S&P500 e treasury compratissimi: rischio o pacifica convivenza?L'indice americano ha segnato la scorsa settimana nuovi massimi assoluti, mentre il rendimento del decennale americano ha toccato nuovi minimi relativi. Siamo ad un punto che non può essere indifferente
Qualche ulteriore considerazione può essere fatta:
1. Dal 1 ottobre al 24 dicembre 2018
Con le prime concretizzazioni di una decelerazione della crescita globale, coerentemente è iniziata una inesorabile fuga dall'azionario USA a vantaggio dei titoli di stato decennali in perfetto stile fly to quality. I flussi sono comprensibili poiché si esce dall'azionario consolidando importanti guadagni in conto capitale abbandonando la prospettiva di un calo dei fatturati, degli utili e quindi dei dividendi. Ci si posiziona sul reddito fisso assicurandosi per i prossimi anni un rendimento lordo del 3% annuo (in valuta locale). Nell'ipotesi che i massimi del ciclo economico e dei mercati fosse già alle spalle, coloro che avessero tenuto questa condotta vedrebbero conseguito il massimo dei vantaggi. Soprattutto l'ingresso sui Treasury sul picco dei tassi USA.
2. Dal 24 dicembre al 30 aprile 2019
Il mercato azionario riprende a salire sulle indiscrezioni che la Fed, in risposta agli aumentati rischi di instabilità per l'economia e quindi per i mercati finanziari, possa mettere in pausa la politica restrittiva (aumento dei tassi e riduzione del bilancio della Fed). Coerentemente l'azionario risale ma, nota apparentemente stonata, continuano gli acquisti dei Treasury.
In questo caso ci si sarebbe aspettati invece una parziale uscita dal reddito fisso per finanziare gli acquisti sull'azionario. Ma non è accaduto.
Infatti, gli acquisti sull'azionario sono avvenuti con scarsi volumi, cioè la partecipazione degli investitori è stata scarsa e si è preferito comunque continuare a comprare reddito fisso a manetta a mano a mano che la Fed nei suoi comunicati dava corpo alle voci su un possibile taglio dei tassi addirittura.
Giova ricordare che il taglio dei tassi produce un aumento del valore dei titoli obbligazionari a tasso fisso in circolazione poiché assicurano un rendimento più alto di quelli che da li in avanti si renderanno disponibili in emissione a tassi più bassi. Questo produce domanda sul mercato secondario per questi titoli con conseguente aumento dei prezzi e dunque calo dei rendimenti.
Una pezzo della spiegazione è anche che il mercato non nutre abbastanza fiducia che un taglio dei tassi possa riportare in alto la crescita abbastanza da surriscaldare l'inflazione e giustificare di conseguenza la richiesta di rendimenti più alti sulla parte lunga della curva dei tassi. In effetti i tassi a lungo termine si muovono principalmente sulla base delle aspettative di inflazione ed oggi, francamente, risultano mortificate.
Come dire che gli operatori si possono anche accontentare di rendimenti più bassi visto che l'inflazione non li erode più di tanto. Ricordo che, nonostante tutto, i rendimenti reali (cioè al netto dell'inflazione) continuano ad essere positivi vista l'inflazione generale al 1,8%.
Ora siamo ad una possibile resa dei conti perchè i titoli decennali sono al 2% di rendimento, quelli a due anni al 1,8% ed il dividend yield (cioè il rendimento da dividendi stante l'attuale livello dei prezzi delle azioni) sullo S&P500 al 2% anch'esso. Ciò significa che il rendimento che può essere conseguito sull'azionario (a parte le considerazioni sul rischio che bisogna accollarsi per ottenerlo) è pari o superiore a quello ottenibile sul reddito fisso “risk free”.
Dal 1 maggio al 3 giugno 2019
il mercato azionario ha ripreso a salire sulle parole della Fed la quale lascia intendere che un taglio dei tassi effettivamente non è più un'ipotesi ma una roba concreta, forse già a luglio. Almeno questo dicono i futures sui Fed Funds. Questa volta sono da notare i volumi in aumento che hanno accompagnato la crescita dell'azionario a differenza del precedente rialzo, ma la nota stonata è che ancora il decennale americano continua ad essere acquistato, anche se con minore enfasi va detto.
Oggi il rendimento del decennale ha toccato il minimo osservato a settembre 2017 e su questi valori ha abbozzato un rimbalzo denotando, forse, la volontà di tirare i remi in barca.
Il rendimento sta testando un minimo visto nel settembre 2017. Da allora si osserva che tutte le divergenze segnalate dal RSI14 si sono dimostrate affidabili al 100% nel segnalare inversioni di tendenza. Oggi, su questo significativo livello, l'indicatore segnala l'ennesima divergenza che, visti i precedenti, verrebbe da prenderla sul serio.
Se inversione dei rendimenti ci dovessero essere, questo vuol dire che una prosecuzione del rialzo dell'azionario su nuovi e più convincenti massimi assoluti potrebbe essere accompagnato dalla partecipazione di maggiore denaro proveninte da un abbandono del treasury. Oggi i tassi sul decennale sono allo stesso livello di quando, sul finire del 2015, la Fed iniziava il processo di aumento ma nel frattempo lo S&P500 vale il 45% in più.
Ma quanto tutto ciò sarebbe logico?
Non moltissimo.
Infatti se gli acquisti sul decennale, come detto, sono stati spinti dall'incertezza sulla crescita e sui profitti aziendali futuri, bisogna dire che questi dubbi sono sempre li sul tappeto. Non sono mica stati spazzati via. Allora, vista la poca fiducia sulla crescita dei profitti indotta dallo spettro del rallentamento economico globale e quindi di una possibile recessione, vista la scarsa inflazione che erode i rendimenti a mio avviso potrebbe anche accadere che i volumi sui Treasury potrebbero anche continuare a restare elevati.
I rischi al ribasso infatti sono giudicati correttamente più elevati di quelli di un rialzo ed i livelli di rendimento attuali giudicati adeguati. Questo potrebbe significare che non saranno molti i flussi in acquisto sull'azionario rendendo l'eventuale allungo dei mercati fragile. Sembra che il reddito fisso dica all'azionario: vai avanti tu che io ci penso su con calma.