LA CORRELAZIONE TRA MERCATO OBBLIGAZIONARIO E MATERIE PRIMEBuongiorno ragazzi. Dopo aver analizzato le correlazioni del mercato obbligazionario con quello azionario e con il dollaro americano, oggi analizzeremo quello con le materie prime.
Come riferimento obbligazionario utilizzerò il rendimento del titolo di Stato a 10 anni, per quanto riguarda le materie prime l’ETN Bloomberg Commodity Index (DJP), che contiene all’interno del suo paniere, in diverse percentuali, tutte le commodities. Le prime 4 partecipazioni sono date dall’oro (14.08%), natural gas (8.47%), greggio WTI (8.42%) e greggio brent (7.35%)
Per poter spiegare la correlazione esistente tra le due asset classes mi servirò del dollaro americano in quanto, come capirete, rivestirà un ruolo importante (se non fondamentale).
Come ho specificato all’inizio del paragrafo, avevo già parlato della correlazione esistente tra obbligazioni e dollaro; vi consiglio di leggere l’analisi al link:
LA CORRELAZIONE INVERSA TRA OBBLIGAZIONI E COMMODITIES SU TIMEFRAME SETTIMANALE
Inizialmente condividerò un grafico settimanale in cui andrò a correlare il rendimento del decennale americano con il DJP, utilizzando il coefficiente di correlazione impostato a 20 periodi, in maniera da avere una panoramica generale:
Dal 2006 ai giorni nostri la correlazione si è mantenuta per la maggior parte dell’arco temporale in territorio positivo. Ciò significa che ogni qualvolta le obbligazioni sono state vendute (con il relativo rialzo dei rispettivi rendimenti visto il rapporto inverso obbligazione/rendimento), le materie prime sono state invece acquistate. Cosa ne conviene da questa osservazione? Queste due correlazioni:
• Correlazione diretta tra rendimenti del decennale americano e materie prime
• Correlazione indiretta tra titoli di stato americani a 10 anni e materie prime
Ora scenderemo più nei dettagli andando a condividere dei grafici giornalieri e aggiungendo all’interno dell’analisi il ruolo del dollaro americano, condividendo il suo indice DXY.
LA CORRELAZIONE “MISTA” TRA OBBLIGAZIONI E COMMODITIES SU TIMEFRAME GIORNALIERO
PERIODO GIUGNO 2006-GIUGNO 2007
Tra giugno 2006 e giugno 2007 i rendimenti a 10 anni hanno perlopiù lateralizzato, seguiti dal DJP. Possiamo quindi affermare che la correlazione tra essi si è mantenuta diretta. Abbiamo invece assistito ad una svendita di dollaro americano.
PERIODO GIUGNO 2007-LUGLIO 2008
Giungiamo alla prima metà della crisi immobiliare scoppiata negli Stati Uniti intorno alla fine del 2007. Vediamo come il rendimento del decennale americano abbia nello stesso arco temporale creato un trend ribassista; il motivo è da ricercare nel ruolo di bene rifugio degli stessi titoli di Stato a quella scadenza: gli investitori, in climi di risk-off dei mercati (in quanto si trattava di recessione), ricercano dei rendimenti stabili e sicuri, e i titoli di Stato USA a 10 anni ricoprono quel ruolo: tale funzione deriva dalla stabilità del Paese stesso che gli emette: un alto rating (più un rating è alto e più un Paese è credibile nell’onorare le obbligazioni assunte) rassicura gli investitori sul fatto che lo Stato riesca sicuramente a restituire il prestito (acquistare un’obbligazione equivale a prestare dei soldi ad un Paese) con un interesse riconosciuto; questi acquisti di obbligazioni sono per questo motivo considerati sicuri e affidabili, e si sono riflessi sui rendimenti relativi che, come abbiamo osservato, hanno creato un trend ribassista.
Lo stesso discorso fatto finora non è replicabile per quanto riguarda il dollaro: esso non riesce ad assumere il suo ruolo di bene rifugio e questo si riflette sull’indice delle commodities, che si muovono in maniera inversa rispetto ai rendimenti (e, di conseguenza, in maniera diretta rispetto ai titoli di stato).
Perché accade ciò? Le materie prime all’interno del DJP sono commerciate in dollari USA. Questo significa che la loro richiesta tende ad aumentare quando il dollaro si indebolisce mentre tende a diminuire quando la stessa valuta si rafforza.
Facciamo un piccolo esempio: immaginiamo voglia comprare un barile di petrolio il cui prezzo è 100$. La mia valuta di riferimento è l’euro; immaginiamo un EUR/USD a 1.22; il cambio valutario indica il fatto che 1€ vale 1.22$.
Andrò a pagare il mio barile di petrolio 81,96€ (100$/1,22$).
Immaginiamo ora che il dollaro si rafforzi, immaginando un cambio EUR/USD a 0.85 (come negli anni 2000);
Questo significa che 1€ andrebbe a valere 0.85$. A questo punto andrei a pagare lo stesso barile non più 81.96€, bensì 117.64€.
Applicate ora questo piccolo ragionamento fatto al DJP:
• Più il prezzo diventa conveniente (con un dollaro in fase di indebolimento), più è probabile che l’indice delle materie prime salga
• Meno il prezzo diventa conveniente (con un dollaro in fase di rafforzamento), più è probabile la discesa dell’indice
Questo è il motivo per il quale obbligazioni e materie prime hanno avuto lo stesso trend: quest’ultime sono fortemente dipendenti dalla forza o dalla debolezza della valuta con la quale sono scambiate: è quindi necessario utilizzare nella correlazione che stiamo analizzando il dollaro americano.
PERIODO LUGLIO 2008-MARZO 2009
Troviamo un cambio di correlazione a partire da luglio 2008: i titoli di stato a 10 anni continuano a comportarsi da beni rifugio e ad essere di conseguenza acquistati, e lo stesso ruolo viene assunto dal dollaro. A questo punto si ha il cambio di rotta da parte dell’indice DJP: dai massimi a 74$ di giugno 2008, l’indice perde oltre il 50% del suo valore, correlandosi in maniera indiretta con i titoli di Stato; uno dei motivi del loro crollo è dovuto anche alla stessa recessione: in un contesto economico di questo tipo, esse tendono a performare male; il motivo è da ricercare nella domanda dei consumatori e nella loro predisposizione a spendere: essendo in recessione, il “consumer spending” cala, e con esso anche la richiesta di materie prime e il loro prezzo, a causa della legge della domanda e dell’offerta; infatti:
MINOR DOMANDA = DIMINUZIONE DEL PREZZO
PERIODO GENNAIO 2009-DICEMBRE 2009
In tutto l’arco dell’anno solare 2009, i rendimenti del decennale salgono come conseguenza delle vendite sui titoli di stato e lo stesso dollaro si correla in maniera diretta con questi ultimi: l’effetto sulle materie prime è da manuale: una svalutazione della moneta rende più conveniente l’acquisto delle materie prime da parte degli investitori e il DJP, come conseguenza diretta, si tiene in trend rialzista per tutto l’arco di tempo analizzato.
PERIODO DICEMBRE 2009-GIUGNO 2010
Verso la fine della crisi immobiliare assistiamo ad una “parità” dei titoli di stato, un rafforzamento del dollaro e un conseguente indebolimento del DJP.
PERIODO GIUGNO 2010-APRILE 2011
Da giugno 2010 ad aprile 2011 i rendimenti dei titoli di stato non prendono un vero e proprio trend; ciò non è vero per gli altri due asset: il dollaro americano disegna un trend ribassista mentre il DJP uno rialzista.
PERIODO APRILE 2011-AGOSTO 2013
Osserviamo come, da aprile 2011 ad agosto 2013, gli investitori abbiano spostato i loro capitali su titoli di stato e dollaro, andando a farli apprezzare. Il rafforzamento del dollaro ha poi pesato sull’indice delle materie prime, che in due anni e due mesi perde il 40% circa del suo valore.
PERIODO AGOSTO 2013-GENNAIO 2015
Nei due anni successivi la musica non cambia, infatti assistiamo agli stessi trend da parte di tutte le tre asset classes osservate nel biennio precedente 2011-2013.
PERIODO GENNAIO 2015-DICEMBRE 2016
Biennio 2015-2016 caratterizzato da una lateralizzazione da parte dei titoli di stato e da parte del dollaro USA; le materie prime continuano la loro caduta, portandosi ad un prezzo di 24$ circa.
PERIODO DICEMBRE 2016-APRILE 2018
Tra tutti i periodi analizzati finora, questo è l’unico in cui le materie prime e i titoli di stato lateralizzano. La debolezza della valuta mondiale non riesce a rinvigorire il DJP.
PERIODO APRILE 2018-CROLLO COVID 19
Il biennio 2018-2019 è stato caratterizzato da un acquisto di titoli di stato con corrispondente diminuzione del relativo rendimento e da un rafforzamento del dollaro americano, con conseguente deprezzamento da parte delle materie prime.
PERIODO CROLLO COVID19-GIORNI NOSTRI
Dai crolli dei mercati azionari di marzo 2020 abbiamo assistito ad una generalizzata vendita di titoli di stato, un non-definito trend da parte del dollaro ed un’esplosione da parte del DJP.
LE DIFFERENZE TRA IL BREVE E IL LUNGO PERIODO
L’aver analizzato la correlazione tra materie prime e titoli di stato a livello giornaliero e a livello settimanale ha messo in luce un argomento che vorrei chiarire:
- Abbiamo assistito ad una correlazione inversa a livello settimanale
- Abbiamo assistito ad una correlazione “mista” a livello giornaliero
Che insegnamento dobbiamo trarne? Una correlazione può risultare “diversa” a seconda del timeframe in cui viene analizzata; abbiamo infatti scoperto come essa si mantenga piuttosto indiretta (e diretta se si fa riferimento ai rendimenti ma non ai titoli di stato) se studiata a livello settimanale, ma assume un atteggiamento “controverso” se si fa riferimento al timeframe giornaliero; riferendoci a quest’ultimo riusciamo infatti a trovare degli archi temporali in cui la correlazione indiretta non si palesa (giugno 2006-giugno 2007, giugno 2007-luglio 2008, dicembre 2009-giugno 2010 ed infine gennaio 2015-dicembre 2016).
Per studiare una correlazione è quindi necessario scegliere un determinato timeframe, in quanto essa può risultare diversa a seconda che ci si riferisca al breve o al lungo periodo.
LA CORRELAZIONE TRA MATERIE PRIME, TITOLI DI STATO E INFLAZIONE
Il consumer price index gioca un ruolo fondamentale in questa correlazione. Qual è il motivo? Riflettiamo assieme:
Ho già specificato diverse volte l’influenza che ha l’inflazione nelle obbligazioni (titoli di stato): se essa sale, è meno conveniente per gli investitori detenerle, per il fatto che il rendimento che loro otterrebbero da tale investimento sarebbe totalmente eroso dal CPI stesso. Quello che dobbiamo aspettarci quindi è una correlazione inversa tra inflazione e titoli di stato: più l’inflazione sale, più i titoli vengono venduti e viceversa.
Per quanto riguarda le commodities, esse vanno a performare bene in territori inflattivi; perché? Perché esse sono le maggiori responsabili del dato oggettivo: più il loro prezzo sale, maggiori saranno le pressioni inflazionistiche.
Basandoci su tutto quello esplicitato in questo paragrafo, cosa possiamo aspettarci?
- In fasi di recessioni, i livelli di inflazione calano poiché la domanda di beni da parte di industrie, privati e cittadini diminuiscono dal momento che lo stesso “consumer spending” cala in maniera diretta e di conseguenza, dal momento che il mondo delle commodities è dominato dalla legge della domanda e dell’offerta, minore è la domanda, minore sarà il prezzo. Per quanto riguarda le obbligazioni, il concetto si capovolge: il calo dei prezzi al consumo le rende più appetibili in quanto il rendimento non sarebbe più eroso dal CPI; la conseguenza diretta è un loro acquisto; da non dimenticare anche il ruolo del decennale americano come bene rifugio, che tende ad apprezzarsi in momenti di risk-off.
- In fasi di riprese ed espansioni economiche tutto si ribalta: l’inflazione vede degli aumenti a causa dell’aumento della domanda di beni, e da qui l’aumento di prezzo delle materie prime. Le obbligazioni diventano invece poco attraenti per i motivi spiegati poc’anzi.
Questo è possibile osservarlo a livello grafico?
RECESSIONE 2007-2009
RIPRESA ED ESPANSIONE ECONOMICA 2009-2011
RECESSIONE COVID-19
RIPRESA ED ESPANSIONE ECONOMICA 2020-2021
L’analisi termina qua. Essa è generalizzata a tutte le materie prime dal momento che ho correlato le obbligazioni ad un indice di esse. Prossimamente scriverò delle analisi che si incentreranno sulla correlazione tra le stesse obbligazioni e materie prime specifiche.
Grazie per l’attenzione, Matteo Farci.
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I MERCATI AZIONARI RIVISITERANNO I MASSIMI STORICI? LA MIA IDEASalve ragazzi.
L’analisi che condivido stamani ha l’obiettivo di far chiarezza su quello che sta accadendo sul mercato azionario americano. Abbiamo assistito ad un grande rimbalzo da parte dei due bechmark di riferimento S&P500 e Nasdaq; quello da chiedersi è:” i mercati rivisiteranno i massimi storici?”
Proveremo a capirlo insieme in questa analisi.
ANALISI TECNICA S&P500
L’S&P ha avuto la capacità di risollevarsi del 9.18% in circa due settimane; questo recupero è scaturito da un doppio minimo, accompagnato da una divergenza osservabile nell’RSI. Se l’indice continuasse a salire, la prima resistenza sarebbe rappresentata dalla struttura a 4600$ (soglia anche psicologica).
Analizzando i volumi, ho applicato due medie volumetriche: una veloce a 10 periodi (che ingloba le ultime 10 sedute di contrattazioni) e una lenta a 50 periodi. Cosa si può osservare? Che i volumi a brevissimo periodo stanno diminuendo, e ciò è constatato anche dal death cross avvenuto, ossia dal passaggio della media volumetrica veloce al di sotto di quella lenta.
Analizzando l’RSI, osservate come lo stesso abbia avuto la forza di rompere al rialzo la trendline dinamica ribassista che indicava un lento indebolimento del prezzo da novembre 2021.
ANALISI TECNICA NASDAQ
Comportamento del Nasdaq simile a quello dell’S&P500; il prezzo riesce a recuperare 13 punti percentuali dopo aver rimbalzato sul supporto a 13000$, soglia psicologica. La prossima struttura, qualora volesse continuare il recupero, sarebbe costituita dalla resistenza a 15000$.
I volumi che hanno accompagnato il recupero si sono dimostrati deboli, palesati dalla “death cross volumetrica” già riscontrata nel precedente indice.
Stesso identico comportamento dell’RSI se correlato con quello dell’S&P500: rialzo del prezzo accompagnato dalla rottura della trendline dinamica ribassista che evidenziava la debolezza del prezzo da inizi novembre 2021.
INDICI DI VOLATILITA’ VIX E VXN
Andiamo ad analizzare ora gli “indici di paura” VIX (per l’S&P500) e VXN (per il Nasdaq) in maniera da capire quale possa essere l’emotività degli investitori:
Entrambi gli indici di volatilità stanno contraendo. Riescono a raggiungere dei top relativi l’8 marzo (il VIX a 37.5 punti e il VXN a 39), andando a visitare due resistenze evidenziate nelle due grafiche. Entrambi si trovano al momento in prossimità delle cosiddette “soglie di tranquillità”, per il VIX costituita dal livello dei 20 punti, mentre per il VXN dai 25; è stato lo sgonfiarsi di queste “paure” ad aver permesso ai due indici di tentare il recupero a cui abbiamo assistito nelle ultime due settimane? L’ipotesi può essere plausibile, dal momento che questi 4 asset sono correlati tra loro; infatti, ricordiamo che alle salite tendenziali degli indici, le volatilità si mantengono tipicamente basse; ciò invece non accade nella situazione opposta: ogni qualvolta essi crollano o ritracciano, è quasi inevitabile che gli indici di volatilità si spingano verso valori alti. Questo è dimostrato dalle prossime due grafiche:
Osservate come ogni picco da parte del VIX, che esso fosse di notevole o di poca rilevante intensità, ha accompagnato l’indice al ribasso. Da osservare come successivamente l’indice sia sempre ripartito al rialzo con lo sgonfiarsi della stessa volatilità; questo comportamento indice/volatilità si sta ripetendo anche in queste ultime settimane; vedremo la volatilità rivisitare valori inferiori di 20 punti?
Stesso identico discorso se condividessi il Nasdaq con il VXN:
ANALISI CON LE MEDIE MOBILI VOLUMETRICHE
Analizzerò ora l’indice S&P500 attraverso le medie mobili volumetriche per capire il sentiment degli investitori. Dividerò l’indice in diversi archi temporali “colorati”, in questo modo:
Non analizzerò il Nasdaq in quanto il suo comportamento si è presentato praticamente identico all’S&P500, sia per quanto riguarda la price action che la parte volumetrica.
Iniziamo dalla zona rossa!
Osservate come l’indice abbia creato all’interno dell’area rossa un canale ribassista. Guardiamo i volumi: non appena esso ha invertito la sua tendenza di breve periodo, i volumi sono andati immediatamente a gonfiarsi, con la naturale conseguenza del “golden cross”, ossia il passaggio della media volumetrica veloce al di sopra di quella lenta, da considerarsi in questo caso un segnale ribassista (ribassista perché la media veloce è stata mossa da volumi ribassisti). Come possiamo leggere il golden cross? Visto che parliamo di volumi, come un cambio di umore! Questo perché? Perché se il prezzo di un asset è mosso da più volumi rispetto alla media (in questo caso, rispetto alla media volumetrica a 50 periodi) significa necessariamente che la volontà degli investitori di portare un prezzo al rialzo o al ribasso è più forte. Questa voglia a parer vostro era presente nella zona temporale antecedente la zona rossa? No! Possiamo affermare questo perché non abbiamo assistito ad un aumento di volumi a breve termine.
Passiamo ora alla zona nera:
Il sentiment cambia quando si verifica il “death cross”: la media mobile volumetrica veloce passa al di sotto di quella lenta, con il contemporaneo breakout rialzista della trendline ribassista. Avendo smaltito il sentiment negativo, l’indice riesce a respirare, andando a segnare una performance positiva di 8.5 punti percentuali. Il rialzo dell’indice all’interno della zona nera è stato accompagnato da bassi volumi rispetto alla media. Come possiamo definire la differenza di volumi tra la zona rossa e quella nera? In quella rossa avevamo avuto uno storno accompagnato da alti volumi (il che significa grande volontà da parte del mercato di spingere al ribasso il prezzo). Dopo, nella zona nera, la stessa voglia non si è manifestata. Perché? Perché i volumi, appunto, sono diminuiti, indicandoci il cambiamento di sentiment, ossia quella particolare condizione che ha permesso all’indice di salire. Provate ad immaginare la situazione in questo modo: nella zona rossa la voglia di portare il prezzo al ribasso era stata manifestata dagli ampi volumi ribassisti che avevano permesso il “golden cross”; successivamente la voglia degli investitori è andata a scemare (e ciò è riscontrabile nei volumi che sono diminuiti) permettendo all’indice di risalire. Sono stato chiaro? L’indice non sarebbe risalito se non avessimo visto un cambio di umore!
Arriviamo dunque alla zona viola, dove l’indice inizia a creare una distribuzione:
Quando osserviamo il breakout al ribasso? Esso è avvenuto in corrispondenza del cambio di sentiment, rappresentato nelle medie volumetriche dal golden cross! Voglio farvi osservare un qualcosa di particolare: fintanto che il sentiment rimane invariato, ossia fintanto che il golden cross rimane intatto, il prezzo non riesce a raggiungere nuovi massimi, andando tuttavia a formare la figura di analisi tecnica rialzista triangolo ascendente. Il nuovo massimo di mercato giunge nella zona verde:
Il breakout del triangolo ascendente (con il raggiungimento dell’ultimo massimo storico) non giunge in concomitanza con l’incrocio delle medie mobili volumetriche, tuttavia c’è da analizzare la distanza tra il volume della candela del breakout e la media volumetrica veloce (indicata nel grafico dalla freccia rossa): avete presente nelle mie analisi quando esprimo il concetto “più un prezzo si trova a grande distanza con la media mobile veloce a 50 periodi, tanto esso è da considerarsi forte”? Ecco, possiamo applicare lo stesso concetto anche in questo caso, cambiando però alcune variabili, ossia “più un volume si trova a grande distanza dalla media mobile volumetrica veloce a 10 periodi, tanto esso è da considerarsi un cambiamento di sentiment”; in molti vi chiederete :”in che senso cambiamento di sentiment?” Perché i volumi precedenti erano stati gonfiati specialmente da candele ribassiste e non da candele rialziste (e questo potete voi stessi osservarlo nei grafici) ragion per il quale quel breakout può essere visto come “accompagnato da un cambiamento di sentiment”.
L’incrocio tra le medie volumetriche avviene poco dopo, tuttavia non si assiste ad alcun nuovo impulso da parte dell’indice. Perché? Ne parleremo nel prossimo paragrafo.
Arriviamo dunque alla zona blu, ossia quella in cui l’indice, da inizio 2022, inizia il suo lento declino.
Vi evidenzio un testa e spalle ribassista. La rottura della neckline è accompagnata da un cambio di sentiment e dal golden cross. Dopo essere riuscito a visitare la struttura a 4300$, l’indice rintraccia e dopo qualche seduta riprende il suo trend al ribasso dal momento che il sentiment identificato dalle medie mobili volumetriche non cambia (infatti la media volumetrica veloce rimane quasi sempre al di sopra di quella lenta, evidenziando il fatto che il cambiamento di sentiment non è cambiato).
Si giunge quindi al “pavimento” a 4130$: il prezzo crea un doppio minimo.
Arriviamo infine alla zona arancio. La formazione del doppio minimo è validata dal cambio di umore da parte degli investitori: i volumi in vendita si affievoliscono, facendo riabbassare la media volumetrica veloce a 10 periodi al di sotto di quella a 50; questo permette il rimbalzo del prezzo.
Nonostante i due indici azionari di riferimento abbiano segnato rimbalzi dal +9% (S&P) e dal 13% (Nasdaq) in concomitanza con la contrazione delle volatilità (detto in altri termini, in concomitanza con una “diminuzione di paura”), ci sono dei segnali particolari che a parer mio potrebbero suggerire che stiamo assistendo sì ad un recupero, ma non tanto forte quanto si possa credere.
PERCHE’ NON MI CONVINCE L’ULTIMO RIMBALZO DEGLI INDICI?
Questi particolari segnali li ritroviamo in alcuni indici di forza relativa di cui ora vi parlerò.
• FORZA RELATIVA TRA S&P500 E SETTORI DIFENSIVI: BENI DI PRIMA NECESSITA’ E UTILITIES
Da cosa deriva la creazione di questi due indici di forza relativa? Il settore dei beni di prima necessità (XLP) e il settore delle utilities (XLU) sono difensivi, ossia quei particolari settore che tendenzialmente non vanno a sovraperformare il loro bechmark di riferimento durante momenti di risk on ma a sovraperformarlo in momenti di risk-off. Da cosa deriva questa peculiarità? L’informazione possiamo ritrovarla nei coefficienti beta. Sapete cosa misura questo particolare coefficiente? La variazione che ha un settore (o anche una singola azienda) rispetto al mercato di riferimento. Il Beta di XLP è uguale a 0.60 mentre quello di XLU a 0.37.
Questo significa che se l’S&P500 segnasse un +2%, XLP segnerebbe un +(2 X 0.6)= +1,2% e XLU un +(2 X 0.37)= +0.74%; ecco dimostrato il motivo per cui in momenti di risk on essi non sovraperformano l’S&P.
Se invece quest’ultimo segnasse un -2%? XLP segnerebbe una performance di -1,2% e XLU di un -0.74%.
Grafichiamo il tutto:
Notate come entrambi gli indici di forza siano saliti dal recupero post-covid 19 fino ad inizi novembre 2021. Ciò è accaduto poiché l’indice di riferimento è andato a sovraperformare i due settori. Avendo capito che i due sono difensivi, che tipo di informazioni ci forniscono i due indici? Che da marzo 2020 a novembre 2021 i mercati erano in risk on! Se fosse stato il contrario (risk-off), avremmo assistito a una sovraperformance da parte dei settori difensivi, che tendono a beneficiare di più in questi particolari scenari! Questo cambio di forza è avvenuto infine con i breakout dei supporti dinamici a inizi di dicembre 2021.
Quindi, tornando al quesito di prima, perché non mi fido tanto dell’ultimo rimbalzo dei mercati azionari americani?
Perché questi indici di forza relativa mi stanno suggerendo che siamo in clima di risk-off e non in risk-on; in momenti di risk off il mercato azionario tende a performare bene? No, perché offre alti rendimenti ma ti espone a un altrettanto rischio.
C’è un altro indice di forza relativa che fa riflettere, ossia quello tra l’S&P500 e il VIX:
Mi piace definire questo indice di forza come “quanta paura c’è al rischio”; che informazioni ci fornisce? Se sale, significa che c’è avversione al rischio, se scende l’esatto contrario.
Osservandolo, cosa possiamo dedurre? Dai minimi di marzo 2020 l’indice è salito fino ad arrivare a visitare dei massimi, a inizi novembre 2021. Successivamente è iniziato il lento trend ribassista identificato dalle due trendline dinamiche ribassiste di color blu. Questa inversione di tendenza è avvenuta in concomitanza con le inversioni dei due indici visti precedentemente. E’ un caso?
Spero questa analisi possa essere utile a tutti.
Matteo Farci
CORRELAZIONE TRA MERCATO AZIONARIO E MERCATO OBBLIGAZIONARIOBuongiorno ragazzi, questa è la quarta analisi del mio blog incentrata sul mondo obbligazionario. La prossima settimana, rispettando le linee guida di tradingview, vi fornirò il link per l'accesso.
Dopo aver ricercato le correlazioni che il mercato obbligazionario presenta nei confronti del dollaro americano, oggi tratterò un altro tipo di correlazione: quella con il mercato azionario.
Per chi non l’avesse fatto consiglio caldamente lo studio delle precedenti tre analisi in maniera tale da avere una visione chiara e coincisa dell’argomento perché da questa analisi in poi gli argomenti andranno via via ad intrecciarsi.
Correlerò i due asset a partire dal 2000, in maniera da studiare la correlazione avuta negli ultimi 20 anni.
Iniziamo!
INTRODUZIONE: CLIMA DI RISK-OFF E RISK-ON
Una situazione di “risk off” altro non è che quel particolare scenario caratterizzato dalla presenza di tensioni che possono avere diverso carattere, da quello geopolitico (come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina), politico (la scelta di un nuovo presidente degli Stati Uniti, ad esempio, può impattare sul sentiment degli investitori), economico o finanziario (come ad esempio le manovre di politica monetaria e la scelta dei tassi di interesse). In questa particolare condizione gli investitori spostano la loro liquidità in asset considerati a basso rischio, i cosiddetti “beni rifugio”, come oro, obbligazioni di paesi solidi economicamente e con un alto rating, dollaro USA, Franco Svizzero e Yen giapponese.
Una situazione di “risk on” è invece quella situazione in cui c’è appetito al rischio, dove gli investitori, spinti dall’ottimismo e dalla positività del momento, vanno alla ricerca di asset che offrano degli alti rendimenti. Uno di questo è il mercato azionario, il mondo delle materie prime e tutte quelle valute legate a quest’ultime (come, ad esempio, il dollaro canadese, legato in maniera forte al prezzo del petrolio).
LA CORRELAZIONE NEGLI ULTIMI 20 ANNI
Vediamo nella grafica come a marzo 2000 l’S&P500 raggiunga i massimi storici. Il top raggiunto dal mercato azionario coincide anche con dei top di periodo segnati dal rendimento del decennale americano e dal rendimento del 2 anni. Sembrerebbe quindi un tipico clima di risk-on: gli investitori, infatti, si posizionano sul mercato azionario (che, come dico sempre, è caratterizzato da alto rendimento associato però ad un altrettanto rischio alto) vendendo obbligazioni (e ciò è testimoniato dal rialzo del rendimento associato visto il rapporto inverso obbligazione/rendimento) in quanto considerate, per il clima di mercato, a rendimento troppo basso e quindi poco convenienti. Basta uno spread a capovolgere il tutto: quello tra i rendimenti a 10 anni e 2 anni: nello stesso periodo, esso scende al di sotto dello 0%, lanciando quindi il segnale di possibile recessione. Che accade quindi?
Accade che qualche tempo dopo, a circa 5 mesi di distanza, esplode la bolla di internet e l’S&P500 va a perdere oltre il 50% del suo valore. A quel punto gli investitori iniziano a comprare obbligazioni, considerandole quindi dei “beni rifugio” e la diretta conseguenza di ciò è il crollo dei rendimenti, che si correlano quindi positivamente all’azionario.
Come vediamo dalla grafica che segue, come interviene la Fed per andare a combattere la recessione? Abbassa il livello dei tassi di interesse, portandoli dal 6.5% all’1%:
Qual è lo scopo di un ribasso dei tassi di interesse? Permettere ai privati e alle aziende un più facile accesso al credito. Spiegato in termini ancora più semplici, vedetela così: una recessione colpisce qualsiasi settore all’interno di un’economia. Per permettere la ripartenza di ognuno di loro, si devono creare una serie di incentivi. Una banca centrale, così, attua le sue mosse di politica monetaria, andando in questo caso ad abbassare gli interessi sui prestiti. Le aziende e i privati, così, sono incentivati a richiederli dal momento che gli interessi poi riconosciuti alla banca saranno molto bassi (in questo caso, come ho detto, dell’1%). Questo causa una forte positività tra gli operatori, i commercianti, gli imprenditori e in generale nei cittadini, andando a riflettersi su dati macroeconomici di rilevante importanza: uno tra questi è sicuramente la fiducia dei consumatori:
Come potete osservare nella grafica soprastante in cui vi ho condiviso con la linea blu il sentiment dell’università del Michigan e in arancio i tassi di interesse sui prestiti, un aumento o un ribasso di questi ultimi ha poi sempre influito sul sentiment dei consumatori (anche se allo stesso dato impattano altri dati macroeconomici che riprenderò in un’altra analisi). In particolare, a un rialzo dei tassi segue un sentiment pessimista, mentre al ribasso uno ottimista.
Dopo questo breve sunto, torniamo a noi. Il ribasso dei tassi di interesse arrivati all’1% nel 2003 ha quindi ricostruito per i motivi spiegati un clima di risk-on, dove l’azionario tende chiaramente a performare bene. Qual è stata quindi la diretta conseguenza?
Che gli operatori hanno comprato azioni e venduto obbligazioni, spingendo al rialzo i relativi rendimenti.
Spostiamoci più avanti nel tempo:
Il clima di risk on continua e, dal 2003 al 2006, gli investitori continuano a concentrarsi sull’azionario lasciando da parte l’obbligazionario. A questo punto però cosa accade? Lo spread si muove nuovamente sotto lo 0%. Ciò è causato da un aumento dei tassi di interesse che passano dall’1% al 4.5%:
Dico questo perché le scelte di politica monetaria impattano più sui rendimenti a 2 anni che su quelli a 10 anni e quindi, dal momento in cui si parla di spread (differenza), crescendo più i 2 anni rispetto ai 10 anni, ed essendo il 2 anni il sottraendo mentre i 10 anni il minuendo della differenza, lo spread tende poi a muoversi in territorio negativo. Cosa prelude, come ho detto svariate volte, uno spread negativo? Una recessione. Ed è così che si arriva alla crisi immobiliare:
Da fine 2007 a metà 2009 gli investitori acquistano obbligazioni e vendono azioni, andando a disegnare così i trend che vedete nella grafica, tipici di periodi di risk-off.
Successivamente i tassi di interesse vengono abbassati allo 0.25% per favorire una ripresa economica. Questo cosa provoca?
Provoca nuovi massimi storici sull’azionario. Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, invece, si hanno dei segnali contrastanti. I titoli a 10 anni, dal 2009 al 2014, vengono comprati e venduti a diversi intervalli temporali (e questo è chiaro guardando i diversi trend disegnati nei diversi archi temporali), mentre i rendimenti a 2 anni non prendono nessun tipo di trend, andando a lateralizzare.
La musica inizia a cambiare nel 2017:
Dopo anni di massimi storici, i mercati subiscono una nuova ondata di aumenti del costo dei prestiti. Come hanno reagito a tal proposito gli investitori? Vediamolo:
I mercati azionari hanno continuato la loro corsa al rialzo, però notiamo l’inversione del trend dei rendimenti: le obbligazioni iniziano ad essere vendute e ciò si riflette nell’aumento dei rendimenti, specie in quelli a 2 anni, che crescono maggiormente in valor percentuale rispetto ai 10 anni. Questo causa un’inversione della curva dei rendimenti o, più in particolare, uno spread sotto lo zero, come vediamo nel grafico:
La domanda che sorge spontanea ora è: dopo quanto si ha la recessione dal momento che l’inversione della curva dei rendimenti è sempre il preludio di un crollo economico? Si ha con la pandemia di Covid 19:
A questo punto i capitali sono stati spostati sull’obbligazionario come “protezione”. Ritroviamo, dunque, la correlazione diretta tra i rendimenti dell’obbligazionario e azionario.
Come abbiamo già visto prima, è l’intervento della banca centrale a rimettere in piedi l’economia entrata in recessione:
I tassi vengono riabbassati allo 0.25% e, come effetto diretto, l’azionario torna sui massimi storici, correlandosi in maniera diretta con i rendimenti a 10 e 2 anni.
BREVE RIEPILOGO
Studiando la correlazione obbligazionaria-azionaria degli ultimi 20 anni, quali sono i punti salienti da tenere a mente?
• Le obbligazioni sono correlate inversamente al mercato azionario in quanto uno è considerato uno strumento a basso rischio (obbligazioni) mentre l’altro ad alto rischio (azionario).
• I rendimenti delle obbligazioni, dal momento in cui si muovono in maniera inversa alle relative obbligazioni ai quali sono associati, sono correlati direttamente all’azionario.
• Ogni qualvolta si ha un’inversione della curva dei rendimenti, gli investitori spostano subito il denaro sui titoli di stato in quanto essi costituiscono un “porto sicuro” qualora ci fosse l’effettiva recessione che un’inversione della curva ha sempre anticipato.
• I tassi di interesse influiscono sia sul mercato obbligazionario che su quello azionario, andando ad impattare sul sentiment degli operatori.
• Ogni aumento dei tassi di interesse, negli ultimi 20 anni, ha preannunciato un’inversione della curva dei rendimenti che poi si è materializzata in una recessione (come la bolla di internet, quella del mercato immobiliare e successivamente, seppur evento imprevisto, la pandemia di covid 19)
UNO SGUARDO AI GIORNI NOSTRI
Basandomi su ogni concetto espresso in questa analisi e nelle 3 precedenti, è chiaro che ormai i tassi di interesse verranno alzati a marzo:
Il mondo azionario e quello obbligazionario, nel nostro presente, si stanno muovendo esattamente nello stesso modo dei precedenti 20 anni. A marzo arriverà l’aumento dei tassi di interesse. Secondo voi questo porterà, come è già accaduto, ad un’inversione della curva dei rendimenti e ad una successiva recessione contemporaneamente al crollo dei mercati azionari?
Questo per me è probabile. Non so se succederà perché non sono nè mago , tanto meno un indovino; mi piace tuttavia analizzare e capire quelle che possono essere le possibilità in un futuro non troppo lontano. E’ questo il motivo per cui il 9 dicembre 2021, su tradingview, ho condiviso un’analisi dal titolo “l'inversione dei mercati azionari giungerà nel 2022”? La stessa analisi deriva da considerazioni di questo tipo, e questo tipo di analisi intermarket mi permettono di capire in anticipo tantissime situazioni che possono venire a crearsi. E questo, chiaramente, mi permette di essere preparato ad ogni eventualità.
E’ fondamentale studiare i vari asset che compongono il mondo finanziario e la loro correlazione. Riuscendo a capire le meccaniche e la psicologia ad essi associati si può avere un vantaggio enorme.
Grazie, Matteo Farci.
CREAZIONE DI UN INDICATORE E ANALISI DEI MERCATI: COSA SUCCEDE?Buongiorno ragazzi.
L’analisi che segue è da definire come il “continuo” di un’altra analisi da me pubblicata qui su tradingview il 9 dicembre 2021 dal titolo “L’INVERSIONE DEI MERCATI AZIONARI GIUNGERA’ NEL 2022?” che trovate al link :
Vi suggerisco di leggerla!
Torniamo a noi. Quello che voglio mostrarvi oggi è un indicatore da me creato che ha lo scopo di fornirmi il sentiment del mercato. Credo che sia di estrema importanza conoscere l’economia e i vari settori che ne fanno parte in quanto la stessa permette poi la costruzione di indicatori che ti permettano di avere una visione più chiara dei mercati senza essere soggetti a pareri esterni. L’obiettivo di questo articolo è quindi quello di farvi capire come ragiono e le meccaniche che regolano questi determinati ragionamenti.
Successivamente abbinerò al mio indicatore di sentiment altri diversi indicatori, macroeconomici e non. Il motivo è da ricercare nell’attendibilità dello stesso: preso in maniera singolare, potrebbe fornire tanti falsi segnali, ma comparato ad altri, può fornire dei segnali più credibili, concreti e oggettivi.
PERCHE’ HO COSTRUITO UN INDICATORE
Chi legge il mio materiale sa quanto io sia dipendente da determinati indicatori, che sia siano essi macroeconomici, indici di forza relativa oppure spread. Ho sempre pensato che ogni individuo possa ottenere maggiori successi in determinati campi (specie in questo) soltanto avendo delle solidi basi; riagganciandomi all’ultima parte della frase, è solo avendo esse, passione e curiosità che spesso si riesce a costruire degli strumenti che ti diano la possibilità a colpo d’occhio di capire, in generale, quale possa essere la situazione presente ma soprattutto quella futura. Qualche tempo fa ho costruito uno spread tra due etf settoriali che ora vi mostrerò e vi spiegherò. Lo spread di cui parlo è quello tra il settore dei beni di prima necessità e il settore dei beni discrezionali.
PRODOTTO INTERNO LORDO, SETTORE DEI BENI DI PRIMA NECESSITA’, SETTORE DEI BENI DISCREZIONALI
E RELATIVE CORRELAZIONI
Il dato macroeconomico più importante che indica se un’economia è in salute o meno è sicuramente il prodotto interno lordo, che non è altro che la somma di beni e servizi prodotti da un Paese. Dopo aver constatato i valori del PIL, bisogna capire le relative performance che gli stessi indici che io utilizzerò per il mio spread presentano al variare del PIL stesso. Vi condivido una grafica settimanale:
Il trend definito dalla linea blu va ad identificare la forza relativa tra il settore dei beni di prima necessità (che d’ora in poi chiamerò XLP) e il settore dei beni discrezionali (XLY): più il trend è rialzista, più XLP sovraperforma XLY e viceversa.
Con il trend definito dalla linea arancio trovate invece il valore del PIL USA anno/anno. A colpo d’occhio potete notare che XLP tende ad essere più forte di XLY quando ci troviamo in fasi economiche di recessioni (come accade con la bolla di internet del 2000, con la crisi dei mutui sub-prime del 2007-2008 e con la pandemia del 2020) o di decelerazioni/rallentamenti economici. Al contrario, XLY si dimostra più forte in fasi di riprese economiche (quindi dopo le recessioni che ho elencato precedentemente) e relativa stabilità economica. Perché questi diversi andamenti nei relativi cicli economici?
Le aziende all’interno dell’etf XLP operano nei settori della vendita al dettaglio di prodotti alimentari e di base, bevande, tabacco, prodotti per la casa e prodotti personali (quindi beni di prima necessità). Viceversa, le aziende facenti parte dell’etf XLY operano nel settore della vendita al dettaglio (specialità, multilinea, Internet e marketing diretto); alberghi, ristoranti e tempo libero; tessili, abbigliamento e beni di lusso; beni durevoli per la casa; automobili; componenti per auto; distributori e prodotti per il tempo libero (ossia dei beni discrezionali, non essenziali).
Avendo ora chiari i diversi settori nei quali le diverse aziende operano, è facile capire le diverse correlazioni con il PIL:
• Quando un’economia si sta rialzando e successivamente si espande, i consumatori sono più propensi a comprare dei beni durevoli come ad esempio automobili, cellulari, televisori, beni di lusso; molto spesso si viaggia e di conseguenza si è più propensi ad alloggiare in alberghi o mangiare in ristoranti: questo perché la loro fiducia nei riguardi dell’economia è relativamente alta (infatti, in riprese economiche e successive espansioni, il dato sulla fiducia dei consumatori è sempre molto apprezzabile). Questo va a riflettersi chiaramente sulle vendite al dettaglio di tutte quelle aziende facenti parte di quel settore: più alte e forti esse sono, più gli investitori saranno propensi a comprarle utilizzando i più svariati strumenti finanziari. Questa riflessione poi trova riscontro sui grafici, come vi ho mostrato poco fa.
• Quando invece un’economia è in fase di rallentamento o recessione, i consumatori tipicamente cambiano il loro “modo di spendere”; non andranno più a concentrarsi su beni durevoli (gli stessi che ho nominato prima, come le automobili) e la conseguenza più naturale viene poi riscontrata sulle vendite al dettaglio che si presentano molto più basse rispetto a cicli economici in cui un consumatore è più propenso a spendere; il fatto che le aziende presentino quindi trimestrali che spesso deludono le aspettative degli analisti si traduce spesso in dei sell-off o comunque in dei tipici risk-off dei mercati; è così che vengono vendute aziende orientate a quei tipi di business e le vengono preferite altre più difensive come quelle dell’etf XLP. Perché? Il loro modello di business si basa sulla vendita di prodotti di prima necessità, ossia quelli di cui i consumatori non possono farne a meno: la conseguenza è che le revenue delle aziende di quest’ultimo settore rimangono relativamente stabili e questo permette loro di performare meglio di altre aziende di altri settori.
Mi sono spiegato bene?
La correlazione tra la forza relativa dei due settori e il PIL è più apprezzabile a livello giornaliero. Ora vi mostrerò delle grafiche in cui saranno illustrati i punti salienti :
Spero che queste illustrazioni vi abbiano chiarito il concetto.
LO SPREAD TRA XLP E XLY
Conoscendo quindi le varie performance dei settori in questione nei diversi cicli economici ho deciso di costruirmi uno spread, ossia , e impostarlo su un grafico settimanale per avere una visione più chiara e più ampia:
Sapendo che XLP tende a performare meglio in periodi di rallentamento/recessione e XLY in periodi di ripresa/espansione come ho dimostrato prima, sono andato a ricercare tutti quei momenti in cui la forza di XLP rispetto a XLY ha fatto in modo che lo spread formasse un picco al rialzo; dopo aver far trovato tali picchi, sono andato a segnare i motivi per i quali essi si erano sviluppati:
Successivamente sono andato a consultare il grafico settimanale dell’S&P500 in maniera da osservare se i picchi relativi al grafico dello spread XLP-XLY si riflettessero su un ribasso del benchmark, e guardate un po':
Da questo si può evincere che una preferenza verso titoli difensivi rispetto a titoli ciclici si riflettono nel benchmark di riferimento con un pesante ribasso. In particolare:
• Al picco dovuto alla bolla dot-com degli anni 2000 è corrisposto un -52,5% da parte dell’S&P500
• Al picco relativo alla crisi del 2007-2009 un -57,5%
• Al picco dovuto al rialzo dei tassi di interesse dopo 10 anni di politica monetaria accomodante un -15,5%
• Al picco relativo alla guerra commerciale tra USA e CINA un -21,9%
• Al picco relativo alla pandemia un -36%
Dopo aver dato uno sguardo al passato, guardiamo al presente: nello spread si è creato qualcosa di singolare:
Notate l’ultima gamba rialzista evidenziata con il cerchio di color rosso? Ebbene, come ho spiegato nella didascalia nell’immagine, non c’era mai stata all’interno dello spread una gamba rialzista sviluppata in così poco tempo e con quel tipo di intensità. Possiamo paragonare tale picco soltanto a quello formato allo scoppio della pandemia, per quanto quest’ultimo risulti comunque inferiore in intensità.
Ho quindi utilizzato l’RSI, ossia l’indice di forza relativo, con lo scopo di vedere se la forza dell’ultimo impulso rialzista fosse paragonabile alla forza degli altri impulsi formatisi in periodi di recessioni o crisi economiche. Questo è quello che ho ottenuto:
Come possiamo notare nei quadratini rossi, ogni qualvolta si è entrati in crisi economiche (o in incertezze) l’RSI è entrato in ipercomprato, segno di una grande forza rialzista. Questa, in gergo, viene definita “convergenza”, in quanto ai cicli economici appena citati appartiene una forza maggiore di XLP rispetto a XLY (come abbiamo constatato precedentemente).
*gli altri picchi di ipercomprato sono dovuti al fatto che dal 2004 al 2008 ci fu un rallentamento economico sfociato poi in recessione e nel 2011 la crisi del debito sovrano che zavorrò l’S&P del 23% circa. Nel 2014 ciò è stato probabilmente causato da una FED che in quel periodo si dimostrò più aggressiva, riducendo il quantitative easing e anticipando un rialzo dei tassi di interesse.
Dopo aver trovato la “convergenza”, ora vi mostrerò la “divergenza”:
Come spiego nella grafica, ogni qualvolta il picco dello spread sia stato di un’intensità notevole, il benchmark ha rintracciato di almeno il 15% e oltre. Nel presente, invece, il rintracciamento è stato di appena l’11,5% circa.
Questa è una divergenza molto interessante. Le domande da porsi possono essere diverse, tra le quali:
“Il picco sullo spread si sta riassorbendo? L’impulso di forza relativa si sta indebolendo o ci aspetta ancora maggior forza? Il punto minimo dell’S&P500 di gennaio 2022 è
stato raggiunto e di conseguenza si è pronti alla risalita verso nuovi massimi storici?”
Le domande possono essere svariate. Alla fin dei conti gli indicatori hanno questo tipo di effetto, specie di questo tipo. Pensate al biennio 2020-2021 in cui tanti (giustamente) utilizzavano il Buffet Indicator, che mostrava una chiara possibilità che il mercato fosse all’interno di una bolla, e a tal proposito molti si chiedevano “ma questo indicatore funzionerà? I mercati crolleranno?”.
ABBINARE UN INDICATORE A DIVERSI ALTRI PER AVERE MAGGIOR CHIAREZZA E OGGETTIVITA’
Un indicatore non va a prevedere il futuro, bensì da un’idea di quella che potrebbe essere la prospettiva nei mesi futuri. E’ per questo che ritengo sia essenziale abbinare lo stesso ad altri parametri: per me questi ultimi sono i dati macroeconomici e il loro andamento, lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato USA a 10 e 2 anni, il rialzo dei tassi di interesse e la volatilità e, per ultimo, il PUT/CALL ratio.
Ora farò chiarezza:
Come potete osservare, i principali dati macroeconomici sono in decelerazione, e spesso queste decelerazioni hanno portato a delle recessioni, come è accaduto ad esempio nel 2008:
Lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni e quelli a 2 anni continua a contrarsi:
Come ho spiegato diverse volte nelle mie idee, uno spread allo 0% in passato ha significato una recessione qualche tempo dopo.
Per ultimi ma non meno importanti i rialzi dei tassi di interesse e la volatilità: è cosa nota che ormai la FED rialzerà gli interest rates per andare a calmierare un’inflazione che oramai, a livello statunitense e non solo, è diventata un grande problema. Questo, in linea teorica, andrà a sollevare volatilità nei mercati e, come vi ho spiegato diverse volte, tendenzialmente un mercato ad alta volatilità è un mercato che si dirige verso il basso:
Un altro indicatore che monitoro molto spesso e che, a parer mio, si trova in una situazione abbastanza preoccupante, è il PUT/CALL RATIO. Questo indicatore misura il rapporto tra il volume di opzioni put e il volume dI opzioni call scambiate dagli operatori.
Questo rapporto è al di sopra di 1 quando il volume delle opzioni put supera quello delle call e sotto ad 1 quando il volume delle opzioni call supera il volume delle opzioni di tipo put.
Come saprete, le opzioni put si acquistano essenzialmente per 2 motivi: per scommettere su un ribasso dei mercati o per scopi di copertura (ossia per avere una sorta di “assicurazione” nel caso un mercato crollasse). Spiegato questo, ora vi condividerò il PUT/CALL RATIO riferito alle opzioni scambiate sugli indici; ho scelto questi ultimi poiché, tipicamente, gli investitori acquistano PUT sugli indici come scopo di copertura, ossia per non avere ingenti perdite nel caso in cui un mercato crolli:
Ci sarebbero diverse cosa da dire:
• Il volume di PUT aumenta considerevolmente prima di ogni crollo importante da parte del benchmark
• Dal 2009 al 2015 abbiamo avuto tendenzialmente un bull market e, contemporaneamente, un aumento delle call rispetto alle put. Lo stesso è accaduto per il bull market 2016-2018. Ciò può significare che in quei bull-markets gli operatori non avevano tantissime coperture sotto forma di put perchè probabilmente credevano fortemente nel trend e avevano in generale una visione positiva sui mercati e sull’economia.
Ora guardiamo invece al presente: l’S&P500, nell’ultimo biennio, ha avuto un fortissimo bull market, forse anche inaspettato. Nonostante ciò, i livelli di opzioni put sono continuate a crescere fino ad arrivare a rompere al rialzo il massimo formato dallo stesso indice durante la crisi del 2008 (vi ho evidenziato il tutto nella grafica). Ciò non vi pare strano? Non è strano che gli operatori, nonostante il mercato salga, continuino a comprare delle assicurazioni? Sembra quasi che la loro visione non sia poi così tanto positiva come lo stesso bechmark ci suggerisce!
Cosa succederà ai mercati nel prossimo futuro? Per quanto mi riguarda, tutti gli indicatori che vi ho mostrato mi suggeriscono estrema cautela.
L’idea termina qui, spero vi sia stata utile. Come ho scritto all’inizio di essa, lo scopo era farvi capire come si costruisce un indicatore e quali studi e ragionamenti ci stanno dietro la sua costruzione; dal momento che, singolarmente, un indicatore può dir tutto e nulla, vi ho dimostrato come vado poi a combinarlo nella mia analisi con altrettanti indicatori, il tutto per avere sempre una visione chiara e limpida dei mercati finanziari.
Quello che vi ho mostrato oggi è solo uno dei tanti spread che mi costruisco da diverso tempo. Né ho costruiti diversi che mostrerò in un canale personale a cui sto lavorando da qualche tempo a questa parte. Vi comunicherò quando il progetto sarà ultimato, rispettando chiaramente le linee guida imposte da tradingview.
MATTEO FARCI
ANALISI MACRO DELL'ULTIMA SETTIMANA: COME HA IMPATTO LA FED?Buongiorno ragazzi! La passata è stata una settimana molto turbolenta essendo stata influenzata negativamente dalla Federal Reserve e dal suo presidente Jerome Powell. L’obiettivo di questa analisi è analizzare il comportamento che gli investitori hanno avuto durante e l’ora successiva la conferenza della Fed. Vi riporterò in breve i punti salienti e poi passeremo subito ad analizzare i grafici.
LE PAROLE DI POWELL
Per quanto riguarda il tema riguardante l’economia e la sua ripresa, Powell dichiara che “gli indicatori dell’attività economica e dell’occupazione hanno continuato a rafforzarsi. I settori più colpiti dalla pandemia sono migliorati negli ultimi mesi, ma sono stati colpiti dal recente forte aumento dei casi di Covid-19”. Per quanto riguarda il tema sul mercato del lavoro e tasso di disoccupazione, ha dichiarato che “si è assistito ad un aumento di posti di lavoro solido tanto che il tasso di disoccupazione è “diminuito sostanzialmente”.
Per quanto riguarda invece uno dei temi più sensibili dell’ultimo anno, ossia l’indice dei prezzi al consumo, il presidente ha affermato che “con un'inflazione ben al di sopra del 2% e un mercato del lavoro forte, il Comitato prevede che presto sarà opportuno aumentare i tassi”.
Dobbiamo prestare maggior attenzione all’affermazione del presidente riguardante la possibilità che i prezzi (e quindi l’inflazione) potrebbero continuare a salire. Quest’ultimo dato, che tanto era stato considerato transitorio, sta iniziando a diventare preoccupante?
La riduzione dei bilanci, inoltre, avverrà presto (non si è specificata una data certa).
Quindi, riassumendo in breve, l’outlook nei confronti dell’economia statunitense è positiva visti i continui miglioramenti nel mercato del lavoro che, sulla stessa linea d’onda, hanno fatto abbassare il tasso di disoccupazione. Per questo motivo e per il fatto che l’inflazione inizi a diventare un problema (“inizia a diventare” per la Fed, credo che per i cittadini questo problema persista invece ormai da più di un anno) si prevede un aumento dei tassi di interesse (altro tema caldissimo degli ultimi mesi) in cui non si è precisato quando avverrà (verosimilmente a marzo).
La conferenza stampa di Powell è datata al 26 gennaio. Vediamo ora le reazioni degli operatori sui due bechmark di riferimento (S&P500 e NASDAQ).
S&P500 E VIX, NASDAQ E VXN E DIVERSI SETTORI
Come potete ben osservare, entrambi gli indici, dall’inizio della conferenza stampa e per l’ora e mezza successiva (dalle 20 alle 21.30) hanno perso abbastanza terreno. In particolare, l’S&P ha perso un -2,9% circa mentre il Nasdaq un -3,6% circa; come mai il Nasdaq ha perso di più? A parer mio il motivo è da ricercare nelle parole di Powell relative alle preoccupazioni inflazionistiche: un’inflazione più persistente del previsto va a danneggiare maggiormente gli indici pesantemente growth, com’è appunto il Nasdaq, in quanto erode i guadagni futuri delle aziende.
Guardando queste performance, appare chiaro che gli investitori abbiano mal digerito le dichiarazioni della Fed. Voglio fare un’analisi riguardante i volumi, in particolare quelli scambiati prima della conferenza stampa e quelli scambiati in contemporanea: notate nei rettangolini rossi (in basso) di entrambi i benchmark come, prima dell’evento, essi fossero abbastanza bassi. Sapete il motivo? Gli investitori stavano aspettando per poter prendere una posizione decisa, scommettendo, per dire, a conti fatti, e non ipotizzando le parole qualche ora prima. Per essere più chiaro, sappiamo quanto questi eventi siano in grado di destabilizzare un mercato, per cui che senso aveva per gli operatori scommettere ore prima sulle parole che avrebbe potuto dire Powell? Hanno aspettato e non hanno scommesso, e ciò è dimostrato dai bassissimi volumi di scambio. Alle 20 hanno iniziato a digerire le parole di Powell e allora sì che hanno aperto (o comunque chiuso) delle posizioni, e ciò è facilmente riscontrabile nell’aumento repentino degli stessi volumi evidenziati nei rettangolini di color azzurro. Questa quantità di contratti aperti in long o in short rappresenta l’emotività momentanea degli operatori, che poi si è andata a calmierare le ore successive, quando i prezzi di entrambi gli indici hanno continuato a perdere terreno. Con quest’ultimo appunto riguardo i volumi voglio trasmettere delle cose per me importanti: l’importanza di capire l’emotività e di quanto questa possa far schizzare il prezzo e come agiscono in generale gli operatori in questi particolari eventi: se non avete le idee chiare, state attenti a prendere delle posizioni, perché qualsiasi dato macro o qualsiasi intervento della Fed possono essere imprevedibili; e collegandoci all’emotività, era abbbastanza scontato che anche i due indici rappresentativi della stessa schizzassero per aria: VIX +18%, e VXN +10%.
ANALISI SETTORIALE
Adesso andiamo invece a considerare le performance dei singoli settori:
Vi ho condiviso dei grafici orari, evidenziando con il rettangolino rosa le candele immediatamente successive alle dichiarazioni di Powell: molto male il settore tecnologico con un -2.34%, settore immobiliare (-2.33%), settore delle comunicazioni (-2.04%) e settore dei beni discrezionali con un -2.24%; si difendono meglio degli altri il settore delle utilities con un -0.74%, il settore dei beni di prima necessità con un -0.69% e il settore finanziario con un -0.9%. I restanti settori perdono tra il punto e il punto e mezzo percentuale.
Ora focalizziamo l’attenzione sul motivo per il quale alcuni settori abbiano fatto peggio di altri: è un caso che il settore tecnologico e quello delle comunicazioni abbiano perso oltre 2 punti percentuali? No! Il motivo è da ricercare nelle componenti degli etf stessi: il settore tecnologico, nemmeno a dirlo, è pesantemente growth, e come spiegavo nel paragrafo precedente, è normale che gli investitori abbiano svenduto più contratti (o azioni, o abbiano chiuso operazioni long) di un settore che potrebbe essere più penalizzato di altri (viste le prospettive di inflazione persistente e aumento dei tassi di interesse); stessa cosa vale per l’etf XLC del settore delle comunicazioni: le prime tre partecipazioni dello stesso etf sono Meta, che occupa un peso del 22.36%, Alphabet inc classe A con un peso dell’11.28% e Alphabet inc classe C con un 10.5%. Queste tre partecipazioni, compattate con loro, costituiscono il 44.14%, quasi la metà dell’intero paniere; vediamo le performance orarie di queste 3 aziende:
Sono abbastanza negative, Meta arriva a perdere oltre 2 punti e mezzo percentuali. Ora capite perché XLC non è stato risparmiato dalle vendite?
Comportamento anomalo da parte del settore Real Estate, che tipicamente va a performare bene in periodi di moderata/alta inflazione dal momento che gli immobili costituiscono di per sé una protezione contro la stessa vista la possibilità da parte dei possessori di immobili o edifici residenziali di distribuire l’aumento dei prezzi dei beni appena menzionati ai consumatori (per fare qualche esempio, un aumento dell’inflazione è accompagnata da un aumento dei prezzi delle case e degli affitti e grazie a questo i possessori riescono a distribuire tale aumento ai compratori).
Ritornando a considerare le performance settoriali orarie post-FED , vi siete chiesti come mai il settore delle utilities, dei beni di prima necessità e finanziari sono quelli che hanno sofferto di meno? I primi due settori menzionati sono difensivi e value! Il fatto di essere difensivi conferisce loro una determinata protezione in giornate come quelle del 26 gennaio (ad alta volatilità); il fatto di essere value ha permesso agli stessi di essere meno soggetti alle parole di Powell riguardo i tassi di interesse e soprattutto nei riguardi dell’inflazione (perché questi due parametri vanno pesantemente ad influenzare le aziende ad alta crescita ma non quelle con un business forte e focalizzato sul presente come, appunto, le aziende e settori value). Lo stesso discorso vale per il settore finanziario, che è value ma non difensivo. Per dimostrarvi ciò che ho appena considerato, guardiamo le performance orarie del settore value e growth:
Come potete osservare, il value ha perso molto meno (-1.29% contro un -2.03%).
ANALISI DEL MERCATO OBBLIGAZIONARIO
Adesso analizziamo il mondo obbligazionario prima e dopo la conferenza della FED. Vi condividerò due grafici: nel primo saranno visualizzati i rendimenti delle scadenze brevi della curva dei rendimenti (rendimenti dei titoli a uno, due, tre, cinque e sette anni), mentre nel secondo i rendimenti delle scadenze più lunghe; nel rettangolo di color rosa andrò ad evidenziarvi le candele formate dai titoli immediatamente e durante la conferenza:
Riagganciandomi alle diverse performance dei diversi titoli, vi voglio far notare diverse situazioni che chiarirebbero concetti che ho già ripetuto nelle mie idee precedenti:
1. Le scelte di politica monetaria vanno sempre ad influenzare maggiormente la parte breve della curva. Questo perché la parte breve è influenzata dalle aspettative per la politica monetaria della Federal Reserve: aumenta quando ci si aspetta che la FED aumenti i tassi e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti; questo è riscontrabile a livello grafico? Direi proprio di si! E’ dimostrato dal fatto che le scadenze brevi abbiano registrato incrementi tra il 4.5% e il 10%, mentre le scadenze lunghe tra il 2.3% e il 4.2%!
In particolare, sono proprio i rendimenti a 2 anni ad essere più influenzati dalla politica monetaria, tant’è che risultano quelli con la performance maggiore (un massiccio +10%). Per logica, quindi, potevamo aspettarci che i rendimenti a più lunga durata registrassero performance meno importanti, e così è stato. Questi sono i migliori momenti per poter visualizzare se determinate informazioni da noi studiate nei libri siano effettivamente vere e riscontrabili, e io opero sempre in questo modo, andando a ricercare le “verità”.
2. I rendimenti a più lunga scadenza, soprattutto quelli di riferimento a 10 anni (considerati il bechmark) non rispondono direttamente alle decisioni della Fed, ma più ad aspettative sull’inflazione e alle leggi di domanda e offerta; ed è proprio per le aspettative sui prezzi al consumo che a parer mio hanno fatto quel movimento; dopotutto Powell si è dimostrato “più spaventato del solito” nei riguardi di questa tematica; è possibile che abbia spaventato gli investitori che, come lui, credevano nella transitorietà del fenomeno? E’ plausibile.
3. Lo stesso discorso che ho fatto per l’S&P500 e per il NASDAQ lo ripropongo anche per gli asset obbligazionari: vedete come le candele che hanno preceduto le 20:00 del 26 gennaio (le candele precedenti alla riunione della Fed) abbiano il corpo molto piccolo? Ciò significa “calma piatta”, riferita al fatto che gli operatori non avevano ancora preso delle decisioni o delle posizioni prima delle dichiarazioni di Powell. Anche il mondo obbligazionario, quindi, si è comportato come quello azionario; prestate molta attenzione a queste situazioni!
BITCOIN
Per quanto riguarda le performance della crypto, cosa possiamo dire?
Avevamo affrontato una discussione secondo la quale BTC si stesse correlando positivamente ai mercati azionari, in maniera particolare al settore tech:
Conoscendo questo tipo di correlazione, come vi immaginate che BTC si sia comportato? Quasi in maniera speculare allo stesso settore tech!
Focalizzate l’attenzione sul rettangolino azzurro (che evidenzia come negli altri grafici visti in precedenza l’arco temporale in cui è andata in onda la conferenza di Powell): vedete la grande correlazione positiva? Vedete come le performance siano state molto simili tra loro?
Questa è l’importanza delle correlazioni: capirle è fondamentale in giornate di questo tipo.
La domanda da farsi ora è questa: in quali mercati gli investitori hanno immesso la loro liquidità?
VALUTE RIFUGIO: YEN E FRANCO SVIZZERO
Le valute rifugio per eccellenza sono state anche stavolta (come avevamo constatato nelle idee precedenti) un rifugio sicuro? Vediamolo in due grafici a timeframe 15 minuti:
La risposta è no! Stavolta anche esse, indistintamente, sono scese. Lo yen, tra le 20:00 e le 22:00 cade del -0.27% mentre il Franco, nello stesso arco temporale, del -0.36%. Anche in questo caso vi ho evidenziato i volumi prima e durante la conferenza: vale lo stesso discorso fatto per il mercato azionario e obbligazionario.
DOLLARO AMERICANO
Il protagonista, stavolta, è stato il dollaro americano. Vediamolo in un grafico a 15 minuti e spieghiamo il motivo:
All’inizio della conferenza di Powell e per le due ore successive la valuta ha registrato un +0,37%, molto meglio rispetto a tutti gli altri asset visti fin’ora. Il motivo è da ricercare nell’effetto che gli aumenti dei tassi di interesse hanno nei confronti di una valuta: sapete che correlazione c’è? Non ne esiste soltanto una, ma diverse:
1. Tipicamente una banca centrale aumenta i tassi di interesse per andare a calmierare un’inflazione causata da una ripresa e successiva espansione economica. Gli investitori di tutto il mondo, chiaramente, preferiscono andare ad investire in un paese con un’economia in ascesa, sana e forte: questo significa che lo stesso paese andrebbe a subire un grande afflusso di capitali esteri. Acquistare un asset straniero significa chiaramente acquistarlo nella valuta locale: ciò si correla alla legge della domanda e dell’offerta: più moneta richiedo, più quella moneta andrà a rafforzarsi.
2. Ricollegandoci al fatto che i tassi di interesse vengono tipicamente alzati per calmierare un’economia in surriscaldamento, possiamo fare il discorso opposto per i tassi che vengono abbassati per andare a cercare di rafforzare un’economia in recessione; in questo caso come si comportano gli investitori?
Tenderanno ad acquistare valute dei paesi con economie in espansione e a vendere valute dei paesi in recessione: è così quindi che si va ad operare su cambi valutari in cui una delle valute è considerata forte (con dei tassi di interesse positivi) e una debole (con dei tassi di interesse negativi).
3. I tassi di interesse vanno ad influenzare anche i forex-trader: diversi broker, alla chiusura delle contrattazioni, effettuano le cosiddette operazioni di swap: queste consistono in un versamento da parte a parte (da broker a trader) del tasso di interesse delle monete del cambio in cui si è aperto un trade. Facendo un esempio molto pratico: immaginiamo che io, Matteo Farci, abbia aperto una posizione long sul cambio Euro/Dollaro Usa. Assumiamo l’Euro con un tasso di interesse del 5% e il Dollaro con un 1%: io andrò a versare il tasso di interesse sulla moneta che ho venduto (ossia l’1%) e mi verrà versato il tasso sulla moneta che ho acquistato (il 5%): capite il vantaggio?
Mi rendo conto che non è un argomento semplicissimo da capire, penso dedicherò un’analisi che focalizzerà l’attenzione nei riguardi questi concetti, in quanto è fondamentale capirli visto il fatto che tutte le banche centrali mondiali si stanno muovendo con le loro politiche monetarie.
LA REAZIONE DEI METALLI PREZIOSI
Molto spesso sento dire che l’oro è una protezione contro l’inflazione e ciò potrebbe essere vero, nel lungo periodo. Il discorso è che se lo fosse stato anche nel breve, probabilmente alle dichiarazioni di Powell riguardanti la non transitorietà dello stesso fenomeno inflattivo il metallo prezioso si sarebbe dovuto apprezzare. Questo è successo?
Direi di no. Entrambi gli asset (l’altro è l’argento) hanno perso oltre il mezzo punto percentuale. La mia opinione riguardo a ciò trova diverse logiche:
L’oro, nel breve periodo, non ti protegge dall’inflazione.
La discesa è dovuta all’apprezzamento del dollaro USA che abbiamo analizzato nel paragrafo precedente (l’oro è scambiato in dollari, per cui se il dollaro aumenta il suo valore va a sfavorire gli investimenti sul gold da parte di investitori detentori di altre valute, perché andrebbero a pagare di più per acquistare la stessa quantità di contratti).
Prestate attenzione alla correlazione inversa tra i rendimenti dei titoli di stato reali (rendimenti nominali aggiustati all’inflazione) e l’oro stesso, che trovate in questa grafica:
fred.stlouisfed.org
E’ chiaro che se il valore sul dato dell’inflazione rimane costante e invariato mentre il rendimento a 10 anni, come abbiamo visto prima, schizza per aria l’oro per, appunto, la correlazione inversa, sarebbe sceso in quasi ugual proporzione, e ciò è riscontrabile nel grafico FRED che vi ho condiviso!
Aprite in particolare questo link e andate a selezionare il 26 gennaio:
fred.stlouisfed.org
Vedete quanto la correlazione sia inversa?
Per quanto riguarda invece l’argento, esso ha seguito sostanzialmente il movimento dall’oro, da cui è da sempre influenzato.
I MERCATI HANNO RAGGIUNTO IL BOTTOM?
La preoccupazione di diversi operatori in questo momento è: il mercato ha raggiunto il suo minimo? Adesso risalirà? Rivedremo i massimi storici? A parer mio è difficile da dire e da prevedere. Quello che posso dire è che, a causa dell’alta volatilità, né l’S&P500 tantomeno il NASDAQ hanno avuto una settimana con una vera e propria direzionalità infatti, come vedrete nei due grafici giornalieri in basso, il prezzo si è mosso all’interno dei rettangolini da me colorati di color rosa:
Quello che ho appena evidenziato è più chiaro in dei grafici a timeframe più bassi, come quelli orari, in cui possiamo notare altre cose interessanti:
Innanzitutto entrambi i grafici sono molto simili tra loro; i due prezzi hanno formato nell’ultima settimana una lateralizzazione; c’è da chiedersi se esso sarà un consolidamento (se il prezzo romperà il rettangolo di congestione verso l’alto) o una distribuzione (se esso lo romperà verso il basso). Come potete osservare, ho tracciato in entrambe le lateralizzazioni l’intervallo fisso volumetrico, il cui point of control mi visualizza l’area di prezzo in cui sono stati scambiati più volumi; è evidente che il prezzo si stia pian piano gonfiando, e quella indicata con il point of control e l’area in cui si sta combattendo la guerra tra compratori e venditori. Inoltre vi ho visualizzato i volumi: vedete come essi siano molto più accentuati quando il prezzo arriva in corrispondenza delle strutture di supporto e resistenza della lateralizzazione? Ciò sta ad indicare che sono delle aree di prezzo in cui tanti attori del mercato reagiscono, e ciò si riflette appunto sui volumi stessi. Unica eccezione la zona volumetrica indicata in entrambi i grafici con il rettangolino verde, in quanto è l’unica area in cui i volumi sono rimasti molto bassi nonostante in prezzo fosse sulla resistenza: questo è dovuto al fatto che in quelle ore di contrattazioni i mercati statunitensi fossero chiusi e di conseguenza gli operatori a mercato risultassero molti meno. Da questa analisi oraria abbiamo quindi capito come i minimi toccati dai due bechmark siano molto importanti. Vi voglio però riportare gli stessi grafici a livello settimanale per farvi notare un qualcosa di molto importante:
Ho condiviso prima il settimanale dell’S&P e successivamente quello del Nasdaq; è interessante notare che tracciando il visible range in entrambi i benchmark dalla candela settimanale del rimbalzo di marzo 2020 dopo il crollo dei mercati causati dalla pandemia e l’ultima settimana terminata il 28 gennaio 2022, ci rendiamo conto che il point of control (come vi ho spiegato prima, l’area di prezzo in cui sono scambiati più volumi) si trova al di sopra di entrambi i prezzi. Per la mia visione dei mercati, potrei quindi affermare che vedrei il prezzo più in alto le prossime settimane soltanto se entrambi gli indici riuscissero a chiudere con una candela settimanale al di sopra dello stesso point of control.
E come ultima cosa, non dimentichiamoci la volatilità. Statisticamente, a volatilità considerevoli, un mercato tende a scendere e non a salire, e queste grafiche ne sono la prova:
Vedremo quindi se questi “indici di paura” vedranno una discesa.
L’analisi termina qua. So che probabilmente è stata lunga, ma determinati concetti, a parer mio, non possono essere spiegati in due righe e anzi, se proprio devo essere sincero, avrei potuto continuare a scrivere altre 50 pagine. Volevo comunque trasmettervi le mie conoscenze che, in giorni come questi, possono aiutarvi a leggere meglio i mercati; è importante capire cosa succede ma soprattutto perché succede, e io cerco sempre di spiegare grazie a studi e logica la psicologia che sta dietro i mercati. Inoltre ci aspettano dei periodi in cui le banche centrali del mondo non interverranno con le loro politiche monetarie una volta, bensì diverse! Ed è proprio per questo che è fondamentale sapere come muoverci e, determinate volte, capire quali potrebbero essere le mosse dei mercati, attraverso analisi macro, correlazioni, volumi e volatilità potrebbero permetterci di guadagnare di più e/o limitare le perdite. Spero di essere stato chiaro, qualora non lo fossi stato cercatemi in privato su Instagram o tradingview, o commentate l’idea.
Volevo aggiungere inoltre che ho intenzione di creare un canale personale in cui condividerò tante altre idee riguardanti i mercati finanziari. Vi comunicherò quando il progetto sarà ultimato, rispettando chiaramente le linee guida imposte da tradingview.
Grazie, Matteo Farci
ANALISI SETTORIALE E COEFFICIENTI BETA. COSA SUCCEDE SUI MERCATIBuongiorno a tutti. La scorsa settimana ho letto tanti articoli secondo cui la stessa è stata tra le più difficili per quanto riguarda i trader e i loro relativi trade ed investimenti. Io, tuttavia, non la penso così. Credo sia importante saper leggere il mercato e studiare come gli investitori tendenzialmente reagiscono ai giorni di alta volatilità e cosa preferiscono vendere o comprare; tuttavia, riagganciandomi allo stesso discorso, credo che l’ultima sia quindi stata una settimana fondamentale sotto questi aspetti. Attraverso determinati grafici cercherò di spiegare il motivo, analizzando l’S&P500 e il Nasdaq con le rispettive volatilità, il livello di opzioni presenti sul mercato per capire ancora più da vicino il sentiment e, successivamente, analizzerò ogni singolo settore, spiegando cos’è il coefficiente beta e come può essere utile in certe condizioni di mercato, condividendo una mia operazione andata in profitto.
VIX E VXN: VOLATILITA’ AD ALTI VALORI
Voglio ricordare a chi non lo sapesse cosa si intende per volatilità dei mercati : essa non è altro che uno strumento che misura la variazione di prezzo di un asset in un dato periodo. Può assumere dei valori bassi o viceversa alti (per il VIX , indice di volatilità dell’S&P 500, lo spartiacque tra bassa ed alta volatilità sono i 20 punti mentre per il VXN, indice di volatilità del Nasdaq, 25 punti) a seconda delle particolari condizioni di mercato.
Spesso gli indici di volatilità sono definiti “gli indici di paura” in quanto un loro incremento è spesso associato ad uno storno del mercato. I mercati ad alta volatilità sono caratterizzati da bruschi movimenti di prezzo che vanno a caratterizzare l’elevata imprevedibilità di quel mercato mentre i mercati a bassa volatilità sono più stabili e hanno fluttuazioni di prezzo contenute.
Vediamo a livello grafico i valori che questi due indici hanno raggiunto:
Come possiamo vedere, essi hanno raggiunto valori simili a quelli avuti tra fine novembre-inizi dicembre 2021 dovuti alla scoperta della variante omicron. Come ho specificato prima, un’alta volatilità spesso accompagna uno storno dei mercati; vediamo come hanno reagito l’S&P500 e il Nasdaq, i due benchmark di riferimento:
Vediamo come entrambi gli indici siano stati pesantemente ribassisti: l’S&P si è discostato dai suoi massimi di circa il -8,5%, mentre il Nasdaq ancora di più, segnando un -13,5%.
Quello che mi interessa farvi notare sono due segnali tecnici: il primo riguarda il fatto che i due indici sono riusciti a rompere al ribasso e con decisione la media a 200 periodi; questo evento non accadeva dal 29 giugno 2020 per quanto riguarda l’S&P e dal 9 marzo 2020 per quanto riguarda il Nasdaq da quasi, si fa per dire, un’eternità.
Il secondo segnale è dato dal profilo del volume settato tra luglio 2021 ed oggi: notate nella parte destra di entrambi i grafici i rettangolini da me segnati di color grigio? Ecco, notate come all’interno i volumi siano notevolmente inferiori rispetto agli altri? Quelle zone vengono chiamate “vuoti volumetrici” e in essi, tipicamente, il prezzo non trova grandi ostacoli. Questo può significare che potremmo vedere, almeno nel breve periodo, l’S&P a valori intorno a 4200$/4300$ e il Nasdaq intorno ai 14000$. Vedremo i prossimi giorni cosa succederà. Ora vi condivido gli andamenti dei due benchmark e la loro correlazione con le rispettive volatilità:
La domanda è: la volatilità continuerà? E’ probabile, dal momento che la prossima settimana la FED si riunirà (mercoledì); il mercato sconta dai tre ai quattro rialzi dei tassi di interesse quest’anno, tuttavia la FED ha gradualmente cambiato atteggiamento nei confronti di tale argomento, essendo diventata ultimamente “imprevedibile”. Come dico sempre, i mercati sono impauriti dalle incertezze e imprevedibilità e non dalle certezze per cui, a parer mio, la prossima settimana, almeno da lunedì a mercoledi, saremo soggetti a volatilità. Vedremo cosa succederà, probabilmente lo commenterò poi nel mio profilo.
UN INDICATORE PARTICOLARE: IL RAPPORTO PUT/CALL RATIO SU SINGOLE AZIONI
Per chi non lo sapesse, il rapporto Put/Call è un indicatore che mostra il volume delle opzioni put relativo al volume delle opzioni call. Le opzioni put vengono utilizzate per diversi motivi: per proteggersi dai ribassi del mercato o per scommettere su un ribasso. Le opzioni call, al contrario, vengono utilizzate per proteggersi dai rialzi del mercato o per scommettere su un rialzo. Il rapporto Put/Call è superiore a 1 quando il volume delle put supera il volume delle call e inferiore a 1 quando il volume delle call supera il volume delle put.
Io utilizzo questo indicatore per capire il sentiment del mercato: quest’ultimo lo considero pessimista quando l’indicatore supera i livelli di 1 e ottimista quando scende al di sotto dello stesso livello; questi giorni ho notato qualcosa di molto particolare, che ora vi farò notare:
Nell’ultima settimana abbiamo assistito ad un picco di 1.14; ciò significa che la quantità di put piazzate a mercato erano ben superiori alle quantità di call. Per tornare a valori simili dobbiamo ritornare allo scoppio della pandemia, ossia a marzo 2020. Questo a parer mio sta ad indicare il fatto che gli operatori, stavolta, hanno realmente paura e sono incerti sul futuro a breve termine (non come, talvolta, si vociferava nel 2020-2021 quando il mercato stornava del 2%-3%) e, di conseguenza, acquistano massicce quantità di put per coprirsi, come ho spiegato all’inizio del paragrafo.
Monitorerò nei prossimi giorni questo indicatore, assieme ad altri di cui parlerò tra poco, per vedere il tipo di opzioni che gli investitori piazzeranno a mercato in maniera da avere un quadro più o meno generale sul sentiment.
SETTORE PER SETTORE: I MIGLIORI E I PEGGIORI
Ora analizzerò tutti i settori dell’S&P500 ricorrendo all’utilizzo di diversi etf che ora mostrero’:
A sinistra vediamo il settore finanziario, mentre a destra quello energetico. Entrambi in territorio negativo (-6,5% circa per quello finance mentre un -3,2% per quello energy), i due settori value si sono comportati in maniera diversa, dal momento che il finance ha perso il doppio rispetto all’altro; questo è dovuto al fatto che parte delle banche d’affari presenti in quell’etf hanno presentato delle trimestrali deludenti. A queste appartengono sicuramente JPMORGAN e GOLDMAN SACHS:
Mentre l’etf sul settore finance è stato spinto giù dalle grandi banche, il settore energetico ha invece attutito i colpi grazie ad un petrolio che non è crollato come altri asset, infatti:
Notate inoltre la grande forza del settore energetico, al contrario di tutti gli altri che poi mostrerò: la lontananza del prezzo dalla media a 50 periodi indica una grande forza al contrario di tutti gli altri settori che, come vedrete, hanno rotto al ribasso la media a 200 periodi, segnale di grande debolezza.
Ora analizziamo il settore industriale e dei materiali:
Quello dei materiali si è dimostrato più debole rispetto a quello industriale (-5,36% contro un -4,39%) tuttavia, in chiave tecnica, vediamo come l’industrial abbia dapprima rotto la media a 200 periodi e, successivamente, abbia confermato quest’ultima con un’ulteriore candela ribassista (quella di venerdì) al contrario del settore materials che non ha avuto un’ulteriore conferma di rottura della stessa media. A livello tecnico ciò che ho appena detto si traduce in una debolezza più forte del settore industrial.
Anche il settore del Real Estate è stato venduto:
Nell’ultima settimana ha perso un -2,90% e, nell’ultimo mese, un -9,5%. Vi ho segnato con dei segmenti orizzontali le strutture per me più importanti; tuttavia, tracciando l’intervallo fisso volumetrico nel periodo di lateralizzazione compreso tra giugno e dicembre 2021, mi sono reso conto di come ci sia un vuoto volumetrico (indicato in quel rettangolo di color rosa): è possibile quindi che se il prezzo riuscisse a rompere al ribasso con forza la media a 200 periodi, potrebbe poi trovare pochi ostacoli nel rivisitare la struttura di prezzo intorno ai 44$. Vedremo cosa accadrà.
Adesso andremo a considerare i settori difensivi:
A primo impatto si può vedere come questi settori abbiano sofferto molto meno di altri. In particolare, direi più i settori dei beni di prima necessità e delle utilities, che hanno perso intorno al punto percentuale, a differenza del settore sanitario, che ha sfiorato il -3,5%.
In conclusione, quindi, possiamo ancora una volta vedere come i due settori difensivi per eccellenza abbiano costituito una sorta di “porto sicuro”.
Molto male i settori tecnologico, dei beni discrezionali e delle comunicazioni, con le performance raffigurata nella grafica di sotto:
Detto questo, abbiamo visto le performance di ogni settore all’interno dell’S&P500. All’inizio di questo articolo scrivevo di come i giornali finanziari di tutto il mondo parlassero di un momento molto difficile per gli investitori per quanto riguardava i loro trade e i loro investimenti, specificando che non la pensavo così. Credo sia fondamentale essere sempre pronti a qualsiasi situazione di mercato, specie nei giorni di alta volatilità. Sapete qual è uno dei parametri da poter considerare per capire meglio come ci si può muovere in mercati con volatilità simili? E’ il concetto di “coefficiente beta”.
IL BETA NEI MERCATI AZIONARI
Il coefficiente Beta è una grandezza che misura la variazione attesa del rendimento di un certo titolo per ogni variazione di un singolo punto percentuale del mercato di riferimento. Il valore di questo coefficiente tende a muoversi intorno a 1: nello specifico, se il Beta di un’azione è pari a 1, questa tenderà a muoversi in linea con il mercato di riferimento, senza amplificare o ridurre i movimenti dello stesso. Quando il Beta di un’azione è maggiore di 1, invece, si è davanti a un titolo “aggressivo”, che amplifica i movimenti del mercato, l’attività è considerata quindi più rischiosa. Se il Beta è compreso tra 0 e 1, si ha di fronte un’azione “difensiva”, la quale tende a muoversi in modo meno proporzionale all’indice di riferimento.
Fatta questa piccola premessa, vi elenco i valori dei Beta di ogni singolo etf settoriale che ho preso in considerazione precedentemente.
• XLE: 1,67
• XLI: 1,24
• XLY: 1,18
• XLF: 1,17
• XLB: 1,10
• XLK: 1,05
• XLC: 1,01
• XLU: 0,38
• XLV: 0,81
• XLP: 0,58
• XLRE: 0,7
Notiamo come gli etf con un beta superiore ad 1 siano quello energetico, industriale, dei beni discrezionali, dei finanziari, dei materiali, quello tecnologico e quello delle comunicazioni. Con un beta inferiore ad 1 invece troviamo il settore delle utilities, dei sanitari, dei beni di prima necessità e il settore immobiliare.
Per fare un esempio pratico, prendendo il beta di XLU, ossia 0.38, ci possiamo aspettare che a un movimento del +1% dell’S&P500 corrisponda un +0,8% del settore utilities. O, viceversa, a un movimento del -5,69% da parte dello Standard and Poor corrisponda un -6.7% da parte del settore tecnologico. E’ quello che è realmente successo questi giorni? Ebbene si. Se andate a moltiplicare il beta di ogni settore per la performance del bechmark di riferimento vedrete con buona approssimazione che tutto ciò risulta.
Ora capite perché conoscere i beta dei diversi settori (o comunque delle diverse azioni) è di per sé un indicatore fondamentale?
Ci è utile innanzitutto per capire quali potrebbero essere, ad esempio, le migliori opportunità short (sfruttando il fatto che il più delle volte la volatilità porti ribassi), e anche per posizionare stop loss e take profit nelle operazioni.
Spero che questo concetto sul coefficiente beta vi schiarisca le idee, e soprattutto spieghi il perché, in giorni di alta volatilità, alcuni settori performano diversamente da altri. Questo a me ha aiutato tanto nell’operatività.
Ho ad esempio chiuso in profitto un’operazione su Amazon in vendita, aperta alla rottura di un canale:
Avevo essenzialmente 3 segnali: rottura al ribasso di un canale contrassegnato dai segmenti neri paralleli, alti volumi al momento della rottura e un vuoto volumetrico dato dal visible range di tutto il momento di lateralizzazione dell’azienda. Ora vi spiego come ho ragionato: dopo aver avuto questi 3 segnali, ho controllato il beta di Amazon, che è di 1,12. Ciò significa che il prezzo dell’azienda, dal giorno dell’apertura della posizione short, si sarebbe mossa più veloce del benchmark Nasdaq di 1,12 volte. Approfittando del fatto che il settore dei beni discrezionali (a cui appartiene AMZN) ha un beta alto (1.18), ho aperto la posizione, che mi è andata in profitto in pochissimi giorni. Se non avessimo avuto alta volatilità non avrei mai aperto una posizione a causa del fatto che tra pochi giorni ci saranno gli earnings dell’azienda (e l’operazione quindi mi sarebbe potuta andare immediatamente in perdita); avendo invece alta volatilità (quindi range delle candele molto ampi) e beta alto, ho aperto l’operazione con tranquillità perché mi aspettavo di raggiungere il take profit (o lo stop loss) in breve tempo.
Spero che questo esempio vi possa schiarire le idee.
Per quanto riguarda i valori dei coefficienti beta, potete notare come XLE, con un beta superiore a tutti, non abbia rispettato le aspettative; come vi ho già spiegato, esso è fortemente dipendente dal petrolio che, appunto, è andato bene la scorsa settimana se rapportato ad altri asset.
Come ultimo grafico riguardante questo paragrafo vi condivido il rapporto tra le azioni ad alto e basso beta, il tutto associato al vix:
Fissate l’attenzione in basso, dove vedete il Vix: il rettangolo rosso vi è utile per visualizzare quanto la volatilità sia stata alta nelle ultime settimane. Adesso, considerando il rapporto tra le azioni ad alto beta e quelle a basso beta, notate come queste ultime stiano sovraperformando le altre? Questa è la chiara dimostrazione di tutto quello che ho provato a spiegare fin’ora.
Tuttavia ho considerato solo quello che gli investitori hanno scaricato o venduto. Vediamo anche quello che hanno acquistato.
VALUTE RIFUGIO: YEN GIAPPONESE E FRANCO SVIZZERO
Vediamo come dall’inizio della settimana (dal 18 gennaio) lo yen si sia rafforzato in maniera costante, formando un canale ascendente. Che dire? Ha confermato il suo ruolo di valuta rifugio in giorni di turbolenza. Il franco svizzero, ugualmente in positivo, ha formato addirittura un doppio minimo: questa è una particolare situazione a me molto cara, in cui si sono andate ad intrecciare analisi tecnica e fondamentale: tecnica per quanto riguarda il pattern, che è rialzista, e fondamentale in quanto il franco, in qualità di bene rifugio, avrebbe dovuto apprezzarsi. Tutto questo è accaduto.
Gli altri asset acquistati dagli investitori sono state le obbligazioni, sia a breve che a lunga scadenza.
Come dico sempre, le obbligazioni sono asset a rischio molto più basso se paragonate alle azioni, quindi in settimane di alta volatilità si po' verificare un loro acquisto da parte di chi vuole preservare il denaro. Ma attenzione, non è sempre così, in quanto un aumento della volatilità, spesso, è causata proprio dalle forti vendite nello stesso mercato obbligazionario, con conseguente rialzo dei rendimenti che, come ho specificato diverse volte, apre tutta una serie di questioni riguardanti, in particolare, il settore growth (trovate tutte le informazioni a riguardo sul mio profilo, vi consiglio di dare un’occhiata oppure, per maggiori dettagli, contattatemi pure).
BITCOIN: ROTTURA TESTA E SPALLE E RIMBALZO SU POINT OF CONTROL DEL VISIBLE RANGE
Nella mia precedente idea avevo correlato il Bitcoin all’economia, allo spread tra i rendimenti dei titoli di stato a 10 e 2 anni e agli altri etf settoriali:
Quello che voglio aggiungere a questa idea è che il Bitcoin, anche nella passata settimana, ha continuato a muoversi in trend ribassista, visto il momento di risk-off sui mercati:
La crypto ha perso il -18% circa al momento della scrittura. Questo era abbastanza prevedibile vista la correlazione positiva che sta presentando ultimamente con alcuni settori, in particolare quello tech. Vi voglio far notare due cose: la rottura del testa e spalle ribassista e il successivo rimbalzo della candela di sabato 22 nel point of control del visible range settato nel periodo inizi 2021- 23 gennaio 2022. Il prezzo scenderà al sotto? Vedremo. Da considerare la grande quantità di volumi presenti in quella fascia di prezzo; ciò si traduce con il fatto che il prezzo stesso potrà incontrare molti ostacoli.
Spero che quest’idea vi possa aiutare a prendere delle scelte migliori in futuro.
Non ho menzionato l’oro poiché ho intenzione di scrivere i prossimi giorni un’idea a parte.
Le mie idee non costituiscono consigli finanziari, sono soltanto delle analisi che condivido per cercare di portare forti contenuti all’interno di tradingview e della sua community. Ognuno deve crearsi il proprio metodo. Per qualsiasi informazione o chiarimento sono disponibile per tutti.
Buona settimana.
Matteo Farci
LA FED SCUOTE TUTTI I MERCATI? NO! ANALIS MACRO ULTIMA SETTIMANABuongiorno ragazzi, oggi volevo analizzare quello che è successo la scorsa settimana sui mercati finanziari statunitensi, in quanto è stata abbastanza particolare. Ci sono stati diversi dati macroeconomici e dichiarazioni che hanno fatto da padroni indiscussi. Tra questi elenco il vertice OPEC tenuto il 4 gennaio, i verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio ed infine i dati sulla disoccupazione e i non farm payrolls di venerdì 7 gennaio.
DECISIONI DELLA OPEC SULLA PRODUZIONE DI PETROLIO
La OPEC ha confermato che procederà con il previsto aumento della produzione di petrolio per il mese di febbraio 2022. L’aumento sarà di 400000 barili al giorno: quest’ultimo è stato approvato dopo che i membri OPEC hanno stimato un eccesso di offerta nell’anno 2022 inferiore a quello previsto in precedenza.
Nonostante la OPEC si attenda un nuovo surplus le stime indicano che sarà nettamente più contenuto di quanto ci si attendesse in precedenza con la produzione di petrolio che supererà la domanda mondiale di 1,4 milioni di barili al giorno nei primi tre mesi dell’anno rispetto agli 1,9 milioni della valutazione precedente.
Come ha preso la notizia il future sul Petrolio? Vediamo:
Dai minimi a 62$ circa del 2 dicembre, sembra che il Petrolio abbia recuperato piuttosto bene. A fine anno è stata rivisitata la resistenza a 76$ circa, quasi in corrispondenza della media a 50 periodi: il prezzo ha dapprima rintracciato brevemente, per poi andare (il 4 gennaio, giorno del meeting OPEC) a rompere al rialzo la media a 50 periodi, segnando infine una performance settimanale del +4,91%. Direi quindi che il mercato ha reagito piuttosto bene al meeting OPEC, non tanto perché la produzione è stata confermata anche per febbraio in aumento (ciò entrerebbe in contrasto per la legge della domanda dell’offerta, che dice che l’aumento dell’offerta di una materia prima è difficilmente accompagnata da un rialzo del prezzo della materia prima stessa), ma quanto perché gli aspetti della variante omicron, a conti fatti, non rallenteranno quanto ci si aspettava il consumo di petrolio.
Nonostante sembri che la positività in questa commodity sia tornata, vi voglio mostrare un piccolo campanello d’allarme, derivante dal cot report:
Vedete come il ribasso di tutto novembre (mese della scoperta della variante omicron) sia stata accompagnata da un trend ribassista da parte dei contratti dei large-speculators: probabilmente, in quello stesso periodo, tante operazioni erano state chiuse per 2 motivi:
1. Paura e incertezza nei riguardi della nuova variante che avrebbe potuto bloccare nuovamente l’economia mondiale
2. Prese di profitto a seguito del grande impulso rialzista di settembre-ottobre
Nell’ultimo mese (nonostante il prezzo si sia ripreso e sia passato nuovamente sopra la media a 50 periodi) si è creata una divergenza: lo spread tra contratti long e short si accorcia nonostante il prezzo continui a salire; come mai? Questo non posso saperlo, ma comunque lo considero un campanello di allarme, simbolo del fatto che il prezzo forse non è forte come sembra.
Per quanto riguarda invece la volatilità sull’asset, direi che si è tornati in condizioni di “tranquillità”, dal momento che l’indicatore è sceso sotto i 45 punti:
Quale sarà quindi il futuro destino del petrolio? Lo vedremo prossimamente, io vi ho riportato alcuni indicatori, ai quali vorrei aggiungervene un altro: tipicamente, in periodi di inflazione, le materie prime tendono a performare bene e tra queste non può certo mancare il crude oil.
IL FOMC, CIO’ CHE HA SCOSSO I MERCATI. MA PROPRIO TUTTI?
E qui veniamo ai verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio. In quell'occasione, i banchieri hanno annunciato l'accelerazione del processo che metterà fine agli stimoli monetari, con un tapering di 30 miliardi di dollari al mese (e non più 15 miliardi) per mettere fine al programma di aiuti da 120 miliardi al mese entro marzo. Il programma prevedeva 80 miliardi in titoli di Stato e 40 miliardi in titoli garantiti da mutui ipotecari. Inoltre, dopo il primo aumento dei tassi, si prevede anche una riduzione del bilancio.
Vi rilascio alcuni punti salienti dell’incontro:
“L'inflazione si sta dimostrando più alta e duratura del previsto e, per questo, potrebbe essere necessario alzare i tassi d'interesse prima del previsto; inoltre, è necessario ridurre il passo degli aiuti monetari, non più così necessari. Se il mercato del lavoro continuerà a migliorare con questo passo, i prerequisiti per un aumento dei tassi d'interesse potrebbero essere raggiunti relativamente presto”
Inoltre, dal dot plot (che è un grafico che registra ogni 3 mesi le previsioni della Fed) è emerso che la maggioranza dei banchieri prevede ora almeno tre rialzi dei tassi d'interesse nel 2022. Dopo la precedente riunione, a settembre, nove componenti su 18 del FOMC avevano invece ipotizzato almeno un rialzo dei tassi nel 2022.
Questa notizia è stata una sorpresa per i mercati che, come spesso vi dico, non hanno reagito affatto bene. Usando dei grafici a 30 minuti, vediamo quale è stata la loro reazione:
Vediamo come i due benchmark principali abbiano performato piuttosto male all’uscita del comunicato: l’S&P ha perso il -1,6%, mentre il Nasdaq il -1,92%. Sapete perché quest’ultimo è andato peggio? Ne parlo spesso, ma ora lo mostrerò:
A sinistra del grafico vi ho riportato la reazione del rendimento del decennale americano; vediamo come esso sia salito del +1,22%. Era normale che tale notizia scuotesse anche il mercato obbligazionario! Ma tornando a noi: come mai il Nasdaq ha perso di più? Per la correlazione che esiste tra inflazione e titoli growth! Ricordo che la parte lunga della curva dei rendimenti (costituita dalle scadenze a 10, 20 e 30 anni) si innalza tipicamente per due motivi: o per una previsione di crescita economica o per un’inflazione persistente (ed è ciò che è successo); direi che in questo momento siamo in una fase di espansione economica che non troppo tardi volgerà al termine, per cui la risalita dei rendimenti dei titoli a scadenza lunga è data dalla paura degli investitori di un’inflazione più persistente e duratura di quanto ci si aspettasse. Quali sono i titoli che più vengono danneggiati da un’inflazione alta e persistente? I titoli growth, che basano i loro guadagni sul futuro e non nel presente, e sappiamo quanto l’inflazione, appunto, eroda i guadagni futuri!
Guardate la correlazione inversa che esiste tra i rendimenti del decennale americano, il Nasdaq e l’etf XLK che rappresenta un paniere di aziende tecnologiche. Vedete che si muovono con buona approssimazione in maniera quasi opposta? Assistiamo a una correlazione molto inversa soprattutto quando il rendimento del decennale tende ad accelerare in maniera abbastanza aggressiva, come mostra appunto l’immagine:
Detto ciò, abbiamo capito come le tech, questa settimana, abbiano performato piuttosto male a causa del rialzo dei rendimenti obbligazionari. Al contrario di queste ultime, le value hanno invece performato bene, andando a segnare addiritura un +1,14%.
Vorrei inoltre farvi notare un qualcosa di importante:
Negli stessi momenti in cui il rendimento del decennale americano aumenta rapidamente, il settore Value tende a segnare buone performance, al contrario, come abbiamo visto prima, del tech. Sembra quasi che, in certi momenti, i due asset siano correlati positivamente. Sapete qual è la spiegazione?
Per farvelo capire, andrò a spacchettare l’etf del settore value dell’S&P500 per settori:
SETTORE FINANZIARIO 15,87%
SETTORE SANITARIO 15,56%
SETTORE INDUSTRIALE 12,89%
SETTORE TECNOLOGIE INFORMATIVE 12,40%
SETTORE CONSUMER STAPLES 10,72%
SETTORE CONSUMER DISCRETIONARY 7,72%
SETTORE SERVIZI DI COMUNICAZIONE 6,92%
SETTORE ENERGETICO 5,31%
SETTORE UTILITIES 5,04%
SETTORE MATERIALI 3,96%
SETTORE IMMOBILIARE 3,33%
Come possiamo notare, il peso maggiore è dato dal settore finanziario. Chiediamoci una cosa: come reagisce il settore finanziario all’aumento dei tassi di interesse e di conseguenza all’aumento dei rendimenti del decennale americano? Reagisce alla grande, tant’è che esiste una correlazione piuttosto positiva; vediamola:
Come mai c’è una correlazione diretta tra questi due asset? Le banche ricevono finanziamenti e creano successivamente guadagni in questo modo: ricevono innanzitutto fondi tramite i depositi dei clienti, a cui pagano tassi d’interesse a breve termine. Quindi, la parte corta della curva del rendimento rappresenta i costi di prestito della banca. Successivamente, guadagnano prestando denaro a tassi a lungo termine più alti. La differenza tra i due tassi (quello a lungo termine meno quello a breve termine) è nota come spread del tasso d’interesse e rappresenta il guadagno potenziale della banca. Quindi, più alto è un rendimento a scadenza lunga, più una banca ci guadagna, ecco spiegato il motivo! Il +5,43% dell’ultima settimana del settore finanziario non è stato un caso:
L’altro best performer della settimana è stato il settore energetico, rinforzato chiaramente dalla bella performance settimanale del petrolio, che segna un oltre +10%!
Vediamo le performance degli altri settori, per poi analizzare i titoli di stato a diversa scadenza, le materie prime e il dollaro.
SETTORE INDUSTRIALE E MATERIALI
Vediamo come il settore industriale abbia performato molto meglio rispetto a quello dei materiali. Non è un caso dal momento che, nel settore “value”, l’industriale occupa un peso del 12,89%.
SETTORE SANITARIO E DELLE COMUNICAZIONI
Il settore sanitario, nonostante rappresenti il secondo settore per peso all’interno dell’etf del settore value, ha subito tante vendite, chiudendo con una performance del -4,64%. Quello delle comunicazioni, invece, è ormai da diverso tempo in difficoltà, in particolare da inizi settembre 2021.
SETTORI BENI DI PRIMA NECESSITA’ E BENI DISCREZIONALI
I due settori hanno performato piuttosto diversamente: quello dei beni discrezionali male, -2,43%, mentre quello dei beni di prima necessità appena appena bene, segnando un +0,40%: questo è probabilmente dovuto al fatto che XLP è un settore difensivo, per cui probabilmente alcuni investitori hanno scaricato posizioni su settori più rischiosi a beneficio di alcuni meno rischiosi e quindi più difensivi. Ciò però è accaduto solo in XLP e non nel settore utilities, nonché difensivo, che perde oltre il punto percentuale:
Molto male il Real Estate, che segna una performance negativa del -4,9% dopo una cavalcata durata qualche settimana.
INDICE DELLE PAURE SUI MERCATI: VIX E VXN
Vediamo come i due indici, VIX (volatilità S&P500) e VXN (volatilità Nasdaq) si siano mossi in modo diverso: il VIX è rimasto all’interno dell’area di relativa tranquillità (sotto i 20 punti) mentre il VXN, al contrario, è salito oltre i 25 punti, a volatilità quindi preoccupanti. Come mai questa divergenza tra i due indici? Perché si ha avuto maggior paura per i titoli tech (e quindi del Nasdaq) a causa del rialzo dei rendimenti del decennale e per tutti i motivi che ho spiegato precedentemente!
MONDO OBBLIGAZIONARIO
Vi ho condiviso due curve dei rendimenti ben distinte, una di Q3 2021 (con i rendimenti del 2 agosto 2021) e una di Q1 2022 (quella odierna). Le due curve appartengono a due momenti ben distinti: in quella di Q3 2021 la banca centrale era abbastanza “rilassata” in quanto riferiva nelle sue riunioni il fatto che i tassi non sarebbero stati aumentati a breve, che l’inflazione era transitoria e la crescita economica robusta, con dati sul lavoro e disoccupazione via via migliorativi; alla curva odierna invece appartiene una Fed ben più aggressiva per i motivi di cui vi ho parlato all’inizio di questa idea.
Vi ho condiviso queste due curve per un particolare motivo: avete mai sentito da qualche professionista dire “la banca centrale può controllare solo la parte breve della curva”? Questo è il tipico esempio.
Guardiamo come i rendimenti alle brevi scadenze siano più ripidi oggi di quanto non lo fossero in Q3 2021; la parte a scadenze brevi della curva dei rendimenti (da scadenze di qualche mese fino ai 7 anni) è determinata dalle aspettative per la politica della Federal Reserve; il rendimento di quella parte aumenta quando ci si aspetta che la Fed aumenti i tassi e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti. L’estremità lunga della curva dei rendimenti, invece, è influenzata da fattori quali le prospettive sull’inflazione, la domanda e l’offerta degli investitori, la crescita economica.
Come ho spiegato diverse volte, se la crescita è robusta e l’inflazione in aumento, il prezzo delle obbligazioni a lunga scadenza dovrebbe scendere. Questo fa salire i rendimenti a 10,20 e30 anni e, di conseguenza, la curva diventa più ripida. Se una banca centrale risponde alle pressioni inflazionistiche alzando i tassi di interesse a breve termine, la curva si appiattisce, è questo è infatti quello che stiamo vedendo negli ultimi tempi; vediamo infatti che nella parte lunga troviamo una “gobbetta”; questo è sinonimo del fatto che si sta scommettendo in un futuro rallentamento economico (in quanto il rialzo dei tassi di interesse, tipicamente, avviene alla fine o comunque in prossimità della fine di un’espansione economica, per il fatto che una ripresa e successivamente un’espansione si portano dietro anche un’alta inflazione).
Tuttavia, i rendimenti hanno fatto i protagonisti la scorsa settimana, andando ad incrementare in maniera abbastanza notevole:
Vediamo infatti come le due scadenze lunghe siano salite in maniera vertiginosa: ciò è probabilmente dovuto all’incertezza degli operatori riguardo un’inflazione che si potrà dimostrare più dura e persistente di qualche tempo fa; questo è stato dichiarato anche dalle FED che appunto, per combatterla, prevede 3 aumenti dei tassi.
Avete quindi capito il motivo della forma della curva dei rendimenti odierna rispetto a quella di qualche mese fa? Se no, commentate e sarò più chiaro.
IL DOLLARO AVEVA PROBABILMENTE GIA’ SCONTATO TUTTO E CIO’ HA AIUTATO LE COMMODITIES
Spesso ho detto che probabilmente il dollaro aveva già scontato il tapering e probabilmente qualche aumento dei tassi di interesse; credo che questa ipotesi possa essere ora considerata vera in quanto il dollaro stesso, all’annuncio aggressivo della FED, si è mosso poco. Anzi, si trova in un canale di lateralizzazione da ormai 2 mesi, dal 17 novembre:
Da questa lateralizzazione ne hanno beneficiato le materie prime (guardate il grafico a destra, il bloomberg commodity index) che, dopo aver disegnato un doppio minimo sulla struttura a 27 dollari, sono ripartite al rialzo, segnando una performance settimanale del +2,41%!
NON FARM PAYROLLS E DISOCCUPAZIONE
Infine, vi riporto altri due catalizzatori della scorsa settimana: le buste paga del settore non agricolo, che hanno registrato un aumento di 199mila nuovi posti di lavoro a dispetto delle stime di investing.com di 400mila, e i dati sulla disoccupazione molto positivi, scesi al 3,9% dai 4,1% del mese precedente.
Questi ultimi sono due dati molto importanti, per 2 motivi: i mandati della FED sono il controllo dell’occupazione e il monitoraggio dei livelli d’inflazione: a seconda dei prossimi dati sui posti di lavoro, la FED potrebbe decidere se anticipare o posticipare l’aumento dei tassi, e quindi se essere più aggressiva o meno, e questo potrebbe scuotere ancora i mercati; i livelli di disoccupazione via via decrescenti danno invece sostegno all’inflazione, in quanto più persone possono spendere, la domanda dei beni si alza e di seguito l’inflazione stessa; interessante sarà vedere i prossimi dati sulle vendite al dettaglio in quest’ottica.
Spero quest’idea sia uno spunto riflessivo per tutti.
MATTEO FARCI
ANALISI INTERMARKET E INFLAZIONE: LA REAZIONE DEGLI OPERATORIBuongiorno ragazzi, oggi voglio parlare dei dati riguardanti l’inflazione pubblicati dal US bureau of labor statistics, andando ad analizzarli e vedendo come i diversi asset (obbligazionario, forex e indici azionari) abbiano reagito.
SUL CPI NON HA ANCORA INFLUITO IL “CROLLO” DEL PETROLIO E DEL NATURAL GAS
Se avete letto la mia precedente idea, ipotizzavo il fatto che questo mese (o il prossimo) il CPI avrebbe registrato un decremento dato dal fatto che il petrolio e il natural gas avessero perso rispettivamente il -27,13% e il -44,02%:
Questo non è stato il mese relativo al picco inflazionistico, in quanto esso ha registrato un incremento anno su anno di +6,8% e mese su mese del +0,8%. In particolare, addentrandoci nel rapporto, vediamo come l’energia sia aumentata del 33% rispetto allo scorso anno e del 3,5% rispetto al mese precedente. In particolare, considerando solamente l’incremento mese/mese, le materie prime energetiche hanno visto un incremento del +5,9%, gli oli combustibili un +3,5%; ci sono stati aumenti del 6,1% per quanto riguarda il carburante per motori e la benzina e un modesto +0,3% per quanto riguarda l’elettricità.
Guardando altre categorie, il cibo è aumentato del +0,7% e del 6% circa a/a, gli autoveicoli usati un +2,5% m/m e l’abbigliamento un +1,3% m/m. Vi rilascio qua sotto il link per il rapporto completo in maniera che possiate osservarlo:
www.bls.gov
COME HANNO REAGITO I DIVERSI ASSET FINAZIARI?
Innanzitutto, sottolineiamo il fatto che l’inflazione ha raggiunto un incremento tale da ritornare nel 1982 per poterlo vedere di uguale entità, e questo credo dica tutto.
Un’inflazione al 6,8% è molto alta. Basti pensare che un’economia, per poter essere considerata sana e sostenibile, necessita di un’inflazione al 2% o valori prossimi (1,9%/2,1%, ad esempio), tant’è che una banca centrale ha il compito di doverla “regolare”. Ricordate quali sono stati i motivi di tale incremento?
1. Aumento del prezzo spropositato delle materie prime
2. Problemi sulla catena di approviggionamento
3. Grandissima domanda da parte dei consumatori nell’era post-covid
Questi sono solo alcuni dei 3 motivi, probabilmente i più importanti, tra i quali andrei ad aggiungere anche le politiche monetarie ultra-accomodanti.
La Fed è passata da toni tranquilli e pacati (“l’inflazione è solo transitoria, si abbasserà presto”) a toni più “falco” come si dice a wall street, ossia a toni più aggressivi, annunciando dapprima l’inizio del tapering e, successivamente, facendo intendere che probabilmente il tapering stesso sarebbe stato accelerato in quanto l’economia avrebbe avuto tutte le carte per reggersi con le sue gambe.
Ma ritorniamo a noi: come hanno reagito i mercati all’aumento inflattivo più grande dal 1982?
DOLLARO AMERICANO
Dal grafico giornaliero vediamo come il dollaro si trovi in un trend rialzista; guardate le due medie mobili: esse si trovano a grande distanza tra loro (media a 50 periodi sopra la media a 200 periodi = trend rialzista) e ciò testimonia la forza del prezzo; da considerare anche la distanza tra il prezzo stesso e la media a 50 periodi, altra prova della grande forza della price action. Vi ho segnato con dei segmenti di color nero le strutture per me importanti. Dagli inizi di novembre ad oggi si è avuta la formazione di un triangolo simmetrico a causa del rintracciamento del prezzo: a questo scopo ho utilizzato il rintracciamento di fibonacci per poter visualizzare i livelli in cui il prezzo potrebbe rintracciare prima di ripartire: sono i livelli 38.2, 0.5 e 61.8. Ora guardiamo il grafico intraday a 30 minuti:
Tendenzialmente, quando i dati sull’inflazione sono alti e superano le aspettative (era previsto un aumento m/m del +0,7% invece il dato è stato dello +0,8%) il dollaro va ad apprezzarsi, in quanto il miglior modo per combattere l’inflazione è il rialzo dei tassi di interesse (e il tasso di interesse stesso va ad aumentare il valore della moneta); quindi, molti operatori si sarebbero aspettati un rialzo del dollaro. Invece, all’uscita della notizia, il prezzo ha fatto una candela ribassista del -0,22% per poi rimangiarsi il guadagno fatto da inizio contrattazioni del +0,20%, perdendo dalle 14:30 alla chiusura dei mercati un -0,46% e chiudendo in complesso la giornata in negativo con un -0.16%.
Perché il dollaro si è deprezzato e non il contrario? Per un semplice motivo: credo che il mercato avesse già scontato la notizia le settimane precedenti. Il mercato si aspettava già diverse settimane un dato che battesse le aspettative tant’è che i giornali statunitensi ne parlavano già da diverso tempo e, come diversi giornali, anche alcuni specialisti. Ricordate sempre la tendenza del mercato di scontare tutto prima, quello sul dollaro credo sia un esempio perfetto.
Voglio approfittare del contesto per dire che probabilmente il dollaro sta già scontando il tapering (e la sua accelerazione) e forse anche l’aumento dei tassi di interesse che avverrà nel 2022, e questo potrebbe essere testimoniato dalla sua forte price action.
MONDO OBBLIGAZIONARIO: OBBLIGAZIONI E RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO USA A 10 ANNI
Utilizzando sempre dei grafici a 30 minuti, vi ho condiviso a sinistra il rendimento del decennale americano e a destra la relativa obbligazione. Dall’apertura dei mercati fino alle 14:30 i rendimenti sono saliti del +1,96% (ricordiamo che i rendimenti salgono quando vengono vendute obbligazioni, e infatti a destra vediamo come le obbligazioni siano scese del -0,26%) mentre, all’uscita del dato, il rendimento è andato a segnare un -4,40% nel giro di 3 ore per poi riguadagnare un +2% circa tra la metà e la fine della seduta di contrattazioni; a destra vediamo il comportamento inverso della relativa obbligazione.
Anche questo comportamento è strano, no? Ho detto nelle mie idee precedenti che i rendimenti delle obbligazioni tendono ad alzarsi quando si ha paura di inflazione e, ripeto un’altra volta, come non si può non avere paura di un’inflazione a livelli così alti? A quanto pare si può non averne, e questo è testimoniato dal decremento del rendimento.
Come mai è successo questo? Credo per lo stesso motivo del dollaro: il mercato aveva già scontato da diverso tempo questo dato, e il mondo obbligazionario ancor prima del dollaro stesso, testimoniato dall’appiattimento della curva dei rendimenti. A proposito di ciò, che forma ha avuto la curva dei rendimenti venerdì, a fine contrattazioni?
La curva del 10 dicembre è addiritura più appiattita di quella che avevamo visualizzato per il 3 dicembre:
Ricordo che l’appiattimento si ha in periodi di transizioni economiche (tra un’espansione e un rallentamento economico) e avviene in quanto gli investitori iniziano nuovamente a comprare obbligazioni (specie a media/lunga scadenza) in quanto iniziano a scontare l’abbassamento dell’ inflazione a causa dell’aumento dei tassi di interesse: questo ragionamento che ho fatto è probabilmente il motivo per cui vi dico che la notizia era già stata scontata, ancor prima che la scontasse il dollaro, e questo dimostra ancora una volta quanto sia importante saper leggere il mondo obbligazionario. Per maggiori informazioni, vi inoltro una mia idea in cui spiego da vicino come si comporta il mondo obbligazionario:
S&P500 E NASDAQ
Vediamo ora la reazione dell’S&P500 e del Nasdaq, condividendo il loro grafico a 30 minuti:
I due indici non si sono comportati diversamente rispetto agli altri asset visti in precedenza; all’uscita del dato, entrambi hanno formato una candela verde (+0,40% dell’S&P e +0,80% del Nasdaq) per poi andare a rimangiarsi tutto le mezz’ore successive, per poi infine riprendersi e andare a chiudere in complesso la giornata positivamente, con un +0,78% per lo Standard and Poor e un +1,1% per il Nasdaq. I due indici si trovano ormai vicinissimi ai loro massimi storici, con una distanza del 0,75% per l’S&P e un 2,74% per il Nasdaq.
Continuando a parlare di indici, ci tengo a farvi notare una cosa curiosa, per farvi capire quanto i mercati se ne siano infischiati del dato più alto da decenni: il Nasdaq è un’indice con un peso fortemente tecnologico, i quali titoli sono growth, ossia aziende che puntano alla crescita, concentrando i loro guadagni nel futuro e non nel presente. Con questo non voglio dire che le revenue trimestrali del presente non siano alte (anzi), bensì parte dei loro guadagni sono riutilizzati per espandere le aziende stesse e produrre guadagni ancora più alti nel futuro. Ciò è testimoniato dai bassi (o assenti) dividendi offerti agli azionisti. L’inflazione è chiaramente una nemica in questo contesto, poiché se è vero che essa erode i guadagni futuri delle aziende, è altrettanto vero che le aziende growth sono quelle che più ne risentono, in quanto la loro crescita e le loro future revenue potrebbero essere proprio limitate dall’inflazione stessa (sono stato chiaro? Se non lo sono stato commentate l’idea, sarò ancora più chiaro). Con una lettura così alta del CPI, quindi, cosa ci saremo dovuti aspettare? Chiaramente uno storno dell’indice. Ma ciò non è successo.
La cosa curiosa è che se analizzassimo uno per uno gli etf settoriali, vediamo come XLK, ossia l’etf tecnologico, sia stato quello a performare addiritura meglio, con un bel +2,01%, andando a segnare oltretutto nuovi massimi storici:
Questa è un ulteriore conferma del fatto che il mercato avesse già scontato tutto e del fatto che il mercato stesso non abbia più paura in quanto sconta il rialzo dei tassi di interesse. Infatti, se così non fosse, l’etf XLK non avrebbe guadagnato da inizi anno un +33,82%.
Se per caso voleste un’altra conferma del fatto che l’inflazione non ha fatto paura, vi riporto la correlazione tra lo stesso etf e il rendimento del decennale americano. Ricordando che se i rendimenti si alzano per paura dell’inflazione e che ciò non è avvenuto, è chiaro che la correlazione tra i due asset debba essere necessariamente inversa, e infatti:
COME SI E’ COMPORTATO L’ORO?
Il metallo prezioso per eccellenza ha guadagnato un modesto +0,46%. Tuttavia, come vi riporto nel grafico, i volumi di giornata sono stati abbastanza bassi rispetto alla media degli ultimi 30 giorni, in quanto la media registrava volumi di 203,4K mentre il volume giornaliero era pari a 140K. I volumi ci dicono quanta partecipazione c’è nel mercato: dal momento che l’oro è visto come un bene rifugio, personalmente mi sarei aspettato maggior partecipazione da parte dei compratori (in quanto l’oro tendenzialmente sale in queste giornate) ma ciò non è accaduto, infatti l’aumento di +0,46% non è chissà cosa.
Possiamo vedere un aumento di volumi se scendessimo a livello intraday, volumi che tuttavia si vanno poi a sgonfiare:
Quindi, infine, penso che l’oro abbia fatto poco e nulla. Secondo il detto “l’oro è una protezione contro l’inflazione” e secondo il fatto che l’inflazione ha avuto un incremento molto molto alto, mi sarei aspettato una candelona rialzista e grandi volumi e tutto questo, come potete vedere, non è accaduto.
COME SI E’ COMPORTATO IL VIX?
Ricordo come il VIX, ossia l’indice di volatilità relativo all’S&P500, venga considerato da tanti come “l’indice della paura”, in quanto va ad innalzarsi tipicamente in momenti e giornate incerte e turbolente (come è successo, ad esempio, quando è stata scoperta la nuova variante omicron del covid). Nella grafica vi riporto i dati riguardo i valori del cpi da aprile 2021 (ossia da quando i valori hanno superato la soglia di attenzione della FED, fissata intorno a 2 punti percentuali) fino all’ultimo dato:
Con delle frecce nere sono andato ad indicare le candele relative alla data di uscita del cpi, da maggio fino all’ultimo di dicembre. Notiamo innanzitutto come il VIX non abbia risentito del dato, dal momento che è riandato a visitare valori di “tranquillità” (ossia sotto i 20 punti). Notiamo però come, dal dato di aprile a quello del 10 dicembre, il vix si sia mosso in territorio di “paura” solamente una volta, ossia il giorno dell’uscita del dato relativo ad aprile, il 12 maggio. E’ forse un caso che si sia mosso sopra i 20 punti quando il dato, per la prima volta, aveva infranto la soglia prossima al 2%, andando a segnare un incremento praticamente doppio? E perché per i successivi dati, ancora più alti, gli operatori non hanno reagito in quel modo? Io andrei a considerare il fatto che la maggior parte degli operatori fosse cosciente dei problemi legati all’energia (prezzi che correvano verso massimi relativi via via crescenti), alla catena di approviggionamento e alla forte domanda di beni, per cui era probabile che i dati del cpi successivi sarebbero stati visti al rialzo: gli operatori stavano quindi iniziando a scontare il tutto in anticipo? E’ forse questa la ragione per il quale il VIX, dopo il 12 maggio, non sia più andato a visitare territori di turbolenza? E’ una ipotesi. Voi, invece, cosa ne pensate?
EFFETTO GRANAGLIE E PREZZO DEL COTONE E DEL PETROLIO SUI DATI RIGUARDO I CEREALI E L'ABBIGLIAMENTO
Innanzitutto vi condivido il grafico sulle tre granaglie principali, ossia soia, mais e grano:
Notiamo come il mais e la soia siano scesi dai massimi di maggio, mentre il grano è l’unico dei tre a dimostrarsi forte. Volevo vedere se il decremento generale dei loro prezzi si fosse riflesso nel dato sull’inflazione e infatti, se aprite il rapporto che vi ho mandato, potete osservare nella sezione “CEREALI E PRODOTTI DA FORNO” che il dato, per quanto sia visto comunque al rialzo, sta iniziando a creare nel suo aumento un “appiattimento”, infatti, mese/mese, osserviamo che da agosto a settembre si aveva avuto un aumento del +1,1%, da settembre a ottobre un +1%, mentre nell’ultimo dato, da ottobre a novembre, un +0,8%. E’ un caso che questo dato stia contraendo proprio nel momento in cui le granaglie iniziano a perdere valore?
Un’ultima curiosità: a fine ottobre avevo pubblicato un’idea in cui discutevo del possibile aumento dell’abbigliamento a fronte degli aumenti dei prezzi del petrolio e del cotone:
guardando i dati sull’inflazione, noto come, al contrario della contrazione del dato riguardo i cereali, il dato riguardo l’abbigliamento sia in espansione, in particolare da agosto a settembre abbiamo avuto un -1,1%, da settembre a ottobre un 0% (il dato è stato visto in incremento), mentre da ottobre a novembre addiritura un aumento del +1,3%: grazie all’analisi intermarket e ad altri possibili fattori, sono riuscito a prevedere il tutto con un buon anticipo.
MATTEO FARCI
EURCHF >> Long per recuperare l'equilibrio // Testa Spalle WKLYBuongiorno traders,
Questa settimana voglio condividere con voi l'analisi di EURCHF, sui cui noi Ichimokers siamo in posizione da giovedì scorso.
Partendo dal settimanale mi ricordo che ci troviamo in un trend ribassista, attualmente in fase correttiva.
Nel tornare giù i prezzi sono arrivati fino al minimo precedente, e, poiché non hanno chiuso al di sotto dello stesso, hanno creato una zona di doppi minimi > zona di supporto data dalla price action.
Con Ichimoku vedo che i prezzi hanno rotto Kijun e Tenkan a ribasso, le quali, anche questa settimana, si trovano sullo stesso livello.
la Lagging Span ha rotto anche lei i prezzi a ribasso.
Ora come ostacolo per il ribasso troviamo la Kumo.
Chiaramente mi piacerebbe riprendere il trend ribassista, ma prima devo capire se i prezzi hanno bisogno di correggere.
Con le Bande vedo che al momento non c'è troppo equilibrio ma nemmeno disequilibrio, però c'è stato quando i prezzi hanno tentato di rompere il supporto a ribasso.
Certo è che se voglio che la discesa continui, probabilmente i prezzi avranno bisogno di correggere un po', e mi piacerebbe arrivare fino alla Kijun + Tenkan WKLY, zona che combacia perfettamente con alla media centrale delle Bande.
Se i prezzi effettuassero questo movimento, oltre ad andare a riprendere l'equilibrio, andrebbero anche a creare le condizioni ottimali per la formazione di un testa spalle.
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Daily
Sul Daily vedo un fortissimo impulso ribassista, di rifiuto della resistenza storica, ma nessuna formazione particolare del prezzo.
Mi accorgo però di un rallentamento che c'è stato proprio sulla zona di supporto.
Con Ichimoku trovo disequilibrio > quindi la situazione vista sul settimanale viene confermata.
Noto con molto interesse che la Kijun DLY si trova proprio in concomitanza con il mio target Kijun + Tenkan WKLY > ciò crea un'ottima confluenza di target.
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H4
Su H4 è più visibile il rallentamento, che segue una trendline rialzista.
Inserendo Ichimoku vedo che i prezzi hanno rotto Kijun e Tenkan a rialzo, e si stanno dirigendo verso la Kumo, recuperando, così, l'equilibrio.
Sul grafico segno solo la Kumo e la Tenkan, la Kumo la segnerò quando la ritroveremo sopra di noi.
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H1
Infine su H1, il mio timeframe d'entrata. vedo più nel dettaglio il movimento ascendente.
Attualmente sopra di noi abbiamo una resistenza che i prezzi stanno facendo molta fatica a rompere.
D'altra parte - secondo i criteri della mia operatività - non è ancora stata rifiutata.
Ricordo che noi Ichimokers siamo in posizione da giovedì, con un r:r di 1:1.44.
Nel caso in cui la resistenza venga rotta, valuterò di capitalizzare.
AUDJPY >> Short di lungo periodo, ma prima, correggiamo un po'!Buona Domenica Ichimokers,
Eccomi con un'analisi completa su AUDJPY, su cui, nel breve periodo , mi piacerebbe provare un long , e approfittare di una correzione che sembra essere molto necessaria al momento.
Partiamo dal settimanale.
Qui vedo un trend ribassista di lungo periodo, composto da parecchi canali che hanno fatto fare ai prezzi un movimento molto armonico.
Mi concentro, quindi, su quest'ultima rottura, poiché da qui, secondo la mia operatività, si potrebbe avere una ripresa ribassista.
Inserendo Fibonacci dell'intero trend, vedo che i prezzi hanno corretto fino al 50% dello stesso, zona che hanno rifiutato per molte settimane, e poi da lì è stata ritrovata la forza ribassista, con seguente rottura del canale correttivo.
A questo punto mi concentro sui primi due supporti dati da Fibonacci, che sono inoltre anche dei supporti dei prezzi. Questi saranno i miei due primi target. Al superamento del primo partirà la capitalizzazione.
Inserendo Ichimoku passo al concentrarmi sul periodo più recente.
Vedo che i prezzi hanno rotto tutte le linee a ribasso, ma che al momento stiamo avendo qualche problemino con la Tenkan >> ciò indica perdita di forza ribassista, ed effettivamente ciò ci viene confermato dal disequilibrio, dalla Kumo piatta, dalla Kijun nella Kumo, e dalla Lagging Span, anch'essa nella Kumo.
Ciò mi fa pensare che probabilmente al momento i prezzi hanno bisogno di un ritracciamento.
Zona molto importante sarà sicuramente la Kijun.
Che corrisponde esattamente con il 50% di Fibonacci di questo ultimo impulso ribassista:
Le Bande non mostrano particolare disequilibrio, ma è interessante vedere che la media centrale corrisponde al mio primo target di ritracciamento.
E lì si trova anche la EMA 50. Una perfetta confluenza di target.
>> Giornaliero <<
Qui sul Daily posso vedere il movimento più nel dettaglio, e noto che c'è stato un forte rallentamento dei prezzi negli ultimi giorni.
Il mio target rappresenta una zona di vecchi minimi, ma c'è anche da fare attenzione perché recentemente i prezzi l'hanno mancata per pochissimo.
Ichimoku mi mostra che inizialmente i prezzi hanno rotto le varie linee a rialzo, poi, arrivati alla Kumo, l'hanno rifiutata, e la Lagging Span ha rifiutato di rompere i prezzi a rialzo:
Da qui, due possibilità:
1) E' stato un primo tentativo fallito;
2) Da adesso i prezzi torneranno giù e riprenderanno il trend principale.
Per farmi un'idea più precisa, devo scendere di timeframe.
>> H4 <<
Qui su H4 possiamo vedere che la zona di resistenza sopra di noi è una zona molto importante, tant'è che da quando è stata rotta a ribasso, i prezzi hanno iniziato un movimento discendente.
Ichimoku si presenta ribassista e in equilibrio.
Questo timeframe non mi dà alcuna opportunità d'entrata.
>> H1 <<
Qui su H1 il movimento non è bellissimo, però la reazione alla zona di attuale resistenza//vecchio supporto risulta più chiara.
A rottura di questa zona voglio tentare un long fino alla Kijun settimanale. Rottura che però deve essere confermata su H4, ed effettivamente mi accorgo che le due rotture avvenute non sono state confermate su H4.
Criptovaluta Ethereum / Bitcoin = ACQUISTAIl miglior punto di ingresso per ACQUISTO = A LUNGO TERMINE
Ciao!
Coloro che vogliono acquistare Ethereum per Bitcoin, meglio aspettare il miglior entry point!
Di seguito sono riportate tutte le mie esposizioni >>>
Ci sono segnali rilevanti per questo giorno!
Quindi goditi la tua visione:
Particolarmente interessante è il fatto che entro la fine di maggio 2018, Bitcoin scenderà a $ 3000.
Ma prima di questo, ovviamente vale per circa $ 22.000
Ecco l'ultimo segnale per Bitcoin:
BTCUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Bitcoin / Dollaro = ACQUISTA
BTCUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Bitcoin / Dollaro = ACQUISTA
BTCUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Bitcoin / Dollaro = ACQUISTA
Ma l'analisi e il segnale Bitcoin dal 4 gennaio.
EURUSD, M
CORTO
Euro / Dollaro = (Futures 6E) = Sell
L'euro è arrivato agli obiettivi in vendita
ZECUSD, 240
LUNGO
Criptovaluta Zcash / Dollaro = ACQUISTA
STRATBTC, D
LUNGO
Criptovaluta Stratis / Bitcoin = ACQUISTA
Anche se va bene
NEOUSD, 240
LUNGO
Criptovaluta NEO / Dollaro = ACQUISTA
DOGEBTC, D
LUNGO
Criptovaluta Dogecoin / Bitcoin -5,88% = ACQUISTA
AMGN, D
CORTO
Stock AMGN Amgen Inc = Posizioni corte
Le vendite sono annullate, cercherò di uscire sul mio 185 - 186 là dove l'ho venduto.
BCYBTC, 240
LUNGO
BitCrystals di criptovaluta
Per il momento tengo.
BCHUSD, D
LUNGO
Cryptocurrency Bitcoin Cash / Dollar = ACQUISTA
IOTUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Iota / Dollaro = ACQUISTA
XRPUSDT, D
LUNGO
Cryptocurrency Ripple / Tether Dollar = ACQUISTA
DASHUSD, D
LUNGO
Cryptocurrency DASH / Dollar = ACQUISTA
T, W
CORTO
Azione T AT & T Inc = Posizioni corte
Sono seduto in posizione, longevità!
XEMUSD, D
LUNGO
CryptoCurrency Nem / Dollar = ACQUISTA
XEMBTC D
LUNGO
Crypto currency NEM / Bitcoin = ACQUISTA
Criptovaluta Bitcoin / Dollaro = ACQUISTAIl miglior punto di ingresso per ACQUISTO = medio termine
Ciao!!!
Mi aspetto un calo di circa 7000 dollari per 1 Bitcoin. Non posso dire esattamente quando questo accadrà, forse il prezzo cadrà subito, ma forse prima raggiungerà $ 19.000 / In generale, guardiamo e aspettiamo, è meglio piazzare ordini limite o aspettare che l'impulso scenda.
Inoltre, un po 'più tardi, alla fine di maggio 2018, Bitcoin potrebbe crollare a $ 3000, lì è già necessario acquistare per un lungo periodo
! E fino ad allora, a circa $ 22.000, devi prendere profitto.
Molti segnali sono ancora rilevanti!))
Ogni giorno vedo che nessun Guru Trader può determinare con precisione dove questo punto di ingresso è comprare o vendere)))) È necessario che tutti i trader mostrino il punto di ingresso, piuttosto che girovagare e indicare i livelli approssimativi del rimbalzo. . ....)))
Tutti scrivono che se il p
Particolarmente interessante è il fatto che entro la fine di maggio 2018, Bitcoin scenderà a $ 3000.
Ma prima di questo, ovviamente vale per circa $ 22.000
Ecco l'ultimo segnale per Bitcoin:
BTCUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Bitcoin / Dollaro = ACQUISTA
BTCUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Bitcoin / Dollaro = ACQUISTA
BTCUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Bitcoin / Dollaro = ACQUISTA
Ma l'analisi e il segnale Bitcoin dal 4 gennaio.
EURUSD, M
CORTO
Euro / Dollaro = (Futures 6E) = Sell
L'euro è arrivato agli obiettivi in vendita
ZECUSD, 240
LUNGO
Criptovaluta Zcash / Dollaro = ACQUISTA
STRATBTC, D
LUNGO
Criptovaluta Stratis / Bitcoin = ACQUISTA
Anche se va bene
NEOUSD, 240
LUNGO
Criptovaluta NEO / Dollaro = ACQUISTA
DOGEBTC, D
LUNGO
Criptovaluta Dogecoin / Bitcoin -5,88% = ACQUISTA
AMGN, D
CORTO
Stock AMGN Amgen Inc = Posizioni corte
Le vendite sono annullate, cercherò di uscire sul mio 185 - 186 là dove l'ho venduto.
BCYBTC, 240
LUNGO
BitCrystals di criptovaluta
Per il momento tengo.
BCHUSD, D
LUNGO
Cryptocurrency Bitcoin Cash / Dollar = ACQUISTA
IOTUSD, D
LUNGO
Criptovaluta Iota / Dollaro = ACQUISTA
XRPUSDT, D
LUNGO
Cryptocurrency Ripple / Tether Dollar = ACQUISTA
DASHUSD, D
LUNGO
Cryptocurrency DASH / Dollar = ACQUISTA
T, W
CORTO
Azione T AT & T Inc = Posizioni corte
Sono seduto in posizione, longevità!
XEMUSD, D
LUNGO
CryptoCurrency Nem / Dollar = ACQUISTA
XEMBTC D
LUNGO
Crypto currency NEM / Bitcoin = ACQUISTA
BITCOIN, il tempo sta scadendo Chart di Capital.Com
Il motivo tecnico per cui Bitcoin è rialzista nel lungo periodo è perché segna massimi e minimi crescenti importanti
Aver presente quale sia il trend dominante è importante non per un motivo teorico ma pratico e che tocca da vicino la nostra operatività.
Se esiste un trend che prevale, come è il caso di Bitcoin, normalmente i prezzi tendono ad avere uno slancio maggiore in occasione dei movimenti che lo assecondano
Quando i prezzi si muovono in direzione del trend normalmente, che non significa sempre, lo fanno in modo più deciso rispetto a quando vanno in direzione opposta.
Questo normalmente è anche una conferma della salute del trend.
Questo concetto spiega anche indirettamente il significato della famosa espressione “trend is your friend”.
Se arricchiamo il quadro con qualche indicatore in più il concetto passa molto più facilmente ed è anche più gradevole da vedersi visto che offre dei punti di riferimento che aiutano l'analisi.
Un'altra cosa importante è l'elasticità con cui analizzare i grafici e le aree di prezzo sensibili.
Evitare l'approccio “ingegneragioneristico” lasciando piuttosto spazio all’elasticità con la possibilità di una modulazione continua dell'interpretazione funzionale più alla elaborazione di contesto che a quella puntuale.
Se ad esempio prendiamo in considerazione l'ultima violazione di un massimo relativo importante, nell'autunno scorso a prima vista potremmo concludere che i prezzi siano stati respinti dalla resistenza statica.
Tuttavia cambiando ottica potremmo anche cambiare idea ed avvantaggiarci sul piano operativo
Lo stesso movimento se noi lo osserviamo escludendo le oscillazioni intraday considerando solo i valori di chiusura, è un film diverso
Ciò che prima interpretavamo come una tenuta della resistenza, quindi rischio che i prezzi ritornassero giù, magicamente diventa non solo un breakout della resistenza ma addirittura pullback su di essa.
Altra capacità importante è quella di restare trend follower
Si tratta di una cosa difficilissima, tanto difficile quanto chiara e lampante è la tendenza rialzista sul grafico.
Perché?
Perché riuscire a non farsi corrodere dai dubbi durante un lungo periodo in cui si rimane in trend non è semplice.
Siamo quotidianamente bombardati da informazioni che possono costantemente minare le nostre convinzioni.
La tendenza a revisionare le nostre decisioni, che avevamo promesso di non fare, è continua.
Ad esempio, un violento ritracciamento dei prezzi potrebbe indebolire la nostra volontà e consapevolezza inducendoci a chiudere una operazione in anticipo giustificando il vestito con chissà quale importante notizia.
Dopo chiusa l'operazione, quindi tornati razionali, se i prezzi dovessero non violare il minimo originario che ha giustificato il nostro ingresso long una sensazione irreparabile di frustrazione si impossesserà di noi.
Il danno è duplice, poiché da una parte abbiamo rinunciato ad un potenziale ulteriore rialzo e dall'altra siamo più deboli psicologicamente.
L'operatività trend following di lungo periodo è riservata a mio giudizio a pochi, io stesso non faccio parte di questa élite.
Tornando al grafico, se acquisto un appoggio sulla parte bassa del canale mi aspetto che i prezzi prima o poi giungano a contatto con la parte alta dello stesso dove potrei, ad esempio, porre un take profit.
Una volta che i prezzi lasciano la parte bassa del canale, capita che il trend si indebolisca e può portare i prezzi a nuovi contatti con la parte bassa del canale che non deve indebolire le nostre convinzioni long ma, se regge , addirittura potrebbe rappresentare un punto per un nuovo acquisto.
Il tutto in attesa dell'auspicato contatto con la parte alta del canale.
E così via, con ragionamenti diametralmente opposti in caso di down trend.
Tornando all'attualità, il livello chiaro a tutti cui bisogna prestare attenzione è sicuramente il precedente minimo dell'area dei 73.000 dollari e supporto di lungo periodo
Da qui capiamo anche che una discesa fino al precedente minimo relativo in area 48.000 dollari non rappresenterebbe un problema per il trend rialzista che, a detta di Dow, continuerebbe ad essere conservato.
In verità, addirittura, dovremmo essere tranquilli fino al livello di 15.400 dollari e preoccuparci solo se laggiù mostrasse minacciose intenzioni ribassiste.
Ma quanti oggi, anche con posizioni long aperte e in guadagno, avrebbero voglia di scendere laggiù (-82% dai livelli attuali) per vedere cosa farà Bitcoin?
Esatto.
Sul grafico mensile l'ultimo contatto con la parte bassa del canale rappresenta la testa di un ampio pattern di testa spalle
Il pattern è già confermato dal breakout della neckline e i prezzi, con la candela in corso, stanno effettuando un pullback sul livello violato.
I prezzi sembrano non avere la convinzione necessaria per portarsi oltre la mediana del canale di lungo periodo
Sono già tre volte che vengono respinti.
In quest'ultima gamba ribassista originatasi dall'ultima respingimento da parte della mediana, la protagonista sembra essere la sua trendline ribassista.
Chiaramente il campo d'azione si restringe sempre più, il tempo anche e si avvicina il tempo delle scelte.
Probabilmente assisteremo a false rotture da un lato e/o dall'altro ed i volumi potranno alleviarci la sofferenza cercando di capire cosa veramente i prezzi vorranno fare.
Personalmente propendo per la tenuta del supporto e la violazione della trendline.
Speriamo di non essere smentito.
Il portafoglio rotazionale basato sul fattore efficienzaBuongiorno a tutti. Oggi vi vorrei proporre un esperimento, da testare pubblicamente: un portafoglio rotazionale basato sul fattore efficienza.
Un portafoglio rotazionale è una strategia di investimento che prevede il ribilanciamento periodico degli asset in base a determinati criteri, come la performance o altre variabili economiche. In altre parole, un portafoglio rotazionale cambia la sua composizione nel tempo, spostando gli investimenti da un'asset class all'altra per massimizzare i ritorni o ridurre il rischio. In questo caso, la strategia di rotazione si baserà sull'efficienza, ovvero sul principio di selezionare gli asset che offrono il miglior rapporto tra rendimento e rischio, ottimizzando così le risorse per ottenere la performance più favorevole in un dato periodo.
Partiamo da un concetto: l’efficienza. In ambito finanziario, l’efficienza significa guadagnare denaro minimizzando i rischi. Questo parametro si misura come il rapporto tra il rendimento prodotto da un investimento e il rischio sostenuto, quest’ultimo espresso dalla deviazione standard (che rappresenta la dispersione dei rendimenti rispetto alla loro media).
Una precisazione è però fondamentale: possiamo individuare asset che generano rendimenti modesti ma con un’efficienza straordinaria, così come asset con prestazioni impressionanti e un’efficienza altrettanto elevata. La domanda chiave è questa: quanto rischio sto correndo per ottenere un determinato rendimento? Vi fornisco due esempi concreti: Applovin e BIL.
Applovin è una società che, dall'inizio dell'anno, ha registrato una performance straordinaria, superiore al 770%. Come mostrato nella figura successiva, in cui è applicato il mio Sistema Attivo, i suoi parametri calcolati su 120 periodi evidenziano un rischio molto elevato, con un segnale di allerta (la deviazione standard, indicata in nero, è pari al 56,4%). Tuttavia, tale rischio è stato ampiamente giustificato dalla performance eccezionale, che rende Applovin un asset altamente efficiente, con un punteggio di 24 (evidenziato in verde intenso).
Applovin
BIL, invece, è un ETF che replica il movimento delle obbligazioni governative con scadenza tra 1 e 3 mesi. Questo strumento vanta l’efficienza più alta che abbia mai osservato con il Sistema Attivo: ben 126. Pur avendo realizzato dall’inizio dell’anno una performance contenuta di +4,77%, il suo rischio è praticamente nullo, come dimostra la deviazione standard pari a 0,69%.
SPDR Bloomberg 1-3 Month T-Bill ETF
Avete mai sentito la frase “rendimento privo di rischio”? Ecco, in genere è riferito alle obbligazioni presenti all’interno di questo ETF!
Questi esempi mostrano due casi agli antipodi, entrambi paradigmatici: da un lato un rendimento elevatissimo con un rischio giustificato, dall’altro un rendimento modesto con una rischiosità pressoché inesistente. Entrambi efficienti, ma in modi completamente diversi.
Il fattore efficienza, dunque, non ci indica direttamente quanto rischio stiamo correndo. Piuttosto, ci dice semplicemente se il gioco vale la candela, punto. E se riflettete, questo parametro racchiude molte informazioni: innanzitutto, rivela se un asset è rialzista o meno (è ovvio che non troverete asset ribassisti con un’efficienza positiva), ma soprattutto risponde alla domanda più importante: vale la pena investirci? Questo, indipendentemente dal livello di rischio. Naturalmente, questa è la mia visione, e non è detto che dobbiate condividerla.
Mi sono posto dunque una domanda: perché non testare in modalità demo un portafoglio ipotetico composto esclusivamente dalle società più efficienti, indipendentemente dal loro rischio? Ritengo che questa potrebbe essere una scelta vantaggiosa in molti casi, e ora analizzeremo insieme questa idea.
Ipotizziamo di trovarci nel pieno del bear market del 2022. Al 1° luglio di quell’anno, l’S&P 500 risultava completamente inefficiente, con un punteggio di -9.66.
SPY, ETF sull'S&P500
Il QQQ, ETF sul Nasdaq 100, era addirittura peggiore, mostrando un valore di inefficienza di -10.36.
QQQ, ETF sul Nasdaq 100
Dobbiamo sorprenderci di questo? Assolutamente no. È noto che i bear market generano inefficienza, poiché gli asset perdono valore e sono accompagnati da una forte downside standard deviation. Tuttavia, disporre di un indicatore di questo tipo (insieme ad altri parametri che oggi non descriverò) ci consentirebbe di allocare le risorse all’interno di un portafoglio non in modo discrezionale (basandoci su supposizioni come “io credo che...” o “io penso che...”), ma in modo più scientifico, analizzando i dati.
E come potremmo fare? Riflettiamoci: in un bear market si potrebbe andare alla ricerca di asset più efficienti del benchmark. Vi porto due esempi semplici: il settore dei beni di prima necessità, rappresentato dall’ETF XLP, e l’ETF sul dollaro americano, UUP. Il primo, al 1° luglio 2022, aveva un valore di inefficienza pari a -3.50 punti. UUP, invece, presentava un punteggio decisamente positivo, pari a 15.10 punti.
XLP, l'ETF sul settore dei beni di prima necessità del mercato azionario americano
UUP, ETF bullish sul dollaro statunitense
Oltre a ciò, c'è un concetto che sicuramente non vi sarà sfuggito: l’efficienza dei lazy portfolios. Questo indicatore rappresenta la media dell’efficienza dei quattro portafogli lazy 60-40, Golden Butterfly, Permanent e All Weather. In quel periodo, anche alcuni tra i portafogli più conosciuti per la loro resilienza si sono rivelati molto inefficienti. Questo esempio serve a farvi comprendere come il parametro oggettivo dell’efficienza di un asset possa essere utile per capire cosa sia meglio o meno, considerando che anche i portafogli lazy, come qualsiasi altro investimento, presentano sia pregi che difetti.
Detto ciò, questo approccio non si limita ai bear market, ma vale anche nei bull market. Ad esempio, il 1° settembre 2021, l’ETF SPY mostrava un’efficienza di 18.23 (ricordo che gli indicatori considerano le ultime 120 sedute, pari a circa sei mesi), accompagnata da una bassa deviazione standard del 3.92%.
SPY, ETF sull'S&P500
Tuttavia, l’ETF QUAL, che replica la strategia fattoriale del "Quality Factor", presentava alla stessa data un’efficienza ancora migliore, pari a 20.37, seppur con un rischio leggermente più elevato, pari al 4.72%.
Ishares MSCI USA Quality Factor ETF
Anche Nvidia si distingueva in modo analogo: un’efficienza di 21.61, ma a fronte di un rischio molto più alto, con una deviazione standard di 16.6%, segnalata dal colore rosso.
Nvidia
La mia proposta è testare insieme questo tipo di strategia:
1. Creare una watchlist composta dalle principali società di ciascun settore azionario dell’S&P500. In particolare, includeremo le prime tre società per capitalizzazione di mercato per ogni settore, per un totale di 33 titoli, a cui si aggiungeranno 4 ETF: SHY (obbligazioni a breve duration), TLT (obbligazioni a lunga duration) e GLD (ETC sull’oro), con dei ruoli di “beni rifugio”
2. Calcolare l’efficienza per ciascun asset della watchlist su un periodo di 120 sedute, stilando una classifica basata su questo parametro.
3. Acquistare i primi 18 asset per efficienza all’inizio di ogni mese. Gli asset selezionati saranno allocati in modo equipesato nel portafoglio rotazionale, che avrà un valore iniziale di 100.000 dollari.
Probabilmente (e giustamente) qualcuno potrebbe obiettare che questo metodo sarebbe poco pratico a causa delle commissioni. Per tenerne conto, verranno incluse nella simulazione: 1,50 dollari per ogni operazione di acquisto e 1,50 dollari per ogni operazione di vendita.
Ad oggi, questa è la classifica delle società e degli ETF presenti nella watchlist, ordinate in base al loro livello di efficienza:
1. WMT (24,53)
2. SHY (22,21)
3. SHW (18,63)
4. EQIX (17,72)
5. HD (17,59)
6. NFLX (16,21)
7. TSLA (15,12)
8. BRK.B (13,56)
9. DUK (12,63)
10. GLD (12,48)
11. AAPL (12,32)
12. JPM (12,11)
13. UNH (11,73)
14. SO (11,81)
15. CAT (11,07)
16. COST (10,11)
17. V (9,95)
18. APD (9,74)
19. RTX (9,66)
20. META (6,98)
21. LIN (7,05)
22. PG (6,90)
23. JNJ (6,46)
24. GE (5,82)
25. AMZN (5,50)
26. AMT (5,35)
27. TLT (4,95)
28. NVDA (4,78)
29. AVGO (4,77)
30. PLD (4,46)
31. XOM (4,42)
32. CVX (4,22)
33. NEE (2,57)
34. MSFT (0,22)
35. COP (-0,81)
36. GOOGL (-0,98)
37. LLY (-2,09)
Gli asset evidenziati in grassetto faranno parte dell’asset allocation per il mese di dicembre; per gennaio si valuterà nuovamente. Questo approccio ci consente di essere sul mercato con asset oggettivamente efficienti, capaci di trarre vantaggio sia dalle fasi di risk-on sia da quelle di risk-off. L’obiettivo non sarà quello di sovraperformare il benchmark, ma piuttosto di osservare il comportamento di questa strategia.
In ogni caso, non saranno applicate regole eccessivamente rigide: il riequilibrio avverrà una volta al mese, il primo di ogni mese. Tuttavia, in particolari condizioni di mercato, potrebbe essere effettuato ogni 15 giorni.
Vi terrò aggiornati frequentemente, precisando però che questo non è un consiglio finanziario, ma un vero e proprio esperimento, che deve essere considerato come tale. Prima di concludere, vi mostro alcune società che si stanno distinguendo per la loro efficienza, a cominciare da Walmart: efficienza pari a 24,5 punti, con un rischio medio (deviazione standard del 9%). La performance della società da inizio anno è stata pari al 76%, con un massimo drawdown del -5,8% il 7 agosto. È possibile osservare anche l'indicatore "rischio vs benchmark", che fornisce una misura sintetica del rischio di investimento su WMT rispetto all’S&P500. Tenendo conto del beta della società (calcolato rispetto a SPY) e della deviazione standard, questo indicatore offre una stima del rischio sintetico, che appare come "estremamente basso", poiché, pur avendo una deviazione standard media, la società presenta un beta (e quindi una volatilità rispetto all’S&P) molto basso.
Walmart
Drawdown intra-annuali realizzati da Walmart
Molto bene anche Netflix, che dall'inizio dell'anno ha realizzato una performance del +83%. La sua efficienza è pari a 16,21, mentre la sua deviazione standard si avvicina al 10%, indicando una rischiosità maggiore rispetto a WMT. Il rischio sintetico appare "medio", poiché NFLX, a differenza della società precedente, ha un beta di 1,01. Il maggior rischio si concretizza in un drawdown intra-annuale elevato: -13,4%, registrato il 30 aprile.
Netflix
Drawdown intra-annuali realizzati da Netflix
A presto, buona giornata!
PORTAFOGLI 50-50: METRICHE E PRESTAZIONI NEL CICLO ECONOMICOBuongiorno a tutti. Oggi, ci concentreremo nuovamente sui portafogli di investimento 50-50 (50% in azioni, 50% in obbligazioni); l’obiettivo è esaminare il loro rendimento nel lungo periodo, specificamente da gennaio 2008 ad ottobre 2023. Cercheremo di comprendere le loro caratteristiche e valutare le loro prestazioni durante le diverse fasi del ciclo economico.
Vorrei ricordare che i portafogli creati non tengono conto del rischio di cambio né delle commissioni, e sono basati su ETF quotati negli Stati Uniti. Se desiderate informazioni su ticker e ISIN degli stessi ETF quotati sulla borsa italiana, non esitate a contattarmi. Vorrei sottolineare che queste non sono raccomandazioni di investimento, ma l’analisi ha l’obiettivo di attivare le logiche di investimento. Molti concetti espressi nell’analisi precedente non saranno ripetuti nuovamente; pertanto, per una piena comprensione dei contenuti, vi consiglio di approfondire l’analisi precedente al seguente link.
Fatta questa introduzione, vi auguro una buona lettura!
1. UNA BREVE SINTESI DELL’ANALISI PRECEDENTE
L’obiettivo dell’analisi precedente era di creare due portafogli di investimento 50-50: uno ciclico e uno difensivo, e confrontarli con un portafoglio 50-50 equilibrato. Le relative ponderazioni di questi portafogli sono illustrate nelle due figure seguenti.
Il portafoglio 50-50 ciclico
Il portafoglio 50-50 difensivo
Il portafoglio 50-50 equilibrato
I due portafogli di investimento avevano obiettivi distinti:
• Il portafoglio ciclico mirava a massimizzare i guadagni durante i periodi di aspettative di crescita economica
• Il portafoglio difensivo, invece, mirava a massimizzare i guadagni (o a proteggere il capitale) durante i periodi di aspettative di rallentamento economico
L’indice di sentiment utilizzato per determinare le aspettative economiche degli investitori era SPHB/SPLV.
Si era osservato che:
• Nelle fasi di risk on, con SPHB/SPLV rialzista, il portafoglio ciclico tendeva a sovraperformare quello equilibrato. Solo nel 2014, il portafoglio equilibrato aveva avuto prestazioni migliori
• Nelle fasi di risk off, con SPHB/SPLV ribassista, il portafoglio difensivo tendeva a sovraperformare quello equilibrato. Solo nel 2019, il portafoglio equilibrato aveva avuto prestazioni migliori
2. LA CRESCITA DEI DUE PORTAFOGLI DAL 2008 AD OTTOBRE 2023
La seguente grafica illustra l’evoluzione dei due portafogli 50-50 ciclico e difensivo da gennaio 2008 fino ad ottobre 2023.
La crescita dei due portafogli di investimento
Entrambi i portafogli hanno mostrato una crescita costante nel corso del tempo. Escludendo i costi di negoziazione, le spese di transazione e le tasse effettive sui rendimenti degli investimenti, possiamo notare che:
• Il portafoglio ciclico ha generato un profitto di 377$ da un investimento iniziale di 100$ (o 257$ se si tiene conto dell’inflazione)
• Il portafoglio difensivo ha prodotto un profitto di 247$ da un investimento iniziale di 100$ (o 169$ se si tiene conto dell’inflazione)
Nella figura successiva, che rappresenta i rendimenti annuali dei due portafogli, si possono osservare ulteriori dettagli.
Rendimenti annuali dei due portafogli
• Nel corso di 16 anni, il portafoglio ciclico ha registrato tre anni di rendimento negativo, mentre il portafoglio difensivo ne ha avuti quattro (tenendo presente che il 2023 non è ancora concluso).
• In 16 anni, il portafoglio ciclico ha sovraperformato quello difensivo 11 volte.
Le due figure seguenti mostrano le performance mensili dei due portafogli dal 2008 al 2023.
Le prestazioni mensili del portafoglio ciclico da gennaio 2008 a ottobre 2023
Le prestazioni mensili del portafoglio difensivo da gennaio 2008 a ottobre 2023
3. LE METRICHE DEI DUE PORTAFOGLI
Analizzando le performance dei due portafogli, potremmo essere portati a pensare che, nel lungo termine, possano generare rendimenti interessanti. Tuttavia, quali sono i rischi associati? Quanto sono efficienti? Possiamo rispondere a queste domande esaminando le principali metriche illustrate nella figura successiva.
Le principali metriche dei due portafogli
Focalizziamoci sul CAGR, sulla deviazione standard, sul massimo drawdown e sui rapporti di Sharpe e Sortino, cercando di spiegare in modo semplice cosa rappresentano. Questi indicatori ci aiuteranno a comprendere meglio il rischio e l’efficienza dei portafogli.
• Il CAGR (Tasso di Crescita Annuo Composto) rappresenta il rendimento medio annuale dei due portafogli. Il portafoglio ciclico ha un CAGR dell’8.75% (6.15% se si tiene conto dell’inflazione), che è superiore a quello del portafoglio difensivo, che è del 5.88% (3.36% se si tiene conto dell’inflazione)
• La deviazione standard è un indicatore della volatilità del portafoglio e, quindi, del suo rischio. Il portafoglio ciclico ha una deviazione standard del 11.56%, mentre il portafoglio difensivo una del 9.85%. Questi valori si riferiscono alla volatilità annualizzata; la volatilità mensile è del 3.34% per il portafoglio ciclico e del 2.84% per il portafoglio difensivo. È importante sottolineare che la deviazione standard misura la volatilità di un portafoglio rispetto a sé stesso, non rispetto a un benchmark come l’S&P500. Per misurare la volatilità rispetto all’S&P500, è necessario conoscere i due beta, che in questo caso sono 0.64 per il portafoglio ciclico e 0.21 per il portafoglio difensivo
Basandosi solo su questi due punti si potrebbe dedurre che, in media, investire in un portafoglio 50-50 ciclico potrebbe essere più vantaggioso. Nonostante presenti un rischio maggiore, sembra in grado di generare rendimenti superiori. Ma significa che il portafoglio ciclico si è dimostrato più efficiente dal 2008 ad oggi? Per rispondere a questa domanda, possiamo fare riferimento a due indicatori: il rapporto di Sharpe e il rapporto di Sortino. Questi ci permetteranno di valutare l’efficienza dei portafogli.
• I due rapporti servono per indicare il rendimento ottenuto da un investimento rispetto al rischio assunto. Sebbene siano simili, differiscono nella loro costruzione, in particolare nel denominatore della formula matematica con la quale essi sono calcolati; infatti:
Formule matematiche di calcolo dei due rapporti
Il rapporto di Sharpe considera sia la volatilità positiva (che accompagna i portafogli al rialzo) che quella negativa (che accompagna i portafogli al ribasso), mentre il rapporto di Sortino considera solo la volatilità negativa.
Più alti sono questi valori, più efficiente è il portafoglio. In particolare:
• Il rapporto di Sharpe del portafoglio ciclico è 0.71, mentre quello del portafoglio difensivo è 0.54
• Il rapporto di Sortino del portafoglio ciclico è 1.10, mentre quello del portafoglio difensivo è 0.82
Da tutte le osservazioni, sembra che il portafoglio ciclico possa essere più vantaggioso. Nonostante presenti un rischio maggiore (in termini di volatilità), offre un CAGR più alto e si dimostra più efficiente.
Tuttavia, c’è un altro rischio da considerare: il massimo drawdown.
• Il massimo drawdown rappresenta la differenza tra il picco più alto e quello più basso raggiunto da un portafoglio di investimento
Nella figura successiva è possibile osservare tutti i drawdown registrati dai due portafogli.
Tutti i drawdown dei due portafogli da gennaio 2008 a ottobre 2023
La figura successiva offre un’analisi più dettagliata, mostrando le caratteristiche dei 10 peggiori drawdown per entrambi i portafogli. Questi includono:
• L’inizio del drawdown (Start)
• La fine del drawdown (End)
• La durata totale del drawdown, dal picco massimo al minimo (Length)
• Il mese in cui il portafoglio si è ripreso (Recovery By)
• Il tempo necessario per la ripresa (Recovery Time)
• Il periodo in cui il valore del portafoglio è rimasto al di sotto del suo picco massimo (Underwater period)
I peggiori 10 drawdown dei due portafogli e le relative caratteristiche
Attraverso la media dei 10 peggiori drawdown è possibile ottenere un parametro che può essere approssimativamente definito come “rischio medio di peggior drawdown”. Le medie risultanti sono le seguenti:
• Il portafoglio ciclico ha un rischio medio del -9.90%
• Il portafoglio difensivo presenta un rischio poco più contenuto, del -9.8%
Nonostante questi due rischi siano praticamente equivalenti, la figura precedente dimostra che, in media, un portafoglio ciclico tende a recuperare i drawdown in un lasso di tempo significativamente più breve rispetto al portafoglio difensivo.
Per fornire un quadro più preciso, è possibile calcolare le medie dei tempi di recupero, escludendo i drawdown del 2023:
• Il portafoglio ciclico impiega in media 2.55 mesi per recuperare
• Il portafoglio difensivo impiega in media 6.88 mesi per recuperare
Il portafoglio ciclico ha raggiunto il suo massimo drawdown durante la recessione del 2008, mentre il portafoglio difensivo ha registrato il suo durante l’aumento dei tassi di interesse e l’impennata dell’inflazione nel biennio 2022-2023. Questo suggerisce che, sebbene entrambi i portafogli siano generalmente efficienti, tendono a subire perdite significative in specifici contesti: la fase 1 del ciclo economico per il portafoglio ciclico e la fase 6 per il portafoglio difensivo.
4. LE PRESTAZIONI DEI DUE PORTAFOGLI NELLE SEI FASI DEL CICLO ECONOMICO
Concludiamo l’analisi esaminando le performance previste per entrambi i portafogli nelle diverse fasi del ciclo economico, come illustrato nella figura successiva.
Le prestazioni dei due portafogli di investimento nelle sei fasi del ciclo economico
FASE 1 DI RECESSIONE
Portafoglio ciclico: Questa è la fase in cui il portafoglio ciclico realizza le peggiori prestazioni. Gli ETF sui settori tecnologici (XLK) e sui beni di consumo discrezionali (XLY) sono fortemente ribassisti. Questo accade perché durante la fase 1, gli investitori tendono a disinvestire dai settori ad alta volatilità (e quindi ad alto rischio) a causa di un forte sentimento di avversione al rischio. La debolezza di questi due settori durante la recessione può essere attribuita anche alla loro ciclicità. Le obbligazioni high yield non performano bene, poiché vengono vendute dagli investitori in quanto considerate bond ad alto rischio. Le obbligazioni societarie investment grade si comportano un po’ meglio (neutrali-rialziste in caso di lieve recessione, ribassiste nel caso opposto). L’unico ETF del portafoglio che performa bene in questa fase è IEF (obbligazioni del tesoro americano), che beneficia della domanda di beni rifugio. (Ho trattato questi argomenti “obbligazionari” in maniera molto ampia
Portafoglio difensivo: In questa fase, il portafoglio difensivo può registrare una performance neutrale-rialzista o neutrale-ribassista, ma in ogni caso, non subisce forti cadute. Il motivo è semplice: in caso di lieve recessione, TLT si apprezzerebbe a causa dell’inflazione in rallentamento e del taglio dei tassi di interesse, mentre i tre ETF difensivi XLU (settore utilities), XLV (settore sanitario) e XLP (settore dei beni di prima necessità) registrerebbero performance neutrali, essendo settori a bassa volatilità e in grado di generare utili e fornire dividendi anche in condizioni economiche avverse. In caso di forte recessione, il portafoglio dovrebbe registrare performance neutrali-ribassiste: i tre ETF azionari sarebbero ribassisti (ma sovraperformerebbero al rialzo l’S&P500 visto il loro beta inferiore ad 1), colpiti dalla svendita di azioni a causa del clima di panico. La loro prestazione negativa sarebbe comunque bilanciata dalle prestazioni molto positive di TLT, ad alta duration, favorite da un massiccio taglio dei tassi di interesse.
FASE 2 DI MASSIMA CONTRAZIONE
Portafoglio ciclico: Durante la fase 2, il portafoglio ciclico raggiunge il suo massimo drawdown, sostenuto dalle politiche monetarie espansive tipiche di questa fase. Il Quantitative Easing (QE) della banca centrale contribuisce a rafforzare il prezzo delle obbligazioni corporate investment grade (LQD) e migliora il sentiment degli investitori che, con un atteggiamento cautamente positivo, iniziano gradualmente a reinvestire in asset ad alto rischio (XLY, XLK e HYG). L’ETF IEF è rialzista in questa fase, sostenuto da politiche monetarie espansive e bassi livelli di inflazione. In generale, il portafoglio si presenta neutrale durante questa fase, tendendo al ribasso nella prima metà (della fase 2) e al rialzo nella seconda metà.
Portafoglio difensivo: Il portafoglio difensivo mostra un andamento generalmente positivo durante la fase 2, grazie alle ottime performance di TLT (che rappresenta il 50% del portafoglio) e all’andamento neutrale dei settori difensivi.
FASE 3 DI RIPRESA ECONOMICA
Portafoglio ciclico: Durante questa fase, il portafoglio ciclico passa da un andamento neutrale a un trend rialzista. Grazie al sentiment positivo degli investitori, stimolato dalla ripresa economica e dall’aumento degli utili societari, gli ETF XLK e XLY, così come le obbligazioni high yield e quelle investment grade, registrano buone performance. Anche l’ETF IEF si comporta bene, sostenuto dalle politiche monetarie espansive e da bassi livelli di inflazione.
Portafoglio difensivo: Il portafoglio difensivo mantiene un trend rialzista anche durante la fase 3. L’ETF TLT continua a essere rialzista (più di IEF, data la sua maggiore duration) e i settori difensivi mostrano una rinnovata forza, sebbene siano meno rialzisti rispetto all’indice di riferimento S&P500.
FASE 4 DI ESPANSIONE ECONOMICA
• Portafoglio ciclico: Durante la fase 4, il portafoglio ciclico registra le sue migliori performance, con XLK, XLY e HYG in forte rialzo. Gli ETF che performano peggio in questo portafoglio sono IEF, ribassista a causa dell’aumento dell’inflazione e delle aspettative di rialzo dei tassi di interesse, e LQD, che è meno ribassista di IEF grazie al suo grado di rischio leggermente superiore
• Portafoglio difensivo: In questa fase, le performance del portafoglio difensivo passano da rialziste a neutrali-rialziste (o debolmente rialziste). Questo è dovuto al fatto che TLT subisce le stesse dinamiche di IEF, ma è più ribassista a causa della sua maggiore duration. I tre ETF difensivi sono rialzisti, ma in misura molto minore rispetto a XLY e XLK, poiché offrono rendimenti inferiori
FASE 5 DI MASSIMA ESPANSIONE
• Portafoglio ciclico: Durante la fase 5, il portafoglio ciclico presenta un andamento neutral-ribassista. Nella prima metà della fase, è neutral-rialzista grazie al rialzo di XLK e XLY, ma è frenato da LQD, IEF e HYG, che sono ribassisti a causa dell’inasprimento della politica monetaria. Nella seconda metà della fase diventa ribassista, principalmente a causa delle performance negative di tutti gli ETF, in particolare XLY e XLK, che iniziano a risentire dell’aumento del costo del denaro
• Portafoglio difensivo: Anche il portafoglio difensivo mostra un andamento neutral-ribassista in questa fase, ma si dimostra più resiliente rispetto al portafoglio ciclico. TLT registra prestazioni ribassiste, mentre XLV, XLP e XLU mantengono un andamento neutrale.
FASE 6 DI RALLENTAMENTO ECONOMICO
• Portafoglio ciclico: Durante questa fase, il portafoglio ciclico è ribassista, poiché tutti gli ETF che lo compongono sono in ribasso. Il sentiment degli investitori è di avversione al rischio e, di conseguenza, si verificano deflussi dai settori ad alto rischio come la tecnologia e i beni di consumo discrezionali, a causa dell’aumento dei tassi di interesse e del rallentamento degli utili societari. Tutti gli ETF obbligazionari performano male, colpiti dalla politica monetaria restrittiva. Tuttavia, il portafoglio ciclico è meno ribassista nella fase 6 rispetto alla fase 1, poiché il ribasso degli ETF ad alta volatilità (XLK e XLY) è moderato nella fase 6, mentre è più marcato nella fase 1.
• Portafoglio difensivo: La fase 6 è quella in cui si registra il massimo drawdown per il portafoglio difensivo. TLT è il principale responsabile del forte ribasso, mentre XLV, XLP e XLY sono moderatamente ribassisti, ma più forti rispetto a XLK e XLY.
Nella figura precedente, avrete notato che le prestazioni dei due portafogli sono state evidenziate con colori diversi: il rosso indica prestazioni negative, mentre il verde indica prestazioni positive. Entrambi i colori presentano diverse intensità per rappresentare l’intensità delle prestazioni rialziste o ribassiste dei due portafogli. Queste intensità sono espresse in percentuale. Questo metodo è stato utilizzato per fornirvi un ulteriore strumento capace di illustrare l’intensità delle prestazioni dei due portafogli:
• FASE 1
Ciclico: 75% rosso
Difensivo: 5% verde
• FASE 2
Ciclico: 5% verde
Difensivo: 35% verde
• FASE 3:
Ciclico: 50% verde
Difensivo: 75% verde
• FASE 4
Ciclico: 75% verde
Difensivo: 35% verde
• FASE 5
Ciclico e difensivo: 25% rosso
• FASE 6
Ciclico: 50% rosso
Difensivo: 75% rosso
A presto!
Obbligazioni statunitensi o europee? Analisi di scenario Buongiorno a tutti. Oggi, attraverso un’analisi di scenario e la creazione di un indice di sentiment obbligazionario, cercheremo di determinare quali tra le obbligazioni statunitensi o europee rappresentano la scelta migliore.
1. ANALISI TECNICA IBGM E IEF
Gli ETF al centro della nostra analisi sono l’iShares € Govt Bond 7-10 yr (IBGM) e l’iShares 7-10 Year Treasury Bond (IEF). L’IBGM, come illustrato nel grafico seguente, riflette il movimento di prezzo delle obbligazioni governative dei cinque principali Paesi europei per PIL (Germania, Francia, Italia, Spagna e Paesi Bassi) con scadenze tra i 7 e i 10 anni e una duration di 7.79 anni.
Ishares € Govt Bond 7-10yr. Grafico settimanale
Ponderazione percentuale dell’ETF. Fonte: iShares
L’IEF, presentato nella figura successiva, replica le variazioni di prezzo delle obbligazioni del tesoro statunitense con scadenze tra i 7 e i 10 anni e una duration di 7.32 anni.
Ishares 7-10 Year Treasury Bond. Grafico settimanale
Iniziamo l’analisi tecnica dei due ETF, partendo da IBGM.
Dal 11 maggio 2023, l’ETF non ha registrato variazioni di prezzo significative. Tuttavia, è interessante osservare la formazione di due figure tecniche contrastanti: un triangolo discendente seguito da un triangolo ascendente, entrambi con breakout. L’ETF ha mostrato un trend rialzista dall’inizio del quarto trimestre.
Analisi tecnica IBGM. Grafico giornaliero
Per quanto riguarda l’IEF, la situazione è diversa. Questo ETF ha mostrato una tendenza più ribassista rispetto all’IBGM: dal 4 maggio 2023 al minimo del 19 ottobre, a 88.86$, ha registrato una performance negativa del -11.77%. Nelle ultime sessioni, il prezzo ha realizzato un impulso rialzista, catalizzato dalle dichiarazioni di Powell (interpretate positivamente dal mercato) e da un indebolimento del mercato del lavoro statunitense (tasso di disoccupazione salito al 3.9% dal 3.8% precedente e buste paga del settore non agricolo a 150K rispetto ai 297K precedenti).
Analisi tecnica IEF. Grafico giornaliero
Per determinare quale dei due ETF è più forte è necessario creare un indice di forza tra i due e osservare la tendenza. Otteniamo l’indice dividendo il prezzo dell’IEF per quello dell’IBGM, come mostrato nel grafico successivo. La tendenza dell’indice IBGM/IEF è fortemente rialzista da fine aprile 2023, indicando una maggiore forza dell’IBGM (dividendo) rispetto all’IEF (divisore).
L’indice di forza IBGM/IEF. Grafico giornaliero
Questo significa che il mercato obbligazionario governativo europeo è, da aprile 2023, più forte rispetto a quello statunitense. Perché?
2. POLITICA MONETARIA E TASSI DI INTERESSE
La sovraperformance dei bond europei rispetto a quelli statunitensi è legata alle aspettative di politica monetaria della BCE e della FED. A partire da luglio, il mercato ha iniziato a prezzare una FED più restrittiva rispetto alla BCE, come dimostrano i due grafici successivi.
È noto che le scadenze a 2 anni della curva dei rendimenti sono quelle più influenzate dalle aspettative di politica monetaria. Come si può vedere nel grafico seguente, il rendimento a 2 anni del titolo di stato statunitense mostra un trend rialzista (nonostante il breakout ribassista della trendline dinamica dopo le dichiarazioni di Powell), mentre il rendimento a 2 anni del titolo tedesco è in ribasso.
Differenze tra aspettative di politica monetaria. Grafico giornaliero
Questo suggerisce che più il rendimento a 2 anni statunitense sovraperforma quello tedesco a pari scadenza, più il mercato prezza una politica monetaria più restrittiva negli USA (e viceversa nel caso opposto).
Nel grafico seguente, costruiamo uno spread tra i due rendimenti (con US02Y come minuendo e DE02Y come sottraendo) per evidenziare le differenze tra le aspettative di politica monetaria delle due banche centrali.
Correlando questo spread con l’indice IBGM/IEF precedentemente creato, possiamo confermare quanto detto: l’IBGM appare più forte dell’IEF perché si prevede che la politica monetaria europea sarà più espansiva rispetto a quella statunitense.
IBGM sovraperforma IEF perché il mercato prezza una BCE più espansiva rispetto alla FED. Grafico giornaliero
L’indice US02Y-DE02Y si rivela un eccellente indicatore del sentiment da monitorare nel prossimo futuro, data la sua funzione di “leading indicator” sulle aspettative di politica monetaria. Ma cosa ci riserva il futuro?
3. BOND STATUNITENSI ED EUROPEI NEL PROSSIMO FUTURO
Su quali obbligazioni puntare nel prossimo futuro? Sarebbe meglio concentrarsi sui bond governativi statunitensi o europei? Partiamo da un presupposto: il prezzo dei bond tende ad aumentare quando i tassi di interesse vengono tagliati. Quindi, le domande chiave da porsi sono:
“Quale delle due banche centrali taglierà per prima i tassi di interesse? Quale delle due ha più incentivi a mantenere i tassi più alti per un periodo più lungo?”
La risposta è semplice: dipenderà dalle condizioni macroeconomiche attuali e future dei due paesi. Considerando i dati attuali, gli Stati Uniti hanno mostrato una crescita del PIL trimestrale superiore a quella europea per il primo, secondo e terzo trimestre dell’anno in corso, come illustrato nel grafico seguente:
Le due diverse crescite economiche. Grafico a tre mesi
L’economia americana sembra mostrare una maggiore resilienza. Questo è evidenziato anche nel grafico seguente, che calcola l’indice di forza tra i PMI manifatturieri e dei servizi dei due paesi. I due PMI statunitensi hanno sovraperformato quelli europei dall’inizio dell’anno, indicando una maggiore resilienza dei settori.
La forza dei settori manifatturiero e dei servizi statunitensi è superiore rispetto a quella degli stessi europei. Grafico mensile
Esaminando più da vicino e guardando le due grafiche successive si può notare che, secondo gli ultimi dati rilasciati da Markit, i due settori statunitensi si trovano in una fase di espansione (con valori pari o superiori a 50 punti), a differenza dei settori europei, che sono in contrazione (soprattutto se si considera il settore manifatturiero).
I due PMI manifatturieri delle omonime aree. Grafico mensile
I due PMI sui servizi delle omonime aree. Grafico mensile
Nella figura successiva, prendiamo in considerazione i dati sulle vendite al dettaglio, che sono un ottimo indicatore del livello di spesa dei consumatori sia negli Stati Uniti che in Europa (considerando oltretutto che i consumi rappresentano una parte significativa del prodotto interno lordo).
I dati sulle vendite al dettaglio misurati mese/mese delle omonime aree. Fonte: TradingEconomics
La situazione è positiva per gli Stati Uniti, ma molto meno promettente per l’Europa. In quest’ultimo caso, si potrebbe addirittura sostenere che i dati indicano una sorta di “recessione”, con due letture consecutive negative, e l’ultima, con un -1.2%, decisamente più negativa rispetto alla precedente.
Concludiamo con l’analisi dei dati sulla produzione industriale, come illustrato nel grafico sottostante. Negli Stati Uniti, abbiamo notato una tendenza di letture progressivamente inferiori rispetto all’anno precedente, con un’unica contrazione registrata a giugno. Invece, per quanto riguarda l’Europa, abbiamo assistito a un drastico calo, con letture in contrazione da marzo fino all’ultimo dato disponibile.
I dati sulle produzioni industriali misurati anno/anno delle omonime aree. Fonte: TradingEconomics
“Quale delle due banche centrali taglierà per prima i tassi di interesse? Quale delle due ha più incentivi a mantenere i tassi più alti per un periodo più lungo?”
Dai grafici di questo paragrafo, risulta evidente che l’Europa sembra essere più vicina a una recessione rispetto agli Stati Uniti. Di conseguenza, al momento, la FED ha maggiori incentivi a mantenere i tassi più alti per un periodo più lungo, mentre la BCE potrebbe essere la prima a tagliare i tassi di interesse (infatti, non dobbiamo dimenticare che la fase 1 del ciclo economico è caratterizzata da politiche monetarie espansive). Se questo scenario dovesse verificarsi, potremmo assistere a un aumento degli acquisti di bond governativi europei (in particolare quelli tedeschi, considerati beni rifugio data l’elevata valutazione di rating della Germania, AAA), superiore rispetto a quelli statunitensi.
Ma sarà così nel prossimo anno? È difficile prevederlo. Il quadro macroeconomico è e sarà sempre influenzato dall’andamento dei dati macroeconomici. A tal proposito, consiglio di tenere d’occhio i dati leading, in grado di anticipare le future tendenze economiche, tra cui sicuramente i PMI, senza dimenticare US02Y-DE02Y. Ad oggi, tuttavia, sembra che i bond europei possano avere un vantaggio competitivo più alto.
A presto!
Il ruolo dell'oro e del suo "GVX" nel conflitto Israele-HamasBuongiorno. Questa analisi mira a comprendere per quanto tempo gli investitori continueranno a risentire dell’effetto del conflitto tra Israele e Hamas. Per farlo, si possono osservare diversi grafici, tra i quali quelli dell’oro e del suo indice di volatilità: il GVX.
L’analisi affronta i seguenti argomenti:
• Le ragioni per le quali i conflitti creano sfiducia tra consumatori, aziende e investitori
• Un’analisi dei mercati azionario, obbligazionario e valutario israeliani
• Il ruolo dell’oro in questo contesto
• Come sfruttare l’indice di volatilità dell’oro, il GVX
Buona lettura!
1. I CONFLITTI CREANO SFIDUCIA TRA I CONSUMATORI, IMPRESE E INVESTITORI
Come è ormai noto, il 7 ottobre scorso è stato segnato dal conflitto tra Hamas e Israele. Questo conflitto, come suggerisce il titolo, non produce solo vittime (1400 israeliani e oltre 4000 palestinesi secondo i dati attuali), ma genera anche panico, incertezza e sfiducia tra gli attori chiave dell’economia: consumatori, imprese e investitori. Le tensioni sono alimentate dalla possibilità di un’escalation che coinvolga altri Paesi, tra cui l’Iran.
Perché un conflitto genera queste emozioni negative? Ecco alcuni motivi:
• Un conflitto crea un’alta incertezza per il futuro tra i consumatori, specialmente in caso di escalation. Di conseguenza, potrebbero essere riluttanti a spendere denaro (chi comprerebbe una nuova auto o una nuova abitazione se il proprio Paese fosse costantemente sotto attacco?)
• Più ampio è un conflitto, più un Paese ne risente economicamente. Si immagini se le industrie e le infrastrutture fossero devastate: ci sarebbe una forte riduzione della produzione industriale e un aumento significativo della disoccupazione, con conseguente diminuzione della fiducia dei consumatori e delle imprese
• Se le spese, gli investimenti e i profitti delle imprese fossero bassi, gli investitori si sentirebbero sicuramente sfiduciati. È noto che sono sempre alla ricerca delle migliori opportunità di mercato, cosa che un Paese in conflitto non offre
È importante ricordare che, come mostrano le grafiche successive, la fiducia delle imprese e dei consumatori sono due indicatori macroeconomici che si influenzano a vicenda e che successivamente impattano sull’intensità economica (PIL).
La correlazione positiva tra fiducia dei consumatori e fiducia delle imprese. Grafico mensile
La correlazione positiva tra fiducia delle imprese e PIL israeliano a/a. Grafico mensile
Al momento, non siamo in grado di quantificare l’impatto del conflitto sul sentiment di imprese e consumatori (aspetteremo i dati del prossimo mese). Tuttavia, possiamo analizzare i mercati finanziari israeliani per comprendere il sentiment degli investitori.
2. IL SENTIMENT DEGLI INVESTITORI: MERCATO AZIONARIO, OBBLIGAZIONARIO E VALUTARIO
Un conflitto solitamente agisce come catalizzatore per una fuga di capitali dalle principali classi di asset del Paese (o dei Paesi) coinvolto. Questa dinamica si manifesta con un mercato azionario e obbligazionario fortemente venduti, che porta a un clima ribassista e a un aumento repentino dei rendimenti, e con un forte deprezzamento della valuta locale.
Prendiamo come esempio Israele. Se osserviamo l’ETF iShares MSCI Israel, che replica il movimento di un indice composto da azioni di società israeliane, notiamo che dal 7 ottobre ha registrato un crollo di oltre 14 punti percentuali.
Il crollo dell’ETF iShares MSCI Israel ETF. Grafico giornaliero
Questa prestazione negativa è stata accompagnata da un crollo del settore bancario, come evidenziato dalle prestazioni dei titoli Bank Leumi, Bank Hapoalim e Israel Discount Bank.
Il titolo Bank Leumi, dal 7 ottobre, ha registrato un crollo di 20 punti percentuali. Grafico giornaliero
Il titolo Bank Hapoalim, dal 7 ottobre, ha registrato un crollo di oltre 16 punti percentuali. Grafico giornaliero
Il titolo Israel Discount Bank, dal 7 ottobre, ha registrato un crollo di oltre 19 punti percentuali. Grafico giornaliero
Il crollo dei titoli bancari non sorprende, poiché generalmente sono uno dei settori più colpiti in caso di sell-off causato da un conflitto. Questo perché in un clima di panico si verificano le cosiddette “corse agli sportelli”, con i consumatori che temono la perdita dei loro risparmi nei depositi bancari. Se le banche non avessero sufficiente liquidità per soddisfare le richieste di prelievo, potrebbero dichiarare default. Inoltre, le banche investono denaro in titoli per generare rendimenti: se i mercati finanziari subiscono un sell-off, i titoli si deprezzano fortemente, causando potenziali perdite sui bilanci degli istituiti bancari stessi.
Osservando nella grafica successiva il rendimento del decennale israeliano e il tasso di cambio ILS/USD, notiamo che il rendimento del titolo di stato ha prima registrato una grande candela rialzista, per poi ritracciare nelle sedute successive; le ultime sedute hanno visto un rinnovato aumento del rendimento. Il tasso di cambio ha perso poco più del 5%.
Il rendimento del decennale israeliano (a sinistra) e il tasso di cambio ILS/USD a destra. Grafici giornalieri
Dall’osservazione delle tre principali classi di asset, possiamo concludere che sì, c’è stata una fuga di capitali, sebbene di entità limitata. Per parlare di una fuga di capitali su larga scala, mi sarei aspettato un crollo molto più significativo sia del mercato obbligazionario che della valuta locale. Un esempio emblematico è quello della Russia nell’anno precedente: in poche sessioni, l’indice MOEX 10 ha perso oltre il 52% del suo valore, il tasso di cambio USDRUB si è apprezzato di 85 punti percentuali e il rendimento del decennale è balzato dal 9.8% al 19.9%. Questo scenario rappresenta una vera e propria tempesta perfetta per l’economia di un Paese.
Il crollo del MOEX nei primi giorni del conflitto Russia-Ucraina. Grafico giornaliero
Il crollo del rublo contro il dollaro americano nei primi giorni del conflitto Russia-Ucraina. Grafico giornaliero
L’aumento repentino del rendimento del decennale russo nei primi giorni del conflitto Russia-Ucraina. Grafico giornaliero
3. IL RUOLO DELL’ORO E LA GRANDE IMPORTANZA DEL SUO INDICE DI VOLATILITA’: IL GVX
Il recente conflitto ha innescato un aumento improvviso del prezzo dell’oro, che ha registrato un incremento del 9% in poche sedute, passando da 1845$ a 2000$.
Le prestazioni dell’oro aggiornate a lunedì 23 ottobre. Grafico giornaliero
L’aumento del prezzo dell’oro non dovrebbe sorprendere, essendo un bene rifugio che tende ad apprezzarsi durante periodi di instabilità economica e geopolitica.
Da sempre, l’oro ha un rapporto inverso con i rendimenti reali dei titoli decennali americani. Tuttavia, questa correlazione negativa, come mostrato nella figura successiva, è svanita nelle ultime 20 sedute.
La correlazione negativa tra oro e tassi reali decennali. Grafico giornaliero
Questo solleva una questione: perché l’oro si è apprezzato così tanto, nonostante non ci sia stata una significativa fuga di capitali da Israele? Una possibile spiegazione potrebbe essere legata al prezzo del petrolio e alla sua potenziale crescita, dato che la regione interessata dal conflitto è tra le più importanti per la produzione di questa materia prima. Ricordiamo che l’aumento del prezzo del petrolio catalizza un aumento dell’inflazione e potenziali rialzi dei tassi di interesse, che a loro volta porterebbero a una probabilità di recessione più alta.
Tuttavia, quello che dovrebbe sorprendere non è tanto il prezzo dell’oro, quanto l’ansia con cui gli investitori lo hanno acquistato. Questo può essere osservato guardando l’indice di volatilità dell’oro, il Gold Volatility Index.
Il gold volatility index. Grafico giornaliero
Dallo scoppio del conflitto fino alla seduta del 23 ottobre, l’indice di volatilità ha registrato un salto di quasi 32 punti percentuali. Questo evidenzia la forte tensione dei mercati e sembra indicare una corsa all’oro.
Non sempre gli acquisti di oro sono accompagnati da un aumento della tensione degli investitori; infatti, nel 2020, i suoi massimi storici non erano stati accompagnati da un aumento della volatilità!
Non sempre un apprezzamento dell’oro è accompagnato da un aumento della volatilità. Grafico giornaliero
Quindi, per quanto tempo i mercati continueranno a scontare questo conflitto? Probabilmente fino a quando l’indice di volatilità GVX rimarrà elevato; potremmo notare un cambiamento di sentiment quando inizierà a scendere.
In una situazione di “risk off”, come un conflitto, la situazione può essere vista metaforicamente così: si verifica un evento avverso e gli investitori cercano rifugio acquistando oro. Ma quanto hanno realmente paura dell’evento? Guardate l’indice di volatilità: più è alto e più gli investitori considerano “grave” l’evento.
A presto!
Saranno i bond a svolgere il lavoro della Federal Reserve?Buongiorno a tutti.
Nel biennio 2022-2023, la politica monetaria è stata il tema preponderante nei mercati finanziari. Nonostante la convinzione diffusa che l’inasprimento monetario abbia toccato il suo culmine, l’aumento dei rendimenti obbligazionari continueranno a “giocare sporco”, fornendo un sostegno a Jerome Powell. Ma cosa significa esattamente? Questa analisi mira a fare chiarezza su questo punto.
Detto questo, vi auguro una piacevole lettura!
1. COME LE BANCHE CENTRALI CATALIZZANO L’INTENSITA’ DELL’ECONOMIA
La banca centrale è senza dubbio il motore principale dell’intensità di un’economia, con l’obiettivo primario di mantenere stabili i prezzi, o in altre parole, di controllare il livello di inflazione. Ma come raggiunge questo obiettivo? Andiamo avanti passo dopo passo.
Consideriamo due scenari:
• Un’impresa agricola ha bisogno di denaro per acquistare un trattore per aumentare il suo raccolto
• Alcuni consumatori hanno bisogno di denaro per acquistare una casa, una automobile e per partire in viaggio
A chi si rivolgeranno per ottenere il capitale necessario? Come illustrato nella figura successiva, si rivolgeranno ad una banca commerciale. Questa fornirà liquidità sotto forma di prestiti e, come è noto, trarrà profitto da un tasso di interesse che applicherà sui prestiti concessi. A questo punto, l’impresa agricola acquisterà il trattore e aumenterà il raccolto, mentre i consumatori acquisteranno la casa, l’automobile e partiranno in viaggio.
Il ruolo di una banca commerciale e gli interessi sui prestiti
Esiste tuttavia una “banca” delle banche: si tratta della banca centrale, come la FED negli Stati Uniti o la BCE in Europa. Le banche “più piccole” solitamente prendono in prestito denaro dalle banche centrali per vari scopi, principalmente per avere risorse sufficienti per soddisfare le esigenze dei loro clienti e per garantire la stabilità del sistema bancario. Questi prestiti, che sono tipicamente a brevissimo termine, comportano un costo che corrisponde al tasso di interesse applicato dalla banca centrale, noto come “tasso di sconto”.
La banca centrale e il tasso di sconto
È proprio attraverso il tasso di sconto che la banca centrale controlla l’intensità economica. Per comprendere meglio questo concetto, analizziamo la figura precedente e quella successiva, descrivendole nel dettaglio.
Una situazione di inasprimento della politica monetaria
Nella prima figura, la banca commerciale ottiene un prestito di 10 e restituisce 15. Nella seconda figura, l’importo del prestito alla banca commerciale rimane invariato, 10, ma la restituzione aumenta a 20. Quindi, cosa cambia tra le due figure? Nella seconda figura, la banca centrale ha adottato una politica monetaria più rigida, aumentando i tassi di interesse per le banche commerciali.
In un contesto come quello proposto, come reagiranno le banche commerciali? La risposta è semplice e può essere dedotta osservando il grafico precedente: per preservare un margine di interesse adeguato, aumenteranno a loro volta i tassi di interesse su mutui, prestiti e finanziamenti.
Quello che ho appena descritto è il meccanismo attraverso il quale una banca centrale regola l’intensità economica, noto come trasmissione della politica monetaria .
2. PERCHE’ I RENDIMENTI DELLE OBBLIGAZIONI SALGONO ALL’AUMENTO DEI TASSI DI INTERESSE?
È un dato di fatto che un incremento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve si riflette in un aumento dei rendimenti obbligazionari. Questa correlazione positiva tra tassi di interesse e rendimenti dei bond è chiaramente illustrata nelle due grafiche seguenti.
La correlazione positiva tra tassi di interesse e rendimento del decennale americano. Grafico mensile
La correlazione positiva tra tassi di interesse e rendimenti dei corporate bond di rating BBB. Grafico mensile
La questione che sorge spontanea è: come mai un aumento dei tassi di interesse comporta una diminuzione del prezzo delle obbligazioni e un conseguente incremento dei loro rendimenti? Per trovare una risposta a questo interrogativo, diamo uno sguardo alla grafica seguente:
Tassi di interesse all’1%
Consideriamo un momento X in cui il tasso di interesse impostato dalla banca centrale è dell’1%. In questo contesto, nel mercato secondario, avremmo una serie X di obbligazioni, denominate “A”, che propongono un rendimento dell’1% (ricordiamo: solitamente, il rendimento dei bond segue quello della banca centrale). Di conseguenza, gli investitori inizieranno ad acquistare queste obbligazioni. Immaginiamo ora, come mostrato nella figura seguente, che la banca centrale decida di elevare i tassi di interesse dall’1% al 2%.
Tassi di interesse al 2%
In questa nuova situazione, gli investitori sarebbero attratti dalle nuove obbligazioni, chiamate “B”, che offrono un rendimento doppio rispetto alle obbligazioni A. Quale sarà la loro mossa? Probabilmente venderanno le obbligazioni A precedentemente detenute per acquistare le obbligazioni B dal rendimento superiore. Di conseguenza, il prezzo delle vecchie obbligazioni A diminuirà e, data la relazione inversa, il loro rendimento aumenterà (questo spiega il deprezzamento di alcuni ETF obbligazionari come TLT). Alla fine, il mercato troverà un equilibrio, con le obbligazioni A e B che offriranno lo stesso rendimento.
Tuttavia, potrebbe sorgere un dubbio: perché Stati e società dovrebbero emettere debito a un tasso di interesse più elevato? In altre parole, è vero che i tassi di interesse aumentano, ma perché un aumento dei tassi di interesse dovrebbe comportare un aumento dei rendimenti dei bond? Gli emittenti non potrebbero semplicemente continuare a emettere “a basso rendimento” e avere un debito meno oneroso? La risposta è no, poiché in un contesto del genere emerge un concorrente per le obbligazioni: i conti deposito, cioè depositi presso le banche che generano interessi. Per attrarre capitali e continuare a generare guadagni, le banche commerciali potrebbero decidere di aumentare i rendimenti sui conti deposito. In questo modo, attirerebbero più clientela e potrebbero utilizzare i fondi depositati per concedere nuovi prestiti e per investire, generando ulteriori profitti. Pertanto, se gli interessi sui conti deposito aumentano, gli investitori saranno più attratti da questi (considerando anche che i conti deposito sono generalmente a bassissimo rischio e garantiti) e quindi le società non potrebbero permettersi di emettere debito a basso rendimento poiché nessuno lo acquisterebbe.
Non dimentichiamo: un’obbligazione rappresenta un debito per chi la emette, ma diventa un credito per chi la acquista!
3. SE LA FED NON ALZERA’ I TASSI, SARANNO I BOND A FARE IL “GIOCO SPORCO”. COSA VUOL DIRE?
Recentemente, si sente spesso dire: “Anche se la FED non aumenterà i tassi di interesse, saranno i bond, con l’aumento dei loro rendimenti, a fare il lavoro sporco”. Ma cosa significa esattamente?
Prima di tutto, diamo un’occhiata ai dati recenti:
I rendimenti del decennale e trentennale americano. Grafico giornaliero
I rendimenti dei titoli decennali e trentennali americani hanno raggiunto livelli molto alti. In particolare:
• Il decennale ha quasi raggiunto il 5%
• Il trentennale ha raggiunto il 5.118%
Inoltre, i rendimenti dei titoli di stato a due anni hanno recentemente superato il 5.26%.
Il rendimento del titolo di stato a scadenza due anni. Grafico giornaliero
Come potrebbero influenzare l’economia gli aumenti dei rendimenti lungo tutta la curva, anche se la FED non dovesse aumentare i tassi di interesse? Potrebbero avere diversi effetti. Tuttavia, per capire meglio, facciamo riferimento ad un’analisi che ho pubblicato qualche settimana fa, in cui mi sono concentrato sullo spread BTP-BUND e sulla possibilità di vendere allo scoperto le banche italiane, al link:
•
In quell’analisi, ho specificato che il bilancio di una banca ha due componenti principali: l’attivo e il passivo.
• L’attivo rappresenta le attività che la banca detiene e che possono generare reddito. Queste includono liquidità e riserve obbligatorie (essenziali per il funzionamento di una banca, anche se non generano direttamente reddito), crediti verso altre istituzioni, prestiti e finanziamenti alla clientela e investimenti.
• Il passivo rappresenta la fonte di finanziamento della banca. Queste includono i depositi dei clienti, i prestiti interbancari, l’emissione di obbligazioni, il capitale proprio (ad esempio, le risorse finanziarie ottenute dagli azionisti) e altre passività.
Dunque, una delle strategie che una banca utilizza per ottenere risorse è l’emissione di obbligazioni. Quindi, cosa succede se i rendimenti sul mercato secondario continuano a salire? La banca dovrà emettere obbligazioni con alti rendimenti per essere competitiva, pagando così interessi più elevati. Per compensare questa maggiore spesa per interessi, la banca aumenterà il costo del denaro prestato a famiglie e imprese per mantenere buoni margini di profitto.
Consideriamo anche un altro aspetto:
• Il rendimento del trentennale è un benchmark per i mutui a tasso fisso trentennali
Questo aspetto è evidenziato nella grafica successiva:
La correlazione positiva tra rendimenti e tassi sui mutui. Grafico settimanale
Il grafico mostra che, se il rendimento del trentennale continua a salire, il costo dei mutui aumenterà.
Quanto continueranno a salire i rendimenti? È difficile da dire, ma una cosa è certa: un aumento dei rendimenti non è benefico per la salute dell’economia. Pensiamo al fatto che, se i tassi sui mutui aumentano, ci sarà una diminuzione delle vendite di nuove case:
La vendita di nuove case è dipendente dal prezzo dei mutui. Grafico mensile
Se ci sarà una diminuzione delle vendite di case, l’economia rallenterà come mostra la correlazione nella grafica seguente:
La correlazione positiva tra vendita di nuove abitazione e intensità economica. Grafico a 3 mesi
La spiegazione è semplice:
PIL = CONSUMI + INVESTIMENTI + SPESA PUBBLICA + (EXPORT – IMPORT)
Minor richieste di mutui, minori investimenti, rallentamento del PIL!
Qualora qualche concetto non fosse chiaro, commentate pure.
A presto!
PUT/CALL ratio: anticipare i crolli e i minimi del mercatoCos’è il rapporto PUT/CALL ratio? Cosa misura e a cosa serve? Può essere utilizzato per creare strategie di trading? Buongiorno a tutti.
L’obiettivo dell’analisi di oggi è presentarvi uno dei rapporti più noti nel mondo della finanza, il PUT/CALL ratio, con la speranza di fornirvi un’analisi il più pratica e operativa possibile.
Gli argomenti dell’analisi:
• Il PUT/CALL ratio
• Il PUT/CALL ratio sugli indici, anticipatore del clima di risk off
• Il PUT/CALL ratio sulle azioni, anticipatore dei minimi di mercato
• Come approfittare del put/call ratio sulle azioni per creare strategie di trading
Buona lettura.
1. IL PUT/CALL RATIO
Il PUT/CALL ratio è un indicatore che calcola il rapporto tra il volume delle opzioni PUT e CALL scambiate nei mercati. Questo rapporto si esprime come segue:
PUT/CALL RATIO: VOLUME OPZIONI PUT/ VOLUME OPZIONI CALL
L’acquisto di un’opzione call indica un’aspettativa rialzista del mercato, mentre l’acquisto di un’opzione put suggerisce un’aspettativa ribassista. Il PUT/CALL ratio, come mostrano le due immagini successive, può essere applicato sia alle azioni che agli indici.
Il PUT/CALL ratio sulle azioni
Il PUT/CALL ratio sugli indici
È interessante notare come questo rapporto, per entrambe le categorie, tenda a oscillare attorno al valore di “1”.
• Un rapporto pari a 1 denota un volume uguale di opzioni “ribassiste” e “rialziste” scambiate nei mercati
• Se il rapporto è inferiore a 1, significa che c’è un volume maggiore di opzioni call
• Al contrario, se il rapporto è superiore a 1, indica un volume maggiore di opzioni put
Questo rapporto è particolarmente utile per valutare il sentiment del mercato:
• se l’indice sale, il mercato viene considerato più pessimista
• se l’indice scende, il mercato viene visto come più ottimista
Nella prossima immagine, correleremo i due indicatori con l’S&P500 per illustrare quanto appena discusso.
Le correlazioni risultano essere negative. Tuttavia, emerge un dettaglio piuttosto interessante:
• L’S&P500 mostra una correlazione più negativa con il PUT/CALL ratio delle azioni rispetto alla correlazione che presenta con il PUT/CALL ratio degli indici
Come mai?
Tipicamente le opzioni sulle azioni sono utilizzate per scopi speculativi, mentre quelle sugli indici sono utilizzate per la copertura (o hedging). Questo implica che:
• Le opzioni sulle azioni mirano a capitalizzare sui movimenti di mercato a breve termine; pertanto, il PUT/CALL ratio delle azioni tende ad allinearsi con i movimenti dell’S&P500
• Le opzioni sugli indici, invece, cercano di trarre vantaggio dai movimenti di mercato a lungo termine, e quindi il PUT/CALL ratio sugli indici tende a muoversi in modo più disallineato rispetto allo stesso benchmark
Questo spiega le due diverse correlazioni osservate nella figura precedente.
2. IL PUT/CALL RATIO SUGLI INDICI, ANTICIPATORE DEL CLIMA DI RISK OFF
Per spiegare il termine “a più lungo termine del mercato”, immaginiamo che l’investitore X abbia un portafoglio di titoli e che il mercato azionario sia in una tendenza rialzista. Nonostante il sentiment generale positivo, l’investitore X acquista opzioni PUT sull’indice per “proteggersi” da un possibile crollo o ribasso del mercato.
Potreste chiedervi se un’opzione PUT possa essere considerata come una sorta di assicurazione. In questo contesto, la risposta è sì! L’opzione PUT agisce come una polizza assicurativa, proteggendo l’investitore da eventuali perdite significative.
Interpretando correttamente l’ultima frase, si può dedurre che l’aumento del PUT/CALL ratio sugli indici funge da indicatore anticipatore (leading indicator) di potenziali ribassi o crolli di mercato. Questa affermazione trova conferma nelle grafiche che ora andremo a esaminare.
Al “PUT/CALL ratio indicies” è stata applicata una media mobile a 5 periodi per filtrare meglio il suo movimento, ottenendo così un andamento meno frastagliato. Detto questo, si è osservato che un aumento del volume di opzioni PUT, anche durante un trend rialzista del mercato, ha spesso anticipato un periodo di risk-off sull’S&P500.”
Dato che in precedenza abbiamo sottolineato come il ratio sulle azioni tende a muoversi più in “tempo reale”, possiamo affermare che questo viene anticipato dal ratio sugli indici.
3. IL PUT/CALL RATIO SULLE AZIONI, ANTICIPATORE DEI MINIMI DI MERCATO
Abbiamo esaminato l’importante funzione del precedente ratio, ma cosa possiamo dire del ratio sulle azioni? Su un timeframe settimanale, esso tende ad anticipare i minimi di mercato, in particolare quando il rapporto raggiunge valori di 1.25. Osserviamo le prossime grafiche per un’analisi più dettagliata.
Dal 2008 ad oggi, ogni volta che il ratio ha raggiunto i valori indicati dalla linea rossa, il mercato ha toccato dei minimi, per poi registrare rialzi di varia intensità a seconda delle circostanze. Un rapporto di 1.25 indica un volume di opzioni ribassiste notevolmente superiore rispetto a quello delle opzioni rialziste. Perché, a questi livelli, il mercato ha poi registrato dei successivi rialzi?
• I livelli a 1.25 rappresentavano e rappresenteranno delle zone di ipervenduto. Dopo che il mercato arriva nella zona di ipervenduto, tipicamente riparte al rialzo. Questo può essere dovuto al fatto che molti venditori allo scoperto chiuderanno le loro posizioni ribassiste generando dei guadagni, influenzando così positivamente il prezzo (si vende a un certo valore e prezzo e si acquista ad un prezzo più basso). Inoltre, i prezzi più bassi diventeranno attraenti per altri investitori che approfitteranno della situazione per acquistare (fornendo così un ulteriore supporto rialzista al prezzo). Non bisogna dimenticare anche alcune strategie di trading in acquisto, basate proprio sul contesto dell’ipervenduto.
4. COME APPROFITTARE DEL PUT/CALL RATIO SULLE AZIONI PER CREARE STRATEGIE DI TRADING
Per sfruttare un PUT/CALL ratio sulle azioni a 1.25, si potrebbe:
• Aspettare che l’evento si verifichi su un timeframe giornaliero (quando il ratio raggiunge la soglia dell’1.25)
• Attendere la formazione di una figura tecnica che indichi un’inversione di tendenza
• Entrare a mercato con un profilo di rischio/rendimento adeguato
Alcuni esempi nelle prossime tre figure:
Concludiamo affermando che entrambi i ratio, se utilizzati in modo intelligente, possono fornire una moltitudine di informazioni, tra cui il clima di mercato e numerose opportunità, come quelle di trading. A mio parere, tuttavia, sono strumenti eccellenti per la gestione di un portafoglio di investimenti, non solo di azioni, ma anche di obbligazioni.
Magari ne parlerò più dettagliatamente la prossima settimana. Un saluto, a presto!
MERCATI EMERGENTI: tre indicatori da seguire attentamente Quali sono le prospettive attuali per i mercati emergenti? Rappresentano un’opportunità per il medio termine?
Buongiorno. L’analisi si concentrerà sui mercati emergenti, esaminati da una prospettiva macroeconomica e intermarket, utilizzando l’ETF iShares MSCI Emerging Markets e altri indicatori chiave, tra i quali:
• PMI composito globale
• Dollaro americano
• Indice di sentiment economico SPHB/SPLV
• Spread obbligazionario ad alto rendimento dei mercati emergenti
Buona lettura.
1. ANALISI TECNICA “EEM”
La figura successiva ha lo scopo di analizzare dal punto di vista tecnico il prezzo dell’ETF “EEM”, che mira a replicare i risultati di investimento di un indice composto da azioni di società dei mercati emergenti a grande e media capitalizzazione.
Il prezzo, dopo aver toccato il minimo del mercato ribassista raggiunto a fine ottobre 2022, ha registrato un significativo impulso rialzista che si è concluso il 26 gennaio del 2023; da quella data in poi, tuttavia, esso ha mostrato segni di debolezza:
• Le strutture di prezzo più significative includono una resistenza dinamica ribassista, testata due volte (fine gennaio e fine luglio), e il supporto situato a 37.5$/36.5$
La figura di analisi tecnica caratterizzata da una resistenza dinamica ribassista e un supporto statico è comunemente nota come “triangolo discendente” che effettivamente indica una debolezza del prezzo; quest’ultima si è accentuata a partire dall’ultimo massimo del 31 luglio, portando ad una performance negativa del -11.4% da quel giorno in avanti.
A scopo informativo rilascio le successive due grafiche che mostrano i principali componenti dell’ETF, l’esposizione settoriale e quella geografica.
2. I FATTORI CHE INFLUENZANO I MERCATI EMERGENTI
Prima di acquistare (o vendere) un asset finanziario è necessario sapere (e poi capire) quali sono le dinamiche che vanno ad influenzarlo.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, le due più importanti sono:
• L’intensità economica
• Il dollaro americano
Le dinamiche sopra descritte sono confermate dalle due grafiche successive:
• La correlazione diretta EEM – PMI composito globale
• La correlazione inversa EEM – indice del dollaro americano
Le due grafiche precedenti sottintendono che i mercati azionari dei Paesi emergenti realizzano buone performance al crescere dell’intensità economica e all’indebolirsi del dollaro americano.
Perché? I motivi sono presto spiegati.
Lato economia:
• Durante i periodi di crescita economica si verificano sentiment positivi tra i consumatori, che si traducono in una maggior domanda per beni e servizi. L’aumento delle vendite da parte delle società si traduce in utili in crescita e, di conseguenza, in buone performance nei mercati azionari
Lato dollaro americano:
• Una caratteristica comune della maggior parte delle valute emergenti è la loro elevata volatilità rispetto alle valute delle principali potenze economiche mondiali. Le società, come gli Stati, ricorrono a diversi mezzi per ottenere fondi, tra i quali l’emissione di obbligazioni. Tuttavia, per i Paesi emergenti, non è sempre facile reperire denaro attraverso l’emissione di debito denominato nella loro valuta locale poiché potenziali obbligazionisti potrebbero essere riluttanti a sopportare un rischio di cambio elevato; quest’ultimo rischio afferma che:
“Quanto più la valuta nella quale è denominato un bond si deprezza rispetto alla valuta detenuta dal creditore, tanto più il rischio di cambio è alto”
È così che i Paesi emergenti, insieme alle loro società, emettono obbligazioni in valuta estera (o valuta forte) per assumersi il rischio di cambio, rendendo così il debito più attraente per i mercati.
Tuttavia, sorge un problema nell’emissione in valuta estera quando quella valuta stessa (la valuta forte) inizia a rafforzarsi rispetto alla valuta emergente. In questo caso, per pagare gli interessi, sarà necessario utilizzare una maggiore quantità di denaro a causa della svalutazione. Questo significa che il debito diventa più oneroso da rimborsare in termini di valuta locale.
È interessante notare un aspetto importante: come mostrato nella grafica successiva, il dollaro americano tende ad indebolirsi al crescere dell’intensità economica.
3. I GRAFICI CHE INFLUENZANO I MERCATI EMERGENTI
Per creare i grafici da seguire per ottenere un vantaggio sui mercati emergenti è necessario rappresentare graficamente le informazioni contenute nel paragrafo precedente, sviluppando degli indicatori a cadenza giornaliera. Mentre l’indice del dollaro americano fornisce risultati giornalieri, il PMI composito globale viene comunicato mensilmente. Per risolvere questo problema, è necessario creare un indice “a cadenza giornaliera” che sia correlato positivamente al dato macroeconomico stesso. Tale indice è rappresentato da SPHB/SPLV, che misura la forza relativa tra l’ETF delle società dell’S&P500 ad alta volatilità (SPHB) e l’ETF delle società dello stesso benchmark a bassa volatilità (SPLV). Non tratterò dettagliatamente questo indice in questo contesto; per ulteriori informazioni, è possibile consultare una descrizione all’interno di altre analisi da me scritte; una di queste al link:
Calcoliamo ora la correlazione tra SPHB/SPLV e PMI composito globale:
Essa è fortemente positiva. In breve:
• Durante una crescita economica, le società ad alta volatilità tendono a sovraperformare quelle a bassa volatilità, mentre durante un rallentamento economico si verifica il contrario
Avendo costruito l’indice a cadenza giornaliera, passiamo allo step successivo: che prestazioni realizza l’ETF “EEM” quando si verificano ribassi del dollaro e rialzi dell’indice? Osserviamolo nella figura successiva:
In quei particolari contesti, indicati all’interno della figura dai rettangoli di color verde, sono sempre positive. Per questo motivo, dollaro americano e SPHB/SPLV sono degli “indicatori” da conoscere se si vuole investire sui mercati emergenti. Questi ultimi, ad oggi, rappresentano un’opportunità? Per rispondere alla domanda in modo soggettivo (non è un consiglio finanziario), si osservi la figura successiva:
L’indice relativo ai settori ad alta e bassa volatilità mostra un trend ribassista, mentre il dollaro americano sta registrando un trend rialzista. A causa delle forti correlazioni osservate, la mia visione attuale sull’ETF “EEM” è short. Cambierò idea solo nel caso in cui le condizioni economiche subiscano un cambiamento significativo.
4. LO SPREAD OBBLIGAZIONARIO AD ALTO RENDIMENTO DEI MERCATI EMERGENTI
Ci tengo a fornirvi un ulteriore strumento di studio: lo spread obbligazionario ad alto rendimento dei mercati emergenti.
Esso è il risultato di una sottrazione (spread) tra i rendimenti di obbligazioni societarie dei mercati emergenti ad alto grado di rischio (high yield, o junk bonds) e i rendimenti dei titoli di stato americani (considerati privi di rischio).
SPREAD OBBLIGAZIONARIO AD ALTO RENDIMENTO DEI MERCATI EMERGENTI = RENDIMENTI DEI BOND SOCIETARI HIGH YIELD EMERGENTI – RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO USA
Nella sua costruzione è simile allo spread obbligazionario ad alto rendimento statunitense, descritto in maniera approfondita nell’analisi al link:
Gli spread obbligazionari sono utilizzati per misurare il rischio di credito delle società appartenenti ad una determinata classe di rating:
• Il rischio aumenta all’espandersi dello spread
• Il rischio diminuisce nel caso opposto
La figura successiva mostra come il rischio sia legato all’intensità economica.
La chiave di lettura della figura è la seguente:
• Durante i periodi di crescita economica le società tendono a registrare maggiori vendite, il che si traduce in utili in crescita. La presenza di maggior liquidità disponibile riduce il rischio di default, in quanto le società hanno la capacità di pagare gli interessi sul debito senza troppi problemi
• In un periodo di rallentamento economico accade l’opposto: una minore liquidità disponibile può causare difficoltà nel ripagare i debiti, aumentando di fatto la probabilità di insolvenza
Contestualizzando lo spread con i due indicatori, possiamo ottenere ulteriori informazioni:
• Il rischio di default non è unicamente correlato all’intensità economica, ma anche alle prestazioni del dollaro americano. La figura seguente dimostra che un indebolimento del dollaro può effettivamente ridurre il rischio di default delle società emergenti (queste ultime avranno un onere sul debito inferiore perché sarà meno costoso ripagare gli interessi in termini di valuta locale)
Per i motivi discussi, lo spread high yield rappresenta il terzo indicatore da seguire se si vuole investire con successo nei mercati emergenti.
Risponderò alle vostre domande (qualora ci fossero dei dubbi) nella sezione commenti. Un saluto, a presto.
SPREAD HIGH YIELD: INDIVIDUARE LE FASI DEL CICLO ECONOMICO1. INTRODUZIONE
Le grafiche successive mostrano sei importanti correlazioni negative che lo spread obbligazionario ad alto rendimento presenta con alcuni dati macroeconomici chiave:
• Fiducia dei consumatori
• PMI manifatturiero
• PMI sui servizi
• Produzione industriale
• Vendite al dettaglio
• PIL
Una semplice chiave di lettura utile per comprendere le sei grafiche precedenti è la seguente:
• Lo spread obbligazionario ad alto rendimento è correlato inversamente al ciclo economico (PIL), influenzato a sua volta dai dati macroeconomici rappresentati graficamente. Ad un’intensità economica crescente corrisponderà uno spread ribassista, al contrario uno rialzista
Perché?
Buongiorno a tutti. L’obiettivo di questa analisi è quello di presentare lo spread obbligazionario ad alto rendimento in maniera tale da fornirvi un importante strumento di analisi del ciclo economico, argomento tanto dibattuto negli ultimi mesi.
I protagonisti dell’analisi:
• Spread obbligazionario ad alto rendimento
• Fiducia dei consumatori
• PMI manifatturiero
• PMI sui servizi
• Produzione industriale
• Vendite al dettaglio
• PIL
• Utili societari
• S&P500
Buona lettura.
2. COS’E’ LO SPREAD OBBLIGAZIONARIO AD ALTO RENDIMENTO?
L’ICE BofA High Yield Index Option-Adjusted Spread (questo è il nome) è uno spread costruito attraverso una differenza tra i rendimenti di obbligazioni societarie americane di grado high yield (i famosi “junk bonds”) e i rendimenti dei titoli di stato americani.
Queste le caratteristiche dei bond high yield:
• Rating di BB o inferiori (B, CCC)
• Scadenze superiori all’anno
La figura precedente denota un importante aspetto: ci sono delle fasi nelle quali lo spread è rialzista e altre nelle quali è ribassista. Per capire il motivo, si osservi la figura successiva:
Immaginatevi che lo spread di color nero sia costruito attraverso la differenza tra il rendimento dei bond societari BB (in rosso) e quello sul decennale americano (in blu). La grafica mostra un aspetto importante:
• Lo spread tende ad essere rialzista quando il rendimento dei bond BB sovraperforma il rendimento del decennale e tende ad essere ribassista nel caso opposto
Il rendimento offerto da un’obbligazione incorpora il rischio al quale un investitore si espone quando la acquista; da qui, una delle uguaglianze più conosciute nel mondo degli investimenti:
RISCHIO = RENDIMENTO
I rischi che le obbligazioni incorporano all’interno del loro rendimento sono essenzialmente i seguenti:
• Rischio inflazione
• Rischio tassi di interesse
• Rischio di default
• Rischio di liquidità
• Rischio di cambio
Tralasciamo i rischi liquidità e cambio (non sono essenziali in questo contesto) e poniamoci una domanda:
“Che rischi sono incorporati nel rendimento dei bond BB e in quello del decennale americano?”
I rischi associati sono gli stessi, con una piccola differenza:
• I bond societari BB, a differenza del decennale, incorporano il rischio default
Eliminando dunque i due fattori comuni rischio inflazione e tassi di interesse, arriviamo al punto cruciale:
• Lo spread high yield misura l’aumento o il rallentamento delle probabilità di default di emittenti di obbligazioni societarie ad alto rendimento
Nella grafica precedente è possibile osservare come lo spread sia pari al 3.9%. Questo significa che:
• Ad oggi il mercato richiede un rendimento aggiuntivo del 3.9% per investire in bond societari altamente rischiosi rispetto a quello che chiederebbero per investire nei titoli di stato a massima affidabilità; detto in parole ancora più semplici, lo stesso 3.9% è l’interesse aggiuntivo richiesto per assumersi il rischio default
Importanti informazioni nella grafica successiva:
• Lo spread tende a registrare dei rialzi durante le recessioni (rialzi più o meno forti a seconda dell’intensità della contrazione) mentre dei ribassi nelle successive riprese ed espansioni economiche
Interessante osservare all’interno delle ultime tre recessioni i diversi comportamenti dei rendimenti:
• Quello del decennale è sempre stato ribassista, mentre l’altro sempre rialzista
Perché?
• Durante le recessioni gli investitori acquistano i cosiddetti beni rifugio, capaci di garantire dei rendimenti nonostante condizioni economiche avverse; il decennale (nonostante l’America sia stata qualche tempo fa declassata) ne rappresenta un esempio, al contrario dei bond societari
3. LA CORRELAZIONE TRA SPREAD E CICLO ECONOMICO
Per spiegare la correlazione positiva tra spread e ciclo economico è importante porsi una domanda:
“Le obbligazioni rappresentano una classe di investimento dal basso grado di rischio. Perché quelle del tesoro americano rappresentano un bene rifugio al contrario di quelle societarie?”
Le società ripagano i loro debiti (gli interessi delle loro obbligazioni) grazie agli utili che sono capaci di generare. Più una società sarà in grado di pagare i suoi debiti e tanto meno sarà probabile un suo potenziale default.
La correlazione tra utili societari e spread high yield, come mostra la grafica successiva, è negativa:
La grafica è da leggere in questo modo:
• La probabilità di default degli emittenti BB e inferiori è tanto più alta quanto più è forte il rallentamento (o la contrazione) degli utili societari degli stessi emittenti.
Gli utili, a loro volta, tenderanno ad essere influenzati in positivo e in negativo dal PIL:
Ecco, dunque, il motivo delle correlazioni negative tra spread e dati macroeconomici chiave osservate nell’introduzione dell’analisi:
• Il rallentamento di quei dati nelle fasi 5, 6 e 1 del ciclo economico impatterà in maniera negativa sul PIL e, per la correlazione osservata precedentemente, in negativo sugli utili societari: le aziende, avendo meno liquidità per ripagare gli interessi sulle obbligazioni, aumenteranno la probabilità di default
• Il contrario accadrà durante le fasi 2, 3 e 4: con più liquidità nelle casse, le società avranno maggior capacità di onorare le obbligazioni assunte
Ecco il motivo per il quale i bond high yield non rappresentano una classe di investimento “sicura”:
• Più aumenterà la probabilità di default e più sarà meno probabile per gli investitori ricevere il valore nominale del bond alla sua scadenza; questo non accade per gli Stati Uniti, dall’alto grado di rating e, per lo stesso motivo, altamente affidabili.
Che correlazione esisterà tra spread ed S&P500? Si osservi la grafica successiva:
Essa è negativa:
• Il mercato azionario tenderà a registrare dei rialzi nelle fasi 2,3 e 4 del ciclo economico, caratterizzate da un aumento degli utili societari e da uno slancio positivo dei dati macroeconomici
Essa è negativa:
• Il mercato azionario tenderà a registrare dei rialzi nelle fasi 2,3 e 4 del ciclo economico, caratterizzate da un aumento degli utili societari e da uno slancio positivo dei dati macroeconomici
4. LO SPREAD OBBLIGAZIONARIO ATTUALE
Come si presenta ad oggi lo spread? Si osservi la grafica successiva:
Esso ha intrapreso una traiettoria ribassista dal 24 marzo 2023. Negli ultimi tempi ha realizzato un doppio mimino: vedremo se la figura tecnica darà il via ad un’inversione di tendenza.
Osservando la grafica si può affermare che, ad oggi, il mercato prezzi più “soft landing” di una recessione. Detto in altre parole:
• Ad oggi, il mercato non prezza una forte contrazione degli utili societari
A presto!
TIP/IEF: anticipare il tasso di inflazione con il mercato bondUno strano caso: nonostante la disinflazione, il mercato sconta l'esatto contrario.
Buongiorno a tutti.
L’analisi di oggi avrà l’obiettivo di condividere un indicatore anticipatore del tasso di inflazione a livello statunitense grazie all’utilizzo del mercato obbligazionario.
I protagonisti dell’analisi:
• Tasso di inflazione
• Indice di sentiment TIP/IEF
• ISM sull’attività economica del settore dei servizi
• PMI manifatturiero
• Prezzi del petrolio
• Soft landing
• Politica monetaria
Buona lettura.
Nel video in basso alla pagina tratterò gli stessi argomenti in maniera più specifica.
1. IL PROCESSO DI DISINFLAZIONE
Il termine “disinflazione” si riferisce ad un rallentamento dell’indice dei prezzi al consumo; lo stesso non è da confondere con il termine “deflazione”, riferito ad un tasso di inflazione negativo (che, ad oggi, sta affliggendo la Cina).
Il contesto statunitense attuale può essere definito a tutti gli effetti “disinflazionistico”, e questo è ben testimoniato nella figura successiva, che mostra il rallentamento dell’indice dei prezzi al consumo “classico” e quello core arrivati a valori di, rispettivamente, 3.2% a/a e 4.7% a/a.
Nonostante le tendenze dei due dati macroeconomici palesino dei trend ribassisti, il mercato non la pensa allo stesso modo; al contrario, prezza l’esatto opposto.
Vi chiederete:
“Ma dove lo prezza? Quali asset osservare?”
2. L’INDICE TIP/IEF SULLE ASPETTATIVE DI INFLAZIONE DEGLI INVESTITORI
Per rispondere alla domanda è necessario osservare la figura successiva, che riporta un indice di forza: quello “TIP/IEF”.
TIP/IEF può essere definito come un indice obbligazionario sulle aspettative di inflazione degli investitori. È formato da due ETF, presentati nelle due grafiche successive:
• Al numeratore troviamo TIP, il ticker dell’iShares TIPS ETF. Esso replica il movimento di un indice composto da obbligazioni del tesoro americano indicizzate al tasso di inflazione con scadenze miste (comprese tra 1 e 20+ anni):
• Al denominatore troviamo IEF, il ticker dell’iShares 7-10 year Treasury Bond ETF. Esso replica il movimento di un indice composto da obbligazioni del tesoro americano non indicizzate con scadenze comprese tra i 7 e i 10 anni:
L’indice TIP/IEF è da interpretare nel modo seguente:
• Quando TIP realizzerà prestazioni migliori di IEF l’indice di forza formerà una tendenza rialzista e il mercato avrà aspettative di inflazione in aumento
• Quando IEF realizzerà prestazioni migliori di TIP accadrà il contrario: tendenza dell’indice ribassista e aspettative di disinflazione
I due punti appena discussi sono confermati nella grafica successiva, che mostra la correlazione positiva tra l’indice di forza e il dato macroeconomico:
Utilizzando una lente di ingrandimento sulla figura precedente è possibile scoprire un qualcosa di veramente interessante. Osserviamo la grafica successiva:
TIP/IEF è un leading indicator dell’indice dei prezzi al consumo! Infatti:
• I massimi 1, 5, 7 e 11 di TIP/IEF hanno anticipato quelli 2, 6, 8 e 12 del consumer price index
• I minimi 3 e 9 hanno anticipato quelli 4 e 10
Analizziamo l’indice dal punto di vista tecnico su grafico giornaliero:
Il mercato ha iniziato a prezzare un processo di disinflazione a partire dal 21 aprile 2022, poco più di un mese dopo dal primo rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, avvenuto in data 16 marzo 2022. Questo non deve stupire, infatti:
• L’inasprimento della politica monetaria ha lo scopo di rallentare l’indice dei prezzi al consumo. Ad un rialzo dei tassi di interesse, cambieranno successivamente le aspettative del mercato sul consumer price index (da accelerazione a rallentamento)
Per Q2, Q3 e Q4 2022 il mercato prezzava una disinflazione. Il 18 gennaio 2023 il sentiment ha subito una correzione al rialzo: quest’ultimo è stato particolarmente armonico da metà Q2 2023 (evidenziato nel grafico dal canale ascendente di color giallo).
I motivi potrebbero essere due. Il primo:
• Un rialzo dei prezzi del petrolio (a partire dai primi giorni di giugno 2023), capace di impattare positivamente sull’indice dei prezzi al consumo:
A tal proposito, è utile osservare la correlazione fortemente positiva tra prezzi del crude oil e lo stesso dato macroeconomico:
Il secondo:
• Il mercato potrebbe non aver aspettative di recessione. Se ci fosse il tanto atteso “atterraggio morbido” e dunque una potenziale nuova espansione economica, la domanda aggregata e i consumi dovrebbero crescere, accompagnati da un aumento dei prezzi
Lo stesso TIP/IEF è infatti correlato positivamente all’ISM sull’attività economica del settore dei servizi statunitensi e al PMI manifatturiero:
Se si evitasse la recessione si potrebbe osservare un’espansione dell’attività economica (servizi e manifattura) e, per le correlazioni osservate nelle due grafiche precedenti, un aumento delle aspettative di inflazione.
Cosa accadrà? Il tanto atteso obiettivo di un tasso di inflazione al 2% non verrà raggiunto sul breve periodo? Non possiamo saperlo. Monitorerò tuttavia l’indice TIP/IEF che, spesso, ha agito da leading indicator!
È probabile che diversi di voi ora penseranno:
“Forse è più sicuro acquistare obbligazioni indicizzate”
La risposta è no. La grafica successiva spiega il motivo:
L’ETF, al momento, non fornisce spunti rialzisti. Al contrario, è ribassista dal 5 aprile 2022 e molto vicino al supporto dei 104.5$.
I motivi delle prestazioni negative dell’ETF?
• Esso non è coperto dal rischio “tassi di interesse” e, per lo stesso motivo, risente in negativo della stessa tematica
Se persistesse il rialzo dei tassi questo ETF continuerà a registrare delle performance negative, accompagnato nel suo ribasso dall’indice TIP/IEF; infatti:
• A tassi di interesse più alti corrisponderanno aspettative di inflazione ribassiste
A presto!
LARGE, MID E MICROCAP: ANALISI DEI TREND E CORRELAZIONI MACROL’obiettivo dell’analisi è quello di analizzare i trend delle società a grande (S&P500), media (Russel 2000) e micro-capitalizzazione (ETF di iShares “IWC”), con focus su alcuni indici di forza e correlazioni macroeconomiche.
1. LE “LARGE-CAP”
Come si è conclusa la settimana “dell’inflazione al 5.3% e dei tassi di interesse rimasti invariati”? Osserviamolo nella grafica successiva reperita da Finviz.com:
Tutti i settori in positivo. Il podio è riservato al settore tecnologico (+4.11%), al settore ciclico (+3.66%) e al settore dei materiali di base (+2.9%). Essendo i primi due settori quelli maggiormente acquistati in una condizione di propensione al rischio, è possibile affermare come la settimana passata sia stata di “risk-on”.
Volendo essere ancora più precisi, di seguito i migliori cinque sottosettori:
La grande propensione al rischio è ben testimoniata dai livelli del VIX che hanno raggiunto valori di 13 punti e mezzo circa (valori che non si osservavano dal febbraio del 2020):
Ricordate:
• Il VIX è definito come l’indice di paura dell’S&P500 dal momento in cui esso tende a registrare degli incrementi al manifestarsi di ribassi (più o meno violenti) del benchmark. Importante la soglia dei 20 punti, considerata lo spartiacque tra la “tranquillità” (risk on, < 20) e “l’incertezza” (risk off, > 20)
Analizziamo l’S&P500 dal punto di vista tecnico:
Il benchmark ha definitivamente superato la resistenza dei 4300$ (superando, di fatto, il massimo del “mini bull market” di agosto 2022 e confermando la rottura al rialzo del triangolo ascendente) e ora si dirige verso la successiva struttura dei 4600$; da non escludere un ritracciamento del prezzo a causa di potenziali prese di profitto e di territorio di ipercomprato (RSI a valori di 73 punti).
La distanza dai massimi storici si attesta a poco più di 9 punti percentuali.
E il Russel 2000?
2. LE MID-CAP: IL RUSSEL 2000
La forza espressa dal Russel 2000 (ticker “RUT”) è notevolmente inferiore rispetto a quella dell’S&P500:
• Il suo prezzo si ritrova all’interno di un canale di lateralizzazione da più di un anno, tra la struttura a 1690$ e quella a 1900$; è possibile affermare come esso sia ancora testimone di un mercato ribassista
Nell’immagine successiva è possibile osservare le più importanti strutture di prezzo:
La maggior forza del benchmark principale rispetto a quest’ultimo è esplicitato dall’indice di forza SPX/RUT:
Perché questa maggior forza?
Il Russel 2000 è più sensibile all’intensità economica di quanto lo sia l’S&P500.
• Il Russel 2000 è l’indice azionario rappresentativo delle società a media capitalizzazione di mercato. Le loro attività sono principalmente concentrate all’interno dell’area degli Stati Uniti, a differenza delle società dell’S&P500, formato da tante società multinazionali che, come dice il nome stesso, godono di commerci più “geograficamente” diversificati.
Il Russel 2000 è quindi dipendente dalla domanda interna dei consumatori statunitensi: se quest’ultima aumenta, le società all’interno dell’indice registreranno maggiori vendite, maggiori utili e quindi dei rialzi in borsa. Dal momento che i consumi sono il principale catalizzatore dell’economia americana, ne conviene la correlazione Russel-PIL.
Dimostriamo tutto ciò, osservando le correlazioni positive esistenti tra l’indice azionario stesso, il PMI manifatturiero e l’indice dell’attività economica sui servizi:
Esse sono positive! Correlando i due dati macroeconomici al prodotto interno lordo statunitense anno/anno, abbiamo la conferma di ciò che è stato espresso precedentemente.
Per chi non sapesse a cosa si riferiscono i due dati macroeconomici:
• PMI MANIFATTURIERO: Il PMI manifatturiero è un indicatore capace di esplicitare la forza o la debolezza dell’omonimo settore attraverso il sentiment dei direttori agli acquisti del settore stesso.
Quando il dato si trova al di sopra dei 50 punti, il settore è da considerarsi “in espansione”; in caso contrario, in “contrazione”
Ho parlato in maniera specifica del dato nell’analisi al link:
• INDICE BUSINESS ACTIVITY DELL’ISM SUI SERVIZI: è un rapporto che fornisce una panoramica sull’attività commerciale nel settore dei servizi; come per il PMI manifatturiero, esso oscilla tra valori superiori o inferiori a 50 punti, dove questi ultimi rappresentano lo spartiacque tra l’espansione ( >50) e contrazione (<50) del settore stesso
I settori manifatturiero e dei servizi sono fondamentali per l’economia statunitense (non per altro sono state osservate le correlazioni positive nella figura precedente).
3. LE MICROCAP
Osserviamo l’andamento di prezzo dell’ETF di iShares “IWC”, che replica un indice composto da società statunitensi a micro-capitalizzazione:
Grafico molto simile al Russel 2000:
• Dopo l’enorme rialzo dal minimo del marzo 2020 ai massimi dell’anno dopo, il prezzo ha visto una lateralizzazione terminata con un breakout ribassista a gennaio 2022. Il prezzo, negli ultimi mesi, si ritrova ad oscillare tra la resistenza dei 130$ - 137$ e l’importante supporto (più volte testato) dei 100$. Interessante la formazione di un triangolo discendente, figura di analisi tecnica ribassista
Calcoliamo ora l’indice di forza relativa tra Russel 2000 e IWC (RUT/IWC):
Lampante la forza maggiore espressa dal Russel 2000 rispetto alle micro-cap. Perché?
• Se è vero che le large-cap operano su scala globale e le mid-cap su scala nazionale, è altrettanto vero che le micro-cap presentano “un raggio di azione” ancora più ristretto, talvolta regionale.
Questo significa che esse saranno ancora più impattate dalla ciclicità dell’economia rispetto alle due precedenti
Quest’ultimo punto è ben osservabile se si osservano le correlazioni tra i due dati macroeconomici citati nel paragrafo precedente e “IWC”:
Paragonando le correlazioni dei dati macroeconomici con “RUT” (RUSSEL) e con “IWC” vi renderete conto di come quelle osservabili per quest’ultimo siano più intense nel tempo, proprio a denotare una ciclicità superiore.
In un processo di rallentamento economico (quello attuale, nella fattispecie) saranno gli utili delle micro-cap ad essere impattati più negativamente rispetto alle mid-cap: da questo ne deriva un indice di forza “RUT/IWC” rialzista.
Abbiamo dunque le società a larga capitalizzazione che sovraperformano quelle a media; queste ultime, a loro volta, sono più forti delle micro.
Cosa vorrà mai dire questo?
Ciò sarà l’argomento della prossima analisi, in cui andremo ad analizzare variabili correlate e un potenziale scenario di investimento.
Qualora qualche concetto non fosse stato chiaro, commentate pure. Buona settimana!