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L'azionario corre, si schianterà?

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Potremmo, ogni santo giorno, ripetere sempre i medesimi concetti, riguardo ai mercati e segnalare quanto è bello questo mondo che ogni giorno ci mostra nuovi massimi storici dei listini americani, guidati quasi esclusivamente dal settore tecnologico, con una concentrazione di liquidità su pochi titoli che pare un paradosso. Senza di questi, l’S&P 500 verrebbe scambiato ai minimi storici (fonte Bloomberg).

Eppure, i mercati festeggiano quasi ogni giorno, con nuovi livelli che bucano i monitor delle sale operative. Ieri, per la verità. Dopo una apertura positiva, i listini USA hanno chiuso contrastati, con il Dow Jones in positivo dello 0.33%, mentre S&P e Nasdaq hanno chiuso in rosso dello 0.1% e 0.3%. Su base mensile, comunque, i tre indici hanno già portato a casa tra il 4 e il 7 per cento, considerando che avevano chiuso il 2023 già sui massimi, tanto che si parlava di esaurimento del rally di Natale.

Storicamente, per esperienza, possiamo dire che ci è capitato veramente poche volte, in 35 anni di presenza sui mercati, di assistere a movimenti di tale portata, senza che prima o poi vi fosse una benché minima correzione tecnica, una pausa di riflessione, chiamiamola così, nella quale i mercati potessero in qualche modo digerire i nuovi livelli e i target rialzisti raggiunti. E l’esperienza ci insegna che, meno correzioni vediamo durante un trend, poi, quando si concretizzeranno, trasformandosi eventualmente in inversioni, queste ultime diverranno devastanti.

Non vogliamo sembrare catastrofisti, anzi, abbiamo sempre affermato che questa liquidità aggiuntiva sopraggiunta e investita nei mercati azionari, arriva da lontano, come ha dichiarato Jerome Powell in occasione dell’ultima riunione del Fomc, quando ha ricordato che la resilienza USA nasce dai famosi 5 trilioni di dollari, iniettati nei mercati dall’ex Presidente Trump (3 trilioni) e dall’attuale Presidente Biden (2 trilioni), durante la crisi causata dalla pandemia.

E Powell ha infine messo in guardia gli investitori dal fatto che, quando si esauriranno gli effetti di questa enorme massa di liquidità, le conseguenze di tassi elevati, si faranno sentire. Ci schianteremo? Non si può sapere, sarebbe bello avere la bacchetta magica, ma per il momento accontentiamoci di guardare i grafici, cercando spunti operativi di breve. Non si possono fare altre previsioni.

VALUTE

Mercato valutario stabile e in equilibrio intorno ai trading range delle ultime settimane, in attesa di qualcosa che non arriva. Eppure, nel pomeriggio di ieri, qualche dichiarazione dei rappresentanti di politica monetaria, aveva lasciato intendere che potesse partire qualche movimento, ma in realtà esse non hanno aggiunto nulla di nuovo a quanto già non sapessimo, ovvero che le banche centrali rimangono prudenti e guardinghe nei confronti dell’inflazione.

EurUsd in 40 pip, così come tutti gli altri rapporti valutari, compreso lo Jpy che di solito appare più volatile, specie in questo periodo, con la BoJ che mostra un classico benign neglect nei confronti del tasso di cambio. UsdJpy che sembra puntare in ogni caso a 150.00, soglia psicologica importante, in attesa che qualcuno da quelle parti decida di alzare i tassi e ridurre la pressione sulla valuta.


ATTESA PER L’INFLAZIONE USA

Oggi pomeriggio, dopo la pubblicazione del tasso di disoccupazione inglese, e in seguito a quella dello Zew tedesco, due dati rilevanti ai fini delle price action valutarie, il vero market mover sarà la pubblicazione del CPI USA, atteso su base annua a +2.9% dal 3.4% precedente.

Su base mensile il consensus prevede un aumento dello 0.2% inferiore allo 0.3% di dicembre, mentre i numeri core, ovvero esclusi alimentare ed energia, sono per un +3.7% su base annuale e +0.3% mese su mese. Da ciò, potranno dipendere le prossime decisioni della Fed, quindi allacciamoci le cinture e prepariamoci.

Buona giornata e buon trading.

Saverio Berlinzani




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