. Direi quindi che il mercato ha reagito piuttosto bene al meeting OPEC, non tanto perché la produzione è stata confermata anche per febbraio in aumento (ciò entrerebbe in contrasto per la legge della domanda dell’offerta, che dice che l’aumento dell’offerta di una materia prima è difficilmente accompagnata da un rialzo del prezzo della materia prima stessa), ma quanto perché gli aspetti della variante omicron, a conti fatti, non rallenteranno quanto ci si aspettava il consumo di petrolio.
Nonostante sembri che la positività in questa commodity sia tornata, vi voglio mostrare un piccolo campanello d’allarme, derivante dal cot report:
Vedete come il ribasso di tutto novembre (mese della scoperta della variante omicron) sia stata accompagnata da un trend ribassista da parte dei contratti dei large-speculators: probabilmente, in quello stesso periodo, tante operazioni erano state chiuse per 2 motivi:
1. Paura e incertezza nei riguardi della nuova variante che avrebbe potuto bloccare nuovamente l’economia mondiale
2. Prese di profitto a seguito del grande impulso rialzista di settembre-ottobre
Nell’ultimo mese (nonostante il prezzo si sia ripreso e sia passato nuovamente sopra la media a 50 periodi) si è creata una divergenza: lo spread tra contratti long e short si accorcia nonostante il prezzo continui a salire; come mai? Questo non posso saperlo, ma comunque lo considero un campanello di allarme, simbolo del fatto che il prezzo forse non è forte come sembra.
Per quanto riguarda invece la volatilità sull’asset, direi che si è tornati in condizioni di “tranquillità”, dal momento che l’indicatore è sceso sotto i 45 punti:
Quale sarà quindi il futuro destino del petrolio? Lo vedremo prossimamente, io vi ho riportato alcuni indicatori, ai quali vorrei aggiungervene un altro: tipicamente, in periodi di inflazione, le materie prime tendono a performare bene e tra queste non può certo mancare il crude oil.
IL FOMC, CIO’ CHE HA SCOSSO I MERCATI. MA PROPRIO TUTTI?
E qui veniamo ai verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio. In quell'occasione, i banchieri hanno annunciato l'accelerazione del processo che metterà fine agli stimoli monetari, con un tapering di 30 miliardi di dollari al mese (e non più 15 miliardi) per mettere fine al programma di aiuti da 120 miliardi al mese entro marzo. Il programma prevedeva 80 miliardi in titoli di Stato e 40 miliardi in titoli garantiti da mutui ipotecari. Inoltre, dopo il primo aumento dei tassi, si prevede anche una riduzione del bilancio.
Vi rilascio alcuni punti salienti dell’incontro:
“L'inflazione si sta dimostrando più alta e duratura del previsto e, per questo, potrebbe essere necessario alzare i tassi d'interesse prima del previsto; inoltre, è necessario ridurre il passo degli aiuti monetari, non più così necessari. Se il mercato del lavoro continuerà a migliorare con questo passo, i prerequisiti per un aumento dei tassi d'interesse potrebbero essere raggiunti relativamente presto”
Inoltre, dal dot plot (che è un grafico che registra ogni 3 mesi le previsioni della Fed) è emerso che la maggioranza dei banchieri prevede ora almeno tre rialzi dei tassi d'interesse nel 2022. Dopo la precedente riunione, a settembre, nove componenti su 18 del FOMC avevano invece ipotizzato almeno un rialzo dei tassi nel 2022.
Questa notizia è stata una sorpresa per i mercati che, come spesso vi dico, non hanno reagito affatto bene. Usando dei grafici a 30 minuti, vediamo quale è stata la loro reazione:
Vediamo come i due benchmark principali abbiano performato piuttosto male all’uscita del comunicato: l’S&P ha perso il -1,6%, mentre il Nasdaq il -1,92%. Sapete perché quest’ultimo è andato peggio? Ne parlo spesso, ma ora lo mostrerò:
A sinistra del grafico vi ho riportato la reazione del rendimento del decennale americano; vediamo come esso sia salito del +1,22%. Era normale che tale notizia scuotesse anche il mercato obbligazionario! Ma tornando a noi: come mai il Nasdaq ha perso di più? Per la correlazione che esiste tra inflazione e titoli growth! Ricordo che la parte lunga della curva dei rendimenti (costituita dalle scadenze a 10, 20 e 30 anni) si innalza tipicamente per due motivi: o per una previsione di crescita economica o per un’inflazione persistente (ed è ciò che è successo); direi che in questo momento siamo in una fase di espansione economica che non troppo tardi volgerà al termine, per cui la risalita dei rendimenti dei titoli a scadenza lunga è data dalla paura degli investitori di un’inflazione più persistente e duratura di quanto ci si aspettasse. Quali sono i titoli che più vengono danneggiati da un’inflazione alta e persistente? I titoli growth, che basano i loro guadagni sul futuro e non nel presente, e sappiamo quanto l’inflazione, appunto, eroda i guadagni futuri!
Guardate la correlazione inversa che esiste tra i rendimenti del decennale americano, il Nasdaq e l’etf XLK che rappresenta un paniere di aziende tecnologiche. Vedete che si muovono con buona approssimazione in maniera quasi opposta? Assistiamo a una correlazione molto inversa soprattutto quando il rendimento del decennale tende ad accelerare in maniera abbastanza aggressiva, come mostra appunto l’immagine:
Detto ciò, abbiamo capito come le tech, questa settimana, abbiano performato piuttosto male a causa del rialzo dei rendimenti obbligazionari. Al contrario di queste ultime, le value hanno invece performato bene, andando a segnare addiritura un +1,14%.
Vorrei inoltre farvi notare un qualcosa di importante:
Negli stessi momenti in cui il rendimento del decennale americano aumenta rapidamente, il settore Value tende a segnare buone performance, al contrario, come abbiamo visto prima, del tech. Sembra quasi che, in certi momenti, i due asset siano correlati positivamente. Sapete qual è la spiegazione?
Per farvelo capire, andrò a spacchettare l’etf del settore value dell’S&P500 per settori:
SETTORE FINANZIARIO 15,87%
SETTORE SANITARIO 15,56%
SETTORE INDUSTRIALE 12,89%
SETTORE TECNOLOGIE INFORMATIVE 12,40%
SETTORE CONSUMER STAPLES 10,72%
SETTORE CONSUMER DISCRETIONARY 7,72%
SETTORE SERVIZI DI COMUNICAZIONE 6,92%
SETTORE ENERGETICO 5,31%
SETTORE UTILITIES 5,04%
SETTORE MATERIALI 3,96%
SETTORE IMMOBILIARE 3,33%
Come possiamo notare, il peso maggiore è dato dal settore finanziario. Chiediamoci una cosa: come reagisce il settore finanziario all’aumento dei tassi di interesse e di conseguenza all’aumento dei rendimenti del decennale americano? Reagisce alla grande, tant’è che esiste una correlazione piuttosto positiva; vediamola:
Come mai c’è una correlazione diretta tra questi due asset? Le banche ricevono finanziamenti e creano successivamente guadagni in questo modo: ricevono innanzitutto fondi tramite i depositi dei clienti, a cui pagano tassi d’interesse a breve termine. Quindi, la parte corta della curva del rendimento rappresenta i costi di prestito della banca. Successivamente, guadagnano prestando denaro a tassi a lungo termine più alti. La differenza tra i due tassi (quello a lungo termine meno quello a breve termine) è nota come spread del tasso d’interesse e rappresenta il guadagno potenziale della banca. Quindi, più alto è un rendimento a scadenza lunga, più una banca ci guadagna, ecco spiegato il motivo! Il +5,43% dell’ultima settimana del settore finanziario non è stato un caso:
L’altro best performer della settimana è stato il settore energetico, rinforzato chiaramente dalla bella performance settimanale del petrolio, che segna un oltre +10%!
Vediamo le performance degli altri settori, per poi analizzare i titoli di stato a diversa scadenza, le materie prime e il dollaro.
SETTORE INDUSTRIALE E MATERIALI
Vediamo come il settore industriale abbia performato molto meglio rispetto a quello dei materiali. Non è un caso dal momento che, nel settore “value”, l’industriale occupa un peso del 12,89%.
SETTORE SANITARIO E DELLE COMUNICAZIONI
Il settore sanitario, nonostante rappresenti il secondo settore per peso all’interno dell’etf del settore value, ha subito tante vendite, chiudendo con una performance del -4,64%. Quello delle comunicazioni, invece, è ormai da diverso tempo in difficoltà, in particolare da inizi settembre 2021.
SETTORI BENI DI PRIMA NECESSITA’ E BENI DISCREZIONALI
I due settori hanno performato piuttosto diversamente: quello dei beni discrezionali male, -2,43%, mentre quello dei beni di prima necessità appena appena bene, segnando un +0,40%: questo è probabilmente dovuto al fatto che XLP è un settore difensivo, per cui probabilmente alcuni investitori hanno scaricato posizioni su settori più rischiosi a beneficio di alcuni meno rischiosi e quindi più difensivi. Ciò però è accaduto solo in XLP e non nel settore utilities, nonché difensivo, che perde oltre il punto percentuale:
Molto male il Real Estate, che segna una performance negativa del -4,9% dopo una cavalcata durata qualche settimana.
INDICE DELLE PAURE SUI MERCATI: VIX E VXN
Vediamo come i due indici, VIX (volatilità S&P500) e VXN (volatilità Nasdaq) si siano mossi in modo diverso: il VIX è rimasto all’interno dell’area di relativa tranquillità (sotto i 20 punti) mentre il VXN, al contrario, è salito oltre i 25 punti, a volatilità quindi preoccupanti. Come mai questa divergenza tra i due indici? Perché si ha avuto maggior paura per i titoli tech (e quindi del Nasdaq) a causa del rialzo dei rendimenti del decennale e per tutti i motivi che ho spiegato precedentemente!
MONDO OBBLIGAZIONARIO
Vi ho condiviso due curve dei rendimenti ben distinte, una di Q3 2021 (con i rendimenti del 2 agosto 2021) e una di Q1 2022 (quella odierna). Le due curve appartengono a due momenti ben distinti: in quella di Q3 2021 la banca centrale era abbastanza “rilassata” in quanto riferiva nelle sue riunioni il fatto che i tassi non sarebbero stati aumentati a breve, che l’inflazione era transitoria e la crescita economica robusta, con dati sul lavoro e disoccupazione via via migliorativi; alla curva odierna invece appartiene una Fed ben più aggressiva per i motivi di cui vi ho parlato all’inizio di questa idea.
Vi ho condiviso queste due curve per un particolare motivo: avete mai sentito da qualche professionista dire “la banca centrale può controllare solo la parte breve della curva”? Questo è il tipico esempio.
Guardiamo come i rendimenti alle brevi scadenze siano più ripidi oggi di quanto non lo fossero in Q3 2021; la parte a scadenze brevi della curva dei rendimenti (da scadenze di qualche mese fino ai 7 anni) è determinata dalle aspettative per la politica della Federal Reserve; il rendimento di quella parte aumenta quando ci si aspetta che la Fed aumenti i tassi e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti. L’estremità lunga della curva dei rendimenti, invece, è influenzata da fattori quali le prospettive sull’inflazione, la domanda e l’offerta degli investitori, la crescita economica.
Come ho spiegato diverse volte, se la crescita è robusta e l’inflazione in aumento, il prezzo delle obbligazioni a lunga scadenza dovrebbe scendere. Questo fa salire i rendimenti a 10,20 e30 anni e, di conseguenza, la curva diventa più ripida. Se una banca centrale risponde alle pressioni inflazionistiche alzando i tassi di interesse a breve termine, la curva si appiattisce, è questo è infatti quello che stiamo vedendo negli ultimi tempi; vediamo infatti che nella parte lunga troviamo una “gobbetta”; questo è sinonimo del fatto che si sta scommettendo in un futuro rallentamento economico (in quanto il rialzo dei tassi di interesse, tipicamente, avviene alla fine o comunque in prossimità della fine di un’espansione economica, per il fatto che una ripresa e successivamente un’espansione si portano dietro anche un’alta inflazione).
Tuttavia, i rendimenti hanno fatto i protagonisti la scorsa settimana, andando ad incrementare in maniera abbastanza notevole:
Vediamo infatti come le due scadenze lunghe siano salite in maniera vertiginosa: ciò è probabilmente dovuto all’incertezza degli operatori riguardo un’inflazione che si potrà dimostrare più dura e persistente di qualche tempo fa; questo è stato dichiarato anche dalle FED che appunto, per combatterla, prevede 3 aumenti dei tassi.
Avete quindi capito il motivo della forma della curva dei rendimenti odierna rispetto a quella di qualche mese fa? Se no, commentate e sarò più chiaro.
IL DOLLARO AVEVA PROBABILMENTE GIA’ SCONTATO TUTTO E CIO’ HA AIUTATO LE COMMODITIES
Spesso ho detto che probabilmente il dollaro aveva già scontato il tapering e probabilmente qualche aumento dei tassi di interesse; credo che questa ipotesi possa essere ora considerata vera in quanto il dollaro stesso, all’annuncio aggressivo della FED, si è mosso poco. Anzi, si trova in un canale di lateralizzazione da ormai 2 mesi, dal 17 novembre:
Da questa lateralizzazione ne hanno beneficiato le materie prime (guardate il grafico a destra, il bloomberg commodity index) che, dopo aver disegnato un doppio minimo sulla struttura a 27 dollari, sono ripartite al rialzo, segnando una performance settimanale del +2,41%!
NON FARM PAYROLLS E DISOCCUPAZIONE
Infine, vi riporto altri due catalizzatori della scorsa settimana: le buste paga del settore non agricolo, che hanno registrato un aumento di 199mila nuovi posti di lavoro a dispetto delle stime di investing.com di 400mila, e i dati sulla disoccupazione molto positivi, scesi al 3,9% dai 4,1% del mese precedente.
Questi ultimi sono due dati molto importanti, per 2 motivi: i mandati della FED sono il controllo dell’occupazione e il monitoraggio dei livelli d’inflazione: a seconda dei prossimi dati sui posti di lavoro, la FED potrebbe decidere se anticipare o posticipare l’aumento dei tassi, e quindi se essere più aggressiva o meno, e questo potrebbe scuotere ancora i mercati; i livelli di disoccupazione via via decrescenti danno invece sostegno all’inflazione, in quanto più persone possono spendere, la domanda dei beni si alza e di seguito l’inflazione stessa; interessante sarà vedere i prossimi dati sulle vendite al dettaglio in quest’ottica.
Spero quest’idea sia uno spunto riflessivo per tutti.
MATTEO FARCI
IPOTESI 2022. COS'HA SCONTATO IL MERCATO NELL'ULTIMO MESE?Buongiorno a tutti, siamo finalmente entrati in Q1 2022. Questa idea ha l’obiettivo di analizzare determinati “indicatori” e settori e i loro comportamenti in maniera tale da capire quello che potrà accadere in Q1 2022. La domanda importante da porsi è: dove i grandi investitori stanno posizionando i loro capitali?
RAPPORTO TRA AZIENDE VALUE, AZIENDE GROWTH ED S&P500
Il primo grafico che vi porto è il rapporto esistente tra aziende value e growth. Per chi ancora non lo sapesse, le aziende value sono quelle con un business molto forte che basano i loro guadagni nel presente; non hanno grandi prospettive di crescita futura e una parte dei loro guadagni sono ridistribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi; quelle growth, come dice la parola stessa, sono aziende di “crescita”, ossia basano i loro guadagni in un tempo futuro, talvolta accontentandosi di avere bassi guadagni in tempi presenti; parte dei loro guadagni sono poi rienvestiti nell’azienda in maniera tale da espanderla e di conseguenza, spesso, i dividendi forniti agli azionisti sono bassi oppure totalmente assenti.
Dal grafico possiamo notare come, da metà novembre circa, le aziende value hanno sovraperformato le aziende growth. Nella parte bassa del grafico vi ho riportato l’andamento dell’S&P500. Vediamo come la sovraperformance delle value ha conciso con un momento di perlopiù lateralizzazione da parte dell’indice di riferimento; sono così andato ad evidenziare tutti quei momenti nell’ultimo anno in cui abbiamo avuto le value più forti rispetto alle growth (momenti evidenziati da canali paralleli ascendenti) e osservato il comportamento dell’ S&P negli stessi periodi: notiamo come ad un rafforzamento delle value rispetto alle growth è coinciso un momento di lateralità o momenti di bassissimi guadagni da parte dello Standard and Poor.
Al contrario, invece, possiamo osservare come ad un rafforzamento delle growth rispetto alle value (in tutte quelle parti non evidenziate) l’S&P500 ha realizzato performance più cospicue. Come mai accade ciò?
Per provare a far luce a tutto ciò ci viene in aiuto il vix:
come potete notare, il vix si trova nella parte bassa del grafico, con la linea rappresentativa di color azzurro.
Ho tracciato una retta di color rosso nel livello 20, considerato lo spartiacque tra “paura” e “relativa tranquillità” dei mercati, ed inoltre ho utilizzato dei rettangolini azzurri per indicare tutti i picchi di volatilità avuti nel 2021:
E’ facile notare come gli investitori, in periodi prossimi o corrispondenti a picchi di volatilità, abbiano preferito comprare azioni di aziende value rispetto a quelle growth.
Notiamo infatti come il primo picco di volatilità (a febbraio circa) è stato seguito da una grande forza relativa delle value, che è continuata anche nel picco relativo a marzo. Ciò è accaduto anche a maggio e a metà luglio per arrivare a dicembre quando, a causa della scoperta di omicron, la volatilità era salita di tanto spaventando i mercati.
Abbiamo quindi spiegato il motivo per cui, ad una forza relativa maggiore delle value rispetto alle growth, l’S&P 500 talvolta ha stornato, lateralizzato o segnato bassi guadagni? Perché a questi momenti è sempre corrisposta una volatilità “preoccupante”, tale da indurre gli investitori a chiudere posizioni long sulle aziende growth e ad aprirne su azioni value, considerate quindi più “difensive”.
Quando poi invece la volatilità si riabbassava, le growth diventavano più forti delle value, segno del fatto che la stessa non spaventava più. In base a quest’ultima frase da me scritta, che insegnamento possiamo trarne per tutto il 2022? Che quando le growth vanno a sovraperformare le value, ci troviamo in un clima di risk-on dei mercati, e questo è appunto dimostrato dal fatto che le growth performano bene in periodi di bassa volatilità e perché lo Standard and Poor, negli stessi periodi, guadagna in maniera cospicua.
Questo grafico da me costruito sarà un’indicatore che guarderò molto da vicino per capire il clima di rischio sui mercati per valutare il rischio stesso di ogni investimento.
AZIONI HIGH BETA, LOW BETA ED SP500
Lo stesso discorso fatto per le aziende value e growth può essere fatto con aziende a basso beta e ad alto beta. Sapete di cosa parlo?
ll Beta è un coefficiente che misura la variazione attesa del rendimento di un certo titolo per ogni variazione di un singolo punto percentuale del mercato di riferimento.
Il valore di questo coefficiente tende a muoversi intorno a 1: nello specifico, se il Beta di un’azione è pari a 1, questa tenderà a muoversi in linea con il mercato di riferimento, senza amplificare o ridurre i movimenti dello stesso. Quando il Beta di un’azione è maggiore di 1 invece, si è davanti a un titolo “aggressivo”, che amplifica i movimenti del mercato, l’attività è considerata quindi più rischiosa. Se il Beta è compreso tra 0 e 1, si ha di fronte un’azione “difensiva”, la quale tende a muoversi in modo meno che proporzionale all’indice di riferimento. Infine, un titolo con Beta negativo tenderà a muoversi in maniera opposta al mercato.
Spiegato cos’è il coefficiente Beta, vediamo il grafico di sotto:
La linea superiore in azzurro è il rapporto tra aziende a basso beta e aziende ad alto beta, mentre in basso, identificato con una linea color arancio, abbiamo l’andamento dell’S&P500.
Ho messo i due asset a confronto, e osserviamo come l’S&P tenda a crescere quando le aziende ad alto beta sovraperformano quelle a basso beta mentre, in caso contrario, l’S&P500 tende a lateralizzare.
In quest’ultimo periodo siamo in un momento in cui quelle a basso beta rendono meglio rispetto a quelle a beta più alto.
Vi siete chiesti quali sono i settori “low beta” tra quelli che nomino sempre? Sono il settore delle utilities, dei beni di prima necessità e il settore sanitario; vi riporto ora la correlazione esistente tra le aziende a basso beta e i 3 settori nominati per farvi osservare graficamente la grande correlazione positiva:
• SETTORE UTILITIES
Nei vari rettangoli vi ho evidenziato la grande correlazione positiva.
• SETTORE BENI DI PRIMA NECESSITA’
• SETTORE SANITARIO
Riassumendo quello che vi ho detto fin’ora, abbiamo quindi capito come le aziende più “difensive” come il settore delle utilities, sanitario e dei beni di prima necessità stiano performando bene:
Ricordo a chi non lo sapesse che tipicamente i settori difensivi vanno a performare bene in tempi di incertezze o rallentamenti economici o comunque, più in generale, in periodi di risk off dei mercati: questo accade perché gli stessi settori riescono comunque a generare guadagni nonostante il particolare periodo economico.
Dico sempre che la finanza tende sempre a scontare prima quello che poi in realtà succede, e vi ho dimostrato più di una volta che questa ipotesi è vera (vi consiglio di leggere le mie ultime idee, troverete tanti spunti sotto questo punto di vista). La domanda da farsi quindi è: come mai nell’ultimo mese sono stati i settori difensivi i veri protagonisti? Il mercato si aspetta un periodo di incertezza economica o un rallentamento?
Per spiegare questo, utilizzo un indice, il Russell 2000; quest’ultimo racchiude nel suo paniere le più importanti 2000 aziende statunitensi a piccola e media capitalizzazione. Utilizzo quest’ultimo come indicatore perché le aziende più piccole tendono ad avere la loro attività negli Stati Uniti, al contrario delle mega-cap che hanno affari in tutto il mondo; aziende come Microsoft, Amazon oppure Apple, essendo delle multinazionali, nonostante siano statunitensi, vendono i loro prodotti in tutto il mondo. Capendo quindi che le small e mid-cap hanno affari soltanto a livello nazionale, possiamo affermare che vanno a riflettere meglio lo sviluppo dell'economia statunitense. Di conseguenza, cosa possiamo aspettarci a livello grafico? Che se gli investitori vedono nel futuro un’economia forte, anche il Russell 2000 dovrebbe presentarsi forte e in trend lateral-rialzista; viceversa, ad un’aspettativa di rallentamento economico, dovremmo aspettarci un Russell debole e in trend lateral-ribassista. Vediamo come si sta comportando nella grafica:
Vediamo come, dagli inizi di novembre, l’indice abbia iniziato a disegnare una parabola discendente. Vediamo invece come da ottobre 2020 a inizi 2021,quando eravamo in ripresa economica, il Russell fosse invece salito in maniera abbastanza forte, rispettando quindi la sua funzione di “termometro dell’economia statunitense”. Questo ci deve far capire un qualcosa di importante: se gli investitori avessero avuto una visione positiva dell’economia, perché negli ultimi 2 mesi avrebbe venduto il Russell? Semplice: ciò significa che la loro visione economica non è positiva.
A tale scopo vi ho poi condiviso nella parte bassa del grafico gli stessi settori difensivi che vi ho citato prima: vedete come sono saliti a dispetto del Russell?
RUSSELL 2000 E APPIATTIMENTO DELLA CURVA DEI RENDIMENTI COME SEGNALI ANTICIPATORI
Come vi ho spiegato diverse volte, un altro termometro economico importante è il mondo obbligazionario, in particolare i titoli di stato USA a diversa scadenza e i loro rendimenti. Avevo scritto un’idea riguardo al loro comportamento, in particolare come essi variavano nelle diverse condizioni economiche; per maggiori dettagli, vi linko l’idea qua sotto:
Nel grafico sottostante abbiamo con la linea arancio il Russell 2000 mentre con la linea azzurra lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato USA a 10 anni e 2 anni. Per chi non sapesse a cosa si riferisce questo spread, è molto semplice: i 10 anni vengono considerati una scadenza lunga, mentre i 2 anni una scadenza corta; ciò significa che più lo spread tra i due titoli si restringe, più si ha l’appiattimento della curva dei rendimenti. Infatti, vedete come da aprile 2021 lo spread ha disegnato un trend ribassista? Significa semplicemente che, pian piano, la curva sta andando ad appiattirsi, segno del fatto che gli investitori si aspettano un rallentamento economico.
E’ curiosa la correlazione tra il Russell e lo spread: in ripresa ed espansione economica (ossia la parte racchiusa entro il rettangolo arancio) entrambi gli asset erano saliti (ricordo che se lo spread tra i due titoli è più pronunciato positivamente, ossia a percentuali positive, la curva è da considerarsi più “steep”).
Successivamente, da aprile 2021 ad oggi, il Russel ha iniziato una fase di lateralità mentre lo spread è andato a contrarsi; questa correlazione mi fa capire quanto entrambi gli asset siano correlati all’economia statunitense e come, in particolare, ci diano le stesse informazioni dal punto di vista del sentiment del mercato.
IL SETTORE PER ECCELLENZA IN TEMPI DI INFLAZIONE: REAL ESTATE
Un altro grande settore dalle grandi performance è sicuramente quello del Real Estate:
Come possiamo vedere dalla grafica, il settore è stato sicuramente tra i migliori, con una performance di oltre il 40%. Sapete come mai il settore immobiliare performa bene in questo periodo? Grazie all’inflazione!
Questo perché le aziende immobiliari riescono a trasferire al consumatore l’aumento percentuale dei prezzi in quanto gli immobili, in tempi inflattivi appunto, tendono a conservare il loro valore, al contrario di altri beni. Infatti, come saprete, con un inflazione che aumenta, aumentano anche i prezzi degli affitti, delle case e degli stabilimenti, e questo significa che i guadagni delle aziende immobiliari, in particolare i REITS, non vengono erosi (proprio per la capacità degli immobili di conservare quindi il loro valore).
L’inflazione in USA è al 6,8%; si prevede che nel 2022 si abbasserà di qualche punto percentuale. Quando succederà? Questo non si sa, ma credo che guardando il prezzo degli energetici e i valori dei PMI potremmo avere in futuro qualche certezza in più.
Spero questa analisi vi possa servire. Vi auguro un felice anno nuovo! MATTEO FARCI
BTP ancora debolezza, l'attendo più basso.Su Btp posto questo grafico di lungo periodo ed anche abbastanza “sproco” di diversi studi fatti in precedenza e me ne scuso, ma ha la sua utilità.
Da questa estate ho iniziato a segnalare la debolezza, la prima volta è stato il 25 Agosto, proprio nei giorni dei suoi massimi annuali.
Un ulteriore warning va dato dalla rottura della trend ascendente, che parte dai minimi pandemici del 19 Marzo '20, che interseca il vettore di lungo di Fibonacci. A questo punto una prima area di arrivo l’abbiamo a 145,8, ma la principale l’abbiamo verso 143,6-144.
Allego l'analisi del 25 Agosto.
FED E FOMC: GUADAGNARE DI PIU' CAPENDO I MERCATI IN ANTICIPOBuongiorno ragazzi, avrei voluto pubblicare questa idea il giorno dopo la riunione della FED, ma per i tanti impegni e il poco tempo disponibile non ne ho avuto modo. Detto ciò, voglio comunque analizzare con l’analisi intermarket la reazione che hanno avuto i principali asset finanziari all’annuncio della FED. La domanda è: nonostante l’ulteriore riduzione degli stimoli e i possibili tre rialzi dei tassi di interesse nel 2022, perché i mercati hanno reagito così bene?
I PUNTI SALIENTI DEL FOMC
•Per prima cosa, la banca centrale ha affermato che accelererà la riduzione dei suoi acquisti mensili di obbligazioni. Per quanto riguarda dicembre, la riduzione sarà di 20 miliardi di dollari per i titoli del Tesoro e di 10 miliardi di dollari per i titoli garantiti da ipoteca delle agenzie. Invece, a partire dal prossimo gennaio, si andrà ulteriormente a ridurre lo stimolo, riducendo di 40 miliardi di dollari gli acquisti per i titoli del Tesoro, mentre gli acquisti di titoli garantiti da ipoteche di agenzie saranno pari ad almeno 20 miliardi di dollari al mese.
•Osservando il DOT PLOT, la FED prevede 3 rialzi dei tassi di interesse nel 2022 e 3 nel 2023; tuttavia i tassi stessi non verranno alzati prima del termine del tapering.
•Per quanto riguarda le prospettive di crescita economica, si è osservato un lieve calo per quanto riguarda il 2021 al 5,5%, mentre le previsioni per il 2022 sono di un incremento del 4% e di un 2,2% per il 2023.
•Le prospettive di inflazione sono del 5.3% alla fine del 2021, 2.6% nel 2022, 2.3% alla fine del 2023 e del 2.1% nel 2024.
•Altre dichiarazioni degne di nota sono quelle riferite alla correlazione tra crescita economica e pandemia: “Il percorso dell’economia continua a dipendere dal corso del virus; i rischi per le prospettive economiche rimangono, compresi quelli derivanti da nuove varianti del virus”.
Questi riportati sono i dati salienti del rapporto. Ora analizzerò uno ad uno i principali asset finanziari, in particolare:
• S&P500 e Nasdaq
• Rendimento dei titoli di stato a 10 anni e curva dei rendimenti aggiornata
• Dollaro Statunitense e valute di rifugio CHF e JPY
• Oro
S&P500 e Nasdaq
Per studiare al meglio il comportamento degli operatori, vi ho condiviso i due grafici in un timeframe a 15 minuti. La prima cosa da notare in entrambi gli indici è la lateralizzazione del prezzo che ha preceduto le dichiarazioni della banca centrale: perché è successo ciò?
Sappiamo che ci sono diversi market movers che talvolta, a livello giornaliero, possono andare a modificare il corso di una giornata di contrattazioni; questa riunione era sicuramente uno di quei market movers. Come si sono comportati quindi gli operatori? Non hanno preso una vera e propria posizione prima dell’uscita della notizia, e questo è testimoniato dalla lateralizzazione del prezzo che vi ho evidenziato nei rettangoli gialli. Tipicamente si vanno a formare delle fasi di consolidamento (lateralizzazione del prezzo seguita da un successivo rialzo) o di distribuzione (lateralizzazione del prezzo seguita da un successivo ribasso) quando gli operatori iniziano man mano ad aggiungere delle posizioni, che siano in rialzo o in ribasso. Comprano o vendono quantità “limitate” di contratti in maniera tale da accumulare denaro stesso, senza far partire però il prezzo, né al ribasso tantomeno al rialzo. Il loro scopo infatti non è quello di far schizzare subito il prezzo dal momento che, comunque, non si sapeva se ci potessero essere sorprese nel discorso che la FED avrebbe discusso, ma lo scopo era quello di far schizzare il prezzo dopo l’uscita del comunicato, andando quindi a guadagnare molto di più (grazie chiaramente al denaro accumulato nelle ore precedenti): ciò infatti è quello che è accaduto: gli operatori hanno dapprima accumulato denaro nell’area di consolidamento contrassegnata dal Point Of Control (ossia l’area in cui si sono concentrati più volumi, l’ho ottenuto utilizzando lo strumento “intervallo fisso”) e, dopo l’uscita della notizia, hanno pompato ancora più liquidità andando a far schizzare entrambi i prezzi verso l’alto, andando sicuramente a guadagnare tantissimo infatti, dalle ore 20:00 italiane alle 00:00, l’S&P ha segnato un +1,99% mentre il Nasdaq un +3,08%.
Come spesso si è detto, i mercati sono saliti vertiginosamente in questi ultimi due anni grazie agli stimoli e alla politica ultra accomodante della banca stessa. Vi siete chiesti come mai i mercati, nonostante il fatto che la FED abbia previsto 3 volte un aumento dei tassi nel 2022, abbia reagito così bene? Perché era quello che gli operatori si aspettavano ragazzi. Era da tempo che si parlava di una riduzione ancora più forzata dell’acquisto di obbligazioni e di un aumento dei tassi nel 2022, non era una novità. Il mercato avrebbe potuto stornare se Powell avesse ad esempio dichiarato un tapering ancora più accelerato e una politica, in generale, ancora più aggressiva, ma ciò non è stato. E quindi? Quindi gli operatori hanno tirato un sospiro di sollievo e, rincuorati, hanno acquistato. Ricordatevi sempre che il mercato ha paura delle sorprese, e non delle certezze, e ne avete avuto la conferma.
Vi siete chiesti come mai, i giorni dopo, i mercati siano poi scesi, andando a segnare una performance settimanale negativa (-1,99% per l’S&P500 e -3,33% per il Nasdaq)? E’ forse imputabile all’ondata dei nuovi casi come molti riportano?
Io, personalmente, non credo sia per quello, ma nonostante tutto rispetto le idee altrui per educazione e perché, dopotutto, questo mondo è favoloso per il fatto che ognuno ha delle idee diverse che si possono incontrare tra loro. Credo che il motivo principale sia stato la presa di profitti da parte di chi aveva guadagnato dopo l’uscita della notizia, e questo è accaduto perché i guadagni sono stati alti e perché tipicamente in periodi natalizi i grandi hedge fund mirano a chiudere l’anno il più possibile in guadagno e poi perché i volumi in generale si sgonfiano, e un mercato con pochi volumi può essere facilmente “manomesso”, andando quindi a poter compromettere i guadagni da parte di chi, nei giorni prima, aveva speculato sul rialzo del prezzo; quindi, proprio per questo pericolo, credo che ci sia stata la chiusura di tante posizioni long.
Credo che il mercato abbia già scontato da una settimana la nuova ondata covid, e credo che essa potrà contrastare il mercato qualora ci fossero delle prove veramente tangibili che essa farà deragliare l’economia, e questa prova non è appunto ancora arrivata e chissà se arriverà mai.
Vediamo i comportamenti dei prezzi i giorni dopo la dichiarazione in dei grafici a 30 minuti:
MONDO OBBLIGAZIONARIO: TITOLI DI STATO A 10 ANNI E IL LORO RENDIMENTO
Anche in questo caso vi ho condiviso dei grafici a 15 minuti. Cosa notiamo? Notiamo che la volatilità è stata bassa, infatti osserviamo come il range in cui si sono mossi i titoli a 10 anni è stato solamente del 0,26%. I rendimenti hanno registrato una volatilità più alta, essendo saliti dopo la notizia dell’1.88% per poi rimangiarsi il guadagno fatto a fine sessione.
Cosa ne traiamo da tutto ciò? E’ chiaro che il denaro degli investitori non è stato riversato sul mondo obbligazionario e ciò è testimoniato dalla bassa volatilità e guadagno praticamente assente nei titoli a 10 anni, ma è stato riversato nell’azionario, come abbiamo visto prima.
E il successivo motivo qual’è? E’ il fatto che il mercato avesse già scontato tutto; ricordate quando avevo pubblicato l’idea riguardante l’appiattimento della curva dei rendimenti e di come questa si si stesse appiattendo soprattutto nelle medie e nelle lunghe scadenze perché gli investitori stavano già scontando l’aumento di tassi? Mercoledì ne abbiamo avuto la conferma!
Il mercato si aspettava già questa notizia, e io avevo immaginato tutto ciò osservando proprio la curva dei rendimenti, che dà sempre tantissime informazioni, specie quando cambia pendenza.
L’idea riguardante la curva dei rendimenti la trovate cliccando in questo link:
Scrivevo quell’idea il 9 dicembre, e la curva dei rendimenti aveva questa forma:
Come vedete era già piatta, il che doveva già preannunciarci il fatto che questa notizia, salvo sorprese, sarebbe stata accolta positivamente dagli investitori.
Vediamo, ad oggi, se la curva ha cambiato pendenza:
Stavolta non vi ho riportato la curva dei rendimenti con tutti le sue maturazioni in funzione del tempo, bensì lo spread (la differenza) tra i rendimenti dei titoli a 10 anni (una scadenza lunga) e i rendimenti a 2 anni (scadenza corta): più lo spread sale, come nella prima parte del grafico identificata dalle due frecce rosse, tanto più la curva è “steepeng”, ossia “inclinata”. Se il trend che identifica lo spread viceversa scende ed inizia a formare dei massimi via via decrescenti, abbiamo l’appiattimento della curva. Come possiamo vedere, la curva ha iniziato a cambiare pendenza da fine marzo 2021 circa, e questo cambio continua ancora nel presente.
Possiamo quindi affermare che il mondo obbligazionario continua a darci le stesse informazioni da qualche mese a questa parte, confermandoci il fatto che gli investitori avessero scontato tempo prima la notizia relativa al FOMC e la paura di un rallentamento economico nel 2022 (ricordatevi che la curva si appiattisce quando gli investitori iniziano a scontare una transizione economica, specie da un’espansione ad un rallentamento).
DOLLARO USA
Vi ho riportato due grafici: a sinistra quello a 15 minuti per poter visualizzare il comportamento intraday degli operatori mentre a destra il grafico giornaliero, per avere una visione più chiara.
Guardando a sinistra vediamo come, in 71 barre, il dollaro abbia perso il -0,8% circa il che è abbastanza strano visto l’annuncio dei possibili tre aumenti dei tassi di interesse infatti, come saprete, un tasso di interesse alto è molto attraente verso gli investitori stranieri e, tipicamente, quando viene annunciato un aumento dei tassi stessi, una moneta va a rivalutarsi; quello che abbiamo osservato è stato esattamente il contrario: un crollo. Perché? Guardiamo il grafico giornaliero. Il dollaro è rialzista esattamente da maggio e continua ad esserlo.
Guardate ora un’interessante correlazione che rafforza le mie ipotesi:
Vi ho correlato lo spread tra i rendimenti dei titoli a 10 e 2 anni (linea blu) con il dollaro (linea arancio). Ho spiegato ripetutamente di come la curva si appiattisca quando si inizia a scontare un rialzo dei tassi di interesse: ciò è successo, la curva si è appiattita. Cosa è successo al dollaro nelle stesse settimane? Si è apprezzato. Questo cosa vuol dire? Che all’uscita della notizia il dollaro è crollato non perché gli investitori non erano felici della notizia, bensì avevano scontato la notizia prima, e questo mi viene confermato dalla correlazione che vi ho riportato graficamente. E’ importantissimo saper correlare tutti gli strumenti, avrete una visione ben più ampia di quello che succede.
YEN GIAPPONESE E FRANCO SVIZZERO
Come potete vedere nei grafici a 15 minuti, né lo yen tantomeno il franco hanno avuto dei movimenti degni di nota; all’uscita della notizia hanno perso entrambi un -0,3% circa per poi andare a rimangiarsi praticamente tutto. Tipicamente queste due valute vanno ad apprezzarsi in momenti di incertezza, come era accaduto nei giorni della scoperta della variante omicron; il 15 non ci sono state sorprese e questo è testimoniato proprio dal fatto che entrambe le monete si siano mosse pochissimo. Questa è l’ennesima conferma alla mia ipotesi.
ORO
Gli investitori hanno operato sull’oro così come hanno operato sull’S&P500 e sul Nasdaq: hanno prima accumulato le loro posizioni intorno al Point of Control della distribuzione formata dal prezzo all’interno del rettangolo giallo che vi ho indicato; successivamente hanno spinto il prezzo verso il basso e, il 16 dicembre, hanno iniziato a chiudere le loro posizioni per portarsi a casa i guadagni fatti e, di conseguenza, il prezzo è successivamente salito. Grafico molto analogo all’S&P e al Nasdaq!
CONCLUSIONI
La mia idea termina qui. Ogni giorno, guardando i grafici, faccio delle ipotesi e cerco di trovare riscontro negli stessi. L’idea che il mercato avesse scontato dapprima il FOMC trova riscontro in questa idea da me condivisa, che volevo altrettanto condividere con voi. Capite che, riuscendo a leggere i mercati e le loro importanti correlazioni, potreste avere diverse soddisfazioni.
Per qualsiasi dubbio contattatemi pure, sono disponibile.
Matteo Farci
ANALISI INTERMARKET E INFLAZIONE: LA REAZIONE DEGLI OPERATORIBuongiorno ragazzi, oggi voglio parlare dei dati riguardanti l’inflazione pubblicati dal US bureau of labor statistics, andando ad analizzarli e vedendo come i diversi asset (obbligazionario, forex e indici azionari) abbiano reagito.
SUL CPI NON HA ANCORA INFLUITO IL “CROLLO” DEL PETROLIO E DEL NATURAL GAS
Se avete letto la mia precedente idea, ipotizzavo il fatto che questo mese (o il prossimo) il CPI avrebbe registrato un decremento dato dal fatto che il petrolio e il natural gas avessero perso rispettivamente il -27,13% e il -44,02%:
Questo non è stato il mese relativo al picco inflazionistico, in quanto esso ha registrato un incremento anno su anno di +6,8% e mese su mese del +0,8%. In particolare, addentrandoci nel rapporto, vediamo come l’energia sia aumentata del 33% rispetto allo scorso anno e del 3,5% rispetto al mese precedente. In particolare, considerando solamente l’incremento mese/mese, le materie prime energetiche hanno visto un incremento del +5,9%, gli oli combustibili un +3,5%; ci sono stati aumenti del 6,1% per quanto riguarda il carburante per motori e la benzina e un modesto +0,3% per quanto riguarda l’elettricità.
Guardando altre categorie, il cibo è aumentato del +0,7% e del 6% circa a/a, gli autoveicoli usati un +2,5% m/m e l’abbigliamento un +1,3% m/m. Vi rilascio qua sotto il link per il rapporto completo in maniera che possiate osservarlo:
www.bls.gov
COME HANNO REAGITO I DIVERSI ASSET FINAZIARI?
Innanzitutto, sottolineiamo il fatto che l’inflazione ha raggiunto un incremento tale da ritornare nel 1982 per poterlo vedere di uguale entità, e questo credo dica tutto.
Un’inflazione al 6,8% è molto alta. Basti pensare che un’economia, per poter essere considerata sana e sostenibile, necessita di un’inflazione al 2% o valori prossimi (1,9%/2,1%, ad esempio), tant’è che una banca centrale ha il compito di doverla “regolare”. Ricordate quali sono stati i motivi di tale incremento?
1. Aumento del prezzo spropositato delle materie prime
2. Problemi sulla catena di approviggionamento
3. Grandissima domanda da parte dei consumatori nell’era post-covid
Questi sono solo alcuni dei 3 motivi, probabilmente i più importanti, tra i quali andrei ad aggiungere anche le politiche monetarie ultra-accomodanti.
La Fed è passata da toni tranquilli e pacati (“l’inflazione è solo transitoria, si abbasserà presto”) a toni più “falco” come si dice a wall street, ossia a toni più aggressivi, annunciando dapprima l’inizio del tapering e, successivamente, facendo intendere che probabilmente il tapering stesso sarebbe stato accelerato in quanto l’economia avrebbe avuto tutte le carte per reggersi con le sue gambe.
Ma ritorniamo a noi: come hanno reagito i mercati all’aumento inflattivo più grande dal 1982?
DOLLARO AMERICANO
Dal grafico giornaliero vediamo come il dollaro si trovi in un trend rialzista; guardate le due medie mobili: esse si trovano a grande distanza tra loro (media a 50 periodi sopra la media a 200 periodi = trend rialzista) e ciò testimonia la forza del prezzo; da considerare anche la distanza tra il prezzo stesso e la media a 50 periodi, altra prova della grande forza della price action. Vi ho segnato con dei segmenti di color nero le strutture per me importanti. Dagli inizi di novembre ad oggi si è avuta la formazione di un triangolo simmetrico a causa del rintracciamento del prezzo: a questo scopo ho utilizzato il rintracciamento di fibonacci per poter visualizzare i livelli in cui il prezzo potrebbe rintracciare prima di ripartire: sono i livelli 38.2, 0.5 e 61.8. Ora guardiamo il grafico intraday a 30 minuti:
Tendenzialmente, quando i dati sull’inflazione sono alti e superano le aspettative (era previsto un aumento m/m del +0,7% invece il dato è stato dello +0,8%) il dollaro va ad apprezzarsi, in quanto il miglior modo per combattere l’inflazione è il rialzo dei tassi di interesse (e il tasso di interesse stesso va ad aumentare il valore della moneta); quindi, molti operatori si sarebbero aspettati un rialzo del dollaro. Invece, all’uscita della notizia, il prezzo ha fatto una candela ribassista del -0,22% per poi rimangiarsi il guadagno fatto da inizio contrattazioni del +0,20%, perdendo dalle 14:30 alla chiusura dei mercati un -0,46% e chiudendo in complesso la giornata in negativo con un -0.16%.
Perché il dollaro si è deprezzato e non il contrario? Per un semplice motivo: credo che il mercato avesse già scontato la notizia le settimane precedenti. Il mercato si aspettava già diverse settimane un dato che battesse le aspettative tant’è che i giornali statunitensi ne parlavano già da diverso tempo e, come diversi giornali, anche alcuni specialisti. Ricordate sempre la tendenza del mercato di scontare tutto prima, quello sul dollaro credo sia un esempio perfetto.
Voglio approfittare del contesto per dire che probabilmente il dollaro sta già scontando il tapering (e la sua accelerazione) e forse anche l’aumento dei tassi di interesse che avverrà nel 2022, e questo potrebbe essere testimoniato dalla sua forte price action.
MONDO OBBLIGAZIONARIO: OBBLIGAZIONI E RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO USA A 10 ANNI
Utilizzando sempre dei grafici a 30 minuti, vi ho condiviso a sinistra il rendimento del decennale americano e a destra la relativa obbligazione. Dall’apertura dei mercati fino alle 14:30 i rendimenti sono saliti del +1,96% (ricordiamo che i rendimenti salgono quando vengono vendute obbligazioni, e infatti a destra vediamo come le obbligazioni siano scese del -0,26%) mentre, all’uscita del dato, il rendimento è andato a segnare un -4,40% nel giro di 3 ore per poi riguadagnare un +2% circa tra la metà e la fine della seduta di contrattazioni; a destra vediamo il comportamento inverso della relativa obbligazione.
Anche questo comportamento è strano, no? Ho detto nelle mie idee precedenti che i rendimenti delle obbligazioni tendono ad alzarsi quando si ha paura di inflazione e, ripeto un’altra volta, come non si può non avere paura di un’inflazione a livelli così alti? A quanto pare si può non averne, e questo è testimoniato dal decremento del rendimento.
Come mai è successo questo? Credo per lo stesso motivo del dollaro: il mercato aveva già scontato da diverso tempo questo dato, e il mondo obbligazionario ancor prima del dollaro stesso, testimoniato dall’appiattimento della curva dei rendimenti. A proposito di ciò, che forma ha avuto la curva dei rendimenti venerdì, a fine contrattazioni?
La curva del 10 dicembre è addiritura più appiattita di quella che avevamo visualizzato per il 3 dicembre:
Ricordo che l’appiattimento si ha in periodi di transizioni economiche (tra un’espansione e un rallentamento economico) e avviene in quanto gli investitori iniziano nuovamente a comprare obbligazioni (specie a media/lunga scadenza) in quanto iniziano a scontare l’abbassamento dell’ inflazione a causa dell’aumento dei tassi di interesse: questo ragionamento che ho fatto è probabilmente il motivo per cui vi dico che la notizia era già stata scontata, ancor prima che la scontasse il dollaro, e questo dimostra ancora una volta quanto sia importante saper leggere il mondo obbligazionario. Per maggiori informazioni, vi inoltro una mia idea in cui spiego da vicino come si comporta il mondo obbligazionario:
S&P500 E NASDAQ
Vediamo ora la reazione dell’S&P500 e del Nasdaq, condividendo il loro grafico a 30 minuti:
I due indici non si sono comportati diversamente rispetto agli altri asset visti in precedenza; all’uscita del dato, entrambi hanno formato una candela verde (+0,40% dell’S&P e +0,80% del Nasdaq) per poi andare a rimangiarsi tutto le mezz’ore successive, per poi infine riprendersi e andare a chiudere in complesso la giornata positivamente, con un +0,78% per lo Standard and Poor e un +1,1% per il Nasdaq. I due indici si trovano ormai vicinissimi ai loro massimi storici, con una distanza del 0,75% per l’S&P e un 2,74% per il Nasdaq.
Continuando a parlare di indici, ci tengo a farvi notare una cosa curiosa, per farvi capire quanto i mercati se ne siano infischiati del dato più alto da decenni: il Nasdaq è un’indice con un peso fortemente tecnologico, i quali titoli sono growth, ossia aziende che puntano alla crescita, concentrando i loro guadagni nel futuro e non nel presente. Con questo non voglio dire che le revenue trimestrali del presente non siano alte (anzi), bensì parte dei loro guadagni sono riutilizzati per espandere le aziende stesse e produrre guadagni ancora più alti nel futuro. Ciò è testimoniato dai bassi (o assenti) dividendi offerti agli azionisti. L’inflazione è chiaramente una nemica in questo contesto, poiché se è vero che essa erode i guadagni futuri delle aziende, è altrettanto vero che le aziende growth sono quelle che più ne risentono, in quanto la loro crescita e le loro future revenue potrebbero essere proprio limitate dall’inflazione stessa (sono stato chiaro? Se non lo sono stato commentate l’idea, sarò ancora più chiaro). Con una lettura così alta del CPI, quindi, cosa ci saremo dovuti aspettare? Chiaramente uno storno dell’indice. Ma ciò non è successo.
La cosa curiosa è che se analizzassimo uno per uno gli etf settoriali, vediamo come XLK, ossia l’etf tecnologico, sia stato quello a performare addiritura meglio, con un bel +2,01%, andando a segnare oltretutto nuovi massimi storici:
Questa è un ulteriore conferma del fatto che il mercato avesse già scontato tutto e del fatto che il mercato stesso non abbia più paura in quanto sconta il rialzo dei tassi di interesse. Infatti, se così non fosse, l’etf XLK non avrebbe guadagnato da inizi anno un +33,82%.
Se per caso voleste un’altra conferma del fatto che l’inflazione non ha fatto paura, vi riporto la correlazione tra lo stesso etf e il rendimento del decennale americano. Ricordando che se i rendimenti si alzano per paura dell’inflazione e che ciò non è avvenuto, è chiaro che la correlazione tra i due asset debba essere necessariamente inversa, e infatti:
COME SI E’ COMPORTATO L’ORO?
Il metallo prezioso per eccellenza ha guadagnato un modesto +0,46%. Tuttavia, come vi riporto nel grafico, i volumi di giornata sono stati abbastanza bassi rispetto alla media degli ultimi 30 giorni, in quanto la media registrava volumi di 203,4K mentre il volume giornaliero era pari a 140K. I volumi ci dicono quanta partecipazione c’è nel mercato: dal momento che l’oro è visto come un bene rifugio, personalmente mi sarei aspettato maggior partecipazione da parte dei compratori (in quanto l’oro tendenzialmente sale in queste giornate) ma ciò non è accaduto, infatti l’aumento di +0,46% non è chissà cosa.
Possiamo vedere un aumento di volumi se scendessimo a livello intraday, volumi che tuttavia si vanno poi a sgonfiare:
Quindi, infine, penso che l’oro abbia fatto poco e nulla. Secondo il detto “l’oro è una protezione contro l’inflazione” e secondo il fatto che l’inflazione ha avuto un incremento molto molto alto, mi sarei aspettato una candelona rialzista e grandi volumi e tutto questo, come potete vedere, non è accaduto.
COME SI E’ COMPORTATO IL VIX?
Ricordo come il VIX, ossia l’indice di volatilità relativo all’S&P500, venga considerato da tanti come “l’indice della paura”, in quanto va ad innalzarsi tipicamente in momenti e giornate incerte e turbolente (come è successo, ad esempio, quando è stata scoperta la nuova variante omicron del covid). Nella grafica vi riporto i dati riguardo i valori del cpi da aprile 2021 (ossia da quando i valori hanno superato la soglia di attenzione della FED, fissata intorno a 2 punti percentuali) fino all’ultimo dato:
Con delle frecce nere sono andato ad indicare le candele relative alla data di uscita del cpi, da maggio fino all’ultimo di dicembre. Notiamo innanzitutto come il VIX non abbia risentito del dato, dal momento che è riandato a visitare valori di “tranquillità” (ossia sotto i 20 punti). Notiamo però come, dal dato di aprile a quello del 10 dicembre, il vix si sia mosso in territorio di “paura” solamente una volta, ossia il giorno dell’uscita del dato relativo ad aprile, il 12 maggio. E’ forse un caso che si sia mosso sopra i 20 punti quando il dato, per la prima volta, aveva infranto la soglia prossima al 2%, andando a segnare un incremento praticamente doppio? E perché per i successivi dati, ancora più alti, gli operatori non hanno reagito in quel modo? Io andrei a considerare il fatto che la maggior parte degli operatori fosse cosciente dei problemi legati all’energia (prezzi che correvano verso massimi relativi via via crescenti), alla catena di approviggionamento e alla forte domanda di beni, per cui era probabile che i dati del cpi successivi sarebbero stati visti al rialzo: gli operatori stavano quindi iniziando a scontare il tutto in anticipo? E’ forse questa la ragione per il quale il VIX, dopo il 12 maggio, non sia più andato a visitare territori di turbolenza? E’ una ipotesi. Voi, invece, cosa ne pensate?
EFFETTO GRANAGLIE E PREZZO DEL COTONE E DEL PETROLIO SUI DATI RIGUARDO I CEREALI E L'ABBIGLIAMENTO
Innanzitutto vi condivido il grafico sulle tre granaglie principali, ossia soia, mais e grano:
Notiamo come il mais e la soia siano scesi dai massimi di maggio, mentre il grano è l’unico dei tre a dimostrarsi forte. Volevo vedere se il decremento generale dei loro prezzi si fosse riflesso nel dato sull’inflazione e infatti, se aprite il rapporto che vi ho mandato, potete osservare nella sezione “CEREALI E PRODOTTI DA FORNO” che il dato, per quanto sia visto comunque al rialzo, sta iniziando a creare nel suo aumento un “appiattimento”, infatti, mese/mese, osserviamo che da agosto a settembre si aveva avuto un aumento del +1,1%, da settembre a ottobre un +1%, mentre nell’ultimo dato, da ottobre a novembre, un +0,8%. E’ un caso che questo dato stia contraendo proprio nel momento in cui le granaglie iniziano a perdere valore?
Un’ultima curiosità: a fine ottobre avevo pubblicato un’idea in cui discutevo del possibile aumento dell’abbigliamento a fronte degli aumenti dei prezzi del petrolio e del cotone:
guardando i dati sull’inflazione, noto come, al contrario della contrazione del dato riguardo i cereali, il dato riguardo l’abbigliamento sia in espansione, in particolare da agosto a settembre abbiamo avuto un -1,1%, da settembre a ottobre un 0% (il dato è stato visto in incremento), mentre da ottobre a novembre addiritura un aumento del +1,3%: grazie all’analisi intermarket e ad altri possibili fattori, sono riuscito a prevedere il tutto con un buon anticipo.
MATTEO FARCI
IPOTESI DEL PREZZO FUTURO DELL'ORO CON L'ANALISI INTERMARKETBuongiorno a tutti, ieri parlavo dell’importanza di intrecciare nelle analisi diversi strumenti per avere una visione sempre più chiara e più ampia dei mercati finanziari.
In particolare, vi ho parlato dell’importanza di saper leggere i segnali dati dal mondo obbligazionario. Continuando a collegarmi ad esso, oggi voglio correlare lo stesso strumento con il prezzo del petrolio e i valori dell’inflazione per poter fare un’ipotesi sul prezzo che potrà avere l’oro nel prossimo anno.
LA DIFFERENZA TRA I RENDIMENTI NOMINALI E I RENDIMENTI REALI
Si parla spesso delle tante correlazioni che esistono per l’oro: la correlazione inversa con il dollaro statunitense, quella con l’inflazione e quella con il bitcoin sono forse le più chiacchierate.
La correlazione di cui voglio parlare oggi è quella esistente con i tassi di interesse reali, che non sono altro che il rendimento, nel mio esempio, dei titoli di stato a 10 anni americani, aggiustati all’inflazione. Il famoso “US10Y”, ossia il rendimento del titolo di stato a 10 anni, è nominale, non reale; diventa reale dal momento che esso si indicizza all’inflazione; esso è determinato semplicemente calcolando lo spread tra il rendimento di un dato titolo di stato e l’inflazione (ricordo a voi che uno spread non è altro che una sottrazione).
Mi piace ragionare sempre per via grafica. Purtroppo non sono riuscito a costruire la correlazione qui su tradingview, ma posso comunque condividervi un link in cui la correlazione di cui parlo è ben determinata (la correlazione è tra i rendimenti dei titoli di stato reali a 10 anni con, appunto, l’oro):
www.filepicker.io
Come possiamo vedere nell’immagine, quando i tassi di interesse reali tendono a scendere, l’oro si comporta in maniera inversa, andando ad apprezzarsi.
Ora ragioniamo insieme per capire al meglio come i dati siano indicizzati:
Vi riporto i dati anno su anno dell’inflazione USA (dati reperiti su investing.com):
10.11.2021 (Ott) 6,2%
13.10.2021 (Set) 5,4%
14.09.2021 (Ago) 5,3%
11.08.2021 (Lug) 5,4%
13.07.2021 (Giu) 5,4%
10.06.2021 (Mag) 5,0%
12.05.2021 (Apr) 4,2%
13.04.2021 (Mar) 2,6%
Vediamo che dai dati di marzo agli ultimi di ottobre si ha avuto un costante incremento.
Ora guardiamo il grafico relativo ai rendimenti USA a 10 anni:
I rendimenti si sono mossi al rialzo in maniera aggressiva da agosto 2020 a marzo 2021. Questo, come ho spiegato nella mia precedente idea, è dovuto al fatto che per gli operatori, con un inflazione così alta e un clima di risk on nei mercati, non aveva senso tenere obbligazioni con un rendimento intorno al 1,5%/1,6%/1,7% dal momento che l’inflazione avrebbe poi eroso i guadagni. Ricordo che i rendimenti salgono essenzialmente per due motivi: aspettative di crescita economica e paura per inflazione alta. Continuando ad osservare, vediamo come i rendimenti abbiano poi cessato la loro forza rialzista andando a formare un canale parallelo con due top (evidenziati con dei rettangolini gialli, a 1,7% circa) e due bottom (evidenziati con il rettangolino azzurro, a 1,15%).
Basandoci sui dati riguardanti l’inflazione che vi ho condiviso prima, vi ricordo che uno degli obiettivi della FED è quello di tenere a bada l’inflazione intorno al valore del 2%; effettivamente, vediamo come l’inflazione di marzo fosse del 2,6%, quindi non troppo preoccupante, fino ad arrivare i mesi successivi a valori ben più preoccupanti del 4%,5%,6% ed oltre. In quello stesso periodo, vediamo appunto come i rendimenti a 10 anni nominali abbiano lateralizzato, mentre gli stessi indicizzati all’inflazione abbiano invece iniziato un trend discendente, con massimi sempre decrescenti.
Questo potete osservarlo nel link di Fred Economics che ora vi condivido:
fred.stlouisfed.org
Perché i nominali hanno lateralizzato mentre quelli reali hanno iniziato un trend ribassista? Questo è proprio dovuto alla sottrazione tra il valore dei nominali meno l’inflazione, e questo è l’effetto.
Mi sono voluto dilungare per rendervi ben chiara la situazione.
LA CORRELAZIONE TRA ORO E RENDIMENTI REALI
Vi condivido il grafico dell’oro in cui vi segno delle aeree molto importanti:
L’oro, dagli inizi di marzo 2021 quando, nello stesso periodo, gli us real interest rates hanno iniziato il loro trend ribassista, ha guadagnato il 6,20% circa. Nei rettangoli azzurri vi ho segnato i periodi in cui la correlazione tra i due asset è più evidente; vi consiglio di paragonare i rialzi dell’oro di metà marzo/metà maggio e di metà settembre/metà novembre con gli stessi interessi reali: la correlazione sarà molto attendibile. Se vi chiedete come mai la correlazione non è perfetta ogni giorno della settimana (nel senso, se l’oro fa un candela rossa, gli us real interest rates fanno una candela verde) vi rispondo che tale correlazione è molto più apprezzabile nel medio/lungo periodo, ma non nel breve (e questo potete chiaramente vederlo nel link dell’immagine che precedentemente vi ho condiviso):
www.filepicker.io
IL PESO CHE HA IL PETROLIO E I SUOI RAFFINATI NEL PANIERE DEL CONSUMER PRICE INDEX
L’ente statunitense che rilascia i dati sull’inflazione è il US BUREAU OF LABOUR STATISTICS. Entrando nel sito ufficiale, in particolare nella pagina che ora vi linkerò, vediamo come un grafico ad istogrammi ci raffiguri il fatto che si, l’inflazione è molto alta, indicando il fatto che la causa maggiore di tale incremento è il prezzo dell’energia:
www.bls.gov
Nell’ultima pubblicazione si può notare come i prezzi dell’energia, anno su anno, siano aumentati di ben il 30%, mentre si hanno avuti incrementi più modesti per tutte le altre categorie, compresi il cibo, i servizi e quant’altro (non esaminerò tutto il paniere del cpi in questa idea, vi consiglio di cliccare sul link e vedere voi stessi).
Ora utilizziamo una grafica per comparare i dati sull’inflazione con i prezzi del petrolio:
Come potete vedere, ho paragonato gli aumenti del petrolio con i dati sull’inflazione, e ho trovato riscontro positivo, nel senso che a un aumento del petrolio è corrisposto un aumento del cpi. In particolare, come specifico nella grafica, da fine marzo a inizi luglio il petrolio è aumentato del 33,6%, mentre il cpi è passato dal 2,6% al 5,4%; dagli inizi di luglio alla fine di agosto il crude oil ha rintracciato del 20% circa, mentre il cpi e' rimasto stabile intorno a valori del 5,3%/5,4%. Infine, da fine agosto a fine ottobre, a un incremento del crude oil del 40% è corrisposto un aumento del cpi, che è passato dal 5,4% al 6,2%. Se vi chiedete perché i valori di inflazione non siano diminuiti in corrispondenza di luglio e agosto, visto il rintracciamento del 20%, credo possa essere imputabile al fatto che in quello stesso periodo, nel paniere dell’inflazione, registrasse numeri molto alti la vendita di auto usate, i cui prezzi erano aumentati tantissimo anno su anno.
COME PUO’ INFLUENZARE L’INFLAZIONE IL RECENTE CROLLO DEL PETROLIO?
Sappiamo come il petrolio abbia rintracciato pesantemente nelle ultime settimane. Ciò è dovuto a diversi fattori, come la paura per la nuova variante omicron di covid. Il dato che uscirà oggi sul cpi come potrà essere dal momento che il petrolio ha rintracciato di circa il -27%? Secondo le ultime stime, le agenzie prevedono un incremento (si pensa oltre il 6,7%) fatto sta che aspetteremo il dato ufficiale per esaminare al meglio la situazione, infatti molto spesso le previsioni vengono smentite da altri numeri (come è accaduto, ad esempio, per l’ultimo dato sui non farm payrolls).
CORRELAZIONE TRA INFLAZIONE, PETROLIO E CURVA DEI RENDIMENTI PER FARE UN’IPOTESI SUL PREZZO FUTURO DEL GOLD
Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, la curva dei rendimenti si sta appiattendo (ho trattato bene questo argomento nell’ultima idea, pubblicata ieri. Il link lo condivido in basso):
I rendimenti a 10 anni dei titoli di stato sembrano non vogliano più salire oltre il l’1,7%, probabilmente perché stanno (o hanno) già scontato il futuro aumento dei tassi di interesse.
Per quanto riguarda l’inflazione, abbiamo visto come nell’ultimo dato del 6,2% abbia influito pesantemente il prezzo dell’energia, che però ora sta scendendo (per i prezzi dell’energia, si fa riferimento anche ai prezzi del natural gas chiaramente) ; il petrolio in questi ultimi giorni ha tentato un rimbalzo, tuttavia si trova ancora lontano dagli 85$ di qualche settimana fa; provando ad ipotizzare il prezzo del petrolio nel prossimo trimestre, vi aspettate che risalga attorno a quei valori? Tutto dipenderà dall’OPEC, dai casi covid e dalla domanda mondiale (mi aspettavo che nell’ultima riunione di inizi dicembre l’organizzazione tagliasse l’aumento mensile di 400k barili, ma ciò non è successo, forse perché l’OPEC stessa si aspetta nei primi mesi dell’anno una contrazione della domanda). Quello che penso è che il petrolio farà fatica, almeno nel breve periodo, a ritornare a quei valori, in quanto non ha ricevuto la forza necessaria dall’OPEC, che dapprima ha comunicato il fatto di prevedere una contrazione di domanda, e in secondo luogo non ha tagliato la produzione. Inoltre, in tante nazioni del mondo, ci sono nuove restrizioni per i viaggi, e questo significa minor consumo di carburante da parte del settore aereo.
Sarà importante seguire da vicino i report dell’OPEC (il prossimo il 13 dicembre) , dell’EIA e della IEA, molto utili per capire le dinamiche di domanda e offerta. Se si rivelerà vera la contrazione della domanda, è chiaro che il petrolio farà molta fatica a risalire agli 85$.
Questa situazione cosa potrà significare per l’inflazione? Che forse i dati di ottobre (o novembre) hanno visto il loro picco. E quindi, se i rendimenti a 10 anni nominali rimanessero effettivamente a quei valori visto il contesto economico americano e l’inflazione iniziasse un trend neutrale/debolmente ribassista (dico debolmente ribassista perché oggi, 9 dicembre, non c’è nulla che mi faccia pensare a un crollo del petrolio), che aspetto potrebbe avere la curva dei rendimenti a 10 anni reali nel prossimo trimestre? Probabilmente, visto lo spread che vi ho descritto prima, neutrale/debolmente rialzista (in quanto, se l’inflazione dimuisce ma il rendimento nominale oscilla a valori di 1,3%/1,4%, rimanendo quindi stabile, l’interesse reale tende di nuovo a crescere).
Se quindi i rendimenti reali hanno toccato il loro bottom per iniziare un trend neutral/debolmente rialzista e vista la correlazione inversa nel medio periodo con il gold, cosa possiamo aspettarci dal metallo prezioso? Che il suo prossimo trend sarà neutral/debolmente ribassista?
Inoltre ricordo che il futuro aumento dei tassi di interesse (in Q1 o Q2 2022) andranno sicuramente ad abbassare il cpi stesso.
Mi rendo conto che l’analisi è molto lunga ma ci ho lavorato diverse ore. Mi rendo anche conto che è un’ipotesi ottenuta analizzando diversi strumenti, dal momento che ho creato un “minestrone” di inflazione, curva dei rendimenti, interessi nominali, reali e prezzo del petrolio. Ma è un’ipotesi, non un consiglio finanziario. Questa è comunque la mia idea, vedrò nei prossimi mesi cosa succederà, nel frattempo spero che tutti questi ragionamenti vi possano essere utili, grazie mille per l’attenzione.
BREVE ANALISI TECNICA SUL GOLD
Vi ho condiviso un grafico settimanale in cui vediamo la formazione di un bellissimo triangolo discendente, che è una figura di analisi tecnica ribassista. Dopo aver toccato i massimi storici ad agosto 2020, il prezzo ha rintracciato, andando a testare il supporto a 1676$ numerose volte (vi ho evidenziato tali situazioni con dei rettangolini gialli) e andando a formare sempre dei massimi decrescenti con la conseguente formazione del triangolo discendente. Nella settimana dell’8 novembre abbiamo assistito anche ad un falso breakout, evidenziato con una freccia rossa.
Le due cose da tener d’occhio in questa “mini” analisi tecnica sono due:
- Il triangolo discendente
- I volumi: notiamo come l’impulso rialzista partito da maggio 2019 fino al massimo storico di agosto 2020 sia stato accompagnato da volumi alti (evidenziati nel
rettangolo azzurro) . A partire invece dallo stesso agosto fino ad oggi, i volumi si sono notevolmente abbassati, e questo è ben visibile nel rettangolo giallo.
Quindi, che c’è da dire? Che la visione intermarket potrebbe essere lateral-ribassista, e la price action sembra voglia confermare questa tendenza, in quanto una figura di analisi tecnica ribassista e volumi in diminuzione rispetto alla media non precludono solitamente un rialzo del prezzo.
MATTEO FARCI
L'INVERSIONE DEI MERCATI AZIONARI GIUNGERA' NEL 2022?Buongiorno ragazzi, oggi vi voglio parlare di ciò che potrebbe accadere prossimamente sui mercati finanziari, analizzando i vari cicli economici e il loro susseguirsi e, successivamente, la curva dei rendimenti dei titoli di stato USA e di come quest’ultima stia ultimamente cambiando la sua pendenza.
Il mondo obbligazionario è sempre stato considerando un mercato “anticipatore”, in quanto esso è sempre il primo asset tra i più conosciuti (obbligazioni, materie prime e azioni) ad anticipare i cambiamenti nei cicli economici.
I CICLI ECONOMICI
Come molti di voi sapranno, i cicli economici sono 4, e si susseguono uno dopo l’altro. Ogni ciclo può durare anche diversi anni e ciò che li caratterizza sono la crescita (o la decrescita) economica, i livelli di inflazione, di disoccupazione e le scelte di politica monetaria delle banche centrali.
Partiamo con l’esaminare il primo ciclo, ossia quello di ripresa economica (che rappresenterebbe il periodo metà 2020- metà 2021 circa) che nasce dopo un periodo di recessione economica (indotta, nel nostro caso, dalla pandemia). In un periodo del genere i livelli di inflazione sono bassi, le scelte di politica monetaria sono accomodanti: si fa spesso uso dei quantitative easing, così come è accaduto nel 2020, e il livello dei tassi di interesse sta quasi allo zero, il tutto per favorire una richiesta al credito (e ai prestiti) con lo scopo di far “girare moneta”, il tutto per favorire la crescita economica. I livelli di disoccupazione pian piano si abbassano. Per quanto riguarda i dati macroeconomici, dovremo aspettarci quindi dati sul PIL in crescita mese su mese, accompagnati dalla crescita delle vendite al dettaglio, del PMI, del PPI, dell’inflazione e delle buste paga, mentre i livelli di disoccupazione dovrebbero man mano diminuire. I dati sulla fiducia dei consumatori inizia ad alzarsi.
In questo contesto economico, le materie prime incrementano il loro valore (aumentando la domanda dei consumatori verso beni e prodotti, le industrie andranno a produrre di più e, dal momento che il prezzo delle materie prime si basa sulla legge della domanda e dell’offerta, più aumenta la domanda, più il loro prezzo salirà) così come il mercato azionario. Il mondo obbligazionario, invece, inizia a muoversi in territorio negativo in quanto gli investitori, in un clima di risk on, preferiscono comprare azioni che obbligazioni visti i ritorni all’investimento più alti.
Arriviamo quindi al secondo ciclo, ossia al ciclo della massima espansione, in cui l’economia si è ormai ripresa, la disoccupazione si è riassorbita ma i livelli di inflazione sono molto alti, a causa dei prezzi del petrolio e, in generale, delle materie prime e di tanti altri fattori che ora non discuterò per non uscire troppo fuori tema.
In questo particolare ciclo le banche centrali non sono più accomodanti, dichiarando di togliere all’economia i sostegni precedentemente dati (procedendo cin i famosi tapering) e di alzare successivamente i tassi di interesse, per cercare di far abbassare l’inflazione arrivata ormai oltre il target del +2%. I livelli del PIL sono alti, così come i livelli del producer price index, delle buste paga, delle vendite al dettaglio, dei PMI e della fiducia dei consumatori. Per quanto riguarda le performance delle varie asset classes, le obbligazioni rimangono in territorio negativo, mentre girano in negativo anche le azioni (perché, come dico sempre, la finanza anticipa sempre e gli investitori, spaventati dalla banca centrale e dal relativo aumento dei tassi di interesse prossimi, liquidano le proprie posizioni long). Le materie prime continuano tuttavia a performare bene perché di per sé sono asset che performano alla grande in periodi di moderata/alta inflazione.
Il terzo ciclo (quello del rallentamento economico) ha inizio a parer mio con la scelta delle banche centrali di alzare i tassi di interesse. Con questi oltre lo 0%-0,25%, le imprese non saranno tanto più spinte (come lo erano nel ciclo 1 e 2) a richiedere prestiti per espandersi e così come per le imprese, vale per i privati (in generale, ci sarà una stretta sul credito). Ciò significa che, vista l’inferiore quantità di moneta circolante, l’inflazione tende ad abbassarsi e con lei anche il valore in borsa delle materie prime (le commodities tendono inoltre a perdere il loro valore in quanto le industire iniziano a produrre di meno in quanto la domanda dei consumatori inizia ad essere più debole e quindi minor domanda, prezzo delle materie prime giù). Con le materie prime in trend negativo, andremo a trovare valori del PPI via via decrescenti, assieme alla fiducia dei consumatori e alle relative vendite al dettaglio. Il livello di disoccupazione giunge ad un bottom e inizia a muoversi in un trend lateral-rialzista. Il PIL inizia a registrare mese su mese valori via via decrescenti. Questo è l’unico ciclo economico in cui troviamo tutti e tre le asset classes che ho nominato in trend ribassista.
Arriviamo infine al ciclo 4, ossia alla contrazione economica (che talvolta può sfoggiare anche in una recessione) in cui il PIL non cresce più bensì inizia a diminuire mese su mese, e lo stesso vale per l’inflazione e il PPI. La fiducia dei consumatori e le vendite al dettaglio iniziano a registrare dei numeri ben più negativi dei cicli 1 e 2, e lo stesso vale per i PMI. I livelli di disoccupazione si alzano in quanto le aziende iniziano a registrare utili notevolmente inferiori rispetto al ciclo 2 e 3 e di conseguenza iniziano a tagliare anche i posti di lavoro (le buste paga aumentano tendenzialmente nei cicli 1 e 2 in quanto, ad una ripresa ed un’espansione economica massima le aziende tandono ad espandersi, e ciò accade di pari passo con nuove assunzioni). I tassi di interesse sono relativamente medio/alti.
Quando si tocca il punto più basso della contrazione o della recessione economica, si ha l’intervento delle banche centrali che applicano nuovamente politiche monetarie: dapprima gli abbassano di nuovo intorno allo 0% e successivamente agiscono immettendo denaro sotto diverse forme nel sistema economico, così che si possa tornare alla fase economica 1, ossia quella della ripresa. I segnali che anticipano una nuova ripresa economica sono dapprima le obbligazioni, che girano in territorio positivo, seguite successivamente da azioni ed infine dalle materie prime, non dimenticando tutti i dati macroeconomici già menzionati, che iniziano tutti a registrare dei valori via via sempre migliori.
LA SITUAZIONE AI NOSTRI GIORNI
Nel biennio 2020-2021 abbiamo a parer mio assistito al susseguirsi di 3 cicli economici in maniera molto rapida: fase di recessione, di ripresa e di espansione economica. Tutti gridano al crash dei mercati azionari: a parer mio, forse, ci arriveremo nel prossimo anno. La teoria secondo il quale affermo che con buone probabilità arriveremo ad una fase di rallentamento economico non giunge solo studiando i vari cicli economici e il loro susseguirsi, ma analizzando anche la curva dei rendimenti dei titoli di stato americani.
COS’E’ LA CURVA DEI RENDIMENTI?
La curva dei rendimenti è la rappresentazione grafica della relazione fra le varie scadenze dei titoli di Stato americani e il relativo rendimento. Nei grafici che tra poco condividerò con voi avremo sull’asse delle ordinate i rendimenti che il titolo assume in corrispondenza di ciascuna scadenza, e sull’asse delle ascisse le relative scadenze.
La curva dei rendimenti può essere essenzialmente di 3 tipi:
- Crescente (o “steepening”)
- Piatta (o “flattening”)
- Invertita
Abbiamo una curva dei rendimenti “normale” o “crescente” quando ci sono aspettative di crescita economica. Esiste un rapporto inverso tra le obbligazioni e i relativi rendimenti: se gli investitori vendono obbligazioni (in questo caso titoli di stato) , il rendimento delle stesse obbligazioni va a crescere; quindi, se la curva dei rendimenti “normale” è crescente, significa che gli investitori vendono obbligazioni di tutte le scadenze per andare a spostare i loro capitali in strumenti a più alto rischio, ossia le azioni (facendo quindi alzare i rendimenti, in maniera appunto crescente), considerando anche il tipico clima di risk on dei mercati tipici di quella fase economica; questa è la curva dei rendimenti che abbiamo avuto nel 2020-2021, tipica appunto di una ripresa/espansione economica che noi stessi stiamo vivendo (che dopo vi mostrerò). Inoltre voglio ricordare che in periodi di ripresa/espansione economica, l’inflazione si fa sempre via via più alta fino a raggiungere un punto in cui agisce la banca centrale che, alzando i tassi di interesse, cerca di calmierarla. Proprio per questo motivo la curva è crescente: che senso ha tenere un’obbligazione che ha, ad esempio, un rendimento dell’1,7% se poi ci ritroviamo con un inflazione del 2%/3%? Avrebbe poco senso, in quanto l’inflazione andrebbe ad erodere i futuri rendimenti agli stacchi delle cedole e, quindi, cosa fanno gli investitori? Vendono le obbligazioni, facendo aumentare i rendimenti e dando alla curva la tipica forma “steepening”.
Per quanto riguarda una curva piatta, essa si va a formare in periodi economici di transizione: gli investitori iniziano a comprare titoli di stato a lunga scadenza (10,20 e 30 anni) facendo abbassare i relativi rendimenti (e infatti nell’immagine vediamo come, nelle lunghe scadenze, la curva si appiattisce). Questo succede poiché i tassi di interesse, per combattere l’inflazione, sono stati aumentati e di conseguenza gli investitori iniziano a scontare ciò, andando a comprare obbligazioni a lunga scadenza, facendo così appiattire la parte finale della curva stessa (a questo punto gli investitori iniziano ad avere meno “paura” dell’erosione del loro denaro futuro a causa dell’inflazione).
Una curva invertita è tipica di una recessione. Vi chiedete il perché? Ragioniamo assieme: se i rendimenti delle scadenze brevi (a 1,2,3,5 e 7 anni) sono più alti delle scadenze lunghe, significa sostanzialmente che gli investitori stanno vendendo obbligazioni a bassa scadenza (facendo quindi aumentare i relativi rendimenti) e comprando la stesse a lunga scadenza (facendo quindi abbasare i relativi rendimenti). Che senso avrebbe ciò? Si vendono obbligazioni a breve termine quando, nel breve termine stesso, non si ha una buona visione dell’economia (chi è che compra i titoli di stato di un Paese che potrebbe nei prossimi tempi trovarsi in recessione economica?) mentre si vanno a comprare le obbligazioni a lunga scadenza in quanto si va scontare il fatto che poi in futuro (in un futuro a 10,20 e 30 anni), dopo l’intervento delle banche centrali, l’economia sarà migliorata.
Ho studiato i vari cicli economici e il mondo obbligazionario e, per pura curiosità, sono andato a costruire la curva dei rendimenti USA relativa al periodo di Q1,Q2,Q3 E Q4 utilizzando i rendimenti a 1,2,3,5,7,10,20 e 30 anni relativi a quei trimestri:
PRIMO TRIMESTRE 2021 (Q1)
Possiamo notare come la curva sia crescente. Più ci si avvicina alle scadenze più lunghe, maggiore è la pendenza della curva
SECONDO TRIMESTRE 2021 (Q2)
Anche nel secondo trimestre del 2021 la curva si presentava “steepening”, molto simile a quella di Q1.
TERZO TRIMESTRE 2021 (Q3)
Nessun particolare considerazione diversa per la curva di Q3
QUARTO TRIMESTRE 2021 (Q4)
Vediamo come, in Q4, la curva si sia appiattita. In particolare, il rendimento del titolo di stato a 20 anni presenta un rendimento addirittura maggiore rispetto a quello a 30 anni. Questa curva è stata da me creata il 3 dicembre, quindi pochi giorni fa. E’ un caso che la curva abbia iniziato ad appiattirsi alla fine del terzo trimestre / inizio quarto trimestre, quando si iniziava a vociferare l’aumento dei tassi di interesse (e, ultimamente, un accelerazione del tapering che andrebbe a significare un aumento dei tassi non più in Q2 2022 ma probabilmente in Q1 2022)?
Vi riporto la grafica della curva dei rendimenti il 20 ottobre (quindi inizio Q4):
Come vediamo, è intorno a quel periodo che la curva ha iniziato ad appiattirsi. Questo è stato causato a parer mio dal fatto che gli investitori hanno iniziato a scontare il rialzo dei tassi di interesse.
E’ POSSIBILE CHE STIA ARRIVANDO IL “CROLLO DEI MERCATI?”
La riflessione che faccio tra me e voi è questa: abbiamo detto che l’appiattimento della curva dei rendimenti anticipa una transizione di cicli economici; abbiamo detto anche che il rialzo dei tassi di interesse di una nazione va ad abbassare l’inflazione scoraggiando però le imprese e le industrie che andranno quindi a richiedere meno prestiti e finanziamenti: come ho detto prima, si tende ad assumere manodopera in maniera più consistente durante le riprese e le espansioni economiche (in quanto la richiesta per i beni, e di conseguenza la loro produzione, aumenta), ma, raggiunto un picco dell’espansione, come avevo detto in precedenza, i livelli di disoccupazione si iniziano a muoversi in un trend lateral-rialzista. Con una disoccupazione in leggero aumento, il dato sulla fiducia dei consumatori verso l’economia inizierebbe a registrare dei decrementi (è normale che un consumatore inizi ad avere meno fiducia sul sistema economico dal momento che la disoccupazione, a piccoli passi, inizia a salire), e di conseguenza è probabile che i risparmi delle famiglie inizierebbero ad aumentare. La conseguenza diretta è sulle vendite al dettaglio, che inizierebbero a diminuire e di conseguenza, con loro, le revenue delle aziende che non andrebbero più a fatturare come nella fase di ripresa/espansione economica, in cui i consumatori erano più propensi a spendere vista la grande fiducia sull’economia. A revenue inferiori delle aziende potrebbe essere legata la poi futura vendita delle azioni stesse da parte degli investitori, con i prezzi delle azioni che potrebbero vedere l’inizio di un trend lateral-ribassista. Dopotutto quando parlavo di cicli economici ho detto che la fase di rallentamento economica era anticipata dapprima dalle obbligazioni, seguite poi dalle azioni. Le obbligazioni effettivamente non si trovano in un trend rialzista: se infatti vi condivido il grafico dei titoli di stato a 10 anni, vediamo che essi sono in un trend discendente:
Lo stesso non si può dire per le azioni, in quanto se condividessi il grafico dell’S&P500 vedremo l’indice stesso praticamente ai massimi storici. Ciò può significare il fatto che, per gridare “i mercati crolleranno” (anche se io preferisco più un “i mercati scenderanno”), bisognerà aspettare che anche le azioni effettivamente inizino a stornare, confermando quindi il nuovo ciclo economico di rallentamento. Però attenzione. Vi condivido un grafico interessante:
Questo è il grafico dell’S&P500. Nell’area in giallo vi ho segnato il range di prezzo, notando che esso, in Q2 2020, è incrementato del 20,6%. I dati sul PIL USA relativi a Q2 2020 (dati reperiti su investing.com) erano:
30.09.2020 (2° trim.) -31,4%
27.08.2020 (2° trim.) -31,7%
30.07.2020 (2° trim.) -32,9%
Nonostante la ripresa economica non fosse ancora partita (visto che era appena scoppiata la pandemia) il mercato aveva già iniziato a scontare tutto. La domanda è: anche stavolta il mercato sconterà prima un nuovo possibile ciclo economico?
Vi voglio riportare un ultimo dato interessante, relativo alla FED: in una riunione di fine settembre, quando aveva quasi annunciato il “tapering”, la stessa prevedeva che l'economia americana sarebbe cresciuta del 5,9% quest'anno, per poi rallentare al 3,8% nel 2022 e al 2,5% nel 2023. Leggendo i dati della FED, balza subito all’occhio il fatto che potrebbe effettivamente esserci un rallentamento, no?
Quindi, ritornando alla domanda iniziale, il crollo dei mercati è vicino? Nessuno può saperlo, vi ho però portato alcuni dati interessanti, intrecciando cicli economici, obbligazioni e azioni. Per quanto riguarda il mio processo, continuerò giorno dopo giorno a leggere i dati macroeconomici e osserverò la curva dei rendimenti e tutti gli etf settoriali di cui parlo sempre…perché? Perché il mercato sconta quasi sempre tutto in precedenza.
MATTEO FARCI
GLI ASSET MIGLIORI NEI GIORNI DI ALTA VOLATILITA'Ciao ragazzi, in questi giorni di alta volatilità ho deciso di pubblicare questa idea in cui vado ad analizzare diversi asset ed in particolare le loro performance, in maniera da scovare quelli che hanno performato meglio e peggio per sfruttare, magari nel prossimo futuro, altri giorni di alta volatilità come questi in maniera da massimizzare i profitti e contenere le perdite.
COS’E’ LA VOLATILITA’?
Per chi non lo sapesse, è bene che spieghi in poche parole a cosa si riferisce la volatilità: essa non è altro che uno strumento che misura la variazione di prezzo di un asset in un dato periodo. Può assumere dei valori bassi o viceversa alti (per il VIX, indice di volatilità dell’S&P 500, lo spartiacque tra bassa ed alta volatilità sono i 20 punti mentre per il VXN, indice di volatilità del Nasdaq, 25 punti) a seconda delle particolari condizioni di mercato.
Spesso gli indici di volatilità sono definiti “gli indici di paura” in quanto un loro incremento è spesso associato ad uno storno del mercato.
I mercati ad alta volatilità sono caratterizzati da bruschi movimenti di prezzo che vanno a caratterizzare l’elevata imprevedibilità di quel mercato mentre i mercati a bassa volatilità sono più stabili e hanno fluttuazioni di prezzo contenute.
Come grafici principali ho condiviso i due indici di volatilità più famosi: a sinistra il VIX e a destra il VXN. Con i due rettangoli gialli ho evidenziato le aree di “tranquillità” Vediamo dai grafici come entrambi abbiano superato gli ultimi 3 giorni la soglia dei 20 e dei 25 punti. In particolare, notiamo come il VIX si sia mosso in media del +33,60% circa, a differenza del VXN, che ha registrato in media un +11,8%.
LE PERFORMANCE DELL’S&P 500 E DEL NASDAQ
Per prima cosa, andrei ad analizzare gli indici principali, ossia l’S&P 500 e il Nasdaq.
Per quanto riguarda il primo, vediamo come nelle ultime 3 sessioni abbia perso circa il -2,64%; se il VIX non riuscisse a tornare a valori inferiori ai 20 punti è probabile che il prezzo vada a rivisitare la struttura segnata con un segmento di color nero a 4547$.
Il Nasdaq ha perso circa il -2,48%. Così come per l’S&P 500, anche per il Nasdaq è probabile che potrebbe andare a rivisitare la struttura a 15702$ se la volatilità del VXN non si abbassasse.
Dopo aver visto le perdite in percentuali dei due indici principali, andiamo ad addentrarci settore per settore per vedere le relative performance utilizzando vari etf, mentre successivamente analizzeremo il mondo delle materie prime, quello obbligazionario ed infine il forex.
SETTORE ENERGETICO XLE
Sappiamo come il settore energetico americano sia fortemente dipendente dal prezzo del petrolio, di cui parleremo però tra poco. La caduta del petrolio (e del natural gas) è andata ad influenzare chiaramente il settore, che nelle ultime sedute ha visto un tracollo del -6,85% circa (peggior indice settoriale) . Il prezzo è andato a rompere il rettangolo di distribuzione che aveva creato tornando a rivisitare la media a 50 periodi, che sembra per il momento non aver costituito un punto di supporto. Sarà interessante vedere come si comporterà il crude oil nel breve periodo (vi ricordo le riunioni OPEC di oggi e del 2 dicembre in cui si discuterà sulle future strategie da adottare, anche a fronte della nuova variate omicron).
SETTORE FINANZIARIO XLF
Anche questo settore è andato a rompere il rettangolo di distribuzione in cui si era incastonato segnando nelle ultime sessioni un brusco -5,43%. Il prezzo ha rotto con buoni volumi la media a 50 periodi al ribasso, proiettandosi ora verso la media a 200 periodi. Ci arriverà? In questo senso sarà interessante vedere come si comporterà il mondo obbligazionario, in quanto esiste la correlazione diretta tra gli asset finanziari e i rendimenti dei titoli di stato. Ho approfondito questa correlazione in una mia precedente idea, ve la allego in maniera che possiate approfondire.
SETTORI INDUSTRIALE E DEI MATERIALI
Anche questi settori si sono comportati come quello finanziario ed energetico. L’industriale ha perso il 4,87% circa, mentre quello dei materiali il 3,44%. Al momento della scrittura di questa idea (18:30 del 30/11) il prezzo di XLI si trova schiacciato sulla media a 200 periodi mentre XLB sulla media a 50 periodi. Vedremo prossimamente se tali medie andranno a costituire punti di supporto.
SETTORI REAL ESTATE E TECNOLOGICO
Entrambi i settori perdono intorno al -2,2% / -2,8% come si evince dai due grafici. Ricordiamo che i due settori sono diversi tra loro: il real estate è uno di quei settori che tendenzialmente performano bene in periodi di media/alta inflazione, mentre il settore tecnologico è legato in maniera indiretta all’inflazione stessa in quanto essa erode i guadagni futuri, e siccome nel settore tech XLK molte aziende sono growth, esse vanno a risentirne, nonostante le grandi performance fatte nel 2020/2021. Se vogliamo trovare una correlazione, vi suggerisco di guardare la fragilità che dimostra il settore in quelle sedute in cui i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni aumentano in maniera repentina ed improvvisa.
SETTORI CONSUMER STAPLES E SANITARIO
I due settori si comportano all’incirca come tutti quelli che vi ho già descritto. I loro prezzi oscillano sempre tra i 2 punti percentuali e mezzo circa.
SETTORE DELLE COMUNICAZIONI
Il settore delle comunicazioni è uno di quelli che ha performato peggio, arrivando a segnare in intraday un -3,95%, rompendo dapprima la struttura a 78,75$ e successivamente, con molta forza, anche la media a 200 periodi.
SETTORE CONSUMER DISCRETIONARY
Il settore XLY perde tanto quanto il settore consumer staples, ossia il -2,90% circa.
E’ interessante vedere che questo settore si dimostra tanto forte, essendo l’unico di tutti quelli che ho analizzato a trovarsi a distanza rilevante dalla media a 50 periodi (questo è sinonimo di grande forza del trend)
Concludendo con l’analisi sui settori del mondo azionario statunitense, possiamo affermare che la volatilità è nemica del rialzo del prezzo. In questo senso, la teoria sulla volatilità conferma gli studi: in periodi di alta volatilità, è molto più probabile che un prezzo scenda in maniera anche aggressiva anziché salire; questo significa il fatto che gli investitori non hanno spostato i loro capitali nelle equities, bensì hanno probabilmente chiuso le loro posizioni rialziste per andarsi a proteggere su altri asset. Questi asset possono essere le materie prime? Direi proprio di no.
Vi condivido uno degli etf più famosi sulle materie prime, ossia il bloomberg commodity index, che contiene al suo interno il paniere appunto delle commodities con un peso rilevante riservato a quelle energetiche.
Come si evince dal grafico, l’indice è arrivato a perdere addiritura il -8,62% al momento della scrittura, ben peggio di tutti gli indici azionari analizzati. Utilizzando l’analisi volumetrica, notiamo come il prezzo si sta ora poggiando su l’importante point of control dell’ultimo impulso rialzista formato dal prezzo; se riuscirà a romperlo al ribasso , è probabile che andrà a finire sulla media a 200 periodi (non ricordo ora l’ultima volta in cui il prezzo abbia rivisitato tale struttura data la sua enorme forza da marzo 2020).
Vorrei fare una menzione importante sul petrolio, in quanto esso nel biennio 2020-2021 non aveva mai perso (in tre sole sedute) il 16% del suo valore. Ciò è chiaramente dovuto alla nuova variante del covid scoperta il giorno del black friday, in quanto va a minacciare la ripresa economica globale ma soprattutto la domanda di petrolio stesso (dal momento che diverse rotte aeree sono già state interrotte). La paura di possibili nuovi lockdown ha fatto liquidare tantissime posizioni long dei non-commercials (sarà interessante studiare il prossimo cot report per analizzare quante effettive posizioni long siano state chiuse) e, di tutta risposta, il prezzo è crollato. E’ interessante dal lato tecnico vedere che il prezzo ha prima rotto la struttura a 71,15 dollari dove presumibilmente erano posizionati tanti ordini long qualora il prezzo ci fosse tornato a far visita (come ho dichiarato nella mia precedente idea), successivamente ha rotto al ribasso il point of control della lateralizzazione di fine maggio-fine settembre e successivamente addiritura la media a 200 periodi. Il mercato secondo voi ha paura di tutto ciò? A tal proposito vi ho condiviso anche l’indice di volatilità del crude oil, ossia l’OVX, che in 3 sedute ha segnato un +167%. Credo che questo lasci davvero pochi commenti, fa impressione!
Deduciamo da queste ultime analisi che nemmeno il mondo delle materie prime ha avuto delle belle giornate a cui tutti noi eravamo abituati. Il mondo delle commodities è già di per sé volatile, quindi è abbastanza scontato che gli investitori non mettessero i soldi in un asset simile perché, come ho spiegato all’inizio dell’idea, “I mercati ad alta volatilità sono caratterizzati da bruschi movimenti di prezzo che vanno a caratterizzare l’elevata imprevedibilità di quel mercato”. Detto in poche parole, in momenti di alta volatilità le commodities si comportano come uno strumento troppo imprevedibile e ciò non piace al mercato, così come le notizie improvvise, come quella della nuova variante.
Quali sono stati quindi i “beni rifugio” (ossia quegli asset che in periodi instabili tendono ad incrementare il proprio valore) di queste ultime giornate volatili? Sicuramente il mondo obbligazionario, che è meno volatile rispetto alle azioni e alle commodities anche se offre dei rendimenti inferiori e, nel mondo del forex, il franco svizzero e lo yen giapponese. Andiamo a vederli.
MONDO OBBLIGAZIONARIO
Vi ho condiviso un titolo di stato a breve scadenza, quello a 5 anni, e uno a lunga scadenza, ossia quello a 10 anni. Vediamo come quello a 5 anni abbia superato il punto percentuale, mentre quello a 10 anni abbia segnato addiritura un +2,25%.
Come ho spiegato prima, è probabile che gli investitori abbiano utilizzato le obbligazioni come bene rifugio dato che, come assets, sono meno volatili delle equities anche se, come ho già detto, non offrono gli stessi rendimenti; sono i tipici asset che possono performare bene in periodi di “risk off”, ossia quando la tendenza al rischio e bassa.
FOREX: YEN GIAPPONESE E FRANCO SVIZZERO
Sappiamo che queste due valute sono dei beni rifugio: lo yen probabilmente perché il debito del Giappone è per il 90% nelle mani dei giapponesi stessi, per cui è più difficile assistere ad attacchi speculativi sul debito del paese, mentre il franco svizzero perché la Svizzera è sempre stato visto come un porto sicuro, con un’economia e un sistema politico stabile.
Guardando i due grafici che vi ho condiviso, vediamo come i due future valutari si siano apprezzati e abbiano effettivamente agito da beni rifugio di breve periodo, andando a momenti a superare entrambi il 2%.
ORO
Il bene rifugio per eccellenza è l’oro che curiosamente, al momento della scrittura, si trova in territorio negativo rispetto alle 3 sessioni precedenti. Didatticamente mi sarei aspettato un prezzo molto superiore, ma ciò stavolta non è avvenuto.
LE MIE CONCLUSIONI
Innanzitutto, mi scuso se la mia idea è stata troppo lunga. Mi sono dilungato perché mi piace affrontare con voi di questa community questo tipo di analisi intermaket. Non avevo mai condiviso un’idea correlata alla volatilità nei mercati finanziari, e di conseguenza ho agito per proporre nel mio profilo delle idee sempre diverse, con spunti sempre diversi ed interessanti. Spero di “lavorare” bene, è la mia passione. Per quanto mi riguarda, condivido sempre l’importanza che hanno questo tipo di analisi, specie in giorni particolari. Se è vero che nei mercati finanziari si studia sempre il passato per capire il futuro, era importante capire per me la reazione dei diversi asset a quest’alta volatilità. Questo significa che se prossimamente, a parità di condizioni economiche e sociali, si dovesse ripresentare una volatilità di questo tipo, saprò dove rifugiarmi. Buona giornata.
MATTEO FARCI
ANALISI TECNICA E FONDAMENTALE ARGENTO (SI1!)Buongiorno a tutti, oggi vado ad analizzare dopo qualche mese una materia prima, l’argento, con un’analisi del prezzo e una fondamentale, avvalendomi del report dello Silver Institute e del COT report.
SILVER INSTITUTE
Per chi non lo sapesse, Il Silver Institute è un'associazione internazionale senza scopo di lucro che trae i suoi dati dall'industria dell'argento; ciò include le principali case minerarie d'argento, raffinerie, fornitori di lingotti, produttori di prodotti in argento e grossisti di prodotti di investimento in argento. Fondato nel 1971, l'Istituto funge da voce dell'industria per aumentare la comprensione da parte del pubblico dei numerosi usi e valori dell'argento.
Il 29 ottobre è uscito il report in cui si osserva quali sono le previsioni di utilizzo della materia prima per i prossimi anni. In particolare, esso dice che:
“L'uso dell'argento nell'elettronica e nelle applicazioni elettriche (escluso il fotovoltaico) è previsto in aumento da 224 milioni di once (Moz) nel 2020 a 246 Moz nel 2025, riflettendo un aumento del 10%”. "Oggi, l'argento si trova in quasi tutti i dispositivi elettronici", il rapporto ha osservato. “Con la massima conduttività elettrica di tutti i metalli, l'argento sta svolgendo un ruolo fondamentale negli ultimi progressi tecnologici; la conducibilità è una risorsa importante nella miniaturizzazione di elettronica, permettendo alle correnti elettriche di fluire anche nei semiconduttori e chip per computer più piccoli”. Il report, continuando, dice che “l'argento è parte integrante di applicazioni come l'espansione della tecnologia delle comunicazioni 5G”.
Detto questo, vi ho riportato solo alcuni punti salienti del report, potete trovarlo nel sito del Silver Institute. Considerando quindi il fatto che il suo utilizzo negli anni a venire aumenterà, non solo per i motivi citati dal report ma anche perché esso è un metallo che verrà utilizzato per la transizione verde (ricordiamo, ad esempio, il suo impiego nei pannelli fotovoltaici), è possibile che l’argento possa essere un buon investimento a lungo termine (basandoci sulla legge della domanda e dell’offerta).
COT REPORT
Ora riporto sotto i dati riguardo le posizioni nette speculative sull’Argento dei non commercials (ossia gli speculatori).
29.10.2021 37,5K
22.10.2021 30,4K
15.10.2021 18,0K
08.10.2021 16,4K
01.10.2021 16,7K
Come possiamo notare, le posizioni long (rispetto alle short) sono in un trend rialzista dall’8 ottobre; in particolare esse, nel giro di 20 giorni, sono più che raddoppiate, facendo intendere il fatto che, nel breve termine, gli speculatori stanno pian piano aumentando le loro posizioni long. Dobbiamo però contestualizzare il tutto infatti, nonostante le posizioni in acquisto stiano pian piano aumentando, ci troviamo ancora lontani da valori di 52,8K toccati il 14 maggio (ciò significa che in quel periodo i rialzisti attivi nel mercato erano molti di più). Tuttavia, in una possibile ottica long, è importante a parer mio leggere questi dati, che quindi ci stanno riferendo il fatto che i non commercials si stanno pian piano esponendo di più.
ANALISI TECNICA
Dal punto di vista tecnico possiamo affermare che il prezzo si muove senza una tendenza da circa un anno e tre mesi, con il prezzo che ha toccato un massimo a 29,91$ il 7 agosto 2020, rivisitato e poi superato il 1 febbraio 2021 (quel massimo ricordiamo essere stato causato dallo short squeeze dei Wall Street Bets); grazie a questi due massimi ho tracciato una resistenza nera.
Nella parte bassa del grafico, invece, notiamo come il prezzo abbia sentito per 3 volte la struttura a 21,9 $/21,4$, ogni volta rimbalzandoci; questa zona è a parer mio molto importante, dove vengono piazzati tanti ordini long che superano quelli short; è quindi quella struttura dove si esaurisce la forza ribassista e dove si riaccende quella rialzista.
Ho individuato altre importanti strutture di prezzo nel Point of Control di tutto il periodo di lateralizzazione, dove il prezzo ha reagito ogni volta che è stato in corrispondenza o in prossimità, e nella media a 200 periodi, che il prezzo ha utilizzato determinate volte come resistenza e altre come supporto; il tutto è ben evidenziato nel grafico, spero di essere stato abbastanza chiaro.
Ultimamente si è avuta la formazione di un doppio massimo; il prezzo, nonostante fosse più forte rispetto al periodo precedente in cui era stato formato il massimo precedente (e ciò possiamo osservarlo grazie all’rsi) ,non è riuscito a salire oltre, come evidenzio nel grafico; la figura di doppio massimo verrà validata se il prezzo riuscirà a rompere al ribasso con decisione e buoni volumi la media a 50 periodi, viceversa rimbalzerà e vedremo cosa andrà a fare; le visioni possono essere 2:
1. Rompe al ribasso la media a 50 periodi e và a rivisitare i minimi a 21,5$
2. Rimbalza sulla media a 50 periodi, infrange al rialzo i massimi del “doppio massimo” e rivisita la media a 200 periodi; dal momento che quest’ultima è stata sentita dal prezzo diverse volte, sarà interessante vedere cosa (e se) succederà. Per un’ottica long, personalmente, aspetterei che il prezzo rompa al rialzo la resistenza indicata nel grafico in tratteggiato, a 28,5$.
Non dimentichiamo che l’argento è scambiato in dollari e quindi, per la relazione inversa che esiste tra materie prime e dollaro, più è debole quest’ultimo, più forti dovrebbero essere le altre; questa settimana la FED annuncerà probabilmente e ufficialmente il tapering (ossia la riduzione dell’acquisto di obbligazioni mensili): se ciò dovesse accadere, il dollaro dovrebbe in linea teorica andare a rinforzarsi sempre per una dinamica simile alla legge della domanda dell’offerta: più moneta circolante c’è, sotto forma di acquisto di obbligazioni, meno forte sarà essa; viceversa, con meno moneta circolante, essa dovrebbe rinforzarsi. Se il dollaro andasse a rinforzarsi, la mia visione diventerebbe quindi più short che long.
Spero che questa analisi vi aiuti dal punto di vista didattico.
Matteo Farci
L'IMPORTANZA DELL'ANALISI INTERMARKET NELLE MIE OPERAZIONIBuongiorno a tutti, più volte ho scritto in questa community che mi piace aprire delle posizioni in long o in short avendo piu’ di un vantaggio statistico. Oggi vi riporterò un’operazione dal rischio rendimento 1,9 spiegando i motivi sia tecnici che fondamentali che mi hanno portato a prendere la decisione di entrare long.
RENDIMENTI DELLE OBBLIGAZIONI USA A 10 ANNI
Per prima cosa, parliamo dei rendimenti del decennale americano a 10 anni, di cui si fa un gran parlare già di diversi mesi. I rendimenti sono correlati negativamente alle obbligazioni dei titoli di stato americano (in questo caso, a 10 anni): ciò significa che se c’è un sell off sull’obbligazionario, i rendimenti andranno a crescere; nel caso opposto, invece, andranno chiaramente a decrescere. Sentiamo oramai ogni giorno parlare di inflazione e, da come vi sarete resi conto tutti, più si ha la “paura” di inflazione (dal momento che diminuisce il nostro potere di acquisto), più i rendimenti delle obbligazioni salgono. Perché questo avviene? Come abbiamo detto, i rendimenti salgono quando vengono scaricate le obbligazioni, ed esse vengono scaricate semplicemente perché, essendo soldi che noi andremo a ritirare in futuro (in questo caso, dopo 10 anni), il nostro premio sarebbe notevolmente decrementato dall’inflazione che, come ho detto, diminuisce il potere di un possibile guadagno; per spiegare ancora meglio il concetto, se noi acquistiamo un obbligazione con un rendimento X, dopo 10 anni andremo a ritirare il premio che avrà valore X – INFLAZIONE, il che fa capire che il valore al momento dell’acquisto e al momento del ritiro del premio è ben diverso (è più basso).
Quindi, abbiamo capito il motivo per cui i rendimenti stanno salendo? Perché gli investitori vendono le obbligazioni per paura di alta inflazione.
RELAZIONE TRA RENDIMENTI US10Y E SETTORE FINANZIARIO (XLF)
Capiti cosa sono i rendimenti, vi chiedo: c’è un settore americano che ci guadagna dal rialzo dei rendimenti, quando si ha paura dell’inflazione? La risposta è si, ed è evidenziata nel grafico di destra che vi ho condiviso: il settore finanziario, nel grafico XLF (un etf, che è un indice di circa 64 aziende che operano in quel settore).
Sapete perché questo settore, a differenza di altri (come il settore tecnologico/growth) ci guadagna? Perché i rendimenti delle obbligazioni sono legati intrinsecamente alle decisioni delle banche centrali. Più aumentano i rendimenti, più c’è paura di inflazione; cosa fanno le banche centrali per combattere l’inflazione? Aumentano i tassi di interesse. E se i tassi di interesse sui prestiti aumentano, chi va chiaramente a guadagnarci? Il settore finanziario, nella fattispecie XLF.
Dal grafico di destra, infatti, vediamo che da luglio 2020 a marzo 2021 i due andamenti erano correlati positivamente: salivano i rendimenti, e saliva anche XLF. Da maggio 2021 ad agosto 2021, invece, sono scesi entrambi, in maniera sempre molto lineare, per risalire poi da agosto ad oggi. Come si evince, quindi, gli US10Y influenzano in maniera lampante il settore finanziario.
OPERAZIONE SU PNC FINANCIAL SERVICES GROUP
Individuato il settore più performante secondo i miei ragionamenti (il secondo più performante in verità, il settore energetico in questo periodo performa ancora meglio), ho cercato un’azienda all’interno di quel settore con aspetti tecnici tali da permettermi un’entrata long: ho trovato Pnc Financial Services Group.
Vediamo come da fine febbraio a fine aprile il prezzo abbia creato una fase di accumulo, terminata poi con il breakout del rettangolo, seguito poi da un impulso rialzista terminato il 10 maggio. Successivamente il prezzo ha formato un “falso” rounding bottom, falso nel senso che la figura, geometricamente parlando, non è perfetta. Forte dei miei pensieri fondamentali, ho aspettato il breakout del massimo del 10 maggio, che e’ avvenuto, come ho evidenziato nel grafico, con grandi volumi (segnale importante di trend forte). Ho quindi impostato lo stop loss sotto la candela di breakout e il take profit in maniera tale da portare a casa un’operazione dal rischio/rendimento 1,9.
Spero che questa idea vi dia spunti, vi auguro una buona giornata.
Matteo Farci
BUND: area di supporto posta a 160.30/160.00L'obbligazionario tedesco a 10 anni mostra una interessante zona di supporto posta a 160.30-160.00.
Seguire con attenzione le prossime sedute, in modo da poter capire meglio se siamo davanti a una tenuta dei prezzi oppure una nuova fase di consolidazione ribassista.