EUR/USD: La mia visione tecnica. Prima area chiave 1.037Bentornati sul mio canale. In questa video analisi condivido la mia analisi tecnica sul cross che più di riguarda da vicino, ovvero EUR/USD.
Nella mia analisi mi concentrerò su una rottura a mio modo di vedere chiave di una struttura di prezzo che mi fa pensare a una possibile continuazione del cross a ribasso.
Auguri a tutti un buon giovedi sera e vi ringrazio per la vostra attenzione e per il vostro tempo.
Tassidiinteresse
12 Settimane di fila con chiusure al rialzoIl dxy macina record su record, lo so che non c'è molto da analizzare qui, ma voglio lo stesso fare notare che 12 settimane di fila al rialzo senza mai prendere fiato, potrebbero anticipare un cambio repentino e con molta forza. Ora. Io non credo a quello che dicono alla Fed, siamo in un'epoca dove la menzogna è l'unica cosa che conta, a fin di bene o a fin di male non fa differenza per me. Quindi possibile che ci sia un taglio dei tassi molto prima di quello che si può pensare, il bluff della Fed continua, ma prima o poi spunterà qualche cadavere importante, come qualche bella banca da centinaia di miliardi, credit suisse sembra quasi dimenticata... quasi.
Che cosa sono i TASSI d'INTERESSE e l'INFLAZIONE? Quali effetti?Oggi alle 19 ore italiane avremo 'uscita del dato sulla decisione dei tassi di interesse da parte della FED.
Attuali 4.75%
Previsto 5.00%
Significa che è previsto un aumento di 0.25%, ovvero un aumento non troppo aggressivo.
Un uscita del dato come previsto non dovrebbe variare di molto la situazione attuale, quindi situazione economiche sotto controllo.
Un uscita del dato di 0.5% invece significherebbe un aumento più aggressivo dei tassi di interesse, ciò porterebbe ad una prima variazione importante nella situazione economica.
Riguardo agli asset finanziari si tradurrebbe in Stock market Short, EU GU short, Gold Long.🇺🇸🇺🇸
Ma partiamo dall'INIZIO. Cerchiamo di capire che cos'è l'inflazione e come viene gestita dalle BANCHE CENTRALI ⬇️
Partiamo dal definire che cos’è l’INFLAZIONE:
è un fenomeno macroeconomico con il quale si indica un aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi.
Tale aumento porta, a parità di stipendi, a ridurre il potere di acquisto delle famiglie.
Le banche centrali, per cercare di contenere l’inflazione galoppante, alzano i tassi d’interesse.
Semplificando, si può dire che il tasso di interesse rappresenta il costo del denaro preso in prestito.
Più il tasso di interesse (costo del denaro) è basso più le persone sono invogliate a prendere soldi in prestito e, conseguentemente, aumenta il livello del denaro circolante nell’economia. L’aumento del denaro circolante è una delle cause che portano all’innalzamento dell’inflazione e all’aumento dei consumi.
Con l’aumento dei costi delle materie prime l’inflazione è aumentata a dismisura e a questo punto le banche centrali sono dovute intervenire alzando i tassi di interesse per cercare di ridurre i consumi e il galoppare dell’inflazione.
Vediamo in 4 passaggi cosa succede quando si alzano i tassi:
-Chiedere un mutuo, un prestito o un finanziamento sarà più costoso;
-Dato che salgono i tassi di interesse corrisposti dalle banche, tenderanno a salire anche i rendimenti dei depositi bancari;
-ci sarà meno moneta in circolazione.
-Una circolazione della moneta inferiore porta ad una riduzione dei consumi da parte dei cittadini e quindi a una minor inflazione.
EURUSD LONG - Q2 TARGET 1.15Siamo ancora in Q1, per Q intendo quadrimestre, in quanto nella mia strategia di lungo periodo ho diviso l'anno in 3 parti.
Sono un trader che non utilizza terminologie sconosciute o comprensibili a pochi, tanto meno mi immergo nella politica finanziaria a tal punto da sentirmi fagocitato da essa fare mille supposizioni e non arrivare mai all'obiettivo.
Premesso ciò, vi descrivo il mio pensiero che spero di commentare con chiunque legga questa "pappardella" sono romano, perdonatemi.
Sorvolando su Sanremo, la Schelin che forse gli sfugge, viste le sue ultime uscite, che non è capo di Governo ma capo di un partito morto ed il disastro economico in cui siamo finiti grazie alle politiche senza senso degl'ultimi 10 anni, vorrei fare chiarezza su cosa sia (a questo punto devo dire "per me") l'inflazione e cosa produce, poichè ho letto tutto il contrario di tutto e potrebbe esserci una confusione generalizzata soprattutto per tutti i saggi che lo sono diventati grazie a "l'ho letto su Facebook", che grazie al cielo sta fallendo (ero short sulle azioni FB dal 2020 con grande emozione). Da quel che ricordo, capito e quindi sempre percepito, l'inflazione non è altro che il rapporto tra il costo della vita e la possibilità di spesa. Perchè aumenta? I fattori possono essere diversi, aumento dell'approvvigionamento delle materie prime, difficoltà di sostenere il fabbisogno della popolazione, trattati economici non propriamente favorevoli (in questo noi italiani siamo campioni acclarati) ma una delle motivazioni più importanti che ha promosso l'inflazione da 5 anni a questa parte è da attribuire a tutti quegli aiuti a fondo perduto (potremmo chiamarli tranquillamente sprechi) che gli Stati sono stati costretti ad erogare (ripeto, in modo del tutto assurdo e poco lungimirante) prima, per aiutare impese e persone a generare introiti e poi, per la fantastica pandemia di cui oggi si fantasticano responsabilità addirittura divine (non volevo svelarlo ma il terzo segreto di Fatima era proprio questo, il Covid).
Quindi possiamo affermare che se fino al 2020 una persona che percepiva 1000€ di stipendio aveva un potere di acquisto almeno del 10% superiore, oggi con tutti gli aiuti messi in campo dai governi è aumentato almeno del 25%.
A questo punto cosa succede? Visto che il potere di acquisto è inflazionato del 25%, i prezzi sono aumentati in proporzione. MAGARI! Siamo nell'ordine del 35% sui beni di prima necessità e su quelli di lusso si arriva anche al 50%.
Questo meccanismo ha generato un avvitamento del sistema economico portando l'inflazione ad esplodere letteralmente in faccia ai governi provocando situazioni di imbarazzo e preoccupazione poichè il problema non è solo "riportiamo i prezzi al pre-pandemia ed abbiamo risolto" ma dobbiamo consumare tutti gli approvvigionamenti pagati a caro prezzo (vedete il NG... si è dimezzato più volte in pochi mesi ma i prezzi percepiti, alias bollette, sono scese pochissimo) e diminuire progressivamente gli aiuti alla popolazione. RDC (sono assolutamente contrario, mi spiace) Superbonus (una truffa dove il potenziale truffatore - lo Stato - è il truffato, se ci penso hanno fatto tutto da soli e nemmeno un mentecatto sarebbe riuscito a fare una cosa tanto stupida) bonus di varia natura di cui potevamo tranquillamente fare a meno se avessimo avuto un ministro dell'economia laureata in economia. Ma non pensate che negli altri Stati hanno fatto tanto di peggio, potremmo stare qui ad elencare delle situazioni da far accapponare la pelle ad un neonato.
Tutto questo per dirvi cosa? Che la Lagarde l'unica cosa saggia e condivisibile che ha detto durante tutto il suo mandato è stata "Finchè le politiche economiche dei governi non ridurranno drasticamente gli aiuti ai contribuenti i tassi di interesse saranno sempre in aumento, poichè sono l'unica arma per combattere l'inflazione crescente". Ed ha ragione.
L'aumento dei tassi di interesse producono un solo ed unico effetto: aumento del costo della valuta, con riflessione sull'aumento del costo della vita. Ecco perchè nel breve periodo potremmo assistere ad un calo dell'euro che posso ammettere fino a 1.04, visti gli ultimi dati "quasi" incoraggianti sul possibile rallentamento dell'inflazione. Ma vedo l'Europa ancora lontana dall'aver trovato una soluzione applicabile alla diminuzione dell'inflazione costante tanto sostenere una moneta con un valore buono (1.2/1.3) ed un inflazione bassa (4/6%). Di conseguenza fiber lo vedo a 1.15 nei prossimi mesi (fine Q1: aprile).
Per chiunque sia sopravvissuto alla lettura e vuole darmi un suo parere, mi fa piacere
Oro a 3.000$: grafici e fondamentali potrebbero giustificarloIl punto di vista offerto dalla analisi tecnica, da quello fondamentale desumibile dalla lettura del ciclo economico e da quello geopolitico forniscono spunti sufficienti perché la quotazione spot dell’oro di 3.000 dollari risulti, quantomeno, non ridicola.
Ad inizio anno, e prima di stappare lo spumante di fine anno, immaginare una rilevazione mensile dell’inflazione italiana al 12% avrebbe suscitato, probabilmente dopo qualche comprensibile secondo di disorientamento, un senso di ilarità.
Oggi sappiamo che è avvenuto e sappiamo anche mettere insieme agevolmente le motivazioni che lo hanno reso possibile. Questo serve per comprendere come certi fenomeni sono sempre possibili seppure poco probabili. Allo stesso modo l’oro che quota intorno ai 3.000 dollari è una possibilità seppure poco probabile. Quello che propongo in questa analisi è mettere insieme le motivazioni associate a questo scenario.
L’ORO NEI PORTAFOGLI DI INVESTIMENTO
Nei portafogli di investimento sufficientemente diversificati e razionali l’oro trova facilmente il suo spazio. I gestori di portafoglio al riguardo suggeriscono una quota che possiamo dire oscilli, a seconda delle visioni, tra un 5 e un 15 percento del portafoglio. Da questo punto di vista il motivo della sua presenza nei portafogli diversificati è quello di fungere da ombrello nel caso ci sorprenda un temporale.
L’alternativa di cercare l’ombrello mentre comincia a piovere si mostra meno efficiente visto che nel frattempo che lo cerchiamo ci saremo già un po bagnati e probabilmente lo pagheremo di più se comprato ad un angolo di via. Lo so che averlo sempre dietro a volte è scomodo ma se non si volessero avere sorprese sarebbe il prezzo da pagare.
Nonostante tutto non avremmo nemmeno la garanzia che l’ombrello faccia a pieno il suo lavoro visto che può capitare che si inceppi all’apertura o addirittura nel caso in cui dopo aperto dovessimo scoprire che è rotto.
Il concetto sotteso alla metafora è che non ci sono garanzie che in casi di avversità sui mercati l’oro si apprezzi come da noi atteso. Questo è facilmente verificabile mettendo a confronto le quotazioni con i più disparati indicatori di rischio che possano essere interpretati come espressione del sentimento degli operatori di mercato (VIX, ...).
Essendo un asset molto liquido scambiato globalmente e quotidianamente sui mercati, la visione secondo cui debba apprezzarsi in un contesto di risk off ha un difetto congenito. Infatti, sulle quotazioni dell’oro agiscono costantemente e contemporaneamente variabili diverse tra loro, per cui anche se la tendenza ad apprezzarsi in inattesi scenari di rischi diffusi dovesse correttamente innescarsi, questa non è detto che si manifesti immediatamente e con un andamento lineare.
Una delle qualità più apprezzate dell’oro è quella della decorrelazione che, in tempi e misura variabili, mostra con le principali asset class.
La visione forse più diffusa e comprensibile è, come accennato prima, quella di protezione contro eventi inattesi e particolarmente avversi. Così come da un impianto antincendio ci si aspetta che quando serve entri in funzione senza se e senza ma, similmente dall’oro si pretende rendimento quando tutto crolla.
Tuttavia, un portafoglio di investimento è come le superfici totali di vendita di un supermercato. Si tratta comunque di uno spazio limitato, quindi prezioso, dove occorre scegliere con cura cosa esporre sapendo che non è possibile avere tutto. Nel minimarket sotto casa cercando olio alimentare difficilmente troveremo, oltre al classico “miscela di oli comunitari”, contemporaneamente le eccellenze regionali, quelli bio e quelli solo italiani ma più probabilmente un solo medio tipo.
Similmente in un portafoglio troppo piccolo non posso pretendere, ad esempio, di spingere la diversificazione equity inserendo con funzione satellite magari gli alternativi come hedge fund, private equity, private credit, venture capital, infrastructure, real estate, long/short, leva finanziaria, global macro, event driven o relative value che hanno dimostrato molta dispersione nei rendimenti nello straordinario 2022.
Senza considerare la possibilità di usare leve superiori ad uno, se voglio dare sprint alle possibilità di performances posso espormi molto sugli strumenti dinamici/volatili togliendo conseguente spazio ad altro, per esempio strumenti più conservativi e capaci di esprimere meno potenziale di crescita ma magari più protezione.
Si tratta dell’eterno trade-off tra desiderio e ragione che rende sempre attuale e proponibile la frustrazione del contadino che, accanto alla moglie ubriaca vorrebbe anche vedere l’uva nella sua vigna.
Ma quali sono le variabili che hanno un’influenza diretta e sufficientemente apprezzabile sulle quotazioni dell’oro?
RENDIMENTI REALI
Sappiamo che si tratta di una materia prima disponibile in quantità non infinita per cui, similmente ad altre materie, gode dell’effetto scarsità che in alcune circostanze può incidere positivamente sulle sue quotazioni.
A mio giudizio, la relazione più affidabile e sorprendente è quella che lo lega ai rendimenti reali disponibili sul mercato. Sappiamo, infatti, che l’oro non produce rendimenti e come tale è sfavorito in momenti in cui i rendimenti reali (al netto dell’inflazione) di bond e/o equity si dimostrassero generosi in relazione alla loro media storica. Da questo punto di vista notissima è la sua relazione inversa con i rendimenti reali offerti, ad esempio, dai treasury americani a 10 anni
Si tratta di una decorrelazione robusta e tuttavia non puntuale per cui non possiamo aspettarci che in ogni momento si muova in modo coerente con le aspettative. Il motivo è, come detto in precedenza, che le quotazioni sono strattonate da ogni parte da molte altre variabili e questo impedisce la decorrelazione puntuale.
DOLLARO USA
Sappiamo anche che è quotato in dollari americani per cui perde appeal nei momenti di forza della valuta visto che costa di più comprarlo
Infatti, mostra un coefficiente di correlazione pressoché negativo ma, similmente al caso precedente, ancora una volta non puntuale.
RISK OFF
Viene anche percepito come bene rifugio cui rivolgersi quando le cose non vanno bene sul piano geopolitico. Il comportamento, ad esempio, in relazione al titolo decennale del governo americano risulta coerente con questo ruolo visto che quest’ultimo rappresenta per eccellenza il porto sicuro in caso di risk off
Ed anche qui la correlazione non è massima per una serie di motivi, nell’ultimo periodo la mancata decorrelazione tra oro e rendimento del decennale è da attribuire anche al brusco rialzo dei tassi praticato dalla FED nell’ultimo anno e dalla necessità di liquidare qualunque cosa quando eravamo in piena pandemia.
Tornando al titolo dell’analisi proposta, cosa potrebbe spingere i prezzi dell’oro ad alti e nuovi livelli nei prossimi anni? Facciamo qualche considerazione sul piano tecnico e fondamentale.
Riguardo il primo aspetto, quello che balza agli occhi osservando le quotazioni sul time frame mensile è la formazione pressoché completa di una figura tecnica abbastanza frequente in verità su grafici più veloci di questo
Si tratta della “tazza con manico” o in inglese “Cup and handle”, visto che chi l’ha per primo individuata e formalizzata è l’americano William J. O’Neil nel 1988. L’autore la classifica come una figura rialzista di inversione di trend per cui la si dovrebbe trovare solitamente alla fine di un down trend del quale ne decreta la fine.
Tuttavia, più spesso la si trova come figura di continuazione all’interno di un trend consolidato di cui rappresenta quindi, al pari di molti altri pattern, una semplice pausa. Infatti, fu Dave Landry ad ampliarne il concetto, nel senso qui sostenuto, di “Running cap and handle” cioè di continuazione.
In analisi tecnica, che ricordo sconta già nei prezzi tutte le informazioni di natura fondamentale, i molti pattern ad oggi noti ed i molti altri che potrebbero essere messi a punto hanno, in verità, alla base sempre gli stessi concetti tratti dal comportamento degli operatori che si esprimono attraverso i volumi, la prevedibilità/ripetitività dei comportamenti, gli ordini a mercato ed in pending.
Il running cap and handle (RC&H) si forma, come detto, all’interno di un trend consolidato e inizia, nell’ipotesi di un up trend, con la formazione di quello che si rivelerà essere un massimo relativo importante da cui partirà una lunga (relativamente al time frame di osservazione) fase di vendite che sovrastano i rialzisti producendo quella che si chiama “distribuzione”.
In questo caso importante è l’osservazione dei volumi che devono essere necessariamente in calo per poter classificare come correttivo il movimento. Questi infatti seguono l’andamento curvo del pattern che disegna il fondo della tazza per cui saranno in calo fino al fondo per poi aumentare con la risalita, confermando che il trend dominante è quello rialzista, fino a rivedere il massimo relativo precedente e completare così la tazza. Questo comportamento dei volumi, come detto, è fondamentale per potere considerare efficace la figura.
Quando i prezzi rivedono i precedenti massimi si innesca una contesa tra operatori già presenti sul mercato a quei prezzi e altri che hanno comprato soprattutto sul fondo della tazza e che da li hanno prodotto la spinta al rialzo per cui le vendite innescano un pullback su quei livelli producendo, con volumi in calo come si addice ad ogni pullback, una correzione che formerà il manico, ciò che oggi è in atto e che non deve per regola produrre un ritracciamento superiore al 50% del movimento rialzista partito dal fondo della tazza.
Il manico, dunque, non rappresenta altro se non una pausa del trend rialzista ripreso a correre dal fondo della tazza e quindi, come una qualunque flag o pennant dovrebbe preludere alla nuova esplosione dei volumi in acquisto che dovrebbe coincidere con la definitiva rottura della neckline rappresentata dalla linea che collega i due massimi relativi.
A quel punto la miccia è accesa e, se il pattern manterrà le promesse, dovremmo assistere ad una accelerazione del trend alimentata dalle ricoperture di coloro che si sono posti short al test del precedente massimo, insieme ai rialzisti che aspettavano la rottura del massimo per entrare o aumentare l’esposizione.
Riguardo al target che è possibile raggiungere, la regola ancora una volta vuole che sia collocato al livello della proiezione, a partire dalla rottura della neckline, dell’altezza del pattern e cioè l’intero movimento espresso dalla distanza tra fondo tazza e neckline per cui viene fuori il livello dei 3.000 dollari circa
Personalmente non considero mai come matematiche queste proiezioni, suggerendo piuttosto di concentrarsi sull’auspicato movimento impulsivo che origina dalla rottura della neckline cercando di sfruttarlo nel modo migliore possibile.
La RC&H si considera completa allorché i prezzi rompono con decisione, cioè con accelerazione evidente dei volumi scambiati, la linea che collega i due massimi precedenti (neckline). Cosa che non è ancora avvenuta.
Al solito esistono due modalità di ingresso. Una che prevede di acquistare tout court la rottura della neckline con stop sul minimo del manico e profit canonico alla proiezione dell’altezza della figura.
Una seconda, più conservativa, prevede di attendere che i prezzi dopo la rottura della trendline ritraccino con volumi in calo a ritestare il livello appena infranto e qui attendere un opportuno set-up per entrare long.
L’una e l’altra presentano, come spesso avviene, vantaggi e contro.
La prima ha il vantaggio di acciuffare il rialzo nel caso in cui i prezzi non dovessero tornare indietro a formare il pullback, ma hanno lo svantaggio di spuntare un prezzo di ingresso probabilmente alto nel caso la rottura fosse accompagnata da esplosione di volumi e quindi da prezzi in rapida salita.
Altro contro non trascurabile è quello di incappare eventualmente in un falso segnale per cui i prezzi dopo una veloce escursione sopra la neckline ritornano sotto di essi (bull trap) con il serio rischio di vedersi avvicinare lo stop loss.
La seconda presenta certamente il vantaggio di evitare con quasi certezza il falso segnale visto che non si apre il long immediatamente ma si attende un ritracciamento dei prezzi. Quasi certamente perché comunque non siamo al sicuro nel caso in cui acquistassimo dopo il pullback visto che il falso segnale si può materializzare anche in quella occasione.
Tuttavia, è un’evenienza meno frequente. Presenta invece il non trascurabile svantaggio di lasciarsi scappare l’occasione nel caso in cui, abbastanza frequente, i prezzi non avessero alcuna intenzione di fare la sosta per il pullback.
Ad ognuno, in base alle proprie attitudini, la propria scelta.
Tuttavia, nei mesi scorsi è avvenuta una cosa interessante
Esiste anche un tentativo di ingresso long anticipato, di solito attuato dai traders più aggressivi, che prevede di acquistare non alla canonica rottura del bordo superiore della tazza ma della trendline ribassista che ha portato alla formazione della prima parte del manico.
Se il tentativo andasse a buon fine produrrebbe due interessanti effetti che sono l’uno il riflesso dell’altro. Da una parte si riduce l’ampiezza assoluta della perdita potenziale visto che il livello di entrata è più vicino allo stop. Dall’altra, di conseguenza, migliora notevolmente il rapporto reward/risk visto che si passerebbe da 2 circa, cioè un rendimento atteso pari al doppio del rischio corso, a 6,5 volte circa.
Ovviamente, non è scontato che scegliere l’opzione che promette un reward/risk notevolmente più elevato sia la scelta più efficiente perché la probabilità di successo ad essa associata è notevolmente più bassa rispetto al caso più conservativo. Infatti, dopo l’acquisto è molto più alto il rischio che i prezzi scendano fino a toccare lo stop.
Questo per due motivi visto che lo stop è molto più vicino al prezzo corrente e perché esiste una volatilità dei prezzi che caratterizza lo strumento e che potrebbe rivelarsi inadeguata all’ampiezza assoluta dello stop.
Una prova di quanto detto è proprio contenuta nel grafico su dove si vede che chi avesse acquistato la rottura della trendline ribassista sarebbe incorso in un falso segnale ed avrebbe incassato la perdita visto che i prezzi sono tornati indietro fino a toccare lo stop loss. In verità anche i volumi non erano affatto coerenti con un ingresso long visto che dalla rottura di una tale trendline ci si aspetta molta partecipazione dal mercato per essere classificata come affidabile.
Ancora una volta una prova di come nei mercati, e nel trading, non ci siano i pasti gratuiti o le illuminazioni geniali sfuggite a tutti: qualunque comportamento tenuto in termini di posizionamento sul mercato può immediatamente essere prezzato in termini di rischio corso. Punto.
Abbandoniamo ora lo scenario tecnico e proviamo ad immaginare quale dovrebbe essere il contesto macroeconomico, ci spostiamo quindi sul piano fondamentale, capace di giustificare prezzi dell’oro a 3.000$.
Ripercorrendo le precedenti considerazioni circa i fattori che hanno diretta influenza sulle quotazioni e immaginando l’evoluzione dello scenario economico più prevedibile, cioè quello che catalizza il maggior consenso tra gli operatori qualificati (Banche Centrali, Banche d’affari, gestori di patrimoni, enti sovranazionali, …) ci accorgiamo che in fondo parliamo di qualcosa che potrebbe realmente avverarsi.
Se pensiamo ai tassi di interesse reali, che come visto sembra essere il riferimento più affidabile in termini di correlazione, il livello attuale elevato rispetto alla media storica e soprattutto quella più recente suggerisce che le possibilità che restino su questi livelli o più elevati sono minori rispetto al caso opposto.
Il ritardo con cui si manifestano le conseguenze sull’economia dell’aumento dei tassi di interesse, lo scenario di inflazione appiccicosa che non cala quanto desiderato ed i tassi che rimangono alti per lungo tempo potrebbero sostenere i rendimenti reali per qualche tempo ancora ma l’indebolimento economico atteso, come suggerito ad esempio dagli indici PMI in costante deterioramento, potrebbero rapidamente rovesciare il contesto inducendo le banche centrali ad intraprendere il sentiero del taglio dei tassi.
Questo scenario porterebbe con sé un’accelerazione dell’indebolimento degli utili aziendali e con essi dei multipli (quotazioni) mentre gli acquisti sui bond ridurranno i loro rendimenti. Tutto ciò sosterrà le quotazioni dell’oro visto che gli investimenti alternativi con cui compete saranno più deboli.
Dal lato valutario, probabilmente il dollaro americano è prossimo al suo picco di medio periodo visto che gli USA sono prossimi al picco dei tassi per cui progressivamente vedremo ridurre il divario coi tassi a breve delle altre aree valutarie.
Tassi a breve più elevati sono attrattivi per i flussi di liquidità per cui sostengono la valuta locale. Il fenomeno è ben fotografato dall’indice del dollaro che mette la valuta americana a confronto con le altre principali valute
Inoltre, la prospettiva di indebolimento dell’economia americana produce naturalmente un indebolimento della sua valuta e visto che l’oro è quotato in dollari ne trarrebbe beneficio risultando meno caro.
In ultimo, il FMI di recente ha previsto che nel 2023 un terzo delle economie mondiali sarà in recessione. In generale la debolezza economica porta con sé un peggioramento come detto della redditività delle aziende, disoccupazione in aumento e compressione degli investimenti. Un quadro che storicamente porta a preferire i cosiddetti porti sicuri tra cui l’oro.
In definitiva, il contesto recessivo o di generica debolezza economica diffusa genera un generale sentimento di cautela e di ricerca di protezione anche da eventi ostili ed inattesi sul piano geopolitico per cui l’aumento dell’allocazione della liquidità all’oro risulta più sostenuta.
BOTTOM LINE
Cercando di mixare i due piani di analisi, tecnica e fondamentale, potremmo dire che lo scenario di prezzi vicini ai 3.000 dollari sarebbe quello che mette i fila tutti i fattori esaminati, una sorta di allineamento di pianeti che potrebbe favorire il sostegno all’oro.
Anche da un punto di vista temporale, il tempo necessario al completamento della figura tecnica del RC&H esaminata risulta compatibile con i tempi degli sviluppi degli eventi illustrati sul piano fondamentale. Siamo, infatti, in attesa che possa completarsi il manico il che potrebbe richiedere qualche mese in armonia con lo sviluppo fin qui osservato dal grafico.
Non resta che attendere.
Il Mercato non sconta i dati della FED. A chi credere?Lo scorso 14 Dicembre, il presidente della Federal Reserve ha affermato che la Banca Centrale Americana non è vicina a terminare la sua campagna di aumenti dei tassi di interesse poiché, stando ai dati in essere, i dati sull'inflazione risultano essere troppo elevati.
"Abbiamo ancora molta strada da fare" , ha commentato Powell durante la sua conferenza stampa, dopo l'aumento dei tassi di interesse di 50 punti base a seguito del FOMC. Secondo le loro previsioni mediane, i tassi previsti dai Policymakers si concluderanno il prossimo anno al 5,1%, prima di essere poi ridotti al 4,1% nel 2024. (vedi Dot Plot Chart di Dicembre diffuso dalla FED).
E qui si nota una discrepanza tra il dato previsionale sui tassi nel 2023 e quanto effettivamente scontato dal Mercato.
Utilizzando i Tickers:
ZQH2023
ZQM2023
ZQU2023
ZQZ2023
è possibile visualizzare i 30 DAY FEDERAL FUNDS FUTURES dei periodi di Marzo, Giugno, Settembre, Dicembre, attualmente a:
ZQH2023: 95.310
ZQM2023: 95.165
ZQU2023: 95.265
ZQZ2023: 95.580
Sottraendo a 100 i dati di cui sopra (TradingView permette di poter definire la funzione, e salvarla, digitando il dato direttamente sulla barra di ricerca del simbolo), è possibile calcolare agevolmente il valore del tasso di interesse che il Mercato sconta nel periodo di riferimento, rispettivamente a:
100-ZQH2023: 4,690
100-ZQM2023: 4,835
100-ZQU2023: 4,735
100-ZQZ2023: 4,420
Il dato maggiore è rappresentato dal 100-ZQM2023 al 4,835%, distante 26,5 punti base dal 5,1% dichiarato dalla FED.
Se consideriamo il dato di Dicembre (valore di riferimento per il dato previsionale divulgato dalla FED) il valore è nettamente sottostimato.
Questo scostamento fa riflettere e dimostra ancora una volta come il Mercato non stia credendo alla FED e stia scommettendo su una politica economica più accomodante.
A chi credere?
Saluti e buona Domenica,
Silvio Esposito
Divergenza tra S&P500 e Advance Decline LineVi riporto qui il grafico dell'S&P500 in cui possiamo notare il downtrend confermato dal rimbalzo sulla trendline di qualche giorno fa. Inoltre oggi abbiamo avuto l'ulteriore conferma dall'Advance Decline Line, infatti come potete notare c'è una divergenza tra il mercato azionario e questo indicatore.
Vi ricordo che l'Advance Decline Line rappresenta il numero di azioni che stanno salendo contro il numero di azioni che stanno scendendo, in questo caso calcolato sotto forma di cumulata.
Cosa significa ciò? Che gli Smart Money stanno uscendo dal mercato e di conseguenza possibile Short.
Correlazione tra i rendimenti delle OBBLIGAZIONI e I FEDFUNDSEcco quando investire in obbligazioni!
Tutti coloro che sono interessati a questo tipo di investimento sapranno che le obbligazioni hanno una cedola fissa, ovvero un tasso di interesse costante fino alla scadenza del contratto. Ovviamente il nostro obiettivo è quello di comprare obbligazioni quando la cedola è più alta possibile... ma come capirlo?
In questo grafico che ho riportato puoi notare la cosa che maggiormente influenza i tassi di interesse, ovvero i FEDFUNDS (il tasso di interesse imposto dalle banche centrali). Di conseguenza se noi attraverso le nostre analisi riusciamo a prevedere come si comporterà la FED, sapremo anche quando è il momento migliore per comprare obbligazioni.
Per investire in obbligazioni ci sono principalmente due strade:
Comprare obbligazioni quando il tasso di interesse è più alto possibile. Vi ricordo che una volta comprate delle obbligazioni, anche se il tasso di interesse di quelle obbligazioni scenderà noi comunque guadagneremo l'interesse a cui le abbiamo comprate, perché vi ricordo che la cedola è FISSA.
Comprare un ETF su obbligazioni che traccia il prezzo delle obbligazioni. Una cosa ben nota nel mondo della finanza è che il tasso di interesse delle obbligazioni è inversamente correlato al prezzo delle obbligazioni. Di conseguenza se attraverso la nostra analisi riusciamo a capire quando la FED smetterà di alzare il tasso di interesse ma anzi lo abbasserà, e il prezzo dell'obbligazione salirà per quanto appena detto, potremo investire nell'ETF sulle obbligazioni. I due ETF che seguo sono TLT oppure IDTL (per gli investitori europei).
Inflazione USA ed andamento mercato dei BondLa prima pubblicazione di questo setup sul grafico dell'andamento dell'inflazione USA e tasso di sconto della FED, risale a Febbraio'22 e l'allego qui di seguito.
In questi 7 mesi, che è successo un po' di tutto: dalla invasione Russa ai danni dell'Ucraina che continua ed è stata tutt'altro che una guerra lampo, alla risalita dei rendimenti obbligazionari, con relativa caduta del valore del bond, all'impennata delle materie prime, conseguenza prima della crescita dell'inflazione.
I dati sull'inflazione rilasciati poco fa, è risultato ancora in crescita, arrivando ad un tasso annuo di 8,3% rispetto al consenso previsto dal mercato del 8,1%. Va detto in diminuzione rispetto all'andamento annuale di Luglio che viaggiava a 8,5% ma il dato mensile però è aumentato dello +0,1 rispetto al nullo di Luglio. Così come sono aumentati i generi alimentari passando da 5,9% a 6,3%.
Guardando il grafico aggiornato ad oggi , possiamo notare che comunque l'inflazione sta ancora viaggiando a contatto con la diagonal trend centenaria, che sta facendo da resistenza. Se pur rotta il mese scorso, non abbiamo avuto questo mese un accelerazione oltre il livello precedente.
Sembrerà di poca consolazione, ma al momento va interpretato come di buon auspicio per il contenimento dei prezzi.
Nella parte bassa dei grafici abbiamo il tesso interesse Fed ed andamento rendimenti che sono ovviamente in ascesa.
Attenzione che il rendimento dei Bond ha ancora ampio spazio di crescita.
STRATEGIA SPREAD TRADING INTERMARKETBuongiorno a tutti.
Ho deciso di mostrarvi come nelle ultime settimane ho operato sui mercati finanziari attraverso la costruzione di un’operazione in spread trading Nvidia-Caesars Entertainment.
Pubblico la strategia in quanto essa è molto attinente a tutti gli argomenti trattati nelle ultime settimane, tra i quali:
• Aspettative degli investitori
• Federal Reserve
• Tassi di interesse e Jackson Hole
Buona lettura.
IL CATALIZZATORE CHE SPINGEVA AL RIALZO IL MERCATO AZIONARIO
Iniziamo a specificare il motivo per il quale il mercato azionario dal 17 giugno iniziava a muoversi al rialzo, invertendo (almeno nel breve periodo) la sua traiettoria ribassista: il mercato iniziava a scontare una Federal Reserve meno aggressiva. Questa mia visione era spiegata grazie al contratto sul future Fed Funds a scadenza dicembre 2022 (ticker ZQZ2022):
Come spesso ho specificato, quanto più il prezzo del contratto di un future Fed Fund ad una determinata scadenza scende, tanto più a quella scadenza il mercato andrà a scontare una Federal Reserve più aggressiva (con conseguente aumento hawkish sui tassi di interesse). Come si può osservare nella grafica, il contratto a scadenza dicembre 2022 arrestava la sua corsa al ribasso il 14 giugno 2022, andando successivamente a lateralizzare: questa era stata la prova che gli attori del mercato iniziavano a scontare una FED più “dovish”.
Come si è comportato l’S&P500 nello stesso periodo? È ripartito al rialzo, correlandosi positivamente con lo stesso contratto preso finora in considerazione!
Anche le obbligazioni high yield (etf HYG) ad alto rischio hanno avuto lo stesso comportamento se correlate al contratto a scadenza dicembre 2022:
Possiamo dunque affermare che l’arrestarsi della corsa al ribasso da parte del contratto scadenza dicembre 2022 abbia impattato in maniera positiva su asset ad alto rischio, come azionario ed obbligazionario high yield. La rinnovata serenità degli investitori era certificata dal VIX, infatti:
Quando il prezzo del contratto iniziava a lateralizzare all’interno del rettangolo colorato di rosso, l’indice di volatilità iniziava a sgonfiarsi, passando dal massimo relativo dei 34 punti ai 19,5. Che significa ciò? Che man mano che gli investitori scontavano una FED meno aggressiva, le paure svanivano di pari passo.
Ho quindi creato un indice di forza che mi fornisse essenzialmente il sentiment degli investitori: sapendo che la positività e il rialzo del mercato azionario derivava dal fatto che essi scontavano una FED meno aggressiva e la paura poteva manifestarsi attraverso l’apprezzamento del VIX, come poteva mai essere lo stesso? FUTURE FED FUND SCADENZA DICEMBRE 2022/VIX:
Quanto più saliva l’indice di forza, tanto più il mercato scontava una FED più “colomba”, lasciando spazio al rialzo del mercato azionario che, guarda caso, aveva iniziato a creare l’ultimo impulso rialzista proprio in concomitanza con l’inizio dell’apprezzamento di breve periodo dell’indice di forza, segnalato nella grafica dal canale ascendente di color giallo:
Il fatto che gli attori del mercato immaginassero una Federal Reserve più dovish era legata in maniera diretta alle aspettative di inflazione: infatti, nello stesso periodo, sia loro che gli analisti si aspettavano una lettura per luglio 2022 inferiore al dato precedente, che si attestava al 9.1% anno/anno. Questo è dimostrato grazie al grafico sulle aspettative di inflazione a 10 anni (con ticker “T10YIE”, in blu), ribassista, e dalle aspettative degli analisti che, attraverso i loro modelli statistici, scontavano un decremento sul dato del CPI all’8.7% anno/anno.
L’aspettativa di un’inflazione più bassa rispetto alla lettura del dato precedente era sicuramente dettata principalmente da due motivi:
1. Il calo dei prezzi del petrolio, a cui le aspettative di inflazione sono correlate positivamente
2. L’aumento dei tassi di interesse
Per completare questo paragrafo, condivido una grafica reperita dal sito Fed Watch Tool (www.cmegroup.com) per mostrarvi le diverse probabilità riguardanti il livello che i tassi di interesse avrebbero avuto a fine anno (a dicembre):
• 50% di probabilità di tassi di interesse al 3.25%/3.50%
• 32% di probabilità di tassi di interesse al 3%/3.25%
• 17% di probabilità di tassi di interesse al 3.50%/3.75%
• 0.4% di probabilità di tassi di interesse al 3.75%/4%
Tenete bene a mente questa grafica. Sarà di rilevante importanza nei paragrafi seguenti.
QUANDO L’INFLAZIONE SI ATTESTA A LIVELLI PIU’ BASSI RISPETTO AL DATO PRECEDENTE DECIDO DI APRIRE L’OPERAZIONE IN SPREAD
Giungiamo dunque al 10 agosto: il dato sul consumer price index dà ragione agli investitori e agli analisti, attestandosi al +8.5% anno/anno (dato inferiore alle aspettative di +8.7% anno/anno):
Come hanno reagito i benchmark azionari dopo la lettura del dato? Direi alla grande:
• +2.07% per l’S&P500
• +2.77% per il Nasdaq
Una lettura del dato al di sotto delle aspettative calmava ulteriormente i mercati; questo è ben evidenziato dal VIX che, il 10 agosto, registrava la formazione di una candela dal -9.33%:
Dal momento che le aspettative del mercato secondo le quali la Federal Reserve si sarebbe dimostrata meno aggressiva erano state supportate dalla lettura del dato sull’inflazione in decremento (e vista la reazione positiva dei benchmark azionari alla lettura del dato), ho deciso di aprire un’operazione in spread.
Perché non un’operazione in acquisto dal momento in cui il mercato forniva i tipici segnali di risk-on? Perché non mi fidavo troppo di ciò che scontava il mercato: la scommessa secondo cui la FED si sarebbe dimostrata più “dovish” era giusta?
Ho dunque considerato degli indicatori di “rischio”. Essi sono:
• S&P500/VIX (ES1!/VIX)
*quando si è in risk on, l’S&P500 sovraperforma l’indice di “paura” e l’indice di forza sale; quando si è in risk off le agitazioni sui mercati fanno da padrone e l’indice scende, con relativa sovraperformance del VIX rispetto al benchmark azionario
• NASDAQ/VXN (NQ1!/VXN)
*quando si è in risk on, il Nasdaq sovraperforma l’indice di “paura” e l’indice di forza sale; quando si è in risk off le paure sui mercati prendono piede con relativa discesa dell’indice
• SETTORE DEI BENI CICLICI/SETTORE DEI BENI DIFENSIVI (XLY/XLP)
*in risk on il settore dei beni ciclici tende a sovraperformare quello dei beni difensivi (con relativo trend rialzista dell’indice di forza); in risk-off accade l’esatto contrario (con l’indice in trend ribassista)
• SETTORE TECNOLOGICO/SETTORE DEI BENI DIFENSIVI (XLK/XLP)
*in risk on il settore tech tende a sovraperformare quello dei beni difensivi (con relativo trend rialzista dell’indice di forza); in risk-off accade l’esatto contrario (con l’indice in trend ribassista)
• AZIENDE AD ALTO BETA/AZIENDE A BASSO BETA (SPHB/SPLV)
*in risk on le aziende ad alto beta sovraperformano quelle a basso beta (con relativo trend rialzista dell’indice di forza); in risk-off accade l’esatto contrario (con l’indice in trend ribassista)
• OBBLIGAZIONI SOCIETARIE INVESTMENT GRADE A BREVE SCANDENZA/OBBLIGAZIONI SOCIERATIE INVESTMENT GRADE A LUNGA SCADENZA (VCSH/VCLT)
*in risk on gli investitori preferiscono obbligazioni a lunga scadenza (VCLT,che offrono rendimenti migliori) rispetto a quelle a breve scadenza (VCSH, che offrono rendimenti peggiori), con la relativa salita dell’indice di rischio. In risk off accade il contrario, con l’indice di forza in trend opposto
• OBBLIGAZIONI HIGH YIELD A BREVE SCADENZA/OBBLIGAZIONI HIGH YIELD A LUNGA SCADENZA (SHYG/HYG)
*in risk on gli investitori preferiscono obbligazioni a lunga scadenza high yield (HYG,che offrono rendimenti migliori) rispetto a quelle a breve scadenza (SHYG, che offrono rendimenti peggiori), con la relativa salita dell’indice di rischio. In risk off accade il contrario, con l’indice di forza in trend opposto
• SPREAD OBBLIGAZIONARIO AD ALTO RENDIMENTO (BAMLH0A0HYM2)
*in risk on lo spread tende a contrarsi mentre in risk off ad allargarsi
Ad ogni linea di prezzo applico tipicamente tre diverse medie mobili:
• Una mensile, a 30 periodi (che mi fornisce la tendenza del prezzo a livello mensile, in blu)
• Una a due mesi, a 60 periodi (che mi fornisce la tendenza del prezzo negli ultimi due mesi, in verde)
• Una a tre mesi, a 90 periodi (che mi fornisce il trend degli ultimi tre mesi, in rosso)
Lo stesso avevo fatto negli indicatori di rischio. Notate una cosa:
Nessun indice di rischio mi dava una completa sicurezza che fossimo effettivamente entrati in territorio di risk-on. Perché?
• Considero un trend rialzista quando la media mobile mensile sta al di sopra di quella a due mesi che, a sua volta, sta al di sopra rispetto a quella a tre mesi:
• Considero un trend ribassista quando la media mobile mensile sta al di sotto di quella a due mesi che, a sua volta, sta al di sotto rispetto a quella a tre mesi:
Appurato il fatto che alcuni indici di rischio devono essere “totalmente” rialzisti mentre altri “completamente” ribassisti per fornirmi un chiaro di segnale di risk-on, vi sembra che in prossimità e in corrispondenza del 10 agosto la configurazione delle medie mobili negli indici di rischio fosse quella? Direi di no. In alcuni la media mobile a due mesi non aveva sorpassato al rialzo quella a tre mesi, mentre in altri non era accaduto il caso opposto. Questo è il motivo per il quale prendevo la decisione di aprire un’operazione in spread!
Opero tipicamente in questo modo quando non ho il 100% dei segnali che mi indichino dei chiari dati oggettivi.
Tornando a monte, dal momento in cui il mercato scontava un picco dell’inflazione e una FED meno aggressiva e lo stesso era stato accontentato dalla lettura del 10 agosto, l’11 agosto, seguendo “le briciole e la dialettica degli investitori”, ho deciso di aprire lo spread, acquistando e vendendo le seguenti aziende:
• Caesars Entertainment (CZR) in acquisto
• Nvidia (NVDA) in vendita
Perché queste due aziende?
I COEFFICIENTI BETA DI CZR E NVDA: PERCHE’ LA SCELTA È RICADUTA SU QUESTE DUE AZIENDE?
Sapete come viene definito il coefficiente beta? Lo spiegherò brevemente.
Un coefficiente beta esprime l’aggressività di un titolo. È un valore che oscilla intorno a valori di 1.
I settori o i titoli con beta superiore ad 1 sono quelli considerati rischiosi vista la loro volatilità, mentre quelli con beta inferiore ad 1 sono quelli considerati “difensivi”; infatti:
• Un titolo con un beta superiore ad 1, ad esempio 1.5, tenderà a muoversi 1.5 volte rispetto al suo mercato di riferimento, sia al rialzo che al ribasso
• Un titolo con un beta inferiore ad 1, ad esempio 0.5, tenderà a muoversi 0.5 volte rispetto al suo mercato di riferimento, al rialzo o al ribasso
I beta di CZR e NVDA sono:
• CZR: 2.78
• NVDA: 1.65
Questo significa che ad una performance dell’S&P500 pari al +1.3%, la performance attesa dei due titoli sarà:
• CZR: 2.78 x 1.3% = 3.6%
• NVDA: 1.65 x 1.3% = 2.15%
Ad una performance negativa da parte dell’S&P500 pari al -3%, le diverse performance attese saranno invece:
• CZR: 2.78 x (-3%) = -8.34%
• NVDA: 1.65 x (-3%) = -4.95%
Perché la scelta è ricaduta su queste due aziende?
Gli scenari che dal 10 agosto in poi potevano realizzarsi essere essenzialmente due:
1. Il mercato avrebbe continuato a scontare una FED meno aggressiva e il riflesso di ciò avrebbe dato continuità al rialzo del mercato azionario
2. La FED avrebbe potuto smentire le aspettative dei mercati e il riflesso di ciò si sarebbe potuto materializzare in un nuovo impulso ribassista dello stesso mercato equity
Capito ciò:
• Se si fosse concretizzato lo scenario 1, ipotizzavo che il mercato azionario (S&P500) avrebbe potuto realizzare una performance del +7% raggiungendo il point of control volumetrico del trend ribassista di tutto il 2022, coincidente con la soglia dei 4500$:
Per i coefficienti beta di CZR E NVDA, il guadagno atteso sarebbe stato:
CZR: 2.78 X 7% = 19.5%
NVDA: 1.65 X 7% = 11.6%
Dal momento in cui NVDA era aperta in short, il guadagno totale ipotetico sarebbe stato:
GUADAGNO TOTALE IPOTETICO: (19.5-11.6) % = 8%
Avrei in quel caso ottenuto un buon guadagno grazie all’aggressività di CZR, con un beta notevole! Quanto più si sarebbe mosso al rialzo il benchmark tanto più CZR, in teoria, si sarebbe mosso 2.78 volte in più!
Però per quanto riguarda lo short, perché proprio NVDA?
• Se la FED in un modo o nell’altro avesse smentito i mercati su temi riguardanti inflazione e tassi di interesse, che settore avrebbe probabilmente sofferto di più? Il settore tecnologico, pesantemente growth! Per quale motivo? Perché tutti i titoli growth hanno un forte potenziale di crescita e basano i loro guadagni sul futuro:
- Tassi di interesse più alti avrebbero impattato negativamente riducendone le valutazioni
- Inflazione più alta avrebbe eroso i potenziali guadagni futuri
Ecco il motivo per il quale ho scelto NVDA come short!
Esiste tuttavia un secondo motivo: anche l’azienda tech è considerata aggressiva considerato il suo beta, motivo per il quale se si fosse materializzato lo scenario 2 avrei potuto ottenere dei buoni guadagni potenziali.
COME HO IMPOSTATO L’OPERAZIONE
Come ho spiegato nel paragrafo precedente l’11 agosto, seguendo “le briciole e la dialettica degli investitori”, ho deciso di aprire lo spread, seguendo lo scenario 1. Qual è stato il segnale di entrata?
Ho creato un indice di forza tra CZR e VIX. Perché? Quanto più l’indice saliva, tanto più Caesars Entertainment batteva le paure (metaforicamente parlando, quanto più saliva l’indice, tanto meno si palesava la paura di investire nell’azienda):
L’11 agosto la media mensile sorpassava al rialzo quella a due mesi. Quello è stato il segnale di acquisto su CZR, acquistata a 50.20$ che, oltretutto, aveva completato un testa e spalle di inversione, come mostrato nella grafica:
Allo stesso tempo aprivo lo short su Nvidia:
TUTTE LE FASI DELL’OPERAZIONE IN SPREAD
Fino al 17 agosto il clima sui mercati era invariato; alla stessa data l’operazione era in profitto, infatti:
CZR mi guadagnava il 3.7% mentre NVDA mi perdeva il -1.1%:
Poi…qualcosa è cambiato!
LE ASPETTATIVE DEL MERCATO INVERTONO LA ROTTA: SI CONCRETIZZA LO SCENARIO 2
Il 17 agosto venivano pubblicati i verbali del FOMC della riunione del 26-27 luglio, in cui emerge che “i banchieri della Federal Reserve sono unanimi nel ritenere che continuare a spingere i tassi di interesse ad un livello restrittivo sia necessario per far scendere l’inflazione verso l’obiettivo della banca centrale del 2%”. Questi verbali cambiavano le aspettative del mercato che, i giorni dopo, iniziavano a scontare una FED più aggressiva, infatti:
Si pensi che, ad inizi agosto, il mercato scontava tassi di interesse a fine anno nelle seguenti probabilità:
• 0.8% di probabilità di tassi finali al 4%
• 17% di probabilità di tassi finali al 3.75%
• 32% di probabilità di tassi finali al 3.25%
• 50% di probabilità di tassi finali al 3.5%
Dopo i verbali del 17 agosto tutto si è capovolto, con probabilità maggiori di tassi a fine anno non più al 3.5%, bensì al 3.75% (tale possibilità, ad inizi agosto, era segnalata a soli 17 punti percentuali).
Questo per me è stato un cambio di scenario, confermato da un ulteriore aspetto:
Lo stesso indice di forza CZR/VIX, che mi segnalava l’entrata a mercato l’11 agosto, ora mi segnalava l’uscita: apertura del 22 agosto con gap-down al di sotto della media mobile mensile.
Dopo queste considerazioni ho chiuso lo stesso giorno l’operazione long su CZR con una perdita del -9.76%:
e ho lasciato correre al ribasso l’operazione su Nvidia (visto e considerando che si stava realizzando lo scenario 2), che il 22 agosto mi stava realizzando un profitto del -4%:
Come potete osservare avevo impostato lo stop loss a breakeven. Il motivo?
• Non ero disposto a perdere più di 9 punti percentuali nell’operazione in spread
• Il 24 agosto l’azienda avrebbe comunicato gli earnings, motivo per il quale poteva esistere la possibilità che il prezzo aprisse le contrattazioni con un gap-up molto ampio come spesso abbiamo assistito
I giorni seguenti gli attori del mercato hanno scontato una politica monetaria sempre più restrittiva, come raffigura la grafica:
Le probabilità di tassi finali al 4% hanno preso ora il sopravvento sulle altre. Si pensi che ad inizio agosto le stesse probabilità erano nulle.
A questo punto ho chiuso l’operazione short su Nvidia che, da manuale, mi realizza un profitto del 16.18%:
Il profitto finale dello spread è così attestato:
• PROFITTO FINALE = PERFORMANCE NVDA – PERFORMANCE CZR = (16.18-9.76)% = 6.42%
• RAPPORTO RISCHIO/RENDIMENTO 1.64
Molti di voi mi chiederanno il motivo per il quale ho chiuso l’operazione su Nvidia in maniera forse troppo frettolosa. Avevo bisogno di liquidità dal momento in cui il mercato potrebbe presto fornirci, a parer mio, delle buonissime occasioni.
Strategia di spread trading intermarket tra CZR e NVDA.
Grazie per l’attenzione e buon weekend, Matteo Farci
COME MISURARE LE ASPETTATIVE DI INFLAZIONE E I TASSI REALIBuongiorno a tutti.
Dopo aver trattato diverse analisi riguardanti il mondo obbligazionario (che potete trovare all’interno del profilo), tra le quali:
• Titoli di stato governativi
• Curva dei rendimenti
• Tips
• Obbligazioni societarie investment grade e high yield
• Spread obbligazionario ad alto rendimento
• Spread BTP-BUND
• Correlazione tra obbligazioni e diverse asset class (materie prime, dollaro, mercato azionario)
Oggi tratterò un nuovo argomento: i rendimenti (o tassi di interesse) reali e le aspettative di inflazione del mercato. Questo argomento richiede tante righe di letture, motivo per il quale ho deciso di scomporlo in tre parti; questa rappresenta la prima, vi svelerò quali sono le due seguenti a fine analisi.
Gli obiettivi dell’analisi sono i seguenti:
1. Capire la differenza tra il rendimento nominale e reale di un’obbligazione
2. Capire cosa sono i “tassi di pareggio” o “tassi di breakeven” (in parole semplici, come capire e ricercare a livello grafico quali sono le aspettative di inflazione del mercato)
3. Come costruire i grafici dei rendimenti reali
Chi legge le mie analisi sa quanto io ricorra spesso all’utilizzo dei rendimenti di varie obbligazioni (o di titoli di stato governativi) per provare a far luce su particolari dinamiche o per formulare delle ipotesi; ebbene, ogni qualvolta ho utilizzato la parola “rendimento”, mi riferivo al rendimento nominale che, come avrete capito dal titolo, non è l’unico da prendere in esame. Leggendo l’analisi che segue, avrete una visione più chiara di quello che intendo. Buona lettura.
LA DIFFERENZA TRA RENDIMENTO NOMINALE E REALE DI UN’OBBLIGAZIONE
Ho intenzione di iniziare questo paragrafo con un esempio tanto semplice quanto chiaro, in maniera tale da rendere l’analisi alla portata di tutti.
Immaginiamo oggi 19 luglio di acquistare un titolo di stato del governo americano con scadenza 5 anni. Al momento, il tasso di interesse riconosciuto per tale obbligazione è pari al 3.13%:
Acquistando lo stesso titolo di stato a 100$, con un tasso di interesse quindi del 3.13%, quale sarà il nostro guadagno ipotetico dopo 5 anni? Il prezzo al quale abbiamo acquistato l’obbligazione (100$) più il tasso di interesse del 3.13%. Totale: 103.13$; il guadagno sarà quindi di 3.13$.
Il guadagno realizzato è quello definito “nominale”, ossia quello che non tiene conto di eventuali effetti macroeconomici esterni che possano eroderlo.
Qual è quel dato macroeconomico legato in maniera diretta al nostro potere di acquisto? Sicuramente l’inflazione, o consumer price index. Sappiamo come l’aumento di essa impatta sul nostro portafoglio, infatti:
• Immaginando di possedere 100$ con un aumento generalizzato dei prezzi del 9.1%, quale sarà il suo valore reale?
100$ - 9.1$ = 90.9$
Questo appena discusso vale anche nell’ambito degli investimenti:
• Se il rendimento (o tasso di interesse) ottenuto annualmente attraverso una cedola da un investimento obbligazionario è pari al 3.12% ma l’inflazione si attesta al 9.1%, quale sarà il guadagno “reale”?
3.12% - 9.1% = -6%
Risulterà negativo. Il guadagno negativo del -6% ottenuto è quello definito “reale”, ossia quello che tiene conto dell’inflazione.
Quindi, ricapitolando, qual è la differenza sostanziale tra un rendimento nominale e uno reale?
• Un rendimento nominale è un tasso di interesse che non tiene in considerazione l’inflazione
• Un rendimento reale è un tasso di interesse che tiene conto del potere di acquisto e, quindi, della stessa inflazione
È fondamentale il concetto di “potere d’acquisto”:
• Più esso aumenta (proporzionalmente all’abbassarsi dell’inflazione), più aumenta la quantità di beni acquistabili
• Più esso diminuisce (proporzionalmente all’aumentare dell’inflazione), più diminuisce la quantità di beni acquistabili con la stessa quantità di denaro
È quindi necessario tener conto di determinate variabili in ambito investimenti/attività finanziarie.
COME OTTENERE I GRAFICI DEI RENDIMENTI REALI: I TASSI DI BREAKEVEN
Avrete capito leggendo dal paragrafo precedente che i rendimenti dei titoli di stato mostrati da me varie volte, con ticker:
• US03MY (rendimento del titolo di stato a 3 mesi)
• US06MY (rendimento del titolo di stato a 6 mesi)
• US01Y (rendimento del titolo di stato a 1 anno)
• US02Y (rendimento del titolo di stato a 2 anni)
• US03Y (rendimento del titolo di stato a 3 anni)
• US05Y (rendimento del titolo di stato a 5 anni)
• US07Y (rendimento del titolo di stato a 7anni)
• US10Y (rendimento del titolo di stato a 10 anni)
• US20Y (rendimento del titolo di stato a 20 anni)
• US30Y (rendimento del titolo di stato a 30 anni)
Appartengono alla categoria “rendimenti nominali”.
Come graficare invece i “rendimenti reali”?
Ho spiegato come essi si ottengano dalla differenza:
RENDIMENTO REALE = RENDIMENTO NOMINALE – INFLAZIONE
Occorre di conseguenza costruire uno spread tra il rendimento di un particolare titolo di stato ad una data scadenza e l’inflazione attesa dal mercato alla scadenza stessa. Una misura dell’inflazione attesa dagli operatori di mercato è fornita dai “tassi di breakeven”, o “tassi di inflazione di pareggio”.
L’andamento dei tassi di breakeven fornisce una stima delle aspettative di inflazione che ha il mercato.
Essi si ottengono in questo modo:
• E’ sufficiente graficare il rendimento nominale di un determinato titolo di stato ad una determinata scadenza e sottrarlo allo stesso titolo di stato “riassestato” all’inflazione
Il sito Fred Economics, consultabile al link fred.stlouisfed.org ci fornisce questi grafici. In particolare, è possibile visualizzare i tassi di pareggio (e quindi, ricordate, le aspettative di inflazione) a 5 anni, 7 anni, 10 anni, 20 anni e 30 anni:
• Aspettative di inflazione a 5 anni:
Pagina consultabile al link fred.stlouisfed.org
E’ possibile ottenere lo stesso grafico su tradingview utilizzando come ticker “T5YIE”:
Il grafico comunica il fatto che il mercato si aspetta un’inflazione a 5 anni al 2.63%
• Aspettative di inflazione a 7 anni:
Pagina consultabile al link fred.stlouisfed.org
E’ possibile ottenere lo stesso grafico su tradingview utilizzando come ticker “T7YIEM”:
Il grafico comunica il fatto che il mercato si aspetta un’inflazione a 7 anni al 2.79%
• Aspettative di inflazione a 10 anni:
Pagina consultabile al link fred.stlouisfed.org
Grafico ottenibile su tradingview utilizzando il ticker “T10YIE”:
Il mercato si aspetta un’inflazione a 10 anni al 2.37%
• Aspettative di inflazione a 20 anni:
Pagina consultabile al link: fred.stlouisfed.org
Tassi di pareggio a 20 anni su tradingview ottenibili grazie al ticker “T20YIEM”:
Il mercato si aspetta un’inflazione a 20 anni al 2.78%
• Aspettative di inflazione a 30 anni:
Pagina consultabile al link: fred.stlouisfed.org
Grafico visualizzabile su tradingview grazie al ticker “T30YIEM”:
Il mercato si aspetta un’inflazione a 30 anni al 2.47%.
Vi rilascio un ulteriore link di una pagina del sito Fred Economics dal quale potrete visualizzare le aspettative di inflazione a svariate scadenze: fred.stlouisfed.org
Sono sicuro che il link vi sarà utilissimo. Molto spesso tanti di voi mi domandano quali siano i metodi da utilizzare per capire l’entità di l’inflazione scontata dal mercato: cliccate sul link della pagina e avrete le vostre risposte.
A questo punto, dopo aver ricavato i dati dei grafici sulle aspettative di inflazione a diverse scadenze, possiamo costruire gli stessi sui rendimenti reali.
• RENDIMENTI REALI A SCADENZA 5 ANNI
Si ottengono digitando su tradingview il ticker “DGS5-T5YIE”:
Oppure sul sito Fred Economics al link fred.stlouisfed.org
• RENDIMENTI REALI A SCADENZA 7 ANNI:
Si ottengono dal ticker “DGS7-T7YIEM”:
Da Fred Economics al link fred.stlouisfed.org
• RENDIMENTI REALI A SCADENZA 10 ANNI
Sono ottenibili dal ticker “TNX-T10YIE”:
Dal Fred Economics al link fred.stlouisfed.org
• RENDIMENTI REALI A SCADENZA 20 ANNI:
Ottenibili digitando come ticker “DGS20-T20YIEM”:
Su Fred Economics al link fred.stlouisfed.org
• RENDIMENTI REALI A SCADENZA 30 ANNI:
Ottenibili attraverso l’utilizzo del ticker “DGS30-T30YIEM”:
Su Fred Economics al link fred.stlouisfed.org
Spero di essere stato chiaro esponendo l’argomento; le prossime due analisi che pubblicherò prossimamente saranno:
1. I 4 quadranti del rendimento reale (argomento utilissimo in ottica investimento per capire i trend del dollaro americano e di una vasta gamma di obbligazioni)
2. La correlazione tra rendimenti reali e Oro
Grazie per l’attenzione e buona giornata, Matteo Farci.
LA FED E LA RICERCA DEL TASSO DI EQUILIBRIOBUONGIORNO FOREX DEL 05.05.2022
“In medio stat virtus” recitavano i latini e ieri sera Powel sembra aver ricercato in pieno questo giusto equilibrio, dando ai mercati una prospettiva meno aggressiva di quel che si temeva e offrendo una speranza al comparto azionario.
La dura guerra all’inflazione è iniziata, la FED su questo non vacilla, è determinata a riportare la crescita dei prezzi nell’ordine del 2% e per ottenere questo risultato ha tutti gli strumenti necessari, ma come in tutte le guerre dei sacrifici sono necessari, e la chiara espressione di Powell di impotenza nei confronti delle strozzature nell’offerta, fa chiaramente intendere che la loro unica leva sarà colpire la domanda.
Il quadro macro e le intenzioni future di Powell ci sembrano chiare: impossibile gestire l’offerta, bisogna colpire la domanda, quindi i consumatori, con un mercato del lavoro che vede la disoccupazione ai minimi storici, può permettersi l’economia americana di abbattere la domanda di forza lavoro, riducendo cosi i salari e i consumi, abbassando la domanda e riequilibrando i prezzi al consumo.
Ma tutto questo deve essere raggiunto senza cadere nella tanto temuta recessione, il che prevede il raggiungimento graduale di un costo del denaro, previsto per la fine del 2022 intorno al 2.75%, valore che dovrebbe consentire un rallentamento nei prezzi senza strozzare eccessivamente i consumatori, le imprese e la congiuntura macro economica del paese.
Sono ovviamente proiezioni, e la vera difficoltà sarà adeguare le scelte di politica monetaria ai dati che via via l’economia reale mostrerà, motivo per il quale Powell ha rigettato l’idea di un successivo rialzo tassi di 75Bp, ritenuto forse eccessivamente aggressivo, ma scegliendo una strada fatta si di inasprimenti monetari, ma graduali e che diano flessibilità e possibilità di fermarsi alle prime avvisaglie di un eccessivo raffreddamento dell’economia.
Si cerca un atterraggio morbido, puntando ad un tasso di equilibrio che consenta ai prezzi di rientrare e all’economia di non soffocare. Davvero impresa ardua se si considera che solo una volta nella storia degli ultimi 40 anni la FED è riuscita nell’impresa.
Alla luce delle parole di Powell, i mercati equity hanno tirato un respiro di sollievo, recuperando dai minimi di ieri oltre il 3% e portandosi ai test delle aree di resistenza chiave, con l’S&P alle porte dei 4300pnt e il Nasdaq a 13593 pnt.
Anche il dollaro americano ha stornato dalle sue aree di massimo andando dai 103.81 di dollar index ai minimi di 102.40, per poi ritestare l’ex area supportiva dei 103.00.
Si riconferma dunque la classica dinamica del buy on rumors sell on news che accompagna i mercati nelle ultime 3 riunioni della FED e che anche questa volta non si è smentita, ma la domanda da porci è: riuscirà la FED nel suo intento, o sono occasioni queste per migliorare il nostro posizionamento contro il mercato?
In questo serie di dinamiche i nostri colleghi retail hanno colto occasione per ridurre le loro esposizioni contrarian sul dollaro americano, portandosi dall’80% short di ieri al 77% attuale , riequilibrando quindi i posizionamenti su tutti i cambi principali, con eurusd che passa dal 78% long di ieri al 76% di oggi, il cable che dal 84% di ieri si porta ad un 82% long.
Le majors che hanno beneficiato del respiro del biglietto verde sono andate tutte a ritestare i massimi di periodo, senza però trovare ancora la forza di effettuare veri e propri break out in grado di determinare la nascita di movimenti direzionali, lasciando pertanto aperti gli scenari di trading range, e strutture lateral rialziste che proiettano ancora dinamiche pro dollaro future.
Oggi attesa la BOE, chiamata alla decisione sui tassi di interesse, dove le aspettative sono ancora di un’ulteriore rialzo con tassi che andrebbero al +1.00% con un quarto rialzo consecutivo di 25Bp.
La congiuntura macro economica del Regno Unito sembra non pronta a supportare ulteriori spinte di aggressività, essendo già ampiamente provata dalla forte inflazione e dal ristagno dei salari, il che potrebbe portare la BOE a rivalutare la sua posizione. Si rende pertanto necessario attenzionare le dinamiche relative alla sterlina che sarà focus per la giornata odierna.
Buona giornata e buon trading
Salvatore Bilotta
Obbligazionario ed Azionario in scollamentoLa Teoria ci insegna che durante la fase di picco di un Ciclo Economico, a causa della forte liquidità sul mercato, si assiste ad un progressivo aumento delle pressioni inflazionistiche ed all'avvio di misure restrittive da parte delle Banche Centrali con l'obiettivo di alzare i tassi di interesse per poter controllare, o quantomeno correggere, il fenomeno inflativo.
In questo contesto, si assiste ad un mercato delle materie prime rialzista e ad un mercato obbligazionario ed azionario neutrale/ ribassista.
Osservando il grafico si può notare come i primi due asset stiano seguendo la teoria, al netto del mercato Azionario (attualmente in divergenza).
A tal proposito, bisognerebbe farsi delle domande ed investire nell'azionario con cautela.
Saluti
CORRELAZIONE TRA MERCATO AZIONARIO E MERCATO OBBLIGAZIONARIOBuongiorno ragazzi, questa è la quarta analisi del mio blog incentrata sul mondo obbligazionario. La prossima settimana, rispettando le linee guida di tradingview, vi fornirò il link per l'accesso.
Dopo aver ricercato le correlazioni che il mercato obbligazionario presenta nei confronti del dollaro americano, oggi tratterò un altro tipo di correlazione: quella con il mercato azionario.
Per chi non l’avesse fatto consiglio caldamente lo studio delle precedenti tre analisi in maniera tale da avere una visione chiara e coincisa dell’argomento perché da questa analisi in poi gli argomenti andranno via via ad intrecciarsi.
Correlerò i due asset a partire dal 2000, in maniera da studiare la correlazione avuta negli ultimi 20 anni.
Iniziamo!
INTRODUZIONE: CLIMA DI RISK-OFF E RISK-ON
Una situazione di “risk off” altro non è che quel particolare scenario caratterizzato dalla presenza di tensioni che possono avere diverso carattere, da quello geopolitico (come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina), politico (la scelta di un nuovo presidente degli Stati Uniti, ad esempio, può impattare sul sentiment degli investitori), economico o finanziario (come ad esempio le manovre di politica monetaria e la scelta dei tassi di interesse). In questa particolare condizione gli investitori spostano la loro liquidità in asset considerati a basso rischio, i cosiddetti “beni rifugio”, come oro, obbligazioni di paesi solidi economicamente e con un alto rating, dollaro USA, Franco Svizzero e Yen giapponese.
Una situazione di “risk on” è invece quella situazione in cui c’è appetito al rischio, dove gli investitori, spinti dall’ottimismo e dalla positività del momento, vanno alla ricerca di asset che offrano degli alti rendimenti. Uno di questo è il mercato azionario, il mondo delle materie prime e tutte quelle valute legate a quest’ultime (come, ad esempio, il dollaro canadese, legato in maniera forte al prezzo del petrolio).
LA CORRELAZIONE NEGLI ULTIMI 20 ANNI
Vediamo nella grafica come a marzo 2000 l’S&P500 raggiunga i massimi storici. Il top raggiunto dal mercato azionario coincide anche con dei top di periodo segnati dal rendimento del decennale americano e dal rendimento del 2 anni. Sembrerebbe quindi un tipico clima di risk-on: gli investitori, infatti, si posizionano sul mercato azionario (che, come dico sempre, è caratterizzato da alto rendimento associato però ad un altrettanto rischio alto) vendendo obbligazioni (e ciò è testimoniato dal rialzo del rendimento associato visto il rapporto inverso obbligazione/rendimento) in quanto considerate, per il clima di mercato, a rendimento troppo basso e quindi poco convenienti. Basta uno spread a capovolgere il tutto: quello tra i rendimenti a 10 anni e 2 anni: nello stesso periodo, esso scende al di sotto dello 0%, lanciando quindi il segnale di possibile recessione. Che accade quindi?
Accade che qualche tempo dopo, a circa 5 mesi di distanza, esplode la bolla di internet e l’S&P500 va a perdere oltre il 50% del suo valore. A quel punto gli investitori iniziano a comprare obbligazioni, considerandole quindi dei “beni rifugio” e la diretta conseguenza di ciò è il crollo dei rendimenti, che si correlano quindi positivamente all’azionario.
Come vediamo dalla grafica che segue, come interviene la Fed per andare a combattere la recessione? Abbassa il livello dei tassi di interesse, portandoli dal 6.5% all’1%:
Qual è lo scopo di un ribasso dei tassi di interesse? Permettere ai privati e alle aziende un più facile accesso al credito. Spiegato in termini ancora più semplici, vedetela così: una recessione colpisce qualsiasi settore all’interno di un’economia. Per permettere la ripartenza di ognuno di loro, si devono creare una serie di incentivi. Una banca centrale, così, attua le sue mosse di politica monetaria, andando in questo caso ad abbassare gli interessi sui prestiti. Le aziende e i privati, così, sono incentivati a richiederli dal momento che gli interessi poi riconosciuti alla banca saranno molto bassi (in questo caso, come ho detto, dell’1%). Questo causa una forte positività tra gli operatori, i commercianti, gli imprenditori e in generale nei cittadini, andando a riflettersi su dati macroeconomici di rilevante importanza: uno tra questi è sicuramente la fiducia dei consumatori:
Come potete osservare nella grafica soprastante in cui vi ho condiviso con la linea blu il sentiment dell’università del Michigan e in arancio i tassi di interesse sui prestiti, un aumento o un ribasso di questi ultimi ha poi sempre influito sul sentiment dei consumatori (anche se allo stesso dato impattano altri dati macroeconomici che riprenderò in un’altra analisi). In particolare, a un rialzo dei tassi segue un sentiment pessimista, mentre al ribasso uno ottimista.
Dopo questo breve sunto, torniamo a noi. Il ribasso dei tassi di interesse arrivati all’1% nel 2003 ha quindi ricostruito per i motivi spiegati un clima di risk-on, dove l’azionario tende chiaramente a performare bene. Qual è stata quindi la diretta conseguenza?
Che gli operatori hanno comprato azioni e venduto obbligazioni, spingendo al rialzo i relativi rendimenti.
Spostiamoci più avanti nel tempo:
Il clima di risk on continua e, dal 2003 al 2006, gli investitori continuano a concentrarsi sull’azionario lasciando da parte l’obbligazionario. A questo punto però cosa accade? Lo spread si muove nuovamente sotto lo 0%. Ciò è causato da un aumento dei tassi di interesse che passano dall’1% al 4.5%:
Dico questo perché le scelte di politica monetaria impattano più sui rendimenti a 2 anni che su quelli a 10 anni e quindi, dal momento in cui si parla di spread (differenza), crescendo più i 2 anni rispetto ai 10 anni, ed essendo il 2 anni il sottraendo mentre i 10 anni il minuendo della differenza, lo spread tende poi a muoversi in territorio negativo. Cosa prelude, come ho detto svariate volte, uno spread negativo? Una recessione. Ed è così che si arriva alla crisi immobiliare:
Da fine 2007 a metà 2009 gli investitori acquistano obbligazioni e vendono azioni, andando a disegnare così i trend che vedete nella grafica, tipici di periodi di risk-off.
Successivamente i tassi di interesse vengono abbassati allo 0.25% per favorire una ripresa economica. Questo cosa provoca?
Provoca nuovi massimi storici sull’azionario. Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, invece, si hanno dei segnali contrastanti. I titoli a 10 anni, dal 2009 al 2014, vengono comprati e venduti a diversi intervalli temporali (e questo è chiaro guardando i diversi trend disegnati nei diversi archi temporali), mentre i rendimenti a 2 anni non prendono nessun tipo di trend, andando a lateralizzare.
La musica inizia a cambiare nel 2017:
Dopo anni di massimi storici, i mercati subiscono una nuova ondata di aumenti del costo dei prestiti. Come hanno reagito a tal proposito gli investitori? Vediamolo:
I mercati azionari hanno continuato la loro corsa al rialzo, però notiamo l’inversione del trend dei rendimenti: le obbligazioni iniziano ad essere vendute e ciò si riflette nell’aumento dei rendimenti, specie in quelli a 2 anni, che crescono maggiormente in valor percentuale rispetto ai 10 anni. Questo causa un’inversione della curva dei rendimenti o, più in particolare, uno spread sotto lo zero, come vediamo nel grafico:
La domanda che sorge spontanea ora è: dopo quanto si ha la recessione dal momento che l’inversione della curva dei rendimenti è sempre il preludio di un crollo economico? Si ha con la pandemia di Covid 19:
A questo punto i capitali sono stati spostati sull’obbligazionario come “protezione”. Ritroviamo, dunque, la correlazione diretta tra i rendimenti dell’obbligazionario e azionario.
Come abbiamo già visto prima, è l’intervento della banca centrale a rimettere in piedi l’economia entrata in recessione:
I tassi vengono riabbassati allo 0.25% e, come effetto diretto, l’azionario torna sui massimi storici, correlandosi in maniera diretta con i rendimenti a 10 e 2 anni.
BREVE RIEPILOGO
Studiando la correlazione obbligazionaria-azionaria degli ultimi 20 anni, quali sono i punti salienti da tenere a mente?
• Le obbligazioni sono correlate inversamente al mercato azionario in quanto uno è considerato uno strumento a basso rischio (obbligazioni) mentre l’altro ad alto rischio (azionario).
• I rendimenti delle obbligazioni, dal momento in cui si muovono in maniera inversa alle relative obbligazioni ai quali sono associati, sono correlati direttamente all’azionario.
• Ogni qualvolta si ha un’inversione della curva dei rendimenti, gli investitori spostano subito il denaro sui titoli di stato in quanto essi costituiscono un “porto sicuro” qualora ci fosse l’effettiva recessione che un’inversione della curva ha sempre anticipato.
• I tassi di interesse influiscono sia sul mercato obbligazionario che su quello azionario, andando ad impattare sul sentiment degli operatori.
• Ogni aumento dei tassi di interesse, negli ultimi 20 anni, ha preannunciato un’inversione della curva dei rendimenti che poi si è materializzata in una recessione (come la bolla di internet, quella del mercato immobiliare e successivamente, seppur evento imprevisto, la pandemia di covid 19)
UNO SGUARDO AI GIORNI NOSTRI
Basandomi su ogni concetto espresso in questa analisi e nelle 3 precedenti, è chiaro che ormai i tassi di interesse verranno alzati a marzo:
Il mondo azionario e quello obbligazionario, nel nostro presente, si stanno muovendo esattamente nello stesso modo dei precedenti 20 anni. A marzo arriverà l’aumento dei tassi di interesse. Secondo voi questo porterà, come è già accaduto, ad un’inversione della curva dei rendimenti e ad una successiva recessione contemporaneamente al crollo dei mercati azionari?
Questo per me è probabile. Non so se succederà perché non sono nè mago , tanto meno un indovino; mi piace tuttavia analizzare e capire quelle che possono essere le possibilità in un futuro non troppo lontano. E’ questo il motivo per cui il 9 dicembre 2021, su tradingview, ho condiviso un’analisi dal titolo “l'inversione dei mercati azionari giungerà nel 2022”? La stessa analisi deriva da considerazioni di questo tipo, e questo tipo di analisi intermarket mi permettono di capire in anticipo tantissime situazioni che possono venire a crearsi. E questo, chiaramente, mi permette di essere preparato ad ogni eventualità.
E’ fondamentale studiare i vari asset che compongono il mondo finanziario e la loro correlazione. Riuscendo a capire le meccaniche e la psicologia ad essi associati si può avere un vantaggio enorme.
Grazie, Matteo Farci.
CORRELAZIONE TRA OBBLIGAZIONI E DOLLARO AMERICANOSalve ragazzi, vi condivido alcune grafiche di un'analisi che domani andrò a condividere sul mio blog, in cui tratterò come argomento le varie correlazioni esistenti tra il dollaro americano e il mercato obbligazionario in diverse condizioni di mercato, tra condizioni di risk off come questa:
a condizioni di rialzi e ribassi dei tassi di interesse come quest'altra:
analizzando bene tutte le varie tematiche.
E' importante conoscere queste varie tematiche visto il grande nervosismo sui mercati finanziari.
Buon weekend, Matteo Farci
INFLAZIONE TEMPORANEA O PERMANENTE. LO SLOGAN DEI TASSI
<" L'inflazione è sempre e dovunque un fenomeno monetario ." Le distorsioni economiche e politiche generati dalla teoria monetaria dell'inflazione sono stati anche guasti intellettuali, è entrata nel sistema delle credenze degli accademici cosi come in quello dell'uomo della strada grazie soprattutto alla semplicità dello slogan. Oggi, dopo innumerevoli, e sempre ignorati, fallimenti di quella teoria, si ricomincia a parlare di inflazione come si faceva prima del disastro monetarista: l'inflazione, si torna a dire, ha cause reali>. (F. Sdogati)
SDOGATI-LANGIU per chi volesse approfondire . tratto da
Inflazione: temporanea o permanente? O, forse meglio: da offerta o da domanda? bit.ly
MERCATO DEL LAVORO, FED FUNDS E RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATOBuongiorno ragazzi, l’idea di questo lunedì non si baserà sulla tipica analisi intermarket della settimana precedente, bensì sull’impatto che i dati sul non farm payrolls, disoccupazione e retribuzione oraria media hanno avuto sui Fed Funds. Spiegherò il motivo del rialzo dei rendimenti a 2 e 10 anni dei titoli di stato statunitensi, il tutto correlato alle prossime decisioni della FED americana. Volevo proporre qualcosa di diverso dal solito, se apprezzate l’idea lasciate un like in maniera tale da farmi capire se questi contenuti sono apprezzati in maniera tale da riproporveli in futuro.
I DATI SUL MERCATO DEL LAVORO: NON FARM PAYROLLS E LIVELLO DI DISOCCUPAZIONE
Come di consuetudine il primo venerdì di ogni mese il Bureau of Labor Statistics rilascia due dati fondamentali riguardanti il mercato del lavoro negli Stati Uniti: le buste paga del settore non agricolo e il livello di disoccupazione.
Gli analisti, considerando l’impennata dei casi omicron in gennaio (il picco era stato raggiunto a metà gennaio, appunto), si aspettavano dei dati deboli, rispettivamente:
• Buste paga del settore non agricolo: 150K
• Livello di disoccupazione: 3,9%
Entrambi i dati hanno sorpreso le attese:
• Buste paga del settore non agricolo: 467K
• Livello di disoccupazione: 4%
Nonostante i livelli di disoccupazione siano saliti dello 0,1% rispetto al mese precedente, i nuovi posti di lavoro creati hanno registrato un aumento percentuale sopra le attese del 211%, segnando un +467K.
COSA SONO I FED FUNDS
I Fed Funds sono dei future scambiabili sul CME che rappresentano l’opinione che gli investitori hanno riguardo il valore che i tassi di interesse potrebbero avere ad una determinata data. E’ un future molto utile per diversi motivi:
• Dà una visione riguardante il sentiment che gli operatori di mercato hanno riguardo le scelte di politica monetaria futura e ciò assume particolare rilevanza dal momento che i mercati finanziari sono influenzati direttamente e indirettamente da essa.
• Permette la possibilità a noi traders di assumere posizioni speculative sulle future mosse da parte della Federal Reserve.
Il grafico continuos del future ha questo aspetto:
COME SI LEGGE IL FUTURE E PERCHE’ E’ INFLUENZATO DAL MERCATO DEL LAVORO STATUNITENSE
Come ho spiegato poco fa, l’andamento di questo future è influenzato dalle decisioni di politica monetaria della Fed. Vi starete chiedendo che rapporto possa esistere tra la federal reserve e il mercato del lavoro: ciò è da ricercare negli obiettivi perseguiti dalla stessa: essi sono la stabilità dei prezzi (e quindi la regolazione dell’inflazione) e l’occupazione.
Nell’analisi da me pubblicata il 31 gennaio in cui analizzavo l’impatto che avesse avuto la banca centrale sui mercati dopo il meeting, che trovate al link:
analizzavo le parole di Powell durante conferenza, che vi riporto:
“Si è assistito ad un aumento dei posti di lavoro solido tanto che il tasso di disoccupazione è diminuito sostanzialmente. Con un'inflazione ben al di sopra del 2% e un mercato del lavoro forte, il Comitato prevede che presto sarà opportuno aumentare i tassi”.
Avete capito ora il motivo? In base a questi parametri la banca centrale pianifica la sua politica: questo è il motivo per il quale il future segue questa dinamica.
Detto questo, il contratto continuos sui fed funds, a parer mio, dice poco e niente. E’ invece interessante studiare i contratti ad una determinata scadenza, come tra poco vi illustrerò.
Facciamo riferimento ora ad una delle affermazioni più accreditate dell’ultimo mese:
“GLI OPERATORI SI ASPETTANO CHE I TASSI DI INTERESSE SARANNO AUMENTATI A MARZO”
Per capire se è effettivamente così, andiamo ad osservare il contratto future sui Fed Funds con scadenza marzo 2022:
Vediamo come il prezzo del future abbia lateralizzato per circa un anno, non prendendo mai una vera e propria direzionalità. Questo perché? Perché il mercato non stava ancora scontando l’aumento dei tassi di interesse! Ha iniziato a scontarli dal momento che il rettangolo di distribuzione è stato bucato al ribasso, agli inizi di dicembre 2021! Affermo con certezza questa mia ultima affermazione dimostrandovelo grazie al Nasdaq:
Al primo falso breakout del rettangolo di distribuzione, il Nasdaq segnava l’ultimo massimo storico. Successivamente, quando il breakout è stato validato, l’indice tech ha provato a rivisitare i massimi senza riuscirci e, successivamente, ha subito delle ingenti perdite.
Questo poteva essere solo un modo per constatare se, effettivamente, gli investitori avessero iniziato a scontare i tassi di interesse in quel periodo indicato nel grafico (tra novembre e dicembre 2021). Un altro modo possibile è l’analisi dei volumi:
Come potete constatare, quando il mercato non scontava aumenti dei tassi i volumi erano relativamente bassi: i contratti su questo future era poco scambiati. Quando il mercato ha invece iniziato a credere fortemente al loro aumento, i volumi sono aumentati in maniera forte, segno del fatto che molti operatori, probabilmente per hedging (per protezione), hanno iniziato a specularci. Quando i volumi sono bassi, c’è poco appetito da parte del mercato verso il contratto in questione e, in questo caso, ciò si traduce in “poco interesse”. Quando i volumi e di conseguenza l’interesse nei confronti del tema “aumento tassi” ha iniziato a prendere piede, i volumi sono aumentati. Sono stato chiaro?
I volumi non sono solo importanti per capire l’entità di un breakout o per costruirci una strategia di trading, bensì anche in situazione come queste. Un grafico lascia tantissime informazioni e noi dobbiamo essere attenti, scaltri e conoscere la materia per saper cogliere la palla al balzo!
Tornando al nocciolo della questione, come capiamo l’aspettativa sul tasso di interesse futuro? Con una semplice differenza:
Applichiamo la differenza tra 100 (che rappresenta in forma numerica il tasso di interesse allo 0%) e il prezzo del future corrente, in questo caso 99.745:
100 - 99.745 = 0,265
Questo significa che oggi il mercato si aspetta che i tassi di interesse, nella riunione del FOMC di marzo, verranno alzati del 0,25%.
Questa differenza può essere applicata anche a contratti a scadenza più lontana. Facciamo una prova: le successive due riunioni del FOMC dopo marzo sono previste il 3-4 maggio 2022 e il 14-15 giugno. Andiamo ora a selezionare i due future sui fed funds con scadenza maggio 2022 e giugno 2022:
Come potete notare dalla grafica, in questo periodo gli investitori si aspettano che i tassi saranno tra al 0.5%/0.75% a maggio e al 0.75%/1% a giugno.
CORRELAZIONE DIRETTA TRA RENDIMENTI SUI TITOLI DI STATO A 2 ANNI E FED FUNDS
Nelle mie idee passate avrete letto tantissime volte la frase “la parte a scadenze brevi della curva dei rendimenti è sensibile alle scelte di politica monetaria”. Il titolo di stato di riferimento per le scadenze brevi è quello a 2 anni. Vediamo se ha effettivamente un rapporto con i fed funds:
Come potete osservare, entrambi, per mesi, hanno avuto un andamento non strutturato. Poi qualcosa è cambiata:
1. Ad inizio ottobre 2021 i volumi sono iniziati ad aumentare in maniera importante sul future, segno che la tematica sui tassi di interesse stava iniziando a prendere piede.
2. Nello stesso momento, i rendimenti dei titoli a due anni hanno rotto al rialzo il rettangolo di accumulo e successivamente hanno creato un piccolo triangolo ascendente
3. Dopo un mese è avvenuto anche il breakout del triangolo di distribuzione sul future e, contemporaneamente, la rottura del triangolo ascendente al rialzo
4. Entrambi gli asset hanno iniziato a muoversi a braccetto.
Mi son state fatte tante domande riguardanti l’argomento sui rendimenti a 2 anni nelle ultime settimane, spero di essere stato chiaro. Credo non ci sia maniera migliore di questa per spiegare il motivo della breve frase “la parte corta della curva è influenzata dalle decisioni di politica monetaria”.
Tornando a noi, anche in questo caso l’analisi tecnica ci è stata molto utile per poter individuare dei segnali molto concreti che il sentiment del mercato sui tassi di interesse stesse cambiando (analisi dei volumi, i breakout sui rettangoli e il breakout sul triangolo ascendente).
RETRIBUZIONE ORARIA MEDIA, INFLAZIONE E RENDIMENTI SUI TITOLI DI STATO A 10 ANNI
Le buste paga del settore non agricolo e il livello di disoccupazione non sono stati gli unici dati importanti della scorsa settimana. Un altro a cui presto sempre attenzione è la retribuzione oraria media, che misura il cambiamento della retribuzione oraria media nelle principali aziende. Ora vi mostrerò la crescita anno/anno che questo ha presentato:
04.02.2022 (Gen) 5,7%
07.01.2022 (Dic) 5%
03.12.2021 (Nov) 5,1%
05.11.2021 (Ott) 4,8%
08.10.2021 (Set) 4,6%
03.09.2021 (Ago) 4%
06.08.2021 (Lug) 4,1%
02.07.2021 (Giu) 3,7%
04.06.2021 (Mag) 1,9%
07.05.2021 (Apr) 0,4%
Come potete constatare, si è passati dallo 0,4% di aprile 2021 al 5,7% di gennaio 2022. Questo dato va ad aumentare tendenzialmente in periodi di ripresa economica, quando tutte le aziende di un Paese riprendono ad assumere manodopera.
Quest’aumento tendenziale dei salari non è altro che quel fenomeno definito come “inflazione salariale”; in linea logica, più i salari aumentano, più i salariati saranno disposti a spendere: questo andrebbe poi a generare una spirale inflazionistica generale.
Tornando a noi, venerdì 4 è uscito il dato per gennaio 2022 che, come ho detto precedentemente, si è attestato al 5.7%. Dal momento che i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni crescono o decrescono rispondendo a dinamiche di crescita/decrescita economica o inflazione, come possiamo aspettarci che essi si siano comportati? Osserviamolo in un grafico a 15 minuti:
Alle 14:30, ora italiana dell’uscita del dato, il rendimento sul decennale americano è esploso segnando un +4,51%.
Ora capite quando provo a spiegarvi che i rendimenti delle scadenze più lunghe dei titoli di stato (in particolare il decennale, che è il riferimento) rispondono a questi tipi di dinamiche? Spero di avervelo dimostrato ancora una volta.
L’analisi di questo lunedì termina qua, spero i contenuti siano apprezzati. Sarà molto importante seguire da vicino i dati macroeconomici che ho analizzato in questa idea, in quanto le prossime scelte di politica monetaria saranno dettate dallo svilupparsi di essi. Probabilmente, a dati sul lavoro più forti e inflazione galoppante, dovremmo aspettarci una Fed più aggressiva. E questa aggressività dove si ripercuoterebbe? Sui Fed Funds. E questi chi influenzano in maniera diretta? I mercati finanziari!
Volevo aggiungere che ho intenzione di creare un canale personale in cui condividerò tante altre idee riguardanti i mercati finanziari, materie prime e forex, analisi di mercato e correlazioni tra asset e dati macroeconomici. Vi comunicherò quando il progetto sarà ultimato, rispettando chiaramente le linee guida imposte da tradingview.
Grazie, Matteo Farci
CREAZIONE DI UN INDICATORE E ANALISI DEI MERCATI: COSA SUCCEDE?Buongiorno ragazzi.
L’analisi che segue è da definire come il “continuo” di un’altra analisi da me pubblicata qui su tradingview il 9 dicembre 2021 dal titolo “L’INVERSIONE DEI MERCATI AZIONARI GIUNGERA’ NEL 2022?” che trovate al link :
Vi suggerisco di leggerla!
Torniamo a noi. Quello che voglio mostrarvi oggi è un indicatore da me creato che ha lo scopo di fornirmi il sentiment del mercato. Credo che sia di estrema importanza conoscere l’economia e i vari settori che ne fanno parte in quanto la stessa permette poi la costruzione di indicatori che ti permettano di avere una visione più chiara dei mercati senza essere soggetti a pareri esterni. L’obiettivo di questo articolo è quindi quello di farvi capire come ragiono e le meccaniche che regolano questi determinati ragionamenti.
Successivamente abbinerò al mio indicatore di sentiment altri diversi indicatori, macroeconomici e non. Il motivo è da ricercare nell’attendibilità dello stesso: preso in maniera singolare, potrebbe fornire tanti falsi segnali, ma comparato ad altri, può fornire dei segnali più credibili, concreti e oggettivi.
PERCHE’ HO COSTRUITO UN INDICATORE
Chi legge il mio materiale sa quanto io sia dipendente da determinati indicatori, che sia siano essi macroeconomici, indici di forza relativa oppure spread. Ho sempre pensato che ogni individuo possa ottenere maggiori successi in determinati campi (specie in questo) soltanto avendo delle solidi basi; riagganciandomi all’ultima parte della frase, è solo avendo esse, passione e curiosità che spesso si riesce a costruire degli strumenti che ti diano la possibilità a colpo d’occhio di capire, in generale, quale possa essere la situazione presente ma soprattutto quella futura. Qualche tempo fa ho costruito uno spread tra due etf settoriali che ora vi mostrerò e vi spiegherò. Lo spread di cui parlo è quello tra il settore dei beni di prima necessità e il settore dei beni discrezionali.
PRODOTTO INTERNO LORDO, SETTORE DEI BENI DI PRIMA NECESSITA’, SETTORE DEI BENI DISCREZIONALI
E RELATIVE CORRELAZIONI
Il dato macroeconomico più importante che indica se un’economia è in salute o meno è sicuramente il prodotto interno lordo, che non è altro che la somma di beni e servizi prodotti da un Paese. Dopo aver constatato i valori del PIL, bisogna capire le relative performance che gli stessi indici che io utilizzerò per il mio spread presentano al variare del PIL stesso. Vi condivido una grafica settimanale:
Il trend definito dalla linea blu va ad identificare la forza relativa tra il settore dei beni di prima necessità (che d’ora in poi chiamerò XLP) e il settore dei beni discrezionali (XLY): più il trend è rialzista, più XLP sovraperforma XLY e viceversa.
Con il trend definito dalla linea arancio trovate invece il valore del PIL USA anno/anno. A colpo d’occhio potete notare che XLP tende ad essere più forte di XLY quando ci troviamo in fasi economiche di recessioni (come accade con la bolla di internet del 2000, con la crisi dei mutui sub-prime del 2007-2008 e con la pandemia del 2020) o di decelerazioni/rallentamenti economici. Al contrario, XLY si dimostra più forte in fasi di riprese economiche (quindi dopo le recessioni che ho elencato precedentemente) e relativa stabilità economica. Perché questi diversi andamenti nei relativi cicli economici?
Le aziende all’interno dell’etf XLP operano nei settori della vendita al dettaglio di prodotti alimentari e di base, bevande, tabacco, prodotti per la casa e prodotti personali (quindi beni di prima necessità). Viceversa, le aziende facenti parte dell’etf XLY operano nel settore della vendita al dettaglio (specialità, multilinea, Internet e marketing diretto); alberghi, ristoranti e tempo libero; tessili, abbigliamento e beni di lusso; beni durevoli per la casa; automobili; componenti per auto; distributori e prodotti per il tempo libero (ossia dei beni discrezionali, non essenziali).
Avendo ora chiari i diversi settori nei quali le diverse aziende operano, è facile capire le diverse correlazioni con il PIL:
• Quando un’economia si sta rialzando e successivamente si espande, i consumatori sono più propensi a comprare dei beni durevoli come ad esempio automobili, cellulari, televisori, beni di lusso; molto spesso si viaggia e di conseguenza si è più propensi ad alloggiare in alberghi o mangiare in ristoranti: questo perché la loro fiducia nei riguardi dell’economia è relativamente alta (infatti, in riprese economiche e successive espansioni, il dato sulla fiducia dei consumatori è sempre molto apprezzabile). Questo va a riflettersi chiaramente sulle vendite al dettaglio di tutte quelle aziende facenti parte di quel settore: più alte e forti esse sono, più gli investitori saranno propensi a comprarle utilizzando i più svariati strumenti finanziari. Questa riflessione poi trova riscontro sui grafici, come vi ho mostrato poco fa.
• Quando invece un’economia è in fase di rallentamento o recessione, i consumatori tipicamente cambiano il loro “modo di spendere”; non andranno più a concentrarsi su beni durevoli (gli stessi che ho nominato prima, come le automobili) e la conseguenza più naturale viene poi riscontrata sulle vendite al dettaglio che si presentano molto più basse rispetto a cicli economici in cui un consumatore è più propenso a spendere; il fatto che le aziende presentino quindi trimestrali che spesso deludono le aspettative degli analisti si traduce spesso in dei sell-off o comunque in dei tipici risk-off dei mercati; è così che vengono vendute aziende orientate a quei tipi di business e le vengono preferite altre più difensive come quelle dell’etf XLP. Perché? Il loro modello di business si basa sulla vendita di prodotti di prima necessità, ossia quelli di cui i consumatori non possono farne a meno: la conseguenza è che le revenue delle aziende di quest’ultimo settore rimangono relativamente stabili e questo permette loro di performare meglio di altre aziende di altri settori.
Mi sono spiegato bene?
La correlazione tra la forza relativa dei due settori e il PIL è più apprezzabile a livello giornaliero. Ora vi mostrerò delle grafiche in cui saranno illustrati i punti salienti :
Spero che queste illustrazioni vi abbiano chiarito il concetto.
LO SPREAD TRA XLP E XLY
Conoscendo quindi le varie performance dei settori in questione nei diversi cicli economici ho deciso di costruirmi uno spread, ossia , e impostarlo su un grafico settimanale per avere una visione più chiara e più ampia:
Sapendo che XLP tende a performare meglio in periodi di rallentamento/recessione e XLY in periodi di ripresa/espansione come ho dimostrato prima, sono andato a ricercare tutti quei momenti in cui la forza di XLP rispetto a XLY ha fatto in modo che lo spread formasse un picco al rialzo; dopo aver far trovato tali picchi, sono andato a segnare i motivi per i quali essi si erano sviluppati:
Successivamente sono andato a consultare il grafico settimanale dell’S&P500 in maniera da osservare se i picchi relativi al grafico dello spread XLP-XLY si riflettessero su un ribasso del benchmark, e guardate un po':
Da questo si può evincere che una preferenza verso titoli difensivi rispetto a titoli ciclici si riflettono nel benchmark di riferimento con un pesante ribasso. In particolare:
• Al picco dovuto alla bolla dot-com degli anni 2000 è corrisposto un -52,5% da parte dell’S&P500
• Al picco relativo alla crisi del 2007-2009 un -57,5%
• Al picco dovuto al rialzo dei tassi di interesse dopo 10 anni di politica monetaria accomodante un -15,5%
• Al picco relativo alla guerra commerciale tra USA e CINA un -21,9%
• Al picco relativo alla pandemia un -36%
Dopo aver dato uno sguardo al passato, guardiamo al presente: nello spread si è creato qualcosa di singolare:
Notate l’ultima gamba rialzista evidenziata con il cerchio di color rosso? Ebbene, come ho spiegato nella didascalia nell’immagine, non c’era mai stata all’interno dello spread una gamba rialzista sviluppata in così poco tempo e con quel tipo di intensità. Possiamo paragonare tale picco soltanto a quello formato allo scoppio della pandemia, per quanto quest’ultimo risulti comunque inferiore in intensità.
Ho quindi utilizzato l’RSI, ossia l’indice di forza relativo, con lo scopo di vedere se la forza dell’ultimo impulso rialzista fosse paragonabile alla forza degli altri impulsi formatisi in periodi di recessioni o crisi economiche. Questo è quello che ho ottenuto:
Come possiamo notare nei quadratini rossi, ogni qualvolta si è entrati in crisi economiche (o in incertezze) l’RSI è entrato in ipercomprato, segno di una grande forza rialzista. Questa, in gergo, viene definita “convergenza”, in quanto ai cicli economici appena citati appartiene una forza maggiore di XLP rispetto a XLY (come abbiamo constatato precedentemente).
*gli altri picchi di ipercomprato sono dovuti al fatto che dal 2004 al 2008 ci fu un rallentamento economico sfociato poi in recessione e nel 2011 la crisi del debito sovrano che zavorrò l’S&P del 23% circa. Nel 2014 ciò è stato probabilmente causato da una FED che in quel periodo si dimostrò più aggressiva, riducendo il quantitative easing e anticipando un rialzo dei tassi di interesse.
Dopo aver trovato la “convergenza”, ora vi mostrerò la “divergenza”:
Come spiego nella grafica, ogni qualvolta il picco dello spread sia stato di un’intensità notevole, il benchmark ha rintracciato di almeno il 15% e oltre. Nel presente, invece, il rintracciamento è stato di appena l’11,5% circa.
Questa è una divergenza molto interessante. Le domande da porsi possono essere diverse, tra le quali:
“Il picco sullo spread si sta riassorbendo? L’impulso di forza relativa si sta indebolendo o ci aspetta ancora maggior forza? Il punto minimo dell’S&P500 di gennaio 2022 è
stato raggiunto e di conseguenza si è pronti alla risalita verso nuovi massimi storici?”
Le domande possono essere svariate. Alla fin dei conti gli indicatori hanno questo tipo di effetto, specie di questo tipo. Pensate al biennio 2020-2021 in cui tanti (giustamente) utilizzavano il Buffet Indicator, che mostrava una chiara possibilità che il mercato fosse all’interno di una bolla, e a tal proposito molti si chiedevano “ma questo indicatore funzionerà? I mercati crolleranno?”.
ABBINARE UN INDICATORE A DIVERSI ALTRI PER AVERE MAGGIOR CHIAREZZA E OGGETTIVITA’
Un indicatore non va a prevedere il futuro, bensì da un’idea di quella che potrebbe essere la prospettiva nei mesi futuri. E’ per questo che ritengo sia essenziale abbinare lo stesso ad altri parametri: per me questi ultimi sono i dati macroeconomici e il loro andamento, lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato USA a 10 e 2 anni, il rialzo dei tassi di interesse e la volatilità e, per ultimo, il PUT/CALL ratio.
Ora farò chiarezza:
Come potete osservare, i principali dati macroeconomici sono in decelerazione, e spesso queste decelerazioni hanno portato a delle recessioni, come è accaduto ad esempio nel 2008:
Lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni e quelli a 2 anni continua a contrarsi:
Come ho spiegato diverse volte nelle mie idee, uno spread allo 0% in passato ha significato una recessione qualche tempo dopo.
Per ultimi ma non meno importanti i rialzi dei tassi di interesse e la volatilità: è cosa nota che ormai la FED rialzerà gli interest rates per andare a calmierare un’inflazione che oramai, a livello statunitense e non solo, è diventata un grande problema. Questo, in linea teorica, andrà a sollevare volatilità nei mercati e, come vi ho spiegato diverse volte, tendenzialmente un mercato ad alta volatilità è un mercato che si dirige verso il basso:
Un altro indicatore che monitoro molto spesso e che, a parer mio, si trova in una situazione abbastanza preoccupante, è il PUT/CALL RATIO. Questo indicatore misura il rapporto tra il volume di opzioni put e il volume dI opzioni call scambiate dagli operatori.
Questo rapporto è al di sopra di 1 quando il volume delle opzioni put supera quello delle call e sotto ad 1 quando il volume delle opzioni call supera il volume delle opzioni di tipo put.
Come saprete, le opzioni put si acquistano essenzialmente per 2 motivi: per scommettere su un ribasso dei mercati o per scopi di copertura (ossia per avere una sorta di “assicurazione” nel caso un mercato crollasse). Spiegato questo, ora vi condividerò il PUT/CALL RATIO riferito alle opzioni scambiate sugli indici; ho scelto questi ultimi poiché, tipicamente, gli investitori acquistano PUT sugli indici come scopo di copertura, ossia per non avere ingenti perdite nel caso in cui un mercato crolli:
Ci sarebbero diverse cosa da dire:
• Il volume di PUT aumenta considerevolmente prima di ogni crollo importante da parte del benchmark
• Dal 2009 al 2015 abbiamo avuto tendenzialmente un bull market e, contemporaneamente, un aumento delle call rispetto alle put. Lo stesso è accaduto per il bull market 2016-2018. Ciò può significare che in quei bull-markets gli operatori non avevano tantissime coperture sotto forma di put perchè probabilmente credevano fortemente nel trend e avevano in generale una visione positiva sui mercati e sull’economia.
Ora guardiamo invece al presente: l’S&P500, nell’ultimo biennio, ha avuto un fortissimo bull market, forse anche inaspettato. Nonostante ciò, i livelli di opzioni put sono continuate a crescere fino ad arrivare a rompere al rialzo il massimo formato dallo stesso indice durante la crisi del 2008 (vi ho evidenziato il tutto nella grafica). Ciò non vi pare strano? Non è strano che gli operatori, nonostante il mercato salga, continuino a comprare delle assicurazioni? Sembra quasi che la loro visione non sia poi così tanto positiva come lo stesso bechmark ci suggerisce!
Cosa succederà ai mercati nel prossimo futuro? Per quanto mi riguarda, tutti gli indicatori che vi ho mostrato mi suggeriscono estrema cautela.
L’idea termina qui, spero vi sia stata utile. Come ho scritto all’inizio di essa, lo scopo era farvi capire come si costruisce un indicatore e quali studi e ragionamenti ci stanno dietro la sua costruzione; dal momento che, singolarmente, un indicatore può dir tutto e nulla, vi ho dimostrato come vado poi a combinarlo nella mia analisi con altrettanti indicatori, il tutto per avere sempre una visione chiara e limpida dei mercati finanziari.
Quello che vi ho mostrato oggi è solo uno dei tanti spread che mi costruisco da diverso tempo. Né ho costruiti diversi che mostrerò in un canale personale a cui sto lavorando da qualche tempo a questa parte. Vi comunicherò quando il progetto sarà ultimato, rispettando chiaramente le linee guida imposte da tradingview.
MATTEO FARCI
ANALISI MACRO DELL'ULTIMA SETTIMANA: COME HA IMPATTO LA FED?Buongiorno ragazzi! La passata è stata una settimana molto turbolenta essendo stata influenzata negativamente dalla Federal Reserve e dal suo presidente Jerome Powell. L’obiettivo di questa analisi è analizzare il comportamento che gli investitori hanno avuto durante e l’ora successiva la conferenza della Fed. Vi riporterò in breve i punti salienti e poi passeremo subito ad analizzare i grafici.
LE PAROLE DI POWELL
Per quanto riguarda il tema riguardante l’economia e la sua ripresa, Powell dichiara che “gli indicatori dell’attività economica e dell’occupazione hanno continuato a rafforzarsi. I settori più colpiti dalla pandemia sono migliorati negli ultimi mesi, ma sono stati colpiti dal recente forte aumento dei casi di Covid-19”. Per quanto riguarda il tema sul mercato del lavoro e tasso di disoccupazione, ha dichiarato che “si è assistito ad un aumento di posti di lavoro solido tanto che il tasso di disoccupazione è “diminuito sostanzialmente”.
Per quanto riguarda invece uno dei temi più sensibili dell’ultimo anno, ossia l’indice dei prezzi al consumo, il presidente ha affermato che “con un'inflazione ben al di sopra del 2% e un mercato del lavoro forte, il Comitato prevede che presto sarà opportuno aumentare i tassi”.
Dobbiamo prestare maggior attenzione all’affermazione del presidente riguardante la possibilità che i prezzi (e quindi l’inflazione) potrebbero continuare a salire. Quest’ultimo dato, che tanto era stato considerato transitorio, sta iniziando a diventare preoccupante?
La riduzione dei bilanci, inoltre, avverrà presto (non si è specificata una data certa).
Quindi, riassumendo in breve, l’outlook nei confronti dell’economia statunitense è positiva visti i continui miglioramenti nel mercato del lavoro che, sulla stessa linea d’onda, hanno fatto abbassare il tasso di disoccupazione. Per questo motivo e per il fatto che l’inflazione inizi a diventare un problema (“inizia a diventare” per la Fed, credo che per i cittadini questo problema persista invece ormai da più di un anno) si prevede un aumento dei tassi di interesse (altro tema caldissimo degli ultimi mesi) in cui non si è precisato quando avverrà (verosimilmente a marzo).
La conferenza stampa di Powell è datata al 26 gennaio. Vediamo ora le reazioni degli operatori sui due bechmark di riferimento (S&P500 e NASDAQ).
S&P500 E VIX, NASDAQ E VXN E DIVERSI SETTORI
Come potete ben osservare, entrambi gli indici, dall’inizio della conferenza stampa e per l’ora e mezza successiva (dalle 20 alle 21.30) hanno perso abbastanza terreno. In particolare, l’S&P ha perso un -2,9% circa mentre il Nasdaq un -3,6% circa; come mai il Nasdaq ha perso di più? A parer mio il motivo è da ricercare nelle parole di Powell relative alle preoccupazioni inflazionistiche: un’inflazione più persistente del previsto va a danneggiare maggiormente gli indici pesantemente growth, com’è appunto il Nasdaq, in quanto erode i guadagni futuri delle aziende.
Guardando queste performance, appare chiaro che gli investitori abbiano mal digerito le dichiarazioni della Fed. Voglio fare un’analisi riguardante i volumi, in particolare quelli scambiati prima della conferenza stampa e quelli scambiati in contemporanea: notate nei rettangolini rossi (in basso) di entrambi i benchmark come, prima dell’evento, essi fossero abbastanza bassi. Sapete il motivo? Gli investitori stavano aspettando per poter prendere una posizione decisa, scommettendo, per dire, a conti fatti, e non ipotizzando le parole qualche ora prima. Per essere più chiaro, sappiamo quanto questi eventi siano in grado di destabilizzare un mercato, per cui che senso aveva per gli operatori scommettere ore prima sulle parole che avrebbe potuto dire Powell? Hanno aspettato e non hanno scommesso, e ciò è dimostrato dai bassissimi volumi di scambio. Alle 20 hanno iniziato a digerire le parole di Powell e allora sì che hanno aperto (o comunque chiuso) delle posizioni, e ciò è facilmente riscontrabile nell’aumento repentino degli stessi volumi evidenziati nei rettangolini di color azzurro. Questa quantità di contratti aperti in long o in short rappresenta l’emotività momentanea degli operatori, che poi si è andata a calmierare le ore successive, quando i prezzi di entrambi gli indici hanno continuato a perdere terreno. Con quest’ultimo appunto riguardo i volumi voglio trasmettere delle cose per me importanti: l’importanza di capire l’emotività e di quanto questa possa far schizzare il prezzo e come agiscono in generale gli operatori in questi particolari eventi: se non avete le idee chiare, state attenti a prendere delle posizioni, perché qualsiasi dato macro o qualsiasi intervento della Fed possono essere imprevedibili; e collegandoci all’emotività, era abbbastanza scontato che anche i due indici rappresentativi della stessa schizzassero per aria: VIX +18%, e VXN +10%.
ANALISI SETTORIALE
Adesso andiamo invece a considerare le performance dei singoli settori:
Vi ho condiviso dei grafici orari, evidenziando con il rettangolino rosa le candele immediatamente successive alle dichiarazioni di Powell: molto male il settore tecnologico con un -2.34%, settore immobiliare (-2.33%), settore delle comunicazioni (-2.04%) e settore dei beni discrezionali con un -2.24%; si difendono meglio degli altri il settore delle utilities con un -0.74%, il settore dei beni di prima necessità con un -0.69% e il settore finanziario con un -0.9%. I restanti settori perdono tra il punto e il punto e mezzo percentuale.
Ora focalizziamo l’attenzione sul motivo per il quale alcuni settori abbiano fatto peggio di altri: è un caso che il settore tecnologico e quello delle comunicazioni abbiano perso oltre 2 punti percentuali? No! Il motivo è da ricercare nelle componenti degli etf stessi: il settore tecnologico, nemmeno a dirlo, è pesantemente growth, e come spiegavo nel paragrafo precedente, è normale che gli investitori abbiano svenduto più contratti (o azioni, o abbiano chiuso operazioni long) di un settore che potrebbe essere più penalizzato di altri (viste le prospettive di inflazione persistente e aumento dei tassi di interesse); stessa cosa vale per l’etf XLC del settore delle comunicazioni: le prime tre partecipazioni dello stesso etf sono Meta, che occupa un peso del 22.36%, Alphabet inc classe A con un peso dell’11.28% e Alphabet inc classe C con un 10.5%. Queste tre partecipazioni, compattate con loro, costituiscono il 44.14%, quasi la metà dell’intero paniere; vediamo le performance orarie di queste 3 aziende:
Sono abbastanza negative, Meta arriva a perdere oltre 2 punti e mezzo percentuali. Ora capite perché XLC non è stato risparmiato dalle vendite?
Comportamento anomalo da parte del settore Real Estate, che tipicamente va a performare bene in periodi di moderata/alta inflazione dal momento che gli immobili costituiscono di per sé una protezione contro la stessa vista la possibilità da parte dei possessori di immobili o edifici residenziali di distribuire l’aumento dei prezzi dei beni appena menzionati ai consumatori (per fare qualche esempio, un aumento dell’inflazione è accompagnata da un aumento dei prezzi delle case e degli affitti e grazie a questo i possessori riescono a distribuire tale aumento ai compratori).
Ritornando a considerare le performance settoriali orarie post-FED , vi siete chiesti come mai il settore delle utilities, dei beni di prima necessità e finanziari sono quelli che hanno sofferto di meno? I primi due settori menzionati sono difensivi e value! Il fatto di essere difensivi conferisce loro una determinata protezione in giornate come quelle del 26 gennaio (ad alta volatilità); il fatto di essere value ha permesso agli stessi di essere meno soggetti alle parole di Powell riguardo i tassi di interesse e soprattutto nei riguardi dell’inflazione (perché questi due parametri vanno pesantemente ad influenzare le aziende ad alta crescita ma non quelle con un business forte e focalizzato sul presente come, appunto, le aziende e settori value). Lo stesso discorso vale per il settore finanziario, che è value ma non difensivo. Per dimostrarvi ciò che ho appena considerato, guardiamo le performance orarie del settore value e growth:
Come potete osservare, il value ha perso molto meno (-1.29% contro un -2.03%).
ANALISI DEL MERCATO OBBLIGAZIONARIO
Adesso analizziamo il mondo obbligazionario prima e dopo la conferenza della FED. Vi condividerò due grafici: nel primo saranno visualizzati i rendimenti delle scadenze brevi della curva dei rendimenti (rendimenti dei titoli a uno, due, tre, cinque e sette anni), mentre nel secondo i rendimenti delle scadenze più lunghe; nel rettangolo di color rosa andrò ad evidenziarvi le candele formate dai titoli immediatamente e durante la conferenza:
Riagganciandomi alle diverse performance dei diversi titoli, vi voglio far notare diverse situazioni che chiarirebbero concetti che ho già ripetuto nelle mie idee precedenti:
1. Le scelte di politica monetaria vanno sempre ad influenzare maggiormente la parte breve della curva. Questo perché la parte breve è influenzata dalle aspettative per la politica monetaria della Federal Reserve: aumenta quando ci si aspetta che la FED aumenti i tassi e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti; questo è riscontrabile a livello grafico? Direi proprio di si! E’ dimostrato dal fatto che le scadenze brevi abbiano registrato incrementi tra il 4.5% e il 10%, mentre le scadenze lunghe tra il 2.3% e il 4.2%!
In particolare, sono proprio i rendimenti a 2 anni ad essere più influenzati dalla politica monetaria, tant’è che risultano quelli con la performance maggiore (un massiccio +10%). Per logica, quindi, potevamo aspettarci che i rendimenti a più lunga durata registrassero performance meno importanti, e così è stato. Questi sono i migliori momenti per poter visualizzare se determinate informazioni da noi studiate nei libri siano effettivamente vere e riscontrabili, e io opero sempre in questo modo, andando a ricercare le “verità”.
2. I rendimenti a più lunga scadenza, soprattutto quelli di riferimento a 10 anni (considerati il bechmark) non rispondono direttamente alle decisioni della Fed, ma più ad aspettative sull’inflazione e alle leggi di domanda e offerta; ed è proprio per le aspettative sui prezzi al consumo che a parer mio hanno fatto quel movimento; dopotutto Powell si è dimostrato “più spaventato del solito” nei riguardi di questa tematica; è possibile che abbia spaventato gli investitori che, come lui, credevano nella transitorietà del fenomeno? E’ plausibile.
3. Lo stesso discorso che ho fatto per l’S&P500 e per il NASDAQ lo ripropongo anche per gli asset obbligazionari: vedete come le candele che hanno preceduto le 20:00 del 26 gennaio (le candele precedenti alla riunione della Fed) abbiano il corpo molto piccolo? Ciò significa “calma piatta”, riferita al fatto che gli operatori non avevano ancora preso delle decisioni o delle posizioni prima delle dichiarazioni di Powell. Anche il mondo obbligazionario, quindi, si è comportato come quello azionario; prestate molta attenzione a queste situazioni!
BITCOIN
Per quanto riguarda le performance della crypto, cosa possiamo dire?
Avevamo affrontato una discussione secondo la quale BTC si stesse correlando positivamente ai mercati azionari, in maniera particolare al settore tech:
Conoscendo questo tipo di correlazione, come vi immaginate che BTC si sia comportato? Quasi in maniera speculare allo stesso settore tech!
Focalizzate l’attenzione sul rettangolino azzurro (che evidenzia come negli altri grafici visti in precedenza l’arco temporale in cui è andata in onda la conferenza di Powell): vedete la grande correlazione positiva? Vedete come le performance siano state molto simili tra loro?
Questa è l’importanza delle correlazioni: capirle è fondamentale in giornate di questo tipo.
La domanda da farsi ora è questa: in quali mercati gli investitori hanno immesso la loro liquidità?
VALUTE RIFUGIO: YEN E FRANCO SVIZZERO
Le valute rifugio per eccellenza sono state anche stavolta (come avevamo constatato nelle idee precedenti) un rifugio sicuro? Vediamolo in due grafici a timeframe 15 minuti:
La risposta è no! Stavolta anche esse, indistintamente, sono scese. Lo yen, tra le 20:00 e le 22:00 cade del -0.27% mentre il Franco, nello stesso arco temporale, del -0.36%. Anche in questo caso vi ho evidenziato i volumi prima e durante la conferenza: vale lo stesso discorso fatto per il mercato azionario e obbligazionario.
DOLLARO AMERICANO
Il protagonista, stavolta, è stato il dollaro americano. Vediamolo in un grafico a 15 minuti e spieghiamo il motivo:
All’inizio della conferenza di Powell e per le due ore successive la valuta ha registrato un +0,37%, molto meglio rispetto a tutti gli altri asset visti fin’ora. Il motivo è da ricercare nell’effetto che gli aumenti dei tassi di interesse hanno nei confronti di una valuta: sapete che correlazione c’è? Non ne esiste soltanto una, ma diverse:
1. Tipicamente una banca centrale aumenta i tassi di interesse per andare a calmierare un’inflazione causata da una ripresa e successiva espansione economica. Gli investitori di tutto il mondo, chiaramente, preferiscono andare ad investire in un paese con un’economia in ascesa, sana e forte: questo significa che lo stesso paese andrebbe a subire un grande afflusso di capitali esteri. Acquistare un asset straniero significa chiaramente acquistarlo nella valuta locale: ciò si correla alla legge della domanda e dell’offerta: più moneta richiedo, più quella moneta andrà a rafforzarsi.
2. Ricollegandoci al fatto che i tassi di interesse vengono tipicamente alzati per calmierare un’economia in surriscaldamento, possiamo fare il discorso opposto per i tassi che vengono abbassati per andare a cercare di rafforzare un’economia in recessione; in questo caso come si comportano gli investitori?
Tenderanno ad acquistare valute dei paesi con economie in espansione e a vendere valute dei paesi in recessione: è così quindi che si va ad operare su cambi valutari in cui una delle valute è considerata forte (con dei tassi di interesse positivi) e una debole (con dei tassi di interesse negativi).
3. I tassi di interesse vanno ad influenzare anche i forex-trader: diversi broker, alla chiusura delle contrattazioni, effettuano le cosiddette operazioni di swap: queste consistono in un versamento da parte a parte (da broker a trader) del tasso di interesse delle monete del cambio in cui si è aperto un trade. Facendo un esempio molto pratico: immaginiamo che io, Matteo Farci, abbia aperto una posizione long sul cambio Euro/Dollaro Usa. Assumiamo l’Euro con un tasso di interesse del 5% e il Dollaro con un 1%: io andrò a versare il tasso di interesse sulla moneta che ho venduto (ossia l’1%) e mi verrà versato il tasso sulla moneta che ho acquistato (il 5%): capite il vantaggio?
Mi rendo conto che non è un argomento semplicissimo da capire, penso dedicherò un’analisi che focalizzerà l’attenzione nei riguardi questi concetti, in quanto è fondamentale capirli visto il fatto che tutte le banche centrali mondiali si stanno muovendo con le loro politiche monetarie.
LA REAZIONE DEI METALLI PREZIOSI
Molto spesso sento dire che l’oro è una protezione contro l’inflazione e ciò potrebbe essere vero, nel lungo periodo. Il discorso è che se lo fosse stato anche nel breve, probabilmente alle dichiarazioni di Powell riguardanti la non transitorietà dello stesso fenomeno inflattivo il metallo prezioso si sarebbe dovuto apprezzare. Questo è successo?
Direi di no. Entrambi gli asset (l’altro è l’argento) hanno perso oltre il mezzo punto percentuale. La mia opinione riguardo a ciò trova diverse logiche:
L’oro, nel breve periodo, non ti protegge dall’inflazione.
La discesa è dovuta all’apprezzamento del dollaro USA che abbiamo analizzato nel paragrafo precedente (l’oro è scambiato in dollari, per cui se il dollaro aumenta il suo valore va a sfavorire gli investimenti sul gold da parte di investitori detentori di altre valute, perché andrebbero a pagare di più per acquistare la stessa quantità di contratti).
Prestate attenzione alla correlazione inversa tra i rendimenti dei titoli di stato reali (rendimenti nominali aggiustati all’inflazione) e l’oro stesso, che trovate in questa grafica:
fred.stlouisfed.org
E’ chiaro che se il valore sul dato dell’inflazione rimane costante e invariato mentre il rendimento a 10 anni, come abbiamo visto prima, schizza per aria l’oro per, appunto, la correlazione inversa, sarebbe sceso in quasi ugual proporzione, e ciò è riscontrabile nel grafico FRED che vi ho condiviso!
Aprite in particolare questo link e andate a selezionare il 26 gennaio:
fred.stlouisfed.org
Vedete quanto la correlazione sia inversa?
Per quanto riguarda invece l’argento, esso ha seguito sostanzialmente il movimento dall’oro, da cui è da sempre influenzato.
I MERCATI HANNO RAGGIUNTO IL BOTTOM?
La preoccupazione di diversi operatori in questo momento è: il mercato ha raggiunto il suo minimo? Adesso risalirà? Rivedremo i massimi storici? A parer mio è difficile da dire e da prevedere. Quello che posso dire è che, a causa dell’alta volatilità, né l’S&P500 tantomeno il NASDAQ hanno avuto una settimana con una vera e propria direzionalità infatti, come vedrete nei due grafici giornalieri in basso, il prezzo si è mosso all’interno dei rettangolini da me colorati di color rosa:
Quello che ho appena evidenziato è più chiaro in dei grafici a timeframe più bassi, come quelli orari, in cui possiamo notare altre cose interessanti:
Innanzitutto entrambi i grafici sono molto simili tra loro; i due prezzi hanno formato nell’ultima settimana una lateralizzazione; c’è da chiedersi se esso sarà un consolidamento (se il prezzo romperà il rettangolo di congestione verso l’alto) o una distribuzione (se esso lo romperà verso il basso). Come potete osservare, ho tracciato in entrambe le lateralizzazioni l’intervallo fisso volumetrico, il cui point of control mi visualizza l’area di prezzo in cui sono stati scambiati più volumi; è evidente che il prezzo si stia pian piano gonfiando, e quella indicata con il point of control e l’area in cui si sta combattendo la guerra tra compratori e venditori. Inoltre vi ho visualizzato i volumi: vedete come essi siano molto più accentuati quando il prezzo arriva in corrispondenza delle strutture di supporto e resistenza della lateralizzazione? Ciò sta ad indicare che sono delle aree di prezzo in cui tanti attori del mercato reagiscono, e ciò si riflette appunto sui volumi stessi. Unica eccezione la zona volumetrica indicata in entrambi i grafici con il rettangolino verde, in quanto è l’unica area in cui i volumi sono rimasti molto bassi nonostante in prezzo fosse sulla resistenza: questo è dovuto al fatto che in quelle ore di contrattazioni i mercati statunitensi fossero chiusi e di conseguenza gli operatori a mercato risultassero molti meno. Da questa analisi oraria abbiamo quindi capito come i minimi toccati dai due bechmark siano molto importanti. Vi voglio però riportare gli stessi grafici a livello settimanale per farvi notare un qualcosa di molto importante:
Ho condiviso prima il settimanale dell’S&P e successivamente quello del Nasdaq; è interessante notare che tracciando il visible range in entrambi i benchmark dalla candela settimanale del rimbalzo di marzo 2020 dopo il crollo dei mercati causati dalla pandemia e l’ultima settimana terminata il 28 gennaio 2022, ci rendiamo conto che il point of control (come vi ho spiegato prima, l’area di prezzo in cui sono scambiati più volumi) si trova al di sopra di entrambi i prezzi. Per la mia visione dei mercati, potrei quindi affermare che vedrei il prezzo più in alto le prossime settimane soltanto se entrambi gli indici riuscissero a chiudere con una candela settimanale al di sopra dello stesso point of control.
E come ultima cosa, non dimentichiamoci la volatilità. Statisticamente, a volatilità considerevoli, un mercato tende a scendere e non a salire, e queste grafiche ne sono la prova:
Vedremo quindi se questi “indici di paura” vedranno una discesa.
L’analisi termina qua. So che probabilmente è stata lunga, ma determinati concetti, a parer mio, non possono essere spiegati in due righe e anzi, se proprio devo essere sincero, avrei potuto continuare a scrivere altre 50 pagine. Volevo comunque trasmettervi le mie conoscenze che, in giorni come questi, possono aiutarvi a leggere meglio i mercati; è importante capire cosa succede ma soprattutto perché succede, e io cerco sempre di spiegare grazie a studi e logica la psicologia che sta dietro i mercati. Inoltre ci aspettano dei periodi in cui le banche centrali del mondo non interverranno con le loro politiche monetarie una volta, bensì diverse! Ed è proprio per questo che è fondamentale sapere come muoverci e, determinate volte, capire quali potrebbero essere le mosse dei mercati, attraverso analisi macro, correlazioni, volumi e volatilità potrebbero permetterci di guadagnare di più e/o limitare le perdite. Spero di essere stato chiaro, qualora non lo fossi stato cercatemi in privato su Instagram o tradingview, o commentate l’idea.
Volevo aggiungere inoltre che ho intenzione di creare un canale personale in cui condividerò tante altre idee riguardanti i mercati finanziari. Vi comunicherò quando il progetto sarà ultimato, rispettando chiaramente le linee guida imposte da tradingview.
Grazie, Matteo Farci
NASDAQ, INFLAZIONE BUONA, RENDIMENTI, TASSI E T-BOND
C'è nella cultura economica dominante, una concezione secondo cui l'inflazione sia un fenomeno monetario.
Se l'economia di mercato non riesce a produrre un tasso di inflazione che la Banca Centrale ritiene coerente
con la crescita economica si deve intervenire sui tassi e accelerare il tapering.
I recenti aumenti dei prezzi sono dovuti in parte ad uno shock di offerta (tipo chip shortage) ed al rincaro dei prodotti energetici.
Le banche centrali in questo contesto facendo leva sui tassi possono intervenire solo dal lato della domanda, ma l'inflazione non
aumenta e diminuisce solo a causa della politica monetaria delle banche centrali è anche in gran parte il risultato delle scelte che fanno le aziende.
Più i prezzi salgono, maggiori sono i profitti per le società. L'amministrazione Usa, anche attraverso la Federal Trade Commission sta
combattendo l'aumento dei prezzi e le pratiche anticoncorrenziali che le stanno alimentando a scapito dei consumatori. In sostanza
più che inflazione, stiamo avendo una nuova fase di "opportunità aziendale", avidità direbbero a Wall Street. Le società, con prospettiva
di prezzi crescenti, sono incentivate a produrre di più rispetto ad una situazione precedente con tassi vicino allo zero quasi al limite della trappola della liquidità.
In questo contesto si inseriscono come conseguenza gli aumenti dei tassi di rendimento dei T-Bond.
L’aspettativa di un aumento dei rendimenti svaluta le attività finanziarie a lunga scadenza
e avvantaggerebbe la "rotazione settoriale" verso i titoli value la cui attività è già capace di
generare una buona redditività immediata. Ad essere penalizzate sono le obbligazioni e le società dette growth
a causa dei massicci investimenti che dovrebbero realizzare nel lungo periodo i cui flussi di cassa futuri
sono ancora attualizzati dagli analisti in base al "rendimento privo di rischio", com'è appunto, il T-BOND.
Ma KPMG prima della pandemia ha elaborato un sondaggio sulle aspettative di ritorno sugli investimenti tra le aziende Tech:
- impatto immediato 10%;
- entro 6 mesi 34%;
- entro 12 mesi 27%;
- entro 2-3 anni 24%;
- entro 5 anni il 4%;
- oltre 5 anni <1%.
Inoltre, molte soffrono i tradizionale processi di budget annuali sugli investimenti che non ormai
non supportano i loro pivot rapidi di crescita.
Secondo Value Research i fondi del settore Tech hanno avuto un rendimento medio nel 2021 del 67%.
Il rendimento del decennale USA a gennaio 2022 è del 1,90%.
I tassi FED sono allo 0-0,25%, e si avvicineranno a fine 2022 all'1%.
LA FED SCUOTE TUTTI I MERCATI? NO! ANALIS MACRO ULTIMA SETTIMANABuongiorno ragazzi, oggi volevo analizzare quello che è successo la scorsa settimana sui mercati finanziari statunitensi, in quanto è stata abbastanza particolare. Ci sono stati diversi dati macroeconomici e dichiarazioni che hanno fatto da padroni indiscussi. Tra questi elenco il vertice OPEC tenuto il 4 gennaio, i verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio ed infine i dati sulla disoccupazione e i non farm payrolls di venerdì 7 gennaio.
DECISIONI DELLA OPEC SULLA PRODUZIONE DI PETROLIO
La OPEC ha confermato che procederà con il previsto aumento della produzione di petrolio per il mese di febbraio 2022. L’aumento sarà di 400000 barili al giorno: quest’ultimo è stato approvato dopo che i membri OPEC hanno stimato un eccesso di offerta nell’anno 2022 inferiore a quello previsto in precedenza.
Nonostante la OPEC si attenda un nuovo surplus le stime indicano che sarà nettamente più contenuto di quanto ci si attendesse in precedenza con la produzione di petrolio che supererà la domanda mondiale di 1,4 milioni di barili al giorno nei primi tre mesi dell’anno rispetto agli 1,9 milioni della valutazione precedente.
Come ha preso la notizia il future sul Petrolio? Vediamo:
Dai minimi a 62$ circa del 2 dicembre, sembra che il Petrolio abbia recuperato piuttosto bene. A fine anno è stata rivisitata la resistenza a 76$ circa, quasi in corrispondenza della media a 50 periodi: il prezzo ha dapprima rintracciato brevemente, per poi andare (il 4 gennaio, giorno del meeting OPEC) a rompere al rialzo la media a 50 periodi, segnando infine una performance settimanale del +4,91%. Direi quindi che il mercato ha reagito piuttosto bene al meeting OPEC, non tanto perché la produzione è stata confermata anche per febbraio in aumento (ciò entrerebbe in contrasto per la legge della domanda dell’offerta, che dice che l’aumento dell’offerta di una materia prima è difficilmente accompagnata da un rialzo del prezzo della materia prima stessa), ma quanto perché gli aspetti della variante omicron, a conti fatti, non rallenteranno quanto ci si aspettava il consumo di petrolio.
Nonostante sembri che la positività in questa commodity sia tornata, vi voglio mostrare un piccolo campanello d’allarme, derivante dal cot report:
Vedete come il ribasso di tutto novembre (mese della scoperta della variante omicron) sia stata accompagnata da un trend ribassista da parte dei contratti dei large-speculators: probabilmente, in quello stesso periodo, tante operazioni erano state chiuse per 2 motivi:
1. Paura e incertezza nei riguardi della nuova variante che avrebbe potuto bloccare nuovamente l’economia mondiale
2. Prese di profitto a seguito del grande impulso rialzista di settembre-ottobre
Nell’ultimo mese (nonostante il prezzo si sia ripreso e sia passato nuovamente sopra la media a 50 periodi) si è creata una divergenza: lo spread tra contratti long e short si accorcia nonostante il prezzo continui a salire; come mai? Questo non posso saperlo, ma comunque lo considero un campanello di allarme, simbolo del fatto che il prezzo forse non è forte come sembra.
Per quanto riguarda invece la volatilità sull’asset, direi che si è tornati in condizioni di “tranquillità”, dal momento che l’indicatore è sceso sotto i 45 punti:
Quale sarà quindi il futuro destino del petrolio? Lo vedremo prossimamente, io vi ho riportato alcuni indicatori, ai quali vorrei aggiungervene un altro: tipicamente, in periodi di inflazione, le materie prime tendono a performare bene e tra queste non può certo mancare il crude oil.
IL FOMC, CIO’ CHE HA SCOSSO I MERCATI. MA PROPRIO TUTTI?
E qui veniamo ai verbali degli incontri del FOMC del 5 gennaio. In quell'occasione, i banchieri hanno annunciato l'accelerazione del processo che metterà fine agli stimoli monetari, con un tapering di 30 miliardi di dollari al mese (e non più 15 miliardi) per mettere fine al programma di aiuti da 120 miliardi al mese entro marzo. Il programma prevedeva 80 miliardi in titoli di Stato e 40 miliardi in titoli garantiti da mutui ipotecari. Inoltre, dopo il primo aumento dei tassi, si prevede anche una riduzione del bilancio.
Vi rilascio alcuni punti salienti dell’incontro:
“L'inflazione si sta dimostrando più alta e duratura del previsto e, per questo, potrebbe essere necessario alzare i tassi d'interesse prima del previsto; inoltre, è necessario ridurre il passo degli aiuti monetari, non più così necessari. Se il mercato del lavoro continuerà a migliorare con questo passo, i prerequisiti per un aumento dei tassi d'interesse potrebbero essere raggiunti relativamente presto”
Inoltre, dal dot plot (che è un grafico che registra ogni 3 mesi le previsioni della Fed) è emerso che la maggioranza dei banchieri prevede ora almeno tre rialzi dei tassi d'interesse nel 2022. Dopo la precedente riunione, a settembre, nove componenti su 18 del FOMC avevano invece ipotizzato almeno un rialzo dei tassi nel 2022.
Questa notizia è stata una sorpresa per i mercati che, come spesso vi dico, non hanno reagito affatto bene. Usando dei grafici a 30 minuti, vediamo quale è stata la loro reazione:
Vediamo come i due benchmark principali abbiano performato piuttosto male all’uscita del comunicato: l’S&P ha perso il -1,6%, mentre il Nasdaq il -1,92%. Sapete perché quest’ultimo è andato peggio? Ne parlo spesso, ma ora lo mostrerò:
A sinistra del grafico vi ho riportato la reazione del rendimento del decennale americano; vediamo come esso sia salito del +1,22%. Era normale che tale notizia scuotesse anche il mercato obbligazionario! Ma tornando a noi: come mai il Nasdaq ha perso di più? Per la correlazione che esiste tra inflazione e titoli growth! Ricordo che la parte lunga della curva dei rendimenti (costituita dalle scadenze a 10, 20 e 30 anni) si innalza tipicamente per due motivi: o per una previsione di crescita economica o per un’inflazione persistente (ed è ciò che è successo); direi che in questo momento siamo in una fase di espansione economica che non troppo tardi volgerà al termine, per cui la risalita dei rendimenti dei titoli a scadenza lunga è data dalla paura degli investitori di un’inflazione più persistente e duratura di quanto ci si aspettasse. Quali sono i titoli che più vengono danneggiati da un’inflazione alta e persistente? I titoli growth, che basano i loro guadagni sul futuro e non nel presente, e sappiamo quanto l’inflazione, appunto, eroda i guadagni futuri!
Guardate la correlazione inversa che esiste tra i rendimenti del decennale americano, il Nasdaq e l’etf XLK che rappresenta un paniere di aziende tecnologiche. Vedete che si muovono con buona approssimazione in maniera quasi opposta? Assistiamo a una correlazione molto inversa soprattutto quando il rendimento del decennale tende ad accelerare in maniera abbastanza aggressiva, come mostra appunto l’immagine:
Detto ciò, abbiamo capito come le tech, questa settimana, abbiano performato piuttosto male a causa del rialzo dei rendimenti obbligazionari. Al contrario di queste ultime, le value hanno invece performato bene, andando a segnare addiritura un +1,14%.
Vorrei inoltre farvi notare un qualcosa di importante:
Negli stessi momenti in cui il rendimento del decennale americano aumenta rapidamente, il settore Value tende a segnare buone performance, al contrario, come abbiamo visto prima, del tech. Sembra quasi che, in certi momenti, i due asset siano correlati positivamente. Sapete qual è la spiegazione?
Per farvelo capire, andrò a spacchettare l’etf del settore value dell’S&P500 per settori:
SETTORE FINANZIARIO 15,87%
SETTORE SANITARIO 15,56%
SETTORE INDUSTRIALE 12,89%
SETTORE TECNOLOGIE INFORMATIVE 12,40%
SETTORE CONSUMER STAPLES 10,72%
SETTORE CONSUMER DISCRETIONARY 7,72%
SETTORE SERVIZI DI COMUNICAZIONE 6,92%
SETTORE ENERGETICO 5,31%
SETTORE UTILITIES 5,04%
SETTORE MATERIALI 3,96%
SETTORE IMMOBILIARE 3,33%
Come possiamo notare, il peso maggiore è dato dal settore finanziario. Chiediamoci una cosa: come reagisce il settore finanziario all’aumento dei tassi di interesse e di conseguenza all’aumento dei rendimenti del decennale americano? Reagisce alla grande, tant’è che esiste una correlazione piuttosto positiva; vediamola:
Come mai c’è una correlazione diretta tra questi due asset? Le banche ricevono finanziamenti e creano successivamente guadagni in questo modo: ricevono innanzitutto fondi tramite i depositi dei clienti, a cui pagano tassi d’interesse a breve termine. Quindi, la parte corta della curva del rendimento rappresenta i costi di prestito della banca. Successivamente, guadagnano prestando denaro a tassi a lungo termine più alti. La differenza tra i due tassi (quello a lungo termine meno quello a breve termine) è nota come spread del tasso d’interesse e rappresenta il guadagno potenziale della banca. Quindi, più alto è un rendimento a scadenza lunga, più una banca ci guadagna, ecco spiegato il motivo! Il +5,43% dell’ultima settimana del settore finanziario non è stato un caso:
L’altro best performer della settimana è stato il settore energetico, rinforzato chiaramente dalla bella performance settimanale del petrolio, che segna un oltre +10%!
Vediamo le performance degli altri settori, per poi analizzare i titoli di stato a diversa scadenza, le materie prime e il dollaro.
SETTORE INDUSTRIALE E MATERIALI
Vediamo come il settore industriale abbia performato molto meglio rispetto a quello dei materiali. Non è un caso dal momento che, nel settore “value”, l’industriale occupa un peso del 12,89%.
SETTORE SANITARIO E DELLE COMUNICAZIONI
Il settore sanitario, nonostante rappresenti il secondo settore per peso all’interno dell’etf del settore value, ha subito tante vendite, chiudendo con una performance del -4,64%. Quello delle comunicazioni, invece, è ormai da diverso tempo in difficoltà, in particolare da inizi settembre 2021.
SETTORI BENI DI PRIMA NECESSITA’ E BENI DISCREZIONALI
I due settori hanno performato piuttosto diversamente: quello dei beni discrezionali male, -2,43%, mentre quello dei beni di prima necessità appena appena bene, segnando un +0,40%: questo è probabilmente dovuto al fatto che XLP è un settore difensivo, per cui probabilmente alcuni investitori hanno scaricato posizioni su settori più rischiosi a beneficio di alcuni meno rischiosi e quindi più difensivi. Ciò però è accaduto solo in XLP e non nel settore utilities, nonché difensivo, che perde oltre il punto percentuale:
Molto male il Real Estate, che segna una performance negativa del -4,9% dopo una cavalcata durata qualche settimana.
INDICE DELLE PAURE SUI MERCATI: VIX E VXN
Vediamo come i due indici, VIX (volatilità S&P500) e VXN (volatilità Nasdaq) si siano mossi in modo diverso: il VIX è rimasto all’interno dell’area di relativa tranquillità (sotto i 20 punti) mentre il VXN, al contrario, è salito oltre i 25 punti, a volatilità quindi preoccupanti. Come mai questa divergenza tra i due indici? Perché si ha avuto maggior paura per i titoli tech (e quindi del Nasdaq) a causa del rialzo dei rendimenti del decennale e per tutti i motivi che ho spiegato precedentemente!
MONDO OBBLIGAZIONARIO
Vi ho condiviso due curve dei rendimenti ben distinte, una di Q3 2021 (con i rendimenti del 2 agosto 2021) e una di Q1 2022 (quella odierna). Le due curve appartengono a due momenti ben distinti: in quella di Q3 2021 la banca centrale era abbastanza “rilassata” in quanto riferiva nelle sue riunioni il fatto che i tassi non sarebbero stati aumentati a breve, che l’inflazione era transitoria e la crescita economica robusta, con dati sul lavoro e disoccupazione via via migliorativi; alla curva odierna invece appartiene una Fed ben più aggressiva per i motivi di cui vi ho parlato all’inizio di questa idea.
Vi ho condiviso queste due curve per un particolare motivo: avete mai sentito da qualche professionista dire “la banca centrale può controllare solo la parte breve della curva”? Questo è il tipico esempio.
Guardiamo come i rendimenti alle brevi scadenze siano più ripidi oggi di quanto non lo fossero in Q3 2021; la parte a scadenze brevi della curva dei rendimenti (da scadenze di qualche mese fino ai 7 anni) è determinata dalle aspettative per la politica della Federal Reserve; il rendimento di quella parte aumenta quando ci si aspetta che la Fed aumenti i tassi e diminuisce quando ci si aspetta che i tassi di interesse vengano ridotti. L’estremità lunga della curva dei rendimenti, invece, è influenzata da fattori quali le prospettive sull’inflazione, la domanda e l’offerta degli investitori, la crescita economica.
Come ho spiegato diverse volte, se la crescita è robusta e l’inflazione in aumento, il prezzo delle obbligazioni a lunga scadenza dovrebbe scendere. Questo fa salire i rendimenti a 10,20 e30 anni e, di conseguenza, la curva diventa più ripida. Se una banca centrale risponde alle pressioni inflazionistiche alzando i tassi di interesse a breve termine, la curva si appiattisce, è questo è infatti quello che stiamo vedendo negli ultimi tempi; vediamo infatti che nella parte lunga troviamo una “gobbetta”; questo è sinonimo del fatto che si sta scommettendo in un futuro rallentamento economico (in quanto il rialzo dei tassi di interesse, tipicamente, avviene alla fine o comunque in prossimità della fine di un’espansione economica, per il fatto che una ripresa e successivamente un’espansione si portano dietro anche un’alta inflazione).
Tuttavia, i rendimenti hanno fatto i protagonisti la scorsa settimana, andando ad incrementare in maniera abbastanza notevole:
Vediamo infatti come le due scadenze lunghe siano salite in maniera vertiginosa: ciò è probabilmente dovuto all’incertezza degli operatori riguardo un’inflazione che si potrà dimostrare più dura e persistente di qualche tempo fa; questo è stato dichiarato anche dalle FED che appunto, per combatterla, prevede 3 aumenti dei tassi.
Avete quindi capito il motivo della forma della curva dei rendimenti odierna rispetto a quella di qualche mese fa? Se no, commentate e sarò più chiaro.
IL DOLLARO AVEVA PROBABILMENTE GIA’ SCONTATO TUTTO E CIO’ HA AIUTATO LE COMMODITIES
Spesso ho detto che probabilmente il dollaro aveva già scontato il tapering e probabilmente qualche aumento dei tassi di interesse; credo che questa ipotesi possa essere ora considerata vera in quanto il dollaro stesso, all’annuncio aggressivo della FED, si è mosso poco. Anzi, si trova in un canale di lateralizzazione da ormai 2 mesi, dal 17 novembre:
Da questa lateralizzazione ne hanno beneficiato le materie prime (guardate il grafico a destra, il bloomberg commodity index) che, dopo aver disegnato un doppio minimo sulla struttura a 27 dollari, sono ripartite al rialzo, segnando una performance settimanale del +2,41%!
NON FARM PAYROLLS E DISOCCUPAZIONE
Infine, vi riporto altri due catalizzatori della scorsa settimana: le buste paga del settore non agricolo, che hanno registrato un aumento di 199mila nuovi posti di lavoro a dispetto delle stime di investing.com di 400mila, e i dati sulla disoccupazione molto positivi, scesi al 3,9% dai 4,1% del mese precedente.
Questi ultimi sono due dati molto importanti, per 2 motivi: i mandati della FED sono il controllo dell’occupazione e il monitoraggio dei livelli d’inflazione: a seconda dei prossimi dati sui posti di lavoro, la FED potrebbe decidere se anticipare o posticipare l’aumento dei tassi, e quindi se essere più aggressiva o meno, e questo potrebbe scuotere ancora i mercati; i livelli di disoccupazione via via decrescenti danno invece sostegno all’inflazione, in quanto più persone possono spendere, la domanda dei beni si alza e di seguito l’inflazione stessa; interessante sarà vedere i prossimi dati sulle vendite al dettaglio in quest’ottica.
Spero quest’idea sia uno spunto riflessivo per tutti.
MATTEO FARCI