LA CRISI ARGENTINASVALUTAZIONE.
Come al solito, quando si parla di svalutazione di un tasso di cambio, si prendono in esame gli effetti devastanti di tale processo, senza mai convenire su una questione che poi è la vera ragione che porta alla svalutazione, ovvero all'ipervalutazione reale di un tasso di cambio tenuto artificialmente fisso per tanti, troppi anni, nei quali la mancanza di un regime di cambi flessibili, unitamente alla incapacità di produrre le riforme nei periodi di vacche grasse, hanno portato alla necessaria, ineluttabile, inevitabile svalutazione e al ritorno di un regime di cambi flessibili.
Ma deve essere altrettanto chiaro che ciò non può bastare, e le cause sono da ricercare ovviamente nell'eccesso di spesa che porta pesanti conseguenze. Nonostante abbia ricevuto 50 miliardi di dollari dal FMI nel 2019, il rating creditizio è peggiorato di cinque livelli dal 2001: è infatti passando da B2 all’attuale Ca. Una situazione complicata, dovuta al fatto che negli ultimi 10 anni l'Argentina ha notevolmente aumentato la propria spesa, con un aumento del deficit di bilancio annuale del 4% rispetto al decennio precedente.
INFLAZIONE.
E l'inflazione è decuplicata, passando dal 10% all'attuale 113%. Per combattere l’iperinflazioni, Milei, il nuovo Presidente, propone la dollarizzazione come soluzione. L'austerità fiscale è una condizione necessaria perché tale processo sia sostenibile, ma il sistema politico può realizzarla? Sebbene il concetto radicale di dollarizzazione sia attraente, il rischio principale risiede nei costi di attuazione. Dopo la vittoria di Milei alle elezioni primarie di metà agosto, la moneta si è svalutata del 20% in un paio di giorni. La crisi di fiducia è così profonda che un ulteriore stress potrebbe causare una corsa alle banche, che potrebbe tradursi in una crisi bancaria. La dollarizzazione ha anche un costo. l'Argentina avrebbe bisogno di 40 miliardi di dollari per effettuare lo swap e tradurre in dollari la base monetaria e i depositi. Dato che la banca centrale argentina ha riserve nette in valuta estera negative per 7,9 miliardi di dollari, non è chiaro chi potrebbe fornire questa liquidità in dollari. L'attuale prezzo dei titoli sovrani suggerisce che il mercato è scettico sulla capacità del governo di realizzare i propri obiettivi. E si potrebbe affermare che una buona parte delle cattive notizie è contenuta nel prezzo. In futuro, il mercato dovrà vedere le prove dell'impegno e dei risultati del nuovo governo. Questo determinerà se il debito sovrano argentino continuerà a essere scambiato all'interno di una fascia di prezzo in difficoltà o se potrà finalmente balzare in un territorio di debito sostenibile.
GLI EVENTI.
Di seguito la concatenazione di eventi che ha portato alla situazione odierna:
31/05/1969: Apparizione del primo peso argentino
Il peso argentino venne introdotto come la valuta ufficiale dell'Argentina, sostituendo il peso moneda nacional.
04/06/1981: Inizio del regime di cambio fisso.
L'Argentina adottò un regime di cambio fisso, legando il peso argentino al dollaro statunitense in un rapporto di 1 a 1.
01/12/2001: La crisi economica dell'Argentina.
L'Argentina entrò in una grave crisi economica, causando l'instabilità del peso argentino e l'aumento dell'inflazione.
05/01/2002: Abbandono del regime di cambio fisso.
A seguito della crisi economica, l'Argentina abbandonò il regime di cambio fisso e il peso argentino si svalutò significativamente.
31/12/2010: Introduzione del nuovo peso argentino.
Il governo argentino introdusse un nuovo peso argentino, noto come peso argentino convertibile, al fine di stabilizzare la valuta.
16/12/2015: Liberalizzazione del regime di cambio.
L'Argentina liberalizzò il regime di cambio, permettendo al peso argentino di fluttuare liberamente rispetto alle altre valute.
23/09/2018: Crollo del peso argentino.
Il peso argentino subì un crollo significativo a seguito di una crisi finanziaria e di una forte fuga di capitali dall'Argentina.
CHI E' IL NUOVO PRESIDENTE.
Ma chi è Milei ? Un economista che si autodefinisce anarco-capitalista e si presenta come candidato antisistema. Il suo partito personale ha trionfato nelle elezioni primarie di agosto, superando sia i peronisti (al governo dal 2003 al 2015 e dal 2019 a oggi) sia l’opposizione rappresentata da Juntos por el Cambio e guidata da Patricia Bullrich, al governo dal 2015 al 2019.
Subito dopo le primarie il governo è stato costretto a svalutare il peso argentino del 22 per cento. Una decisione già concordata prima delle elezioni con il Fmi e necessaria per ricevere un esborso di 7,5 miliardi di dollari. Ad agosto l’inflazione mensile è arrivata al 12,4 per cento.
DOLLAR BLUE.
Ma la crisi valutaria è ancora più grave perché, per tutti gli argentini, il valore del dollaro non è quello ufficiale deciso dalla banca centrale, ma il dollaro del mercato nero, il cosiddetto dollar blue. È a quel tasso che gli argentini possono cambiare i propri pesos in dollari per proteggere i risparmi dall’inflazione. Il gap tra il dollaro ufficiale (365 pesos) e quello blue (1.000 pesos) ha raggiunto negli ultimi giorni il livello record del 170 per cento. Da inizio anno il peso ha perso il 65 per cento del proprio valore, il 40 per cento da agosto.
MANOVRA FISCALE.
Alla crisi di fiducia si somma l’irresponsabilità politica del governo e dei candidati presidenziali. Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia e candidato presidente del peronismo, ha promosso una legge per alzare il limite non imponibile per le imposte sul reddito. La legge, passata grazie anche all’appoggio di Milei, esenta dall’imposta tutti i redditi mensili inferiori a 2 milioni di pesos (5.500 dollari al cambio ufficiale). Il 99 per cento degli argentini sarà esentato dall’imposta. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio si genererà così, nel 2024, un ammanco di 3 mila miliardi di pesos (8,6 miliardi di dollari). Deficit che verrà coperto con emissione monetaria visto che lo spread tra i bond argentini e americani si aggira sui 2700 punti. Ma soprattutto è un deficit che allontana l’Argentina dall’obiettivo fissato con il Fmi a marzo, e riconfermato ad agosto, di un disavanzo primario dell’1,9 per cento a fine 2023. Meta ormai virtualmente impossibile da raggiungere considerata la caduta del Pil e le minori entrate.
DOLLARIZZAZIONE.
Nel frattempo, Milei propone di dollarizzare l’economia e suggerisce di non comprare titoli in pesos perché in poche settimane quella moneta potrebbe non valere “neanche un escremento”. Dichiarazioni funzionali alla sua strategia elettorale, che però alimentano la svalutazione del peso. In un giorno il prezzo del dollaro blue è aumentato del 7 per cento, il tutto mentre la banca centrale non riesce più a intervenire sul mercato dei cambi perché le sue riserve nette sono in rosso per 5 miliardi di dollari. Se eletto, Milei si troverebbe in un labirinto: la dollarizzazione eviterebbe l’iperinflazione ma né il Tesoro né la banca centrale disporrebbero dei dollari necessari per l’operazione. Paradossalmente però l’iperinflazione lo aiuterebbe a dollarizzare l’economia. Poco importa del costo sociale. Si spiegano così le dichiarazioni del candidato-presidente sul peso e il suo assenso alla legge sulla tassazione del reddito da lavoro.
SINTESI.
La discesa del peso, la monetizzazione del crescente deficit fiscale, l’elevato debito, l’impotenza della banca centrale e l’irresponsabilità politica portano così l’Argentina a un passo dall’iperinflazione.
SAVERIO BERLINZANI ANALISTA ACTIVTRADES